LE CULTURE MEDITERRANEE
LE CULTURE MEDITERRANEE

LE CULTURE MEDITERRANEE

2700 A.C. – 627 A.C.

Non furono solo la fertile valle del Nilo e quella fra il Tigri e l’Eufrate i centri di scambi culturali e di conquiste militari ma, quando l’uomo fu in grado di governare il mare, il mediterraneo divenne luogo di scontro e di incontro per le civiltà più intraprendenti e per quelle più disperate. A questa invasione liquida non prese parte l’Egitto, troppo concentrato dentro di se e abituato a navigare sulle calme e conosciute acque fluviali, tanto che addirittura indicarono indifferentemente come “Popoli del Mare” tutti quelli con cui entrarono in conflitto sul delta del Nilo, quasi come a ritenere quella pratica una discriminante razziale con cui identificare un solo nemico, un rivale da temere tra l’altro proprio in quanto capace di utilizzare il mediterraneo come base per le proprie scorribande. Non c’era un luogo da attaccare ne una nazione da invadere, semplicemente non se ne occuparono se non le rare volte in cui se ne dovettero preoccupare, riuscendo comunque a contenere sempre gli attacchi subiti. Non vi parteciparono i popoli mesopotamici, avevano spazi più che sufficienti per le loro conquiste ed inoltre arrivarono tardi ad affacciarsi sul mare con l’occupazione della regione di Canaan, poi furono sopraffatti dalla potenza persiana che si dimostrò alquanto imponente ma incapace di spadroneggiare nell’Egeo dominato dai Greci, tanto che lo stesso Serse fu sconfitto da questi sia sulla terra alle Termopili che in mare aperto a Salamina. Rimane poi famosa la leggenda del ponte di barche fatto costruire da Serse sull’Ellesponto, l’odierno stretto dei Dardanelli, la cui tenuta fu disastrosa. I costruttori furono decapitati e il mare fu fatto fustigare.

C’erano però altri popoli che del mediterraneo riuscirono invece a farne la propria casa. Prima fra tutte fu la civiltà Minoica, la quale elesse a Creta l’indiscutibile centro proprio perché questa era esattamente nel mezzo delle rotte commerciali e militari dell’epoca. La civiltà, intesa come progresso, si stava infatti espandendo dalle pianure fertili a tutto il resto del mondo allora conoscibile e il mare si rivelò il più veloce mezzo di collegamento. Nonostante la padronanza e il possesso delle rotte marine e quindi l’elevato numero di relazioni con altre civiltà, la cultura religiosa Minoica rimase molto chiusa in sé stessa a causa della caratteristica tipica di tutti gli isolani, esportare ma non importare, ciò che viene da oltre la battigia non è mai ben accetto in modo particolare un nuovo culto. Questo comportamento impedì però che i fatti che portarono al crollo di questa civiltà permettessero una sua rinascita come invece avvenne per la civiltà Micenea, influenzata in maniera preponderante dal quella minoica ma grazie alla sua collocazione sulla terraferma, anche da altre ondate migratorie che al contrario di quanto accadde a Creta, l’aprirono a nuove visioni religiose che gettarono le basi per uno dei culti più evocativi, complessi e aperti che mai siano stati praticati, quell’ellenismo che ancora oggi aleggia nelle religioni e nelle filosofie di tutto il mondo. Ad approfittare maggiormente della caduta della civiltà Minoica furono però i Fenici che dalla costa più occidentale dell’oriente portarono le conoscenze e i culti mediorientali su tutte le coste mediterranee aprendo la strada proprio a quel sistema ellenico che si propagherà ovunque grazie alla sua principale peculiarità, niente è immutabile e tutto è ben accetto, niente sostituisce ma tutto integra e complementa, una religione non religione nella quale nessuna divinità è rifiutata e in cui ogni dio troverà la propria collocazione. Si esporta e si espande, rendendola ancor più emancipata ma allo stesso tempo infinitamente ipocrita, la cattiva abitudine mesopotamica di accogliere ogni divinità per non inimicarsi i suoi fedeli e anche perché, non si sa mai, un dio in più può essere proprio quello che ci donerà la buona sorte. La conferma assoluta del fatto che per il momento, dopo il Mazdeismo, non si è ancora vista sulla faccia della terra un’altra vera e propria religione.

CRETA

2700 A.C. – 1400 A.C.

Mentre nella regione mesopotamica e nel nord’Africa si sviluppavano fiorenti culture con riti religiosi già avanzati, completati da una nutrita varietà di idoli, funzioni e mitologie della creazione, nel Mediterraneo si andavano invece formando le prime civiltà. Furono probabilmente le esplorazioni e le migrazioni di popoli mediorientali o della costa africana, a colonizzare la miriade di isole e isolette del mar Egeo e, chiaramente favorita dalla maggior estensione, la più importante di tutte fu sicuramente Creta. La conquista dell’isola è graduale e di carattere civile, non militare, infatti, stranamente per l’epoca, l’autorità del re, il “Minos”, non doveva rispondere a nessun potere esterno e non sottostava ad alcuna supremazia straniera. Furono pertanto avventurieri e disperati ad approdare sulle coste di Creta e con volontà e arguzia fondarono una potenza economica capace di instaurare rapporti commerciali con tutto il mondo conosciuto dell’epoca, riuscendo nel contempo a mantenere l’autonomia dalle grandi potenze della terraferma.

