LA SVOLTA
LA SVOLTA

LA SVOLTA

A questo punto risulta necessario dare una chiara impronta alla mia personale visione dello scorrere di ideologie, fluite nelle nostre attuali conoscenze e speranze, prima di affrontare quelle che si potrebbero denominare religioni moderne ma che io più puntualmente definirei evoluzione moderna della Religione. Il motivo che mi ha portato a iniziare l’esposizione dei maggiori culti dal Mazdeismo, adducendogli l’originalità del primo cambiamento, ovvero del primo progresso, è che la religione di Zarathushtra si palesa come il passo compiuto dall’uomo verso l’amore di Dio, dopo aver lasciato alle spalle il timore delle ire degli déi. Se l’origine sia nel 6000 a.c. o nel 1500 a.c. o nel 500 a.c. non ha importanza perché non è il momento in cui la nuova visione diviene ufficiale o ufficialmente pubblica a dargli valore universale, sarebbe come dire che l’Induismo nasce nel 1200 solo perché in quel momento gli Islamici gli danno un nome appositamente per differenziarlo dal proprio credo. Il Mazdeismo nasce l’attimo successivo al momento in cui l’uomo si rende conto che ciò che muove l’universo tutto non è il volere o il potere degli uomini né degli déi, ma soltanto, unicamente, semplicemente un sentimento, l’Amore e che questo Amore viene da Dio.

Perdurano i riti, resistono i miti e come sempre, da sempre, gli uomini cercano in tutti i modi di mantenere immutato lo status quo, i cambiamenti costano fatica e potere; sì materialmente per la propria egemonia e per i propri interessi ma intimamente, perché hanno semplicemente paura, paura di venir via dal male, orribile ma conosciuto e per questo sicuro, per finire chissà in quale nuovo male di cui non se ne conosce l’intensità e la possibilità o capacità di resistergli.

Questa tremenda peculiarità umana ci accompagna silenziosa e si presenta celata ogni volta che non cambiamo le nostre abitudini, non cambiamo il lavoro che non ci piace o il compagno che non ci dice più niente, tutte le volte che vorremmo fare qualcosa di diverso per noi stessi, ogni volta che ascoltiamo i pensieri degli altri e continuiamo a ritenere i nostri migliori solo perché ci appartengono, perché noi gli apparteniamo. Tutto questo solo perché abbiamo semplicemente paura. La vita non è certo una passeggiata su di un prato al contrario è un eterna, perché tale ci appare, scalata a mani nude di una ripida parete scivolosa e senza appigli, così preferiamo rimanere in precario equilibrio sul nostro “sicuro”, inesistente spuntone di sabbia, piuttosto che provare a salire quella scala che improvvisamente ci appare come una fata morgana, soltanto perché non sappiamo dove ci porta, soltanto perché le scale che abbiamo creduto di salire in realtà ci hanno fatto scendere. Ma quei gradini davvero li abbiamo affrontati con Amore? O lo abbiamo fatto con presunzione e superficialità? Davvero siamo stati in grado di capire se siamo scesi o se in realtà la nostra essenza non si sia accresciuta proprio discendendo al piano che è stato costruito per noi? Ciechi opportunisti, egoisti, narcisisti, presuntuosi al punto tale da credere fermamente che il livello a cui siamo destinati è quello che scorgiamo più in alto e non quello che è stato costruito proprio sotto i nostri piedi. Non ci siamo accorti che la parete che crediamo di scalare è posta al contrario? Così rimaniamo lì inermi ad anelare il niente sul fondo credendo di averlo già raggiunto con la nostra staticità, quando sarebbe molto più semplice salire, scendendo, dove la tranquillità ci riempirebbe di amore cancellando tutti i nostri punti fermi e donandoci la meraviglia dell’incertezza e della possibilità di cambiare e lasciare che intorno a noi tutto cambi, consci del fatto che non possiamo farci niente. Tristi sì, ma anche disperati purtroppo, per ciò che perderemo; contenti, ma anche felici magari, per tutto quello che avremo la possibilità di incontrare.

