SIAMO UOMINI O INNAMORATI

SIAMO UOMINI O INNAMORATI

Quello che provo è odio, odio e rabbia, delusione, disillusione. Mi sento tradito, insultato, defraudato, impoverito di tutto ciò che avevo, tutto ciò che avevo costruito, dato, fatto, mi hanno rubato me stesso. Avevo creduto, credevo in me stesso ed in ciò che stavo facendo. Certo si ho fatto i miei errori, come tutti d'altronde ma da questi imparavo e ricominciavo. Forse questa volta ne ho fatto uno troppo grosso, la mia presunzione ha superato tutti i limiti ed ho sottovalutato tutto ciò che stava accadendo intorno a me. Mi sono perso nella beatitudine del mio essere insieme a te e non mi sono accorto di niente. E’ cominciato tutto così all’improvviso e non ha più smesso di accadere è stato come un turbine di avvenimenti che ci hanno coinvolto, che ci hanno trascinato a cui abbiamo partecipato in prima persona, abbiamo goduto per ciò che avevamo pagato e adesso abbiamo ricominciato a pagare, poi ne godremo.
 
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Gli ultimi due anni che sono trascorsi sono stati i migliori della mia vita, per la prima volta dopo trent’anni ho lottato, ho lottato per me, per costruire qualcosa solo per me e per la mia famiglia, la mia nuova famiglia. Finora ero riuscito soltanto a dare, dare, dare e dare. Ho dato hai miei genitori, ho dato alle mie sorelle, ho dato hai miei amici, ho dato alla scuola, al lavoro, agli altri; ero riuscito soltanto a dare e non mi era mai riuscito di prendere. Avevo dato senza sentire il grazie che mi veniva risposto e avevo preso senza riuscire a sentire di prendere, anzi con l’arroganza di chi pretende, di chi si sente in credito e con il lamento di chi crede di non aver preso. Adesso, finalmente, ho assaggiato il frutto proibito, ho sentito il sapore del prendere ed è dolcissimo, come te, come quello del dare, dare a te, a te e al mondo.
 
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Patrizia, sei arrivata d’inverno con il vento e mi hai travolto a primavera con il sole.

Ho lottato sapendolo e non sapendolo, ho combattuto fiero e disperato ed alla fine ho scosso dalle mie spalle l’animale ed ho cominciato a vivere.

Con te è stato tutto così strano, perché era tutto così vero; non c’è stata finzione, non c’è stato raggiro non c’è stato imbroglio. Forse lo abbiamo fatto nei nostri confronti, abbiamo agito senza accorgerci che quello che stavamo facendo, diventava ogni giorno più grande di noi e ci prendevamo in giro dicendoci che tanto noi, così grandi, così imperturbabili, così cinici, eravamo in grado di gestirlo, di comandarlo e invece ci ha travolto, finalmente, ci ha sbattuto come panni tesi al sole e ci siamo trovati attorcigliati l’uno all’altra e ci è piaciuto.

Nei nostri primi incontri ci siamo visti come clandestini, come amanti e come tali ci siamo comportati lasciandoci travolgere e travolgendo vivendo intensamente ogni attimo da allora fino ad oggi, poi domani. Ci sono stati regali, ognuno di noi ha offerto a l’altro dei piccoli doni, come segnale di resa, come presenti sacrificali offerti al grande capo della tribù, come sintomo di affetto, di legame. Portavamo doni perché non eravamo in grado di porgere all’altro, materialmente, il nostro cuore su di un vassoio d’argento, perché è questo che desideravamo fare ed è questo che abbiamo sentito. Per me è stato come sentir entrare dolcemente le tue dita dentro al mio corpo, attraverso il mio costato, senza dolore, solo una piccola sensazione di apertura e poi ho sentito caldo al cuore, ho sentito le tue piccole dita avvolgerlo e tenerlo come si fa con un cucciolo. Ed ancora oggi lo portano in giro per il mondo lo strizzano di passione, lo coccolano di amore, lo cullano di affetto, lo consolano dalle paure. Ed ho sentito aprirsi il tuo petto, ho affondato la mia mano delicatamente come se avessi penetrato il tuo corpo per un atto d’amore, per un coito cerebrale, l’ho carezzato con paura, temendo di poterti fare male, con dolcezza, come un cristallo prezioso, una gemma. Ho sentito irradiare calore, forza, vigore, ho sentito l’amore, finalmente e mi sono lasciato andare, senza paura, completamente, mettendo in gioco tutta la mia vita per te, investendo con te ed in te tutte le mie forze, le mie possibilità, la mia anima, tutto me stesso perché ho sentito vita, la mia, vera, la tua, concreta, la nostra infine.

Abbiamo cominciato subito a fare pazzie, dalla prima volta. Ti ho chiesto per scherzo vediamoci e tu, si domani ed io, alle sette e tu, si. Non ho dormito, non ho capito, non capivo più niente; alle cinque e mezzo ero sveglio alle sei e mezzo ero già da te poi la colazione poi l’amore poi le confessioni e poi l’amore poi le frustrazioni e poi l’amore poi le castrazioni e poi l’amore poi le riflessioni e poi l’amore poi la pace e l’amore. E poi siamo andati a Donoratico, quattro indimenticabili giorni di tenerezze, sesso e amore, la pace di stare insieme all’aria aperta e non nascosti, rinchiusi ancora ma con il sole in faccia, godersi la tua visione da lontano, vederti camminare sul bordo della piscina come una signora, come una donna spavalda, fiera, sicura, lieta di poter finalmente lasciar vedere chi eri non solo nel chiarore soffuso di una stanza ma anche nella piena luce del mondo. Io nel mondo ci vivo e non ho paura di affrontare quello che il mondo ha in serbo per me ed io lì come un bischero, beato nel leggere questo nei tuoi movimenti, nella tua camminata da passerella. Poi siamo usciti allo scoperto il due di agosto e tutti hanno commentato, hanno giudicato, hanno invidiato, hanno odiato il nostro amore, vero e sincero e noi abbiamo sguainato la spada e abbiamo cominciato a difenderlo contro le lingue troppo lunghe, contro chi ci ostacolava contro chi ci voleva male, abbiamo cominciato allora e non abbiamo più potuto smettere. Fa paura il nostro amore, fa paura agli altri che non possono comprendere e allora ci si scagliano contro per cercare di abbruttirlo ai loro occhi, perché non riescono a sopportare la luce che la nostra unione emana ed il suo calore. E in fondo eravamo due cuccioli, due cuccioli nella tana del lupo, ci guardavamo intorno spauriti come due bambini rivestiti a festa tu con il fiocchino in testa ed io al collo, ci sentivamo gli occhi addosso, quelli malvagi ma anche quelli curiosi, quelli invidiosi e quelli lieti; la nostra entrata in società, ci siamo presentati mano nella mano porgendo saluti e baci, questa è lei, questo è lui. Come cenerentole siamo rimasti abbagliati da quello che ci circondava perché per la prima volta eravamo in mezzo alla gente, a quella gente, quella che ci stava aspettando al varco e ci siamo offerti ai loro commenti per liberarci, per poter cominciare a volare, finalmente, nel vento. Forse egocentrici, forse narcisi, forse non quanto abbiamo sentito noi ma il turbine intorno girava, eccome se girava e comunque siamo riusciti a rimanere mano nella mano e ripartire oltre l’ennesimo ostacolo abbattuto.