Posta infatti al centro di quella porzione di Mediterraneo che allora era il mondo intero, domina strategicamente i trasporti e i commerci fra le civiltà che si affacciano sul mare. Ben presto queste attività divengono fonti inesauribili di ricchezza e, insieme all’agricoltura, la base dell’economia cretese, che preferisce favorire il proprio tratto del progresso civile piuttosto dell’onerosa incognita militare, mantenendo le caratteristiche dei primi colonizzatori. A conferma di questa affermazione c’è oltretutto il ritrovamento dei resti di una notevole quantità di palazzi in muratura adibiti sia ad abitazione che a tempio che a sedi del potere e l’assoluta mancanza di fortificazioni a propria difesa, sintomo di una sicurezza dettata dall’importanza della stessa esistenza del sistema economico cretese dal mare che la circonda.

Dalle ricerche effettuate i palazzi risultano essere stati innalzati addirittura intorno al 2000 a.c. e successivamente ricostruiti in breve tempo a seguito delle devastazione provocata da un terremoto che scosse la regione intorno al 1700 a.c.. La capacità di recupero dopo un tale cataclisma afferma e conferma la grandiosità dello stato e potrebbe far pensare alla possibilità di una evoluzione anche nell’ambito religioso, grazie soprattutto ai frequenti scambi con le culture vicine. In realtà, l’isolamento fisico operato dal mare, impedisce l’apertura ad influenze esterne capaci di modificare in qualche modo le caratteristiche proprie dell’origine della loro fede.

La maestosità delle costruzioni cretesi non supera però la devastazione del cataclisma che verso il 1400 a.c. fece sprofondare metà della vicina isola di Santorini, provocando un maremoto di tali proporzioni da distruggere gran parte delle flotte in navigazione e nei porti e danneggiando in maniera irreparabile le stesse città costiere. Il contemporaneo sviluppo delle civiltà micenee e greche tolgono l’interesse e la possibilità economica per l’ennesima ricostruzione della potenza cretese e da dominatrice l’isola si ritrovò ad essere dominata e sottomessa dalle potenze continentali emergenti.

Prendendo spunto dal crollo della civiltà minoica nasce la leggenda della città di Atlantide, successivamente posizionata un po’ ovunque nei mari del mondo. Il devastante evento naturale rivoluziona la storia della civiltà a favore del nascente potere greco, pronto a sconvolgere e influenzare il mondo intero. Il mito di una civiltà prospera, benestante e incruenta, come l’isola doveva essere stata per più di mille anni, nasce nel momento dal quale, invece, solo con la forza sarà possibile dominare il mondo.

Dall’appellativo reale “Minos” deriva invece il ciclo mitologico del re Minosse, fautore della costruzione del famoso labirinto. La grandezza di questa fantasiosa opera architettonica è volta a dare un ulteriore dimostrazione della floridezza della civiltà cretese, la sua fama fu tale da favorire la nascita di una serie di vicende, riprese e ampliate dai Greci, come quella di Icaro e Dedalo, il costruttore del labirinto e quella di Teseo e Arianna, salvata da un lungo filo teso verso l’uscita. Al centro di questa costruzione viveva il Minotauro, un essere metà uomo e metà toro. Il toro si rivelerà esser l’ossessivo e onnipresente oggetto di culto in tutta l’isola fino alla repentina sparizione della potenza cretese. D’altra parte, ove Minos rappresenta il potere e toro è materia di culto, quale altro essere poteva celarsi all’interno del fiore all’occhiello dell’architettura dell’isola se non il “Potere del Toro”? E i Greci quale altro finale potevano dare alla storia se non la morte del Minotauro per mano dell’ateniese Teseo, proprio mentre il potere cretese svaniva contemporaneamente all’ascesa di Atene? La mitologia si lega alla storia, la religione concretizza i miti, la storia crea nuove divinità e nuovi demoni. Come era già avvenuto, come continua ad accadere ancora ai giorni nostri.