Ho compiuto questa divagazione psicologica solo per confermare quanto sia facile per noi rimanere inerti, continuando insistentemente a rimanere chiusi nei nostri convincimenti, quelli che ci danno sicurezza e a non accettare, di più a non ascoltare i dubbi e le teorie degli altri. Nessun tema, nessuna materia, nessun argomento sfugge alla legge dell’immutabilità ma l’uomo sa anche andare oltre se stesso a volte e come riesce a salire scendendo, allo stesso modo è capace di rendere grazie all’intelletto che gli è stato dato in dono e osa provare e il coraggio di uno è capace di dare risolutezza a molti per compiere tutti insieme quel passo verso la vita che ce la dona vera e completa, posso dunque sono. Ma difficilmente si accorge che questa non è una conquista bensì un solo piccolo passo e finisce per difenderla come assoluta, fino a che il ciclo non continuerà a ripetersi ancora e poi ancora, nel mondo che ci circonda come nella nostra semplice complicatissima vita.

Con questi presupposti è chiaro come ogni nuova visione venga sempre tacciata di eresia fino a che lentamente non diventa ortodossia e si può permettere di chiamare eresia ogni altra nuova visione che le succede e infine le succederà, perché in conclusione è questo l’itinerario naturale che stiamo esplorando. La religione non è statica, è un cammino che l’uomo sta percorrendo per arrivare fino a Dio e ci arriverà non alla fine dei tempi ma alla fine dei propri tempi, in qualsiasi momento dell’età dell’universo questi arrivino.

Certo, non tutta l’umanità sta lì a preoccuparsi quotidianamente per comprendere chi siamo, da dove veniamo e soprattutto dove andiamo, ognuno di noi affronta la propria vita con le capacità e le possibilità che questa gli ha messo a disposizione e ogni tanto, magari quando accade qualcosa di sgradevole e più è vicino a noi più ci colpisce nel profondo, qualche domanda se la pone. Purtroppo, nel corso della nostra vita di cose sgradevoli ne accadono parecchie, anzi troppe e troppo spesso, così troppo spesso che alla fine inseriamo in questa negativa categoria qualsivoglia minuscola incertezza. È a questo punto che finalmente le domande arrivano e non da sole.

La nostra infinita precarietà e la conseguente inquietudine ci portano a dover trovare un motivo per il quale ciò che ci ha colpito stia accadendo e ancor più a definire le modalità per affrontarlo, risolverlo ed impedire che accada ancora, sotto qualsiasi veste si debba presentare. È a questo punto che finalmente arrivano le risposte. Ma le risposte non ci sono. Non c’erano per gli ignoranti uomini delle caverne e ancora oggi non ci sono per noi, evoluti e tecnologici e non ci saranno domani. Neanche quando avremo attraversato tutto l’universo, lo avremo piegato, bucato, storpiato e sventrato. Le risposte non ci sono perché le stiamo cercando. Non ci sono e non ci saranno fino all’attimo successivo alla scomparsa dell’universo stesso, dopo non ci saranno più neppure le domande. Dopo saremo e basta. Ci affatichiamo inutilmente lungo un percorso tortuoso di cui contribuiamo ad aumentare l’inagibilità, confondendo, confutando e postulando, incapaci di lasciarci andare. Allora lasciamo che la corrente ci trascini via per condurci alla nostra destinazione definitiva.

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Secondo gli studi effettuati negli anni da antropologi, archeologi e storici l’umanità, ovvero la nostra capacità senziente, sarebbe apparsa circa cinque milioni di anni fa lungo la Rift Valley Africana e molto molto lentamente avrebbe cominciato ad evolversi, manifestando talvolta improvvisi incrementi, per poi riprendere la lenta evoluzione con qualche ricaduta causata dalle trasformazioni climatiche e geologiche del territorio circostante. Indicativamente intorno a duecentomila anni fa sarebbero cominciate delle migrazioni, che avrebbero disseminato la presenza umana per tutto il mondo, in un girovagare infinito e ricorrente che si sarebbe arrestato più o meno due tremila anni fa, dopo aver seminato l’intero pianeta e dato luogo a incontri e scontri che hanno infine contribuito a stabilizzare questa corrente umana defluita per l’intero pianeta. Una corrente umana che attraverso la terra si è diffusa sulla terra. Come un fiume che dalla sua sorgente ha attraversato bellamente la foce, riversandosi nell’oceano, un oceano dove tutto si è mischiato, confuso, confutato. E in quell’oceano ci siamo persi, smarriti, disconosciuti fino a porci delle domande, chi siamo, da dove veniamo e soprattutto dove stiamo andando?