Poi siamo andati in luna di miele ed è stato tutto. Parigi, il sole la gente intorno a noi, muoversi liberi senza paure, senza essere additati, senza nascondere la nostra unione abbiamo camminato sotto il sole d’agosto, ci siamo inteneriti guardando la luna riflessa nella Senna, abbiamo mangiato, abbiamo dormito abbiamo vissuto come il nostro amore pretendeva in quel momento, al massimo, come due vecchi signori snob abbiamo preteso il meglio di tutto e ce lo siamo accordati con la semplicità del nostro amore e con quanto di più prelibato ci poteva essere offerto. Siamo stati sul tetto del mondo, partiti come un razzo e poi siamo ridiscesi lentamente fluttuando come piume al vento, posandoci un po’ qua un po’ la senza curarci di quanto ci scorreva intorno, lo abbiamo fatto e ce lo siamo gustati e non abbiamo dovuto pentircene e tutto questo è meraviglioso. Abbiamo avviato con titubanza questo nostro primo girare tra la gente, volti sconosciuti e rincuoranti si muovevano veloci intorno a noi lasciando le nostre menti capaci di preoccuparsi di accontentare l’altro, visto che non dovevamo preoccuparci di cosa poteva pensare, dire e fare chi ci stava intorno. La mia paura per te era la noia, la tua per me era il ricordo e poi ci siamo lasciati conquistare entrambi dalla nostra Parigi unica, irripetibile ineguagliabile e dopo i primi timori poterla vagare senza mete precise senza imposizioni da turisti ma solo e soltanto con il cuore: la Tour Eiffel, il Sacre Coeur, Notre Dame, il Louvre, gli Champs Elisee, Place du Tertre, Versailles; luna di miele, si non viaggio turistico, non gita, non viaggio di nozze, non tour ma luna di miele, con la dolcezza nel cuore, nelle mani, nei gesti, negli occhi, nel guardarsi e nel farsi guardare. E poi le cose buffe: le mani sui fianchi, le ragazze mi guardano e te le vuoi picchiare, le cozze con le patatine fritte, te mi devi aiutà, le merendine le vincevi solo te, l’acqua che rinfresca, il Papa dovunque, io che perdevo tutto, Disneyland con le montagne russe, i giochi, le montagne russe, le camminate, le montagne russe, le mani nelle mani ancora e ancora insieme, le montagne russe, te che dici sulle montagne russe non ci monto più, gli occhi persi di bambini innamorati, io da solo sulle montagne russe, te che il giorno dopo ad Avignone non riuscivi più a camminare per le troppe montagne russe. Diverso da tutto ciò che avevo fatto fino a quel momento, no finzione, no illusione, no fantasia, vero, vissuto finalmente, sentito, riuscivo finalmente a sentire che lo stavo facendo e posso ancora sentire che l’ho fatto è dentro di noi ed è vero e reale. Reale come me e te, me e te insieme.
 
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Ti ho conosciuto il 29 novembre 1996, ti ho guardato ed ho pensato: e questa chi è? Cosa vuole? Ti ho trovato la mattina in fabbrica e sei stata un affronto per me; come, è stato assunto qualcuno senza averne prima parlato con me! Perché non mi hanno chiesto se io avevo qualcuno da far assumere? Povero brodo (di adolescente memoria) ma chi ti credi di essere e ringrazia invece Dio di questo immenso regalo. Ci siamo guardati torvi per un mese, diffidenti, repulsivi, poi sempre più interessati, poi non riuscivo più a staccarti gli occhi di dosso, gli occhi della Tigre, quella tigre che mi ha graffiato il cuore. Vivevo per te, partire presto la mattina per poter arrivare al lavoro prima possibile e vedere te, poterti chiedere: Vuoi un caffè? O sentirmi fare la stessa proposta da te, parlare un po’, stupidamente del più e del meno e respirare quei momenti vicino a te, aprire la mente a nuovi orizzonti stupirsi, sentirsi come si può sentire il credente di fronte alla verità, avere un'unica sola parola da poter ingenuamente ed innocentemente esclamare: Oh!

Ogni giorno tessevamo la nostra tela, insieme senza accorgercene ed ogni notte la celavamo agli sguardi indiscreti dei nostri rispettivi partner. Nei sogni invece lasciavamo libera la fantasia di portarci dove il desiderio indicava, come un condottiero sguaina la spada e porta i suoi uomini a combattere per un ideale di libertà, alla carica!

Ma che buon profumo che hai? Per ammaliarti meglio bambino mio. Vuoi sentire bene che buon profumo ho bambino mio? Si fammi odorare il tuo alito, il tuo profumo, la tua essenza. Fammi inebriare di te, conquistami, strapazzami, tuffami nel frullatore delle tue magie e fammi diventare parte della tua pozione d’amore. Mi aiuti a scendere, ma tu soffri, telefonami se hai bisogno.
 
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Trent’anni. Tanto tempo, poco tempo, in fondo tutto è relativo. Sono sembrati tanti, durante, mentre lentamente passavano, giorno dopo giorno, minuto per minuto, ogni secondo vissuto con ansia con paura con terrore, guardarsi intorno e cercare di approfittare di tutto e di tutti. Vedere cose e rendersi conto che poi in realtà non erano vere, erano film e non realtà, erano romanzi, fotoromanzi fumetti erano storie di altri ragazzi che facevano i “grandi”, i “gradassi”; l’amore non esiste, l’amore non c’è. Non c’è l’amore di Madre Teresa, non c’è l’amore di Padre Pio, non c’è l’amore di San Francesco, non c’è l’amore dei libri Harmony, delle Telenovelas, non c’è l’amore di fratellanza, dell’uguaglianza, non c’è l’amore di una madre, del proprio uomo, di un figlio, non c’è. Non c’è l’amore di Dio. Non è vero, non esiste. Trent’anni di buio. Trent’anni rinchiuso in una cripta gotica, fredda, umida e buia, in un profondo abisso lontano dalla realtà e poi tanto Rococò, a profusione, a riccioli, oro, oro, oro e poi smalto e volute, gemme, fiori, colori e luce, luce, luce. Sono passati veloci, come una saetta adesso che li ho già vissuti, adesso che sono trascorsi beffardi senza farsene accorgere, adesso che non posso più tornare indietro a riprenderli a riviverli con la luce nuova. Trent’anni e poi esclamare: Ma allora è vero! Stupido, piccolo stupido amorevole Stefano, si è vero, è vero davvero, l’amore è, l’amore esiste, si può amare ed essere amati. Si può amare ed essere amati, che parole, nuove, strane, vere.
 
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Brutta gatta, ti sei divertita con il topolino, l’hai sbatacchiato bene bene di qua e di la e adesso? Adesso hai provato anche tu le stesse cose. E siamo caduti insieme nello stesso vortice, abbiamo buttato all’aria una vita già vissuta, parenti, conoscenti, mal di denti e ci siamo tuffati insieme in questo vortice di vita, di amore, di verità; miele, miele, miele a vagoni a transatlantici, miele come piovere, fiumi, laghi, mari di miele. Lo so, lo so, sembra troppo, sembra finto, ma il miele esiste ed è dolce davvero.