Al di là dell’enfasi con cui viene praticato, il culto diffuso nell’isola di Creta è molto semplice, quasi preistorico e opportunistico, di origine naturistica. Il pantheon è limitato ad una “Dea Madre” non meglio identificata che di volta in volta e a seconda dei luoghi e dei tempi, diviene Signora degli animali, Signora dei serpenti, Grande dea. Incarna la natura e la fertilità, legandosi a doppio nodo con il toro e con la sua potenza fisica. Il toro raffigura probabilmente l’umanità stessa capace di fecondare la natura rendendola rigogliosa. Alla dea sono destinate le offerte, i riti e i sacrifici. Il toro è la vittima predestinata delle immolazioni praticate nei templi, ucciso, sgozzato, arso come dono alla divinità. Le sue corna si diffondono in ogni casa, in ogni palazzo in tutti i templi, come simboli superstiziosi e beneaugurati. Le “Corna di Consacrazione” sono scolpite, dipinte, incise su ogni parete, su ogni roccia, in tutti i feticci più potenti. Le vere corna sono trasformate in amuleti o in coppe, da cui bere durante le libagioni rituali che seguono il dissanguamento dell’animale. Mentre altrove si gettano le fondamenta delle moderne religioni questa popolazione, chiusa al sicuro tra i suoi confini marittimi e la sua ricchezza, rimane attaccata alla semplicità dei sacrifici offerti per ottenere dalla propria dea, la natura stessa, il meritato guiderdone. E ne ha ben donde, vista la floridezza delle sue attività economiche e la ricchezza accumulata nei secoli. Il culto di per sé è anacronistico in questo momento di fiorente sviluppo e collusione fra ideologie diverse, ma l’isolamento forzato e la potenza ottenuta non stimolano certamente il desiderio di acquisire nuovi riti o di inserire divinità di altre provenienze. La semplicità del rito è quella dei primi agglomerati umani. Il dio, anzi la dea, è un’entità superiore che ha creato il mondo e gli uomini e non è così ben disposta ad elargire doni e soddisfare desideri, anzi se possibile limita anche le necessità primarie. L’uomo riconosce la propria debolezza e l’impotenza davanti alle forze della natura. Acqua, fuoco, mare, tempesta sono indomabili per lui, per cui non resta che affidarsi ad un’entità superiore che abbia influenza sulle potenze dell’universo. Si rivolge così al dio nella speranza di ottenere ciò di cui ha bisogno ma il dio ha la propria vita da godere e allora quale interesse può avere di soddisfare quelli degli esseri umani? Questa è una domanda che si sono posti pure gli uomini del tempo ed alla fine hanno trovato anche la soluzione. In un momento di crisi, di siccità, di avversità climatiche, economiche o di paura resta un'unica soluzione, ci si deve ingraziare la dea per risolvere la situazione. La “Grande Madre” deve essere soddisfatta, resa fertile di omaggi per mezzo di un amplesso che la soddisfi, il sacrificio. Vengono così offerti doni, voti e preghiere, ma nei veri momenti di bisogno si offrono animali di ogni tipo e a Creta e non solo, l’inseminatore principe è rappresentato dal toro. L’atto è compiuto attraverso la sua uccisione, il dissanguamento e la libagione, la condivisione del seme con la dea. Nei momenti drammatici però si presenta il bisogno di onorare la dea con qualcosa di notevole valore e si arriva ad offrire persino la vita umana. Quella degli altri chiaramente, schiavi, prigionieri o frutti di razzie o donazioni obbligatorie, pretese dalle popolazioni dominate dal colosso economico e politico cretese. Vengono sacrificati alla “Dea madre” giovani e fanciulli, da soli o in massa. Proprio a Cnosso, il palazzo del potere ubicazione del mitico labirinto, sono stati ritrovati ammassi di ossa appartenenti a bambini con chiari segni di lama ancora riconoscibili sui poveri resti. Quando la storia crea fantasiosamente la mitologia. Forse sono proprio questi i giovani greci offerti in sacrificio al Minotauro e il mostro che si celava tra le seducenti mura dei palazzi cretesi altri non era che il sacerdote di turno nell’atto di ingraziarsi la dea al mero fine di ottenere la potenza, la gloria, l’eternità per l’isola di Creta.

Una religione in fin dei conti non rilevante dal punto di vista cultuale, se non per la grandiosità dei mezzi attraverso la quale viene adempiuto ogni rito e la lunga serie di misteri che ancora avvolgono i ritrovamenti archeologici e gli scavi nei palazzi. Reperti ricchissimi sotto ogni punto di vista ma incapaci di dare risposte concrete sulla realtà di una possibile evoluzione religiosa a Creta. Nonostante la staticità del pantheon e l’immutabilità delle funzioni ricostruite dagli studiosi, la ricchezza e la potenza raggiunte cercano in ogni modo di spronare la ricerca di una qualsivoglia trasformazione del culto di cui però non è stata ancora trovata alcuna traccia e probabilmente non ne apparirà mai alcuna. I minoici di quattromila anni fa non ne avevano alcuna necessità, il potere dei sacerdoti e del Minos è ben saldo e non hanno alcun bisogno di inventarsi nuovi riti o creare nuovi idoli a cui offrire sacrifici e nessuno al momento è arrivato da lontano ad imporre i propri. Dopo il crollo fisico ed economico dell’isola invece sorgono bisogni sconosciuti fino ad allora e l’emergente e affascinante culto greco troverà nuovi e fedeli adepti in tutti i domini cretesi.

MINOS: il potere regio trasformato in divinità. L’appellativo Minosse identifica il potere politico, economico e religioso del re.