Papa Benedetto XVI il 29 novembre 2009 ha affermato che siamo tutti figli di Dio, anche se non tutti siamo Cristiani. Parole meravigliose se estrapolate dal contesto mondiale della guerra religiosa in atto. Il messaggio per i Cristiani è: noi siamo nel giusto e gli altri non lo sanno. Quello per gli Ebrei è: non odiateci e non temeteci in fondo siamo tutti fratelli. Quello per Indù e Buddisti è: vogliamo tutti lo stesso amore per lo stesso Dio, aiutateci nella lotta contro l’Islam. Infine, quello per l’Islam è: non ci sono vergini ad attendervi nell’aldilà, troverete nuovamente noi e là saremo tutti fratelli, allora amateci anche in questa vita e condividetela pacificamente con noi.

Papa Benedetto XVI il 29 novembre 2009 ha affermato che siamo tutti figli di Dio, anche se non tutti siamo Cristiani. E ha detto la verità, anche se questo non comporta l’essere nel giusto. Siamo tutti figli dello stesso Dio e anche se ancora non lo sappiamo stiamo tutti cercando, a volte invano, di tornare a Lui.

Di quell’oceano siamo i quark dei quark, a volte ci riuniamo in un atomo, a volte riusciamo a formare una molecola d’acqua, una goccia, un’onda che si tramuta in effimera schiuma sollevata dal vento. Ma da quell’oceano stiamo risalendo verso la nostra sorgente, abbiamo cominciato circa cinque milioni di anni fa e non smetteremo fino a che non saremo tornati, tutti.

Siamo fluiti in questo immenso mare di pensieri, parole e ideologie postulando ognuno la propria teoria in risposta alle domande. Abbiamo lasciato la Rift Valley in cerca di spazi e forse anche di risposte e in questo lungo migrare abbiamo lasciato un po’ di noi sparso per ogni dove, la valle del Nilo, la Mesopotamia, gli altipiani dell’Asia, osando l’estremo oriente, l’Oceania e le Americhe. Siamo tornati in Europa per poi continuare a rincorrerci per ogni dove, dall’oriente all’occidente, dal nord al sud e viceversa e poi come in una canzone di Vecchioni “Ed il più grande conquistò nazione dopo nazione e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione perchè più in là non si poteva conquistare niente e tanta strada per vedere un sole disperato e sempre uguale e sempre come quando era partito” e solo a quel momento abbiamo potuto accettare l’ineluttabile, non è il mondo la nostra conquista, siamo destinati a qualcosa di più.

Così l’Amore è entrato definitivamente in noi. E noi da allora abbiamo continuato a fare di tutto per combatterlo, perdendo naturalmente, grazie a Dio.

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Le migrazioni dei nostri antenati hanno segnato l’avanzare della civiltà, la quale ha poi continuato a svilupparsi all’interno di ogni regione in modo autonomo. Qualcuno ha inventato la ruota, altri l’hanno conosciuta solo millenni più tardi, alcuni popoli hanno eretto migliaia di anni fa monumenti oggi irrealizzabili, altri vivono ancora nelle capanne e anche se la globalizzazione incipiente sta tentando di esportare lentamente un modus vivendi parificato in ogni parte del globo, le diverse culture rimangono arroccate ognuna sulle proprie posizioni, acquisendo di buon grado tutti quelli che sono i miglioramenti tecnologici ma conservando gelosamente i propri usi, le consuetudini, le pratiche e le tradizioni vecchie di millenni. Non riusciamo proprio a cambiare, ad abbandonare la nostra piccola certezza, quello spiraglio di sicurezza che ci fa sentire liberi ma al contempo ci rende schiavi dell’incognito in cui in realtà viviamo. Le barriere religiose poi sono le più difficili da abbattere, si ergono su millenni di scritti, di dogmi, di ritualità, di superstizioni, di magia e di orrori compiuti e subiti. Si perpetuano ancora vendette per fatti commessi centinaia di anni fa, si cercano indizi per screditare le confessioni altrui, si soffocano le grida di coloro che chiedono aiuto perché professano un credo diverso dal nostro.