Mi hai baciato e la mia ultima paura mi ha costretto a porgerti solo la guancia, ti ho pensato tutto il giorno lontano da te immerso in un lavoro che non sentivo, non vedevo, sognavo e poi ho vinto, ho vinto anche l’ultima paura e al mio ritorno sono io che ho baciato te, finalmente. Il mattino dopo le mie gambe tremavano, ho sognato, era vero, lei è per me, e poi ancora baci, baci, baci e la passione che sale, sale, sale, sale, sale. Chiamami, mi hai detto ed a quel punto io mi sono chiesto “E come faccio?, quando posso trovare il momento per telefonarti, dove, come”. Tu lo porti al pollice ed io lo porto al collo ma entrambi abbiamo un anello che ci lega illegalmente ad un’altra persona, aspettami ti ho detto, abbi pazienza, abbi fiducia non so come, non so quando ma ci sarò. Poi un gruppo di terapia, quando si dice il caso e il giorno dopo ho strappato la catena che mi teneva succube e carcerato ed il lunedì mattina ti ho mostrato il mio collo ferito ma libero e tu hai esclamato dentro di te: Oh oh e adesso, cosa ho combinato.
 
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Siamo tornati da Parigi, siamo tornati al lavoro e ci vedevamo ogni giorno e spesso anche la sera venivi da me, ti venivo a prendere, facevamo di tutto pur di stare insieme. A volte cenavamo, a volte no a volte ci amavamo a volte no, vivevamo ogni momento intensamente, come non ci era mai accaduto, e sono volati giorni, settimane mesi di idillio mesi di incontri, di sonno perduto, di racconti. La nostra vita a puntate, l’abbiamo rivissuta raccontandocela sotto una nuova luce, siamo riusciti a vedere la sottile trama che univa tutti i fatti, i misfatti, le rovine e le conquiste di un’esistenza e mille e mille volte abbiamo ringraziato Dio di averci fatto vivere quella vita, grama e misera ma proprio quella vita che ci aveva portato fino li, che ci aveva fatto unire. Mille babbi, mille mamme, mille sorelle, di più mille nonne dirò ancora di più, mille brunelle rivivrei con la rabbia ed il tormento con cui le ho vissute, per poi poter arrivare fino a te, fino a Patrizia, fino a Tricha. Rendersi conto di aver odiato tutto quello che era stato mentre invece proprio quello che era stato ci ha dato quello che adesso è e grazie a questo cominciare finalmente ad amarlo, ad amare il mio, il nostro passato. Se avessi, malauguratamente, cambiato, per sbaglio, una virgola, unica e sola, inavvedutamente, Dio mio chissà dove sarei ora e con chi.
 
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Natale è stato riscoprire la famiglia, l’unione con la mia e con la tua, numerosa, che mi hai fatto conoscere tutta insieme durante un pranzo di Natale, ubriaco di sguardi, di commenti e di attenzioni da tutti e per tutti, di occhiate, di esami, dove, bene o male mi chiedevo, giusto o sbagliato era normale che mi interrogassi, innocentemente mi domandavo: Mi accetteranno? Era meglio quello prima? Penseranno e adesso questo viene a guastarci il nome della famiglia? Poi chi ci ha voluto bene ci ha voluto bene ed il resto peggio per loro, se non conoscono amore. C’è chi ci ha accettato subito, chi ci ha pensato un po’ e comunque per l’abito che porta ha fatto anche troppo, perché in fondo ci ha benedetto, ha benedetto, frequentandoci, la nostra unione non rivendicabile davanti a Dio secondo le leggi dell’uomo; poi secondo me c’è ancora qualcuno che ci guarda dall’alto, in fondo siamo una coppia di serie B, una coppia di riserve che merita una vita di riserva, già non era tua questa vita adesso vuoi anche cose, riesci addirittura a pronunciare la parola voglio, prendi quello che ti viene gettato dal tavolo delle coppie vere e vai in cuccina tua a rosicchiartelo. No grazie noi mangiamo amore, quello vero, quello che si può spalmare sul pane, davvero.

Ti ho chiesto se volevi venire e vivere da me, con me, condividere onori si ma anche gli oneri di una vita di coppia, di persone che si amano, rotolarsi su di un letto, passeggiare per i viali di Parigi, si ma anche lavare i piatti e rammendare calzini, io per te, tu per me, noi insieme. Hai tergiversato, ha nicchiato hai fatto cadere il discorso ed io per mesi mi sono torturato nel pensiero di non riuscire a stimolare la tua fiducia a farti sentire amata e rispettata, perché non mi vuole, sta con me ma in fondo aspetta ancora, deve decidere, ma cosa deciderà. Era tutto finto naturalmente, bello scherzo, ho tenuto il fegato nel frullatore per due mesi e tu poi mi hai detto: “Questo è il mio regalo di Natale, le nostre fedi, la mia risposta è sì”; ricordi a quale domanda brutto gnocco, deficiente che non sei altro, tu li a rimuginare giorno e notte come un cammello che mangia e rimangia il proprio pasto e lei se la rideva d’amore conoscendo già la risposta, la risposta è si, vengo a vivere qui da te, con te, noi insieme. E li applausi a scroscio, battimani, gente che si strappava i capelli, fuochi d’artificio; l’amore, l’amore per davvero. Il Natale, la famiglia, si la famiglia ma la nostra famiglia, la nostra nuova famiglia. Natale è stato riscoprire la famiglia, la tua, la mia e anche la nostra.
 