MINOTAURO: essere metà uomo e metà toro, figlio di Pasifae moglie di Minosse, e di un toro sacro di cui si era innamorata. Dedalo costruì prima un marchingegno per favorire l’amplesso fra la donna e l’animale e successivamente il labirinto in cui rinchiudere il frutto di quell’incontro carnale.

SIGNORA DELLE FIERE: rappresentazione della dea madre, generatrice e creatrice. L’appellativo, che la vuole anche intrinsecamente signora degli animali, deriva dalle raffigurazioni che la vedono spesso legata a colombe, serpenti, pesci e bestie varie. Incarna in pratica la potenza generatrice, con le braccia alzate in segno di benedizione ed il seno scoperto, simbolo della fecondità della natura. 

IL TORO E I GINNASTI AL PALAZZO DI CNOSSO

MICENE

1600 A.C. – 1000 A.C.

La civiltà micenea in realtà non è mai esistita, è soltanto l’identificazione di una cultura protogreca che prende il nome dai primi ritrovamenti fatti dall’archeologo Heinrich Schliemann presso la città di Micene. Contemporanea alla potenza cretese del Minos di Crosso, la popolazione continentale della futura Grecia ne è succube economicamente e politicamente per secoli, fino al crollo di Creta dovuto presumibilmente, fra le altre cause, anche al terremoto che colpì la vicina isola di Thera e al conseguente disastroso maremoto. Sulle rovine economiche e murarie dell’eredità minoica cresce e si espande la cultura micenea. Le similitudini fra le due civiltà sono molteplici, dalla scrittura, alla conoscenza, alla religione. Da sempre scambi mercantili e civilizzatori hanno avvicinato i popoli dell’Egeo, soprattutto da Creta verso il continente, mentre l’impermeabile isola non ha mai accettato incursioni nel proprio modus vivendi. Il continente è invece un viavai di migrazioni, via terra ma soprattutto dal mare e le conoscenze tutte, del mondo in via di espansione, vengono assorbite, metabolizzate e rielaborate per creare le basi di quella che sarà la religione universale per il resto dell’esistenza dell’umanità. La dea madre originaria, proveniente dalla cultura minoica, viene con il tempo affiancata da nuovi idoli importati dal vicino oriente, dalla Frigia e dall’Egitto. Nessun dio viene mai accantonato, rimosso o eliminato ma ogni idolo viene integrato, complementato e adattato. Non si può rischiare di cancellare il dio sbagliato; e se poi fosse quello vero? Meglio tenerli tutti e tenerseli tutti buoni, con offerte, preghiere e cerimonie. Così pian piano il pantheon miceneo si compone e si allarga, alla dea madre e al toro con tutte le loro celebrazioni, le libagioni e i simboli, si aggiungono nuove divinità e nuovi riti. Le ricerche effettuate hanno portato alla luce reperti sacri recanti iscrizioni con riferimenti a dei che, per assonanza o per peculiarità, ricordano quelli della futura cultura greca. Appaiono le prime tracce di Poseidone, Era, Artemide e Dionisio ma la particolarità del culto miceneo è quella della localizzazione di déi specifici in vari luoghi della Grecia anziché in altri. A seconda delle caratteristiche del luogo, delle attività agricole o della maggior influenza esterna dilagano dee che, pur non potendone dare una conferma certa, derivano dalla grande dea madre di origine cretese. L’appellativo comune è quello di “Potinija”, tradotto con “signora”, venerando la quale i popoli si ingraziano la natura attraverso la grande dea creatrice a seconda delle proprie necessità. Si trovano quindi riferimenti alla signora dell’orzo o del grano, alla signora equestre, alla signora della palude o a quella d’Asia. La potenza del femminino sacro è ancora ben radicata, tanto da affiancare delle equipotenti e indipendenti dee alle funzioni dei maggiori dei del pantheon in via di formazione, accanto a Zeus troviamo “Diuja”, a Poseidone corrisponde “Posidaeja”. L’evoluzione culturale ed economica, oltre a dar vita a nuove necessità e di conseguenza a nuovi idoli, dona la capacità di elaborare un filo conduttore unificante di tutti gli dèi e l’esigenza di una classe sempre più specializzata nella cura dei riti. Da una parte si comincia a delineare uno schema generazionale di déi generati da altri déi, con apposite responsabilità e funzioni personalizzate, dall’altra, sempre più sacerdoti e sacerdotesse dedicano la loro intera vita alla cura dei templi, all’adorazione, all’offerta e ai sacrifici. Il potere si accentra sempre più nelle loro mani, divengono amministratori, consiglieri e burocrati di corte. Le città stato della Grecia nascente si affideranno ai principi del culto per governare, istigare e ammansire la popolazione.

