CINA DAOJIAO JU BAUDDHA

PERCHE' DIO ESISTE
PERCHE' DIO ESISTE

PERCHE’ DIO ESISTE

Io sono qui, per cui Dio non può che esistere!

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La presenza di Dio è una visione quotidiana che sovente cerchiamo di cancellare dalla nostra percezione, troppo presi ormai dagli eventi mondani, dall’esasperato tentativo, vano e miserrimo, di trasformare noi stessi in una divinità. Ma Dio è lì accanto a noi, a seguire il nostro percorso, a rimediare ai nostri errori, a ricordarci ad ogni passo di non cadere nella buca in cui noi ci gettiamo, presuntuosi e arroganti, convinti di essere più esperti, competenti e capaci di Lui. La presenza di Dio si manifesta in ogni atto che noi compiamo, volontario o involontario che sia. È nel rimorso, nel rimpianto, nei sensi di colpa che manifestati o obliati, restano per sempre dentro di noi. Dio non è la nostra balia, il suo compito, la sua missione, il suo scopo non è quello di aiutarci a soddisfare i nostri bisogni, le nostre voglie, i sogni e le fantasie per regalarci una vita meravigliosa, soddisfacente e memorabile. Il motivo per cui noi siamo qui è per aiutare Lui. È quello di agire seguendo le sue indicazioni per far tornare a Lui ciò che si è allontanato. Perché Dio è così buono da lasciare che ognuno di noi sia cattivo, spregevole, avido e inetto, e lo fa perché ci ama. Non vuole costringerci ad essere buoni, caritatevoli, generosi e efficienti, desidera solo che noi si diventi capaci di esserlo per aver appieno compreso il suo messaggio. Sia una prova o un aiuto concreto che ci viene richiesto. Dio non ha creato il mondo per donarci una vita beata, la beatitudine non appartiene a questa vita ma alla prossima e sta a noi fare in modo che questo possa essere. E possiamo farlo solo con il Suo aiuto, solo con il nostro agire lasciando che Lui ci aiuti.

LOURDES

Uno degli aneddoti più conosciuti della vita di Santa Madre Teresa di Calcutta narra che un giorno, uno degli ammalati che stava assistendo le abbia chiesto come potesse Dio permettere tutto quello, dove fosse e se esistesse davvero. La Santa, con tutta la tranquillità e l’amore che la caratterizzavano, rispose che Dio c’era, era lì e si chiedeva come l’ammalato non riuscisse a vederlo. Dio era proprio davanti a lui, era lei stessa, era Madre Teresa mentre gli portava conforto, erano le Sorelle che curavano e accudivano gli altri ammalati. Dio non stava affatto permettendo tutto quello e lo faceva proprio tramite lei. Dio conosce i nostri dolori e le nostre pene, le paure e le miserie e soprattutto conosce il modo per alleviarle. Anche se il conforto che riceviamo non è quello che ci aspetteremmo, vorremmo guarire non essere serenamente accompagnati nella morte. Anche se preferiremmo che ciò non fosse mai stato, vorremmo non aver mai incontrato la malattia non esserne curati. L’amore di Dio è un sorriso che non ci aspettavamo, un raggio di sole in un momento di tristezza, è una persona che ti dà un consiglio o che semplicemente sta ad ascoltare i tuoi lamenti. Dio non si presenta la mattina presto alla nostra porta a risolverci i problemi, non aggiusta lo scaldabagno, non ci fa trovare un lavoro per diventare ricchi, non guarisce i nostri tumori, non spenge le guerre, non è qui per questo, è qui per ricordarci quanto tutto questo sia inutile ed invano se in noi non lasciamo nascere, crescere e sviluppare l’amore, il Suo Amore. Per questo le Sue azioni vengono difficilmente comprese da chi è tutto preso dalla mondanità che ci circonda e prodigo nel confermarla come unico e solo modo di attraversare questo breve momento di vita. Dio ci accompagna ogni giorno, perché ci ha aiutato ad affacciarci all’inizio di questo tratto e sarà ad accoglierci in Lui alla fine. Per questo è sempre con noi perché il suo desiderio è che compiuto l’ultimo passo possiamo riconoscerlo ed accoglierLo in noi.