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La prima volta che siamo usciti insieme per te è stato di contrabbando, ci siamo dati appuntamento per la strada, ci siamo incontrati pieni di emozione. Eravamo insieme, da soli, ci eravamo baciati, ci eravamo abbracciati, ma questa era una situazione completamente nuova, uscivamo insieme. Certo avevamo una scusa buona, la cena con le tue amiche e loro c’erano davvero, siamo davvero usciti con loro, ma per noi era diverso, noi eravamo insieme. Per me che ho da sempre vissuto in mezzo alle donne, le amiche delle mie sorelle, le donne al lavoro con la mia mamma, mia nonna che non voleva che stessi con gli altri bambini è stata un’esperienza completamente nuova, forse perché le vedevo con occhi nuovi ma erano donne diverse, inaspettatamente, finalmente queste donne si sono mostrate ed hanno parlato di se ed hanno parlato un linguaggio chiaro, senza nascondersi oppure finalmente sono riuscito a vedere ed ascoltare queste donne, come non avevo mai voluto o potuto fare. E poi ci siamo divertiti, semplicemente divertiti con il cuore aperto e la gioia nell’anima: ristorante cinese, sakè, poi al Cigno Bianco in mezzo alla musica ed all’alcool, io che già ero brillo dello stare con te. Te cosa prendi? Non lo so qualcosa di dolce? E pensavo a te, a quanto tu dovevi essere dolce sulla pelle, dolce tra le labbra, dolce dentro, pensavo al primo bacio che ti avevo dato e che aveva scatenato in me il desiderio di sapere, ma profumi così dappertutto? Qualcosa di dolce chiedevo ma volevo te! Poi finalmente soli ci siamo dati il permesso di lasciarsi andare, abbracciarsi, baciarsi, toccarsi e solo i tuoi timori, più che giustificati direi, ci hanno fermato. Forse è stato quella sera che ho imparato cosa vuole dire desiderare: volere a tal punto una cosa che siamo già felici solo di volerla, che anche se non riusciamo ad averla, la gioia di cui ci nutriamo è proprio quella di desiderarla, la vogliamo così tanto con tutto noi stessi che possiamo aspettare, che aspettare non è gravoso, non ci sentiamo frustrati, non ci sentiamo falliti, perché desiderarla significa poterla avere, poter fare, potere, essere in grado di farlo. Ti desideravo come non avevo mai desiderato niente in tutta la mia vita, eri tra le mie braccia, potevo sentire il calore del tuo respiro e ti desideravo, te ed il tuo corpo, probabilmente in quel momento l’unica cosa reale e tangibile era il mio desiderio di fare l’amore con te e non l’abbiamo fatto ed è stato meraviglioso, è stato come averlo fatto. Per la prima volta nella mia vita rinunciavo a qualcosa che volevo a tutti i costi e stavo bene, non ero un fallito, non provavo frustrazione non ero il peggiore, l’ultimo. E grazie a te incominciavo ad aprire il mio cuore ma anche la mia mente all’amore, al concetto dell’amore e dell’amare e all’amore vero, cominciavo ad amare me stesso amando te cominciavo ad amare te amando me stesso con i miei limiti. Ci siamo lasciati con il cuore pieno di emozioni, con la mente già colma di ricordi con la consapevolezza che avevamo una nuova cosa in comune, un comune ricordo una comune esperienza, la prima, la prima di una stralunga serie. Non so come ho potuto ritrovare la strada di casa quella sera, non so come, camminando su di una nuvola blu, sia riuscito a raggiungere il mio letto. Allucinato e con gli occhi sbarrati rivolti al soffitto, mi sono lasciato vincere dal sonno e dalla stanchezza e infine mi sono addormentato con te nel cuore, con te nella mente, con la tua presenza già saldamente accanto a me.
 
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Dopo quel Natale è cominciata questa nuova strana esperienza di vita insieme, alzarsi al mattino insieme, fare colazione insieme, andare al lavoro insieme, ed insieme lavorare, tornare a casa insieme, cenare insieme ed insieme amare, amarsi. Tutto diverso tutto completamente diverso dalle nostre vite precedenti, fare cose inimmaginabili, fare con la naturalezza più spontanea, senza fatica, senza dubbi, tutte quelle cose che fino al giorno prima odiavamo e ci rifiutavamo soltanto di pensare, arare senza sentire il peso del giogo, arare senza bisogno che il giogo ci sia, arare per amore, arare con amore e con gioia e portare sulle spalle le responsabilità dello stare insieme con fierezza, con forza con gioia, con amore. È stato come riscoprire la vita, non c’è in quel periodo un giorno più particolare degli altri, perché tutti erano particolari erano tutti, uno dietro all’altro, un susseguirsi di scoperte, dentro di me e dentro di te, un continuo esclamare, meravigliarsi; ogni giorno era un giorno nuovo e non si sentiva assolutamente il bisogno di qualcosa di diverso come del resto è ancora. Si certo ci sono i desideri e c’erano anche allora: una casa, un figlio e forse in quei momenti anche il desiderio che l’unione che stavamo vivendo si consolidasse, si cemantasse, si rafforzasse sempre di più e così ogni nuovo giorno era un giorno nuovo e ci dava fiducia in quello che facevamo e crescevamo insieme al nostro amore, accanto ai nostri desideri. Proprio questo rendeva quei giorni unici, perché è stato come se fosse un unico lunghissimo giorno siamo cresciuti, siamo maturati, abbiamo maturato la nostra nuova identità comune, stavamo creando la nostra famiglia. Ho conosciuto i tuoi vizi e tu i miei, le tue manie e tu le mie, come si cucina, come si stira, come si vive una casa, il bagno, il letto. Ci siamo resi conto che nessuno dei due voleva che l’altro cambiasse, il tuo modo di essere è quello che mi ha fatto innamorare di te, come ti muovi, come cammini, parli, mangi, fai e disfai, come sei, con il tuo temperamento forte e dolce. Abbiamo incominciato a dirci di non cambiare mai e di non lasciarci mai, perché ci volevamo ed era così che ci volevamo, proprio come eravamo. E poi abbiamo cominciato a cambiare senza accorgerci di niente, non eravamo più due identità distinte, ognuna con le proprie peculiarità ma giorno dopo giorno stavamo creando una nuova identità comune, conoscendo e sentendo l’altro senza doverci pensare, senza riflettere, inconsciamente stavamo diventando l’embrione della nostra unione. Sono stati giorni fondamentali per noi, quelli più densi di maggior lavoro, abbiamo fatto tutto senza saperlo, senza volerlo, a testa alta e con il sole sulla fronte abbiamo costruito l’intrico di mura che formano oggi la base della nostra unicità, abbiamo scolpito con gioia e con fermezza la parola NOI sulla pietra della vita.

E poi ci siamo divertiti, abbiamo aperto le finestre delle nostre armature ed abbiamo fatto uscire tutto e di tutto, abbiamo sfogato i nostri istinti, quelli animaleschi, quelli materni, paterni, fraterni; regali, pensieri e rotolarsi sul letto per ore, per giorni sfogare gli istinti e fugare le paure. Per me è stata la scuola dell’amore, desiderarti, volerti e affrontare le mie ansie che mi impedivano di amarti con il corpo quanto ti amavo con il cuore e lasciare che tu mi guarissi, giorno dopo giorno con le tue amorevoli e attente cure saggia e spensierata nel darmi fiducia per riuscire a farmi credere in me stesso.

E alla fine il nostro amore ha dato fastidio, tutto quello che avevamo temuto si stava realizzando, davvero c’era qualcuno che non sopportava il nostro amore e che non solo ci odiava ma ci voleva anche fare del male. Ed hanno provato a corrodere il nostro rapporto, a spezzarlo ma non ci sono riusciti. Hanno provato a farci scegliere e noi abbiamo superato. Per questo lavoro uno dei due era di troppo e doveva andarsene, da solo e con la coda tra le gambe e magari anche dicendo grazie, grazie di averci gettato gli ossi sotto il tavolo. Siamo rimasti, mano nella mano siamo rimasti a combattere l’affronto, sapevamo che sarebbe stata ancora più dura e che le nostre possibilità erano minime, sapevamo che prima o poi avremmo perso ma che lo avremmo fatto con dignità, insieme, contro l’invidia e l’odio di chi non poteva avere ciò che noi avevamo ma siamo rimasti. La strega ha cercato di umiliarti in tutti i modi, hai sofferto ed io con te, hai lottato con la ragione e la logica dalla tua parte ma non bastava; abbiamo dato noi stessi per il lavoro, con una siringa perennemente nelle nostre vene donavamo sangue e sudore ma non bastava, lo facevamo con gioia ed umiltà ma non bastava, uno dei due doveva andarsene per togliere davanti ai loro occhi questo oggetto misterioso, questa strana coppia di persone che si amavano, che si rispettavano ed aiutavano, era troppo da vedere, da sopportare ogni giorno, che forse qualcuno si sentisse umiliato da ciò, che forse qualcuno leggesse in questo la miseria della propria vita e che per non doversi più vedere abbia deciso di uccidere lo specchio che lo rifletteva. Povera misera gente e miseri noi ogni volta che vi abbiamo combattuto con le vostre stesse armi, si il male che ci avete fatto non è stato cercare di dividerci ma farvi vincere con le vostre stesse armi, costringerci ad abbassarci fino a voi, finiti voi noi ritorniamo alla luce, le tenebre saranno per voi che le volete. Breve sia la vostra parte, voi che ci avete insegnato che ci possiamo amare, ma con il coltello in mano, pronti a difenderci dall’invidia dei miseri.