La religione, Dio, il nostro più grande alibi per efferatezze e prevaricazioni che affermiamo derivanti per diritto, proprio dalla nostra fede mentre invece la discreditano nella maniera più terrificante e assoluta proprio dinanzi a quel Dio in nome del quale infedelmente le attuiamo. Le barriere religiose sono le più alte costruite dall’uomo e le abbiamo dovute innalzare così tanto proprio perché non esistono. Non ci sono differenze fra le varie religioni se non quelle che vogliamo vedere o quelle che vorremmo vedessero gli altri. Dio è unico e solo ed è lo stesso per tutti. Dio è Marte, non perché ci faccia vincere la guerra ma perché, nel nostro intimo, ci possa far accettare con forza, quindi con Amore, la battaglia che stiamo compiendo. Dio è Osiride, non per sconfiggere la morte ma per Amarla ed essere capaci di affrontarla. Dio è Gesù, non per la Sua incarnazione ma per il Perdono, quindi l’Amore, che è venuto a dimostrarci. Dio è Allah, non per prostrarsi dinanzi a Lui ma per amare in Lui. Anche chi non crede, crede, ehh… se crede, atei, miscredenti, adoratori di satana, adoratori della droga, adoratori del denaro e del potere, tutti credono, credono fermamente di non credere o nella non esistenza di Dio né di un dio. Credono. Eccome se credono ma non in quello che credono loro. Una statistica mai effettuata su qualche decina di miliardi di esseri passati su questa terra dimostra nella maniera più assoluta che l’attimo prima della nostra morte tutti abbiamo creduto, crediamo e crederemo. In qualunque modo lo si sia fatto, lo si faccia o lo si farà. Con la paura, la speranza, la rassegnazione, la fiducia, anche con l’odio, ognuno di questi sentimenti o qualunque altro si possa provare è la chiara dimostrazione della nostra fede intima, segreta, nascosta alla nostra ragione. Perché Dio è in noi anche se noi non lo vogliamo. Tutti alla fine o infine abbiamo fede in un unico e solo Dio. Con la paura di soffrire l’inferno, con la speranza di una pace eterna, con la rassegnazione alla sorte che ci toccherà, con la fiducia del Paradiso d’Amore che ci attende, con l’odio per la vita che ci abbandona. Odiare Dio vuol dire credere che ci sia, vuol dire credere in Dio anche se lo odiamo. Odiare vuol dire volere il male di qualcuno, questo implica che quel qualcuno abbia il bene e noi lo vogliamo, vogliamo il suo bene per noi, vogliamo che lui non l’abbia e noi sì e questa mi sembra la più semplice e fantastica dimostrazione che chi odia vuole il bene, l’Amore, considerando che si vuole solo ciò che si ama, chi odia chiaramente Ama. Anche l’egoista più egoista che possa esistere non avrà mai niente e continuerà ad accrescere il suo egoismo e il suo odio carico di invidia se non avrà l’Amore, solo allora potrà sentire di avere tutto. Se vedendo una persona che non ha niente, non fa niente, non otterrà niente, la odiassi, vuol dire che questo niente è in realtà qualcosa che mi porta ad odiare il fatto che lui ce l’abbia e io no, perché quel niente diventa a quel punto il tutto che io vorrei avere e che non ho. Allora se sono capace di odio vuol dire che la controparte è capace di Amore, per cui il niente è Amore per il solo fatto che non si manifesta per compiere del male, anzi è niente non si manifesta neppure, anzi è tutto perché è capace di stimolare il mio desiderio di raggiungerlo, è tutto perché senza di esso non riesco a sentirmi vivo e vero. Uccido perché non ho Amore, rubo perché non ho ricevuto Amore, amo perché amando ricevo Amore, da me stesso, ovvero da Dio. L’Amore è Tutto, l’Amore è Niente. Questo è Dio, è Amore. Ed è quello che tutti stiamo cercando, è la risposta a tutte le nostre domande. Chi siamo? Amore. Da dove veniamo? Dall’Amore. E soprattutto dove stiamo andando? Nell’Amore.

Le migrazioni dei nostri antenati hanno segnato l’avanzare della civiltà in un percorso tortuoso che ci sta lentamente rivelando le risposte. Il cammino è cominciato milioni di anni fa nella Rift Valley per approdare lungo le coste del Nilo e nelle fertili pianure Mesopotamiche e qui il nostro bisogno di Dio si è manifestato nell’abbondanza di déi creati proprio perché infine nessuno riusciva mai a soddisfare la propria sete di conoscenza. Sono approdati sugli immensi altopiani fra il Caspio e il Pamir e qui è successo qualcosa, qui si sono concentrati i popoli provenienti da ogni dove e sono stati illuminati, qui Dio si è manifestato nella sua più alta purezza. 8000, 1500, 500 a.c.? Che importanza ha, datare Zarathushtra, che importanza ha, determinare la sua reale esistenza. Non è l’uomo che ha appreso e divulgato l’essenza di Dio, sono gli uomini che hanno accettato che questa essenza si impadronisse di loro e ne facesse strumento di evangelizzazione. L’uomo Zarathushtra è soltanto il simbolo della nostra crescita spirituale, è l’individuazione dell’esistenza del bene e di quella del male, sono il Paradiso e l’inferno. Sono l’Amare e, non l’odiare ma il semplice non Amare.