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Non è un aneddoto conosciuto e soprattutto non è stato compiuto da un Santo ma da un uomo normalissimo, come tutti noi. Figuratevi che il protagonista di quanto sto per raccontare sono proprio io. Anzi no, io sono stato solo una comparsa, il protagonista di questo semplice quotidiano episodio non poteva essere nessun altro che Dio. Nella vita sono molte le prove che siamo costretti ad affrontare e alcune sono particolarmente dolorose, qualcuna è davvero straziante. La morte sicuramente è fra le peggiori, se non la più crudele in assoluto, specialmente se preceduta da una malattia capace di distruggere il corpo, la mente e la speranza. Io mi sono trovato faccia a faccia con questa prova ed ho cercato di affrontarla, non per me ma per mio padre. La sua malattia aveva vinto su tutti i fronti ed oramai stavamo solo aspettando che tutto finisse, questo razionalmente, dentro di noi continuavamo a sperare in chissà quale miracolo che ci potesse restituire un padre, un marito, un fratello, un nonno. Il miracolo c’è stato ma non è quello che credete voi. L’ultima sera della sua vita mio padre ha accettato di avermi accanto a sé, stordito da farmaci, incapace di respirare senza l’ausilio dell’ossigeno, impaurito, triste, cosciente. Quella notte siamo rimasti mano nella mano senza mai lasciarci e nel buio della notte ho tentato di rassicurarlo, di confortarlo, amarlo, quanto fossi stato capace io e quanto ne avrebbe avuto bisogno lui. Ma non abbiamo parlato della sua malattia o di quanto stava accadendo, le mie parole erano di ringraziamento, per lui, per quello che aveva fatto, per i suoi sorrisi anche se pochi, per la sua voce da basso. Gli ho chiesto perdono e gli ho detto grazie e che non doveva preoccuparsi di come erano andate le cose. La vita è dura e il mestiere di genitore è sicuramente il più difficile, è facile sbagliare, commettere errori, disattenzioni, superficialità che solo gli altri sono in grado di vedere e di rinfacciarti per anni e anni. Ma arrivati a quel punto l’unico sentimento che provavo era amore, i dissapori, le divergenze di opinioni, i tipici contrasti padre figlio non contavano più niente, l’unica cosa che sentivo era di volergli bene e ciò che mi stava a cuore era rassicurarlo su questo e sul fatto che tutti in famiglia gli volevano bene e gli erano grati per quello che lui aveva fatto per tutti noi, a modo suo e con tanto sacrificio. Poi ha smesso di respirare e niente ha contato più. Invece è proprio da quel momento che tutto ha acquistato un nuovo valore. Più tardi negli anni mi sono soffermato più volte a rivivere quel momento e a cercare di leggervi un significato più ampio, oltre a quello del semplice conforto, del perdono e del tentativo di lasciare che si addormentasse sereno e rassicurato. Poi ho compreso e sono riuscito a squarciare il velo che elevava me e mio padre a protagonisti della scena ed ho potuto vedere Dio. La gente si chiede dov’è Dio in momenti come questo perché non è capace di vedere, perché non vuole vedere o perché non sa vedere, mentre a me alla fine è apparso tutto chiaro, semplice ed evidente, io ero Dio. Come Santa Madre Teresa di Calcutta ero rimasto accanto a lui ad assisterlo, ad aiutarlo nei giorni che avevano preceduto la sua morte, a tenergli la mano mentre attraversava l’ultima porta prima di poter finalmente essere. Ero lì a perdonarlo, ad aver pietà di lui, ad aver cura di lui e ad accompagnarlo nel viaggio verso la vita. Dio usava la mia voce per sussurrargli parole d’amore, usava le mie braccia per dargli calore, le mie lacrime per dissetarlo. Attraverso di me parlava con lui e lo preparava al momento in cui si sarebbero incontrati.

Poi sono disceso dall’altare su cui mi ero posto.

La gente si chiede dov’è Dio in momenti come questo perché non è capace di vedere, perché non vuole vedere o perché non sa vedere, mentre a me alla fine è apparso tutto chiaro, semplice ed evidente. Alla fine, sono stato capace di vedere, perché ho voluto vedere ed infine ho saputo vedere, Dio era mio padre.

La sua malattia, il suo dolore e la sua sofferenza erano le armi con le quali Dio cercava di arrivare fino a me. Mio padre era lo strumento attraverso il quale Dio agiva per colpire la mia superbia, la mia superficialità, la mia rabbia, il mio odio, la mia cattiveria. La pietà che provavo era l’amore che Dio attraverso di lui infondeva in me rendendomi capace di amare, di amare mio padre, di amare me stesso. Attraverso di lui sono stato perdonato, sono stato salvato, sono stato redento, mi è stata data la possibilità di redimermi, di abbandonare il mio stato di cattiveria e di affacciarmi all’amore, una nuova strada si è aperta davanti a me, una strada che contemplava fatti e atti che prima di allora non mi appartenevano, non mi potevano appartenere perché ancora non mi ero lasciato raggiungere. Mi ha perdonato e mi ha detto grazie e facendomi capire che non dovevo preoccuparmi di come erano andate le cose. La vita è dura e il mestiere di figlio è sicuramente il più difficile, è facile sbagliare, commettere errori, disattenzioni, superficialità che solo gli altri sono in grado di vedere e di rinfacciarti per anni e anni. Ma arrivati a quel punto l’unico sentimento che provava era amore, i dissapori, le divergenze di opinioni, i tipici contrasti padre figlio non contavano più niente, l’unica cosa che suscitava era amore, anche per quello che avevo fatto, a modo mio e con tanto sacrificio. Solo a quel punto sono stato capace di perdonarmi, di comprendermi e rassicurarmi. Non ho mai lasciato la mano di mio padre, perché quella era la mano di Dio e Dio non ha mai lasciato la mia mano. L’aveva tenuta strinta a Sé da sempre e ancora oggi mi accompagna ed ogni volta che cado è con quella mano che mi aiuta a tirarmi di nuovo su.