E noi testardi ancora avanti per la nostra strada, sempre insieme ventiquattro ore al giorno sette giorni su sette. Incuranti del fango che ci veniva scagliato addosso abbiamo continuato ad amarci e a farlo vedere, abbiamo ridato sereni e felici il nostro amore. Certo anche noi abbiamo avuto i nostri dubbi, anche noi abbiamo cercato delle risposte ai nostri timori anche noi abbiamo cercato qualcosa di più grande che ci potesse accogliere e benedire. Siamo arrivati a Loreto per Pasqua, con le nostre paure e le nostre speranze con il bagaglio di un anno di amore e la speranza di una vita comune. Abbiamo pregato, ognuno per proprio conto e tutti e due insieme, abbiamo vissuto quei giorni, casti di amore platonico, in una nuvola di timore reverenziale verso questa entità in cui cercavamo una risposta, possibilmente affermativa, alla nostra domanda di vita insieme. Abbiamo aperto i cuori e abbiamo lasciato che vi fosse letto dentro e quello che più mi ha impressionato è stato che, anche in quel luogo di amore, abbiamo fatto paura; eravamo fuori dai canoni era troppo tardi, già delle promesse erano state fatte davanti a Dio, non si poteva tornare indietro dovevamo solo sopportare, lasciare, dimenticare, solo perché non può essere accettato l’errore. Dio perdona, Dio è buono, Dio è amore Dio è grande e la nostra grandezza davanti a dio la possiamo soltanto dimostrare chiedendo perdono e ammettendo che abbiamo sbagliato, noi possiamo credere chissà cosa ma sarà solo quando saremo dinanzi a Dio che conosceremo la verità quello che oggi crediamo giusto sarà forse sbagliato e quello che adesso ci sembra sbagliato si rivelerà fede in Dio. Amo Patrizia e me ne prendo la responsabilità, come lei ha fatto per me, la responsabilità di conoscere davanti a Dio dov’è il giusto e dov’è lo sbagliato. Lì saremo puniti o glorificati, soltanto in quel momento e non dall’uomo o dalle leggi dell’uomo, ma dall’amore di Dio. Amo Patrizia e vivo in lei e lei mi ama e vive in me e per me questo supera e rende talmente microscopico qualunque rito umano, qualunque promessa fatta, perché solo il cuore può promettere e il cuore promette solo amore. Siamo stati bastonati e puniti per il nostro affronto e ci è stato detto che vivremo nell’errore, ridicola fede dell’uomo che poi alla fine, dopo anatemi, punizioni, sconsacramenti e altro ci benedice, benedice la nostra un unione di semplici persone che si amano, che sono riuscite a correggere la propria vita, che hanno sbagliato e hanno il coraggio di ammetterlo che comunque rispettano le leggi dell’uomo perché vivono nell’amore di Dio. Grazie Padre Corrado, grazie di averci detto che sbagliavamo, che andavamo contro il volere di Dio e poi averci salutato, semplicemente, come un coppia di persone che si amano. E questo basta a Dio, Dio ci ha donato questa nuova possibilità e noi siamo riusciti a coglierla senza timore, con fede e con amore e la portiamo avanti confidando in noi, nella unione che siamo ed in Cristo.
 
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Ho perduto mio padre, babbo, dopo sei mesi di amore, amore solido, dopo aver sperato, dopo essermi illuso, dopo aver pregato ogni sera ed aver pianto ogni giorno e adesso vorrei spaccare il mondo, certo non servirebbe a niente ma è ciò che si prova in momenti come questi, ci si chiede perché, si insulta, si inveisce ci si guarda intorno e si pensa, perché non è successo a qualcun altro? Perché questo morso è stato dato proprio nella mia carne, cosa ho fatto io per meritare questo dolore, questo strazio, questa disperazione! Eppure è così, ci sono milioni di persone neonati, bambini, adulti che muoiono ogni giorno di fame o di bombe ma noi riusciamo a sentire soltanto il nostro dolore, ed è normale, è umano e non è peccato, perché solo Dio riesce a sentire il dolore degli altri. Possiamo disperarci e piangere per chiunque ma quello che sentiamo è solo il nostro dolore. Ti amo babbo e non sei più qui con me ed è questo il dolore che sento, non il tuo non tutto ciò che hai provato, quello che hai sentito, come ti sei visto e come hai visto il mondo intorno a te ma soltanto il mio egoistico dolore di figlio che preferisce sapere di avere un padre e non cercarlo piuttosto che pregare sulla tomba di un padre ritrovato. Ed è normale, è umano, è questo ciò che sappiamo fare, è questo che abbiamo imparato dalle generazioni che ci hanno preceduto, milioni di anni di evoluzione e siamo arrivati soltanto a questo, soltanto a questo e non ci rendiamo conto di quanto è ed è tantissimo, è una cosa enorme, è la sublimazione dell’essere, è vivere e noi adesso siamo in grado di farlo, abbiamo questa possibilità da sfruttare, viviamo, sentiamo cogliamo questo attimo divino, perché il futuro è della materia e non dei sentimenti.

Forse hanno pensato lo stesso i nostri babbi, nonni e bisnonni guardando il futuro e vedendolo grigio; ci sono stati ideali di libertà, di ribellione, di conquista; ci sono stai i jeans, la musica ribelle, i motorini e i libri proibiti a deludere i nostri avi e gli hanno tolto le speranze per un futuro migliore ma loro non hanno mai avuto a che fare con la “playstation” e con “internet” e non sanno a che pericolo sono scampati, il cancro cerebrale e la tomba dei sentimenti. Allora godiamoci questo nostro dolore finché ci sarà ancora possibile provarlo e stiamo attenti alle novelle sirene di questa odissea di vita, temiamole e rispettiamole, usiamole e non abusiamone. Ho paura, ho paura di questi due mostri perché prendono, avvinghiano, ammaliano e non ti lasciano più andare e allora bevo il mio dolore, bevo il mio amore ma anche il mio dolore perché sono veri e reali, non virtuali.

E te non ci sei più babbo!

Ti ho ritrovato una sera d’inverno passeggiando accanto a te mentre andavamo a vedere la partita, stavamo andando a Torino, come dicevi te, oggi vado a Milano, oggi a Roma e te ne andavi passo passo al circolo a vedere le partite della tua Juve; a un certo punto ti ho detto “Avrei voglia di abbracciarti” e te come se per trant’anni non avessimo fatto altro mi hai risposto “Allora abbracciami”. Dopo una vita senza carezze, senza attenzioni, senza affetto o senza averli visti e sentiti mi hai riversato addosso un mare di amore, così d’improvviso tutto in una volta senza avvisarmi, senza prepararmi ed io ci sono annegato dentro con tutta la mia gioia e la mia felicità.
E abbiamo incominciato a vivere.
Abbiamo cominciato a vivere la nostra vita di padre e figlio parlandoci, amandoci standoci vicini, in disparte come solo a noi Cuccuini riesce, in disparte ma in primo piano.