Questo è il momento che ognuno di noi avrebbe voluto vivere, la manifestazione della Gloria di Dio, la rivelazione, l’Apocalisse, la conoscenza, la Gnosi. Un’apoteosi di sensazioni tali da sconvolgerci e frammentarci per poi riunirci in Lui. Ma questo è proprio ciò che viviamo ogni giorno, solo che non lo sappiamo. La manifestazione di Dio come la vorremmo, anche solo per credere veramente, la potremo vedere solo nei nostri intimi ultimi giorni, quando lavati da ogni residuo umano saremo in Lui di nuovo incontaminata essenza che ha vinto l’Amore sconfiggendo il non Amore. Su quegli altopiani asiatici millenni fa l’uomo ha acceso in se una luce che lentamente sta sempre più illuminando il mondo, travalicando le guerre, le angherie e i soprusi umani per portarci alla Misericordia e all’Amore di Dio. Non so cosa possa essere mai accaduto ma deve essere stato estremamente doloroso per l’egoismo, per la sete di potere, per l’invidia, la rabbia e il male tutto, perché queste forze di intolleranza da allora lottano con ogni loro energia per impedire all’umanità di sublimarsi nel puro e semplice Amore. Insinuando in ognuno di noi ogni sorta di aridità dei sentimenti al fine di farci credere che solo con la supremazia, con la grandezza, con l’imposizione, potremmo infine arrivare alla sola ed unica verità, noi siamo dio. La realtà invece è disarmante e semplice, noi siamo Dio e Dio è in noi, nella misura in cui lasciamo che il nostro Amore sia, ma non solo, noi siamo Dio e Dio è in noi anche quando diventassimo integralmente odio, rimarremmo sempre e soltanto di Dio, perché Dio è in noi e noi siamo Dio. Anche nella più infima delle miserie umane l’Amore non ci abbandonerebbe mai, perché non potremmo mai odiare di odiare e per questo anche il più inconsistente degli appagamenti diverrebbe manifestazione di Amore, manifestazione di Dio, di Dio in noi. Anche il più sanguinario degli aguzzini leccando il sangue cavato dalle sue vittime proverà soddisfazione e quindi Amore per ciò che sta compiendo, per quanto aberrante e disumano possa essere. Il seme è dentro di noi indiscutibilmente siamo noi che ci rifiutiamo di lasciare che questo possa germogliarci all’Amore. Sfido chiunque a trovare una persona cattiva, della più perfida cattiveria si possa esternare che non si sia adagiata a questo agire, consciamente o inconsciamente, per la sua sola propria realizzazione. E questo cari miei è dichiaratamente Amore, Amore che non ha saputo, voluto o potuto rivelare la sua chiara destinazione, capace di portare alle più tristi conseguenze questa stessa persona e tutti coloro che si troveranno sul suo cammino, materiale e spirituale, ma l’Amore deve solo manifestarsi, non deve per forza glorificarci, l’Amore è vivo, vero e pulsante anche nelle più immani tragedie, anche nei dolori più atroci, anche nelle efferatezze più degeneranti.

Non provate forse amore guardando gli occhi dei bimbi malnutriti d’Africa?

L’Amore si manifesta, non ha canoni, l’Amore semplicemente è.

“In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv 1, 1)

“Io sono colui che sono” (Es 3, 14)

Dio è colui che È. 