LA CAABA

La gente si chiede dov’è Dio in momenti come questo. Ma non si accorge dov’è Dio in tutti gli altri momenti! Un uomo esce di casa, cammina per la strada preso dai propri pensieri, è tranquillo, sereno, in pace con sé stesso e con il resto del mondo, arriva all’incrocio e attende con pazienza che il semaforo verde gli dia la possibilità di attraversare la strada. Ecco è il momento, i suoi passi calpestano le strisce pedonali, intanto dalla sua destra sopraggiunge un’auto a tutta velocità, il suo occupante non si cura del fatto che il semaforo è rosso, che dovrebbe frenare, dovrebbe arrestarsi, anche perché un pedone sta attraversando la strada davanti a lui. È drogato o ha bevuto, oppure è solo stanco per aver guidato tutta la notte pur di tornare a casa dai suoi figli o magari ha avuto un malore, il suo cuore si è fermato per un attimo e lui non è più in grado di governare il mezzo lanciato verso l’incrocio. L’impatto è inevitabile, il corpo del pedone si piega in due e sbatte violentemente contro il parabrezza dell’auto. L’urto è violentissimo, le ossa si rompono, gli organi si lacerano, il suo sangue, la sua essenza vitale si sparge intorno al luogo dell’impatto. Poi un attimo di silenzio, dopo grida, gente che corre, sirene che strillano, gente che piange, campane che suonano, ancora lacrime e gente che si chiede dov’è Dio in momenti come questo. Ma nessuno si è chiesto dov’era Dio ogni volta che la sua vita era già stata salvata. Quando è nato e sua madre era malata, quando a sei anni si è gettato da un muro alto tre metri ed è rimasto incolume, quando è caduto di bicicletta ed il camion dietro di lui ha frenato sbandando e abbattendo un albero, quando adolescente ha guidato contromano in una via del centro. Quando ha preso in braccio il suo primo figlio, quando è uscito di casa un attimo prima o un attimo dopo, centinaia di volte, e l’auto doveva ancora passare o era già passata. Quando ha deciso di smettere di fumare, quando ha cominciato a fare sport, quando è arrivato tardi alla festa in campagna ma è stato l’unico a godersi un tramonto indimenticabile. Quando è rimasto in panne in autostrada, durante un temporale ed è rimasto incantato sotto la pioggia ad ammirare un arcobaleno circolare ed ha sorriso. Poi Dio lo ha preso con sé, tra lo strazio della famiglia e lo stupore della gente che sottolineava quale brava persona fosse, che non si meritava di morire, che era un uomo davvero buono con tutti. Ma è proprio per questo che Dio lo ha preso con sé.

Dov’era allora Dio?

Dio era l’autista, che con questo suo atto ha permesso all’uomo di compiere la sua missione, rimanere un simbolo, un monito, un ricordo capace di evocare amore nella famiglia e nella gente. L’autista che ha permesso all’uomo di lasciare questo mondo dove aveva esaurito il suo compito per andare a compierne uno ancora più immenso, con l’Amore, per l’Amore, nell’Amore.

Dio era il pedone ucciso dall’auto, che ha raccolto il richiamo ad è entrato nell’Amore. Ha sacrificato la sua vita terrena per lanciare il messaggio d’amore alla sua famiglia, alla gente all’autista che anche volendo non potrà mai dimenticare questo momento, il momento in cui gli è stata data la possibilità di redimersi, di perdonare e di essere perdonato, di essere salvato. Starà al resto della sua vita permettergli o meno di mettere a frutto questa occasione.

La gente si chiede dov’è Dio in momenti come questo perché non è capace di vedere, perché non vuole vedere o perché non sa vedere ma Dio c’è comunque e sta guardando noi. Dio c’è comunque e ci sta aiutando a redimerci e tornare da Lui. Tornare per Lui, con Lui e in Lui.
 GANDHI