Ti ho parlato di Tricha, di quello che sentivo e di quello che provavo e te mi hai parlato del tuo amore per la mamma, di quello che voleva dire per te, dell’importanza della donna che hai accanto, di una vita insieme, delle dure prove e delle gioie, ci saremo detti mille parole in due anni, solo mille parole ma sono bastate, a me e a te per consolidare la nostra unione, sapevamo di cosa stavamo parlando, avremmo potuto benissimo tacere perché oramai ci eravamo trovati e niente ci avrebbe potuto dividere.
 
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Mi hai incantato per ore narrandomi dei posti tuoi, dei colori, dei sapori, degli odori e finalmente me li hai fatti conoscere.
 
Mediterraneo
salato
bianco di case
verde dagli olivi.
Salento
spalmato sul mare
piana pennellata
su di una tela azzurra
riccia di onde
e unta di sudore.

Siamo partiti tra palpiti e dispiaceri, tra speranze e dolori, lasciando mio padre a casa da solo, in compagnia del nostro amore e del nostro sentirlo e pensarlo e non avremmo potuto fare diversamente, perché lui non avrebbe voluto.

Abbiamo visto il sole, me lo hai fatto toccare da vicino, nelle case, nelle piante, nelle distese brulle e negli scogli a picco sul mare. Ci siamo bagnati nelle acque più limpide che io abbia mai visto, con la sabbia chiara, con la sabbia nera, con gli scogli e con i pesci che nuotano quasi a riva. I Caraibi, le isole tropicali, Maldive, Seychelles, Mauritius, la puglia, il Salento, Otranto, Castro, Le Pescoluse, questo hanno toccato le mie mani, qui si sono immersi i miei piedi, ecco cosa hanno visto i miei occhi, sentito le mie orecchie e odorato il mio naso.

Un altopiano piatto, leggermente degradante verso il mare, fitto di olivi e di strade che si incrociano e si rincrociano, piante di tabacco ad ogni angolo, il tuo passato, la tua origine, la fonte del tuo sangue ma anche i tuoi ricordi di bambina: le scalettine, con il nonno in motorino, a mangiare i fichi, il tabacco, i fuochi d’artificio le sere d’estate, sul mare o in paese, le feste, le feste con le enormi luminare, i canti e i balli, lo stare insieme con la tua famiglia uniti in un abbraccio di calore e di amore.

I tuoi ricordi di donna: la melanconia, la noia, la tristezza, le facce strane nelle foto, gli occhi tristi, le guance che sembra che sbuffino il tuo stare sola, in un autonomo abbraccio per proteggerti dal freddo.

I tuoi ricordi di domani: Otranto, la spiaggia, le crepes, i giri per le stradine ed il lungomare; la Zinzolusa, la Grotta del Conte, Leuca, Gallipoli, Le Pescoluse, Supersano, Castro, i fuochi d’artificio sul mare, vicina come non eri mai stata, i bagni di sole, i bagni di mare, pedalò e motoscafo, la mia guida in questo nuovo mondo, mano nelle mano, ancora una volta uniti, ancora una volta a testa alta orgogliosi del nostro amore e di portarlo a giro per il mondo. Sei riuscita, giorno dopo giorno, ad imprimere dentro di me la tua Puglia, mi hai fatto sentire le tue emozioni, per ogni cosa che vedevamo o facevamo, tu mi raccontavi qualcosa di tuo, qualcosa di fatto o di visto e cercavi così di farmi conoscere la bambina delle scalettine e quella che sarebbe diventata.

Seduti in mezzo al mare, con l’acqua che ci bagna le caviglie e un rivolo che si insinua sulla pancia, immersi nel silenzio di quel momento sentiamo noi, il rumore intorno non riesce a penetrare quella nicchia di benessere che ci circonda, tutto può accadere e nulla può accadere, stiamo creando noi stessi, stiamo continuando a dare vita e forza al futuro che ci viene incontro al domani verso cui scivoliamo dentro la nostra nicchia.

Famiglie sul bagnasciuga, bambini che schiamazzano, barche, barchette e motoscafi, bulli, pupe e marinai li ho respirati e tu, con una mano sul mio petto, guidavi il ritmo per far sì che tutto quello che ci circondava riuscisse ad entrare in me, le case in calce di Otranto e Gallipoli e i loro stretti vicoli, le lunghe strade diritte contornate da piantagioni di olivi, le case immense e non finite che improvvisamente si ergono nel mezzo della campagna, gli scogli a picco sul mare, il mare, questa immensa distesa blu che, quasi per miracolo, trasparisce i suoi segreti se la guardi da vicino

Abbiamo camminato mano nella mano, sulle spiagge, per le strade strette imbandite di negozi, per le strade affollate delle feste di paese, sugli scogli, guardando lontano l’orizzonte, sognando, sperando, cercando di immaginare cosa ci aspetta oltre il nostro orizzonte e ancora una volta di più abbiamo solidificato la nostra unicità, il nostro essere una sola cosa. Il sole, il mare, la mia donna abbronzatissima e me; un’altra estate piena di vita e di amore.
 
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Poi è arrivato il male, per te babbo.

Ha rombato forte e si e fatto vedere.

Insulso, viscido, inutile e cattivo.

Abbiamo lottato tutti uniti, vicini stretti stretti, abbiamo combattuto contro qualcosa di enormemente più grande di noi, delle nostre possibilità, della nostra comprensione e abbiamo perso e abbiamo vinto. Abbiamo perso te con la tua importanza con la tua presenza con il tuo impegnarsi, abbiamo vinto un ricordo una famiglia, una nuova vita per noi con te accanto. La cosa più difficile per te è sicuramente stata accettare le nostre cure, il nostro amore, le premure che avevamo verso di te le attenzioni; ci scacciavi quando venivamo a trovarti in ospedale o se ti eravamo vicini a casa parlavi d’altro, facevi il bullo con le infermiere e ti lasciavi andare a racconti incredibili sotto l’effetto dei farmaci. Straordinario. Poi la situazione si è aggravata e ti sei perso, assente dai discorsi assente dalle situazioni assente dalla cura; ti eri accorto che stavi morendo, probabilmente avevi paura, capivi che non c’era più alcuna speranza e ci hai chiuso fuori. Ti sei chiuso dentro, al tuo mutismo al tuo degenerare; chissà cosa vedevi di te, cosa pensavi cosa sentivi, speravi ed alla fine ce l’hai fatta a chiudere la partita ed hai smesso improvvisamente di respirare, semplicemente così, niente di sensazionale, alla nostra maniera, semplice come te.
 