L’epoca micenea è quella narrata nei racconti omerici dell’Iliade e dell’Odissea in cui l’onnipresenza degli déi è chiaro indice di una fervente attività cultuale. I riti, le preghiere e la devozione dei protagonisti manifestano appieno l’importanza del rapporto con gli déi in una relazione profondamente privata. Omero tende ad evidenziare più il rapporto diretto fra il dio e l’eroe che non la complessità del rito o la realizzazione della funzione, il sacerdote è una figura di secondo piano, rappresenta soltanto l’esecutore materiale, colui che conosce le modalità, ancora lontano dall’ottenere il riconoscimento di intermediario se non addirittura di vero e proprio intercessore, colui che ha il potere di comunicare con il dio, l’unico e il solo in grado di farlo. I miti sono in continua evoluzione e le gerarchie del pantheon devono ancora assumere un assetto definitivo con l’ingresso di nuove figure complementari o fondamentali, anche se in realtà questo non accadrà mai perché proprio l’ellenismo porterà all’inesauribile ampliamento delle abitazioni sul monte Olimpo, dove nei secoli verranno accolti con tripudio déi e dee di ogni dove. I racconti omerici ottengono un tale successo da divenire essi stessi le fondamenta del culto, la semplicità e la bellezza delle storie narrate conquistano le orecchie di tutti e sono talmente palpabili da apparire come vere, fino a divenire le fonti per il nascente culto. L’interesse e la meraviglia suscitati ne accrescono l’importanza e la diffusione aprendo le porte alla nuova e potente casta sacerdotale, confermando la cultura ellenica come vera e propria religione che si fonde e si confonde con il potere dello stato, fino ad arrivare a manovrare da dietro le quinte re, regine e sovrani di tutte le nazioni. Negli ultimi secoli prima del passaggio alla vera e propria civiltà greca il potere passa definitivamente dalle mani dei re alle sentenze degli oracoli e alle parole delle sibille. L’espansione della Grecia e l’ellenismo figlio di Alessandro Magno porteranno ovunque riti e misteri sempre più numerosi e rivolti ad un numero sempre maggiore di déi e dee confezionando e stabilendo le modalità di edizione e divulgazione delle religioni a venire. Seguendo gli insegnamenti di Egizi, Sumeri e Indoiranici la mitologia greca cataloga le aspettative dell’umanità e la conseguente classificazione di appropriati déi addetti a soddisfarle, influenzando tutte le religioni a venire. Perfino quelle che si professeranno monoteiste non sfuggiranno alla necessità umana di avere un dio minore, una sua emanazione, una particella meno onnipotente a cui rivolgersi sia per i bisogni quotidiani che per le richieste più impegnative quasi a vergognarsi nel rivolgersi direttamente a Dio. Non avrai altro Dio all’infuori di Me. Ma gli Ebrei avranno i Profeti da ammirare, i Cristiani i Santi da pregare, gli Islamici gli Imam da emulare. Ma almeno in un caso tutti si rivolgeranno ad un unico e solo Dio, quando dovranno elevare la preghiera più importante: salvaci e donaci il Paradiso.

La lista delle divinità micenee la potete trovare, più amplia e completa possibile, nella sezione dedicata alla Grecia.

LA PORTA DEI LEONI A MICENE

I FENICI

1200 A.C. – 627 A.C.

Anche in questo caso la definizione è più restrittiva della reale consistenza di questo popolo, anzi non solo i Fenici non sono mai esistiti come vera e propria nazione ma ancor meno come popolo. Con questo appellativo si indica una sorta di confederazione di città stato culturalmente affini, situate sulla costa settentrionale del Medio Oriente affacciato al mediterraneo, indicativamente dove è situato l’attuale Libano. Il nome addirittura non viene neppure utilizzato dagli stessi Fenici che in realtà sono definiti in questo modo dai greci, la parola φοινικες, Phoinikes si riferisce infatti ad uno dei più rinomati e ricercati prodotti della costa, il rosso porpora ricavato dalle conchiglie e la cui industria è molto fiorente nella regione, si arriva persino ad identificarli con i Cananei, di biblica conoscenza, per i quali l’appellativo sarebbe stato dato in questo caso dagli Accadici attraverso la definizione Kinakhkhu ancora una volta a indicare la stessa tonalità di colore, la quale contribuì a renderli famosi e ricchi. Per semplicità e per la cultura religiosa che comunque li accomuna continuerò anche io a definirli Fenici.

Il culto praticato dai Fenici è molto complesso, talmente politeista da sfociare quasi, come spesso accade in questi casi, in una monolatria del dio Baal, anche quando questi diviene meno importante. Molteplici sono le divinità e quasi esclusivamente localizzate all’interno delle città, che di poco espandono il loro potere fuori dalla cinta muraria. In questa regione si fondono le influenze del nord Hittita con la cultura Semita e quella Siriana, fino alle ingerenze Assire e Babilonesi ancor prima della conquista da parte di Nabucodonosor II. L’importante funzione operata dai Fenici dal punto di vista religioso è quella di contribuire in modo preponderante ad esportare via mare il culto composito della loro zona di provenienza, sia tramite la colonizzazione commerciale delle coste del Mediterraneo meridionale e delle isole che grazie ai rapporti con le nascenti civiltà europee affacciate sul mare. Un sicuro contributo all’espansione commerciale ma ancor più cultuale è l’invenzione intorno al 1000 a.c. della scrittura, così come la si intende oggi, vergata in modo lineare e con un vero e proprio alfabeto. Un altro debito verso questo non popolo che silenziosamente e umilmente cosparge di cultura e progresso il fulcro prossimo del mondo.