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Anche questo non era mai successo, e con te invece è stato, Natale a casa nostra, noi abbiamo ospitato la mia famiglia a casa nostra per il Natale, non ci avrei mai creduto e così invece è stato. E per la prima volta è stato Natale, mi sono sentito bambino e genitore, ospite e ospitante ed ho visto nei tuoi occhi le mie stesse sensazioni, le emozioni della felicità, della gioia, un anno fa cominciavamo a costruire la nostra famiglia con la nostra unione ed il consolidamento del nostro rapporto, oggi godiamo dei frutti di quello che in questo tempo siamo riusciti a mettere insieme e quello che possiamo vedere ci dona speranza e fede nel futuro. Lo possiamo fare, lo abbiamo provato con le nostre mani e sulla nostra pelle, lo possiamo fare, non siamo solo in grado di stare insieme e godere l’uno dell’altra e dipendere da questo e da quello e succhiare il nettare asciutto delle vecchie famiglie, possiamo e lo abbiamo fatto dare veramente vita alla nostra famiglia, certo ci sarà ancora da fare, da costruire, da penare, da scegliere, da sottostare a compromessi, da piegarsi e da drizzarsi ma lo possiamo fare, perché io e te siamo una famiglia.

Abbiamo addobbato la casa come il nostro spirito, la nostra essenza aleggiava ovunque e l’atmosfera era di immensa gioia, nel dolore della sofferenza di babbo, ma nella gioia anche in quello, nel poter regalare questo Natale anche a lui. Candele e lustri, tutta la tavola in tinta, i segnaposto per regalo, le chiacchere, i bambini, l’unione e la complicità dell’essere tutti insieme, un giorno intero, dalla sera prima ad apparecchiare, poi la mattina a preparare il pranzo e tutti insieme godere del Natale poi risistemare e preparare ancora per la cena, ancora insieme ancora a lume di candela, fino a tardi, parole, tivù, commenti, regali a giro per casa, regali per amore. Abbiamo e ci siamo concessi, regalati, donati, permessi, accordati, offerti, questo grande, grande NATALE.

Poi siamo volati sui monti a concludere quest’anno meraviglioso, di gioie e di dolori, di pene e di affetti e con i tuoi e con gli amici ci siamo augurati ancora ed ancora tempi come questi, con il bello e con il brutto ma vissuti in amore, con amore e per amore. Passeggiando alti, nel freddo, con lo sguardo che arriva lontano abbiamo visto ancora noi, noi due uniti nel futuro.
 
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Sei stato accompagnato un ultima volta in ospedale per dei controlli, non reagivi più, non parlavi non rispondevi agli stimoli, continuavi soltanto a spargere la tua pipì in giro per la casa e noi dietro a rincorrerti, babbo. Quando siamo arrivati, io e Tricha, ti abbiamo trovato ansimante, rosso in volto, impaurito, oh babbo davvero pensavi che volessimo abbandonarti lì, davvero per un secondo hai creduto questo? Cosa hai provato allora quando Tricha ti ha detto “facciamo questi esami e poi domani, via a casa!”, cavolo babbo eri riuscito a far innamorare anche lei e tutto grazie al tuo amore nascosto. Siamo rimasti soli per trascorrere la nottata insieme, abbiamo litigato, a modo nostro, ti trattavo un po’ come un bambino dispettoso e impertinente, un po’ come un grande uomo, il grande uomo che mi ha dato la vita; ti ho raccontato del nostro amore per te, rassicurandoti che nessuno ce l’aveva con te, comunità, terapie e vita in comune alla fine sono riusciti a fare di noi una vera famiglia, beh per lo meno il massimo che si poteva riuscire a fare con tipi come noi, tipi come te. Ti ho accudito come un neonato, pannolini, cambio del letto, era strano stare li io a fare questo a te eppure è successo, eppure era vero e davvero poi infine, inaspettatamente ma a modo tuo te ne sei andato, ci hai pensato un po’ e poi quando hai deciso hai chiuso, semplicemente hai detto basta, era il 16 gennaio 1999.
 
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La vita continua, il tempo scorre e a fatica ed uniti abbiamo ripreso a camminare il nostro sentiero di vita, affranti, turbati, sconvolti, soli e uniti, a volte sentire la mancanza a volte sentire la presenza, mano nella mano siamo andati a trovare mio padre, a vedere la croce che si incunea nella terra che lo accoglie e tu sei me ed io sono te, e sento il mio dolore confondersi con il tuo e sento il tuo dolore carezzare e consolare dolcemente il mio.

No, non c’è stato il tempo di accorgersene, non c’è stato il modo, non c’era la presenza di nessuno di noi due per rendersi conto di quello che stavano tramando alle nostre spalle e ci hanno divisi. Uniti siamo e uniti rimarremo ma d’ora in poi ci potremo cercare da lontano perché l’invidia, l’odio e la stupidità ci hanno impedito di poter continuare a lavorare insieme. Costretto ad essere il portatore di questa notizia, con il pianto nel cuore, affranto, a pezzi, distrutto ho condiviso con te la tristezza e non ancora risaliti sulla collina della vita, siamo ripiombati insieme nella valle della disperazione. Mi manchi e mi mancherai per sempre, mi mancherà lo starti vicino, il vederti per caso, il sapere che eri di la, che non ci vedevamo, che non ci cercavamo, ma che eravamo vicini, che potevamo quando volevamo.

Cercare la vendetta, parlare con te, parlarne e poi da solo scaricare sulle parole la mia frustrazione e allora scrivere: quello che provo è odio, odio e rabbia, delusione, disillusione. Mi sento tradito, insultato, defraudato, impoverito di tutto ciò che avevo, tutto ciò che avevo costruito, dato, fatto, mi hanno rubato me stesso. Avevo creduto, credevo in me stesso ed in ciò che stavo facendo. Certo si ho fatto i miei errori, come tutti d'altronde ma da questi imparavo e ricominciavo. Forse questa volta ne ho fatto uno troppo grosso, la mia presunzione ha superato tutti i limiti ed ho sottovalutato tutto ciò che stava accadendo intorno a me. Mi sono perso nella beatitudine del mio essere insieme a te e non mi sono accorto di niente. E’ cominciato tutto così all’improvviso e non ha più smesso di accadere è stato come un turbine di avvenimenti che ci hanno coinvolto, che ci hanno trascinato a cui abbiamo partecipato in prima persona, abbiamo goduto per ciò che avevamo pagato e adesso abbiamo ricominciato a pagare, poi ne godremo.
 
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Il tempo passa e come sempre medica le ferite e apre nuove prospettive; decade l’odio, decade la frustrazione, il rammarico e la vendetta; ci ricordiamo quei momenti di alcuni mesi fa e ci rendiamo conto che tutto il male del mondo non può far altro che unirci ancora di più ed uniti combattiamo tutto il male del mondo, per noi e per il nostro mondo, con amore.

Così, perdoniamo il male, i malfattori, le nostre ire e la nostra sete di vendetta, grazie a Dio che ce ne dà la forza. Perdoniamo gli altri, per quello che è stato fatto contro di noi ma anche noi stessi per quello che, anche inconsciamente, anche involontariamente ma umanamente, noi abbiamo fatto agli altri

Abbiamo odiato, ci siamo arrabbiati, abbiamo scalciato forte come tori nell’arena, con il fiato che ci esce roboante dalle narici, sollevando nuvole di povere; ci siamo impuntati come muli da soma, carichi delle brutturie del mondo decisi a resistere a non voler cambiare, intestarditi, duri.