Con il declino definitivo della supremazia greca, isolana e continentale, nei commerci marittimi i Fenici divengono gli assoluti padroni delle rotte commerciali attraverso le quali le enormi quantità di beni provenienti dall’oriente possono raggiungere ogni destinazione. I Fenici si sostituiscono ai Minoici ed ai Micenei divenendo gli incontrastati padroni del Mediterraneo. La loro azione avrebbe potuto essere definita subdola se mai avessero avuto reali mire espansionistiche e se fossero divenuti una potenza economica e militare ma l’unico intento di questo popolo è invece quello di creare nuovi sbocchi mercantili, una vera e propria holding al cui apice risiedono le principali città Fenice. Biblo, Sidone, Tiro, Beirut, la città isola di Arwad, unite per intenti commerciale ma spesso divise nella politica estera con comportamenti alterni e contrastanti nei rapporti con il Regno di Israele, soprattutto ai tempi di Salomone, con l’impero Assiro e Babilonese e con quello Egiziano di Nekao II; con alleanze e sottomissioni a cui seguono contrasti e ribellioni per poi ritornare di nuovo amici, il tutto probabilmente influenzato e ispirato da rapporti commerciali. La struttura politica è accentrata nel potere del re in maniera diversa per ogni città e non sempre strettamente legato alle cariche sacerdotali eccezion fatta per Sidone, in cui il sovrano è il protagonista principale delle cerimonie religiose più importanti. Le colonie sono legate alla madre patria quasi esclusivamente per motivi commerciali, quella fenicia come ho detto non è infatti un’espansione di conquista ma la conquista di capisaldi, spesso scarsamente popolati, per un commercio sempre più a largo raggio, senza dipendenza politica e tantomeno economica dalle città di origine, tanto che le colonie sopravvivono addirittura alla scomparsa della terra natia senza colpo ferire. Anzi la più famosa e importante di queste avrà addirittura l’ardire di invadere i confini di Roma. Con un periplo completo del Mediterraneo a dorso di elefanti, attraverso gli angusti passi alpini Annibale Barca guida le forze della fenicia Cartagine verso un inizio vittorioso della seconda guerra Punica, prima di soccombere militarmente a Zama contro la supremazia della repubblica Romana guidata da Publio Cornelio Scipione, il quale per impedire nuove sconfitte a Roma sul proprio territorio attacca direttamente Cartagine costringendo Annibale a desistere dai sui trionfi e a rientrare in patria dove sarà poi sconfitto. Verità o leggenda il suo ardore da condottiero merita di essere ricordato per la frase a lui attribuita, “Noi troveremo una strada. Oppure ne apriremo una nuova”. È forse è con questo stesso motto che secoli prima i Fenici salpano audaci verso il mondo conosciuto e quello sconosciuto. Leptis Magna in Libia, Cartagine in Tunisia, Tartasso e Cadice in Spagna e poi ancora scali a Palermo, Cagliari, Ibiza, Malaga, fino alle isole Scilly in Cornovaglia. E tutto questo portando dietro la loro scrittura, la loro cultura e la loro religione.

Il culto fenicio è quello della regione siriaco-cananea, quello per intendersi al quale si opporranno strenuamente gli Ebrei nelle guerre per la conquista della loro Terra Promessa. La città simbolo di questo culto è Ugarit, tra i resti della quale è stato rinvenuto il maggior quantitativo di informazioni riguardo ai riti e alle divinità della regione, il suo potere e la sua fama cadono sotto gli ultimi colpi dei Popoli del Mare, intorno al 1185 a.c., stretta a sud dalla costituente nazione Ebraica e a est dal sempre maggior potere Mesopotamico. Presa e persa dalle conquiste Egiziane, è forse proprio la sua caduta che dà vita e vigore alla neonata confederazione Fenicia privata della più potente e antica città della costa. Qui sono stati ritrovati numerosi resti di templi e di arredi sacri che hanno permesso di ricostruire il Pantheon Fenicio con tutte le riserve del caso, in quanto gli studiosi sono andati più per presunzione che per certezza, se fino a quel momento i riti sono volti verso determinate divinità anche successivamente alla caduta di Ugarit il culto continua in tal senso.

In realtà si sono riscontrate numerose differenze a partire dal culto del dio Baal, il dio principale nella regione Cananea, che perde il suo primato a favore della più antica figura del dio El, padre di tutti gli déi e creatore di ogni cosa. Baal chiaramente non scompare, nessun dio scompare mai, ma diviene l’appellativo per numerosi altri déi per designarne lo stato di divinità, soprattutto per gli déi minori degli ambienti popolari nei quali però il dio più importante è invece Adone, il quale come molti altri verrà prelevato in toto e trasferito nella cultura greca, la sua funzione è prettamente agricola e come tale incarna il ciclo delle stagioni durante il quale chiaramente muore e successivamente risuscita a nuova vita attenendosi scrupolosamente al prototipo di divinità agreste perso ormai nella notte dei tempi.

Il gran numero di déi è frutto anche della non concreta unificazione Fenicia, ogni città ha i propri idoli e solo quelli più importanti si ritrovano, non con la stessa influenza, in ogni capoluogo e successivamente anche nelle colonie, le quali hanno poi un loro percorso individuale di maturazione religiosa che porta alla creazione di nuove divinità proprie. A Tiro si venerano Melqart e Eshmun, a Sidone Astarte ed Eshmun, a Biblo Baalat Gubal, la Signora di Gubal dove baalat assume il paritetico valore femminile di Baal inteso non più come dio ma come appellativo. Attraverso le testimonianze di Filone di Biblo, il quale portava avanti la teoria secondo la quale gli déi greci erano di origine Fenicia, tramandate successivamente da Eusebio, uno dei padri fondatori della chiesa cristiana, si è frammentariamente ricostruita la mitologia Fenicia, in modo particolare in riferimento all'origine del cosmo, della cultura e degli dèi. All’inizio è presente il vento e il caos, da cui nasce un uovo cosmico, detto Mot da cui deriva il mondo. La cultura è creata da un non meglio identificato Usoos, inventore delle pelli d'animali, mentre al vertice della genealogia divina ci sono Eliun e Berut, tutti questi sono déi che già in epoca Fenicia hanno lasciato il loro posto alle nuove divinità frutto delle connessioni con Mitanni e con gli Hittiti. Gli dèi vivono nei Bet, che significa palazzo, anche se tale definizione non individua una costruzione palatina ma la residenza del dio in una stele. Non è presente l’adorazione di statue ma il culto viene rivolto verso stele, Betili e montagnole che ritroviamo anche nell’Antico Testamento e verso l’Asherah, una piccola colonna votiva in legno. Il tempio è a cielo aperto, innalzato nei pressi di un bosco, con una piccola cappella e un betilo, davanti ad essi è eretto un altare per i sacrifici e vicino si trova una sorgente. Le offerte sono rappresentate anche da sacrifici animali, eccezion fatta per il maiale di cui già allora, per ovvi motivi sanitari, era vietato cibarsi. Le offerte vengono portate per ottenere grazie di ogni tipo ottenute le quali spesso si faceva seguire un ex-voto.

Rimanendo ancora sul continente di origine si nota, con lo sviluppo culturale e il sempre maggior contatto con altre civiltà, anche un’apertura verso nuove visioni del divino volte verso un sincretismo solare che porta il dio Eshmun ad acquisire una notevole importanza su tutto il territorio. Travalica invece ogni mutamento la controparte femminile di Baal, la dea Astarte, già presente nei testi ugaritici mantiene il suo potere durante la maturazione Fenicia fino a tramandare le sue origini dalla Ishtar mesopotamica nella greca Afrodite. Dea dell’amore e della fertilità, rimane immutata nella sua importanza, come tutte le dee superstiti alla supremazia maschile, che infine incarnano tutte l’antica dea madre da cui tutti noi discendiamo, Ishtar, Astarte, Afrodite, Venere, Cibele, Iside, Maria.

Nelle colonie Nordafricane la religione prosegue in modo autonomo e Baal mantiene il suo potere insieme a Tinnit, sua paredra, soprattutto nella forma di Baal-Hammon. Molto forti sono i sospetti che il culto di questo dio, a cui si accosta per importanza l’Ammon di origine egiziana, prevedesse sacrifici umani in modo particolare di bambini molto piccoli. Nell’area sacra a lui dedicata chiamata Tophet sono state rinvenute le urne contenenti più di ventimila corpicini. È stato anche ritenuto che questo fosse un cimitero per bambini ma i già conosciuti e tragici riti di origine Cananea fanno presupporre il contrario fino a sostenere che fossero addirittura gli stessi genitori a sacrificare i propri figli.

Quella Fenicia è in sostanza una religione in via di costante sviluppo in virtù della particolarità migratoria del popolo che la professa portandola a fondersi con naturalezza non solo con i culti dei confinanti o degli invasori della madrepatria ma anche con quelli che si diffondono e si confondono lungo le rotte di navigazione, uniformando tutta la costa mediterranea e stendendo un tappeto rosso alle civiltà che le conquisteranno o le colonizzeranno ideologicamente nei secoli successivi, Greci, Ellenici, Romani, Cristiani e infine Islamici, i quali sempre troveranno civiltà disposte e disponibili verso l’ingresso di nuovi culti ancorché notevolmente dissonanti.

ADONE: dio che incarna la vegetazione arsa dal sole estivo, nel culto veniva adorato come dio che muore e risuscita.