Umani siamo stati, perché umani siamo ed è proprio dalla nostra umanità che sgorga il nostro amore e così, lentamente, un giorno dopo l’altro, abbiamo assorbito l’affronto, la superbia, l’odio ed il rancore, il dolore no, quello rimarrà ancora per molto, l’inutilità del gesto rende difficile sbiadirne il ricordo, potremo perdonare, con il tempo, con nuovi sogni e nuovi progetti che renderanno il licenziamento così insulso, insipido, irreale, ci sembrerà così lontano, anche se sappiamo che non potremo mai dimenticare.

I giorni sono trascorsi, in principio lentamente e con mestizia, poi abbiamo trovato il nostro nuovo modo di comunicare costante, due tre telefonate al giorno, messaggi, lettere, pro memoria, ogni tanto tu venivi a Signa con me, ti lasciavo a casa dai tuoi e ci ritrovavamo all’ora di pranzo e poi la sera di nuovo insieme per il viaggio di ritorno; tu hai ricominciato a lavorare da tuo padre ogni tanto, così i viaggi insieme, nonostante tutte le avversità che ce lo volevano impedire, sono aumentati, fin quasi a ogni giorno. Comunque sempre insieme, anche lontani, anche lontanissimi, anche distanti ma sempre insieme, sempre vicini.
 
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Nonostante tutte le avversità, le difficoltà, i dolori ed i rancori abbiamo creato, giorno dopo giorno, le basi della nostra esistenza e più queste diventavano solide, più i nostri sogni volavano in alto; più queste si irrobustivano, più i sogni diventavano realizzabili, concreti, veri, raggiungibili. Non sogni di ragazzini, non isole caraibiche, non palme e noci di cocco ma sognare di poter davvero avere una vita vera, quella che abbiamo sempre cercato, quella che ci eravamo impediti di realizzare fino ad ora: una famiglia, noi, una casa, la nostra, un futuro, i nostri figli.
 
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In fondo ce lo aspettavamo, sapevamo che, un giorno o l’altro, questa notizia ci sarebbe stata data e quel giorno è arrivato. Sono tornato una sera ed era già da tempo che tu restavi a casa in cassa integrazione, con il pianto nel cuore e la disperazione addosso te l’ho detto, ti hanno licenziata ed hanno mandato me a dirtelo. No, non era la perdita del lavoro, non erano i soldi o l’onore o l’orgoglio; ci siamo resi conto immediatamente che quello che ci avrebbe consumato, era la lontananza, il distacco. Da quel giorno ogni mattina trovavo un tuo biglietto sotto la mia tazza o tra le pagine dei libri che leggevo, mi parlavi del tuo amore e della tua sensazione di solitudine e del tuo amore e di quanto ti mancavo e del tuo amore e di auguri di buone giornate e del tuo amore. Da quel giorno ogni mattina ti lasciavo un mio biglietto sotto la tua tazza o te lo consegnavo, quando facevi il viaggio con me, ti parlavo del mio amore e della mia sensazione di solitudine e del mio amore e di quanto mi mancavi e del mio amore e di auguri di buone giornate e del mio amore.

Ti cercavo dentro a questa fabbrica insensibile ed incosciente che non aveva saputo accettare il nostro amore, non lo aveva saputo sfruttare, non era riuscita a beneficiarne perché ne era rimasta enormemente orripilata, ingelosita, invidiosa e come un vampiro dinanzi alla croce ha cercato di celarla, di farla scomparire, non rendendosi conto di essersela infilata dritta nel petto. E il nostro amore ha continuato ad andare avanti, impavido, senza paure, senza timori, con mille paure e con mille timori ma anche nella lontananza, ha trovato altre miniere da sfruttare per crescere sano, robusto, tranquillo. Eravamo felici di poterci vedere ogni minuto, di sapere che eravamo a pochi passi l’uno dall’altra e il toglierci questo è stato come strappare i tubi dell’aria ma l’aria che sospira tra noi è di ben altra consistenza, è di ben altra sostanza e continua a tenerci uniti, a tenere uniti i nostri cuori, le nostre menti e le nostre pance; i nostri sogni, i nostri intenti e la nostra passione.
 
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Non abbiamo mai smesso di pensare alla casa, la tua casa, quella che sarebbe divenuta casa nostra. Per un anno è stata un desiderio sopito, celato, nascosto ma presente ed ogni giorno che passava ci avvicinava sempre di più al realizzare il nostro secondo sogno, dopo la famiglia, noi, la casa, nostra. Quasi come due incoscienti, nell’incertezza che aleggiava intorno a noi, tra i dubbi se poterla davvero vivere o no quella casa ma grazie ai nostri cuori pieni della speranza nella realtà nascosta, ci siamo messi in giro a alla ricerca di camere e cucine, di mobili e di arredi, di tende e tappeti, di idee, di proposte, di noi e della nostra essenza nascosta dentro al legno e, come tutte le cose che abbiamo fatto insieme, non è occorso gran che di tempo e poi voilà eccole, erano la entrambe ad aspettarci e come un unico cuore abbiamo scelto, deciso, costruito; la camera con l’armadio cabina, in cui ci siamo tuffati appena ci è apparsa davanti, la cucina, con gli inserti in giallo e il ripostiglio, a cui siamo rimasti incollati dopo una timida sbirciatina. No, non abbiamo voluto vedere altro, cercare no perché non ce n’era bisogno, noi eravamo la e ci eravamo trovati e sapevamo di essere quelli. Come ogni nostro stare insieme, anche questo ha mostrato il suo stato di straordinarietà, di meraviglia, di come per vivere insieme con gioia, con letizia, con passione, non siano necessarie grandi cose, basta l’amore; partire al mattino e fermarsi a mangiare un panino tra i pini di Pietramarina e poi merende e gelati e la quieta ricerca di mobili, per noi e per la nostra casa, mano nella mano girare fra finti salotti e cucine fittizie, immaginare quel tavolo o quella specchiera dentro alla nostra casa e più si concretizzava il sogno della casa più prendeva forma, dentro di noi e nel concreto, il suo interno di mobili, come lo avevamo trovato, scelto, creato, unico per noi.
 
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Rincorriamo i sogni, li inseguiamo credendoli irraggiungibili, mentre loro sono la, a portata di mano pronti a farsi cogliere da una mano innocente, da un cuore sincero, da un animo in pace. Non c’è bisogno di adirarsi, di correre, di sfiancarsi, perché i sogni si lasceranno raggiungere solo con l’amore, perché solo con amore potremo fare sogni raggiungibili; la Mercedes, la villa, lo yacht e il maggiordomo sono solo sogni di arroganza, di vanità, di superbia, sono i sogni che non potrai mai raggiungere, perché anche quando li avrai in pugno chiederai di più. Allora umanamente sogniamo, sì, lasciamoci andare, anche la villa, la moto, il macchinone, anche il giro del mondo, sogniamoli con la fantasia e con il cuore leggero di chi a ben altri e più importanti desideri da realizzare: vivere ed amare.
 
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Finalmente siamo qui, fra queste quattro mura, siamo riusciti a dare vita alla nostra nuova vera famiglia, Noi, siamo riusciti a costruire dalla fantasia, dai sogni, alla realtà questa nuova e vera casa, la Nostra, adesso possiamo tranquillamente continuare a sognare il futuro, il nostro nuovo e vero, i nostri frutti.