ANATH: dea della provvidenza, sorella vergine del dio Baal ma anche sua sposa. Dea irascibile, vendica la morte del fratello, cammina sul sangue ornata dalle mani e dalle teste delle sue vittime. Come dea della fertilità viene adottata da altri culti trasformandosi in Astarte per i Frigi, dagli egizi invece come dea della guerra e ad Elefantina, nella colonia ebrea in Egitto, fu messa in relazione con Yhwh.

ASHERAT: dea dell’amore e della fertilità di origine amorrea diviene sposa del dio supremo El, signora del mare e madre degli dèi.

ASHTAR: sostituto di Baal quando questi scende negli inferi. Appellativo maschile di una divinità androgina la cui parte femminile è la dea Aschtarat, poi Astarte.

ASTARTE: dea dell’amore e della fertilità, il suo culto comprendeva la prostituzione sacra. Ripresa dal culto egizio come dea della guerra e identificata dai greci nella dea Afrodite.

ATARGATIS. dea madre siriana, ricopre le funzioni delle due dee Anath e Astarte.

ATIRAT: Compagna del dio El, signora del piacere e dea del mare.

AZIZO e MONIMOS: la stella del mattino e quella della sera adorate come due fanciulli insieme ad un’aquila.

BAAL: definizione di dio, utilizzata come antefisso nella definizione di vari dèi. Ad Ugarit diventa il nome proprio del dio supremo. Con vari appellativi è alla base dell’intero culto Fenicio e mediorientale.

BAALATH: compagna del dio Baal, anche in questo caso si unisce con altri dèi per rafforzarne il culto.

BAAL-BIQ‛ĀH: dio delle tempeste, in epoca ellenica diviene dio del cielo e del sole, identificato in Zeus.

BAAL-HAMMON: dio della fertilità, il suo culto si espanse nell’Africa settentrionale e nelle isole del mediterraneo, comprendendo anche il sacrificio di bambini. Accostato alla divinità egiziana Ammon divenne dio degli oracoli.

BAAL- KARMELOS: dio degli oracoli adorato sul monte Carmelo i suoi sacerdoti furono sfidati al giudizio divino dal profeta ebraico Elia.

BAAL- MARQŌD: medico divino adorato nella zona dell’odierna Beirut.

BAAL-QARNAIM: dio punico della fertilità, adorato nella zona di Cartagine.

BAAL-SAPON: patrono dei naviganti dopo aver sconfitto il dio del mare Yamm. Prende il nome dal monte Sapon in Palestina.

BAAL-SCHAMĒM: signore del cielo, reggente degli astri.

DAGAN: dio dei cereali e della fertilità. Padre del dio Baal.

DOLICHENUS: dio delle tempeste e della guerra.

EL: dio supremo. Creatore della terra, padre degli dèi e generatore delle creature e dio della fertilità.

ELYON: dio supremo, nella genesi viene interpretato come Yhwh con l’appellativo El Elyon, cioè il Dio altissimo.

ESHMUN: dio guaritore, si evirò fuggendo dalla persecuzione di Astarte ma il calore vivificante della dea lo resuscitò.

HADAD: dio delle tempeste e del tempo atmosferico. A Babilonia si fonde con Baal per divenire il dio nazionale autore dell’ascesa al trono dei re. Nelle zone montane si identifica in Baal-Sapon.

HORON: figlio e amante di Astarte, dio del mondo sotterraneo.

JW: dio dei raccolti.

KARUILESH SHIUNESH: dèi dei giuramenti. Riuniti in sette o nove sono considerati dèi giudici in stretto rapporto con il mondo sotterraneo.

KŌTAR: dio dei fabbri e signore delle formule magiche. Maestro di tutte le arti costruisce il tempio di Baal e le armi per combattere il dio del mare Yamm.

MARILAHA: dio della luna. Probabilmente un dio dei Sabei, popolazione dello Yemen che adorava i pianeti.

MELQART: re della città, dio celeste del sole ma anche dio del mare.

MŌT: dio dell’aridità, della sterilità e della morte, signore del mondo sotterraneo. Uccide Baal, ma viene fatto a pezzi dalla dea Anath, questo atto porta alla risurrezione di Baal.

POTHOS: forza divina primordiale, si unisce al desiderio primordiale Omikhle generando Aër, lo spirito incontaminato e Aura il modello vivente della spiritualità.

REPHAIM: spiriti abitanti del mondo sotterraneo connessi alla fertilità.

SHAR e SHALIM: divinità che rappresentano il mattino e la sera o le relative stelle rappresentative. Si possono ricondurre all’antico nome di Gerusalemme, Jerushalayim, volendovi riconoscere un iniziale fondazione del dio Shalim.

TANNIN: drago mostruoso contro cui combatte Anath.

TINNIT: principale dea di Cartagine, vergine e madre, donatrice di fertilità.

UGAR: dio dell’agricoltura.

YAMM: dio del mare e dei fiumi. Lotta per la supremazia sugli altri dèi ma viene sconfitto nella battaglia contro Baal.

I RESTI DEL PORTO DI CARTAGINE