LA MAPPA DELLE MIGRAZIONI

Le migrazioni dei nostri antenati hanno segnato l’avanzare della civiltà in un percorso tortuoso che ci sta lentamente rivelando le risposte. Il cammino per la conquista del mondo è cominciato milioni di anni fa nella Rift Valley. Inizialmente ha seguito la via naturale più semplice seguendo il corso del Nilo lungo le cui coste sono sorti i primi protoagglomerati urbani, una, due capanne forse qualcuna in più, uno spuntone di roccia come riparo ma anche gli spazi più ampi sono sempre una prigione e allora bisogna continuare a cercare, senza neppure sapere esattamente cosa. Passano gli anni e i secoli e intanto approdiamo sulle fertili pianure Mesopotamiche, nel frattempo sono cambiate le nostre abitudini, usiamo le armi, alleviamo animali ed abbiamo imparato a coltivare le piante, le risorse non sono più occasionali, adesso siamo in grado non solo di procacciarci il cibo di cui abbiamo bisogno ma anche di produrlo. Non è più necessario spostarsi di continuo rincorrendo le fonti di sussistenza ma è possibile finalmente fermarsi e conoscere le opportunità di una vita stanziale. Il cibo rimane il bisogno primario, lo si caccia, lo si alleva e lo si coltiva. Il tempo inizia a lasciare piccoli spazi per ognuno di noi dandoci infine la possibilità di cominciare anche a godere dell’esistenza di ciò che ci circonda e soprattutto della nostra. Guardiamo il sole, la luna, tutto quello che cambia intorno a noi e non riusciamo a capirlo a dargli una spiegazione. Avremo ancora molto da camminare, anche restando fermi. Il nostro lungo peregrinare continua e ci porta sugli immensi altopiani fra il Caspio e il Pamir e qui è successo qualcosa, qui si sono condensati i saperi e gli umori dei popoli in migrazione e di quelli che tornavano dopo secoli, provenienti da ogni dove. Qui nasce una nuova idea di Dio, un concetto che va oltre il temerLo ma concede finalmente la possibilità di interloquire con Lui, fargli richieste e manifestargli la nostra fedeltà. Questa innovazione è così esplosiva che si diffonde di rimando per ogni dove, in ogni luogo che ha già conosciuto l’uomo e in quelli in cui ancora ci riverseremo.

Da qui e attraverso questo illimitato qui, hanno origine tutte le nuove migrazioni che ci porteranno in ogni angolo di questo grande piccolo mondo. Verso l’India e l’estremo oriente, l’Oceania, l’estremo nord e da qui ridiscendere fino all’estremo sud attraversando tutte le Americhe. Di nuovo verso la Mesopotamia e verso il Nilo per ritrovare le antiche e perdute origini dell’Africa. A ovest verso l’Europa girando intorno al Mediterraneo o agli Urali e da qui ripartire per ogni dove in un interscambio che si fa sempre più fitto, importante e pericoloso. Guerre su guerre, stermini, soprusi combattuti per vanagloria, per fame, per egoismo e col passare del tempo sempre più in nome di un dio che non sentiamo veramente nostro e di cui approfittiamo soltanto come alibi per la nostra inutile sete di potere e ricchezza, eterea, diafana, effimera, ogni volta annientata da quel nemico che con tutto questo crediamo di esorcizzare e combattere ma che non riusciremo mai a sconfiggere, quel nemico che silenzioso arriva ogni volta a decretare la nostra eterna, continua sconfitta mondana la nostra maledetta, stramaledetta, esecrabile, dannata, terribile, tremenda, intollerabile, una volta per tutte benarrivata, odiosa morte. Quella morte che a doppio nodo siamo riusciti a legare al nostro incontro con Dio, al nostro dipendere da Dio, al nostro divenire in Dio, Lui in noi, noi finalmente in Lui, di nuovo in Lui, indissolubile ritorno alla nostra sorgente, il principio e la fine, la nostra Genesi, Il da cui e verso cui, Il chi siamo, Il da dove veniamo, Il dove andiamo e soprattutto infine e per sempre Il perché.

L'UMANITA' EMIGRA

Le migrazioni dei nostri antenati hanno segnato l’avanzare della civiltà in un percorso tortuoso che ci sta lentamente rivelando le risposte. Il cammino per la conquista del mondo è cominciato milioni di anni fa nella Rift Valley per espandersi verso il Nilo, la Mesopotamia, l’Asia, il Mediterraneo. A questo punto però oltre a dare un senso cronologico a tutto questo, diventa necessario dargli anche un senso geografico culturale evolutivo e qui devo dare una svolta alla mia esplorazione per poter seguire la corrente che ci porterà ai nostri giorni. Il nastro si riavvolge e torna al punto di partenza, quel fulcro speciale da dove tutto ha avuto inizio, sugli altipiani fra Caspio e Pamir da dove l’Amore per Dio e di Dio si è diffuso in andata e ritorno per tutto il pianeta. Da questi luoghi hanno origine tutte le odierne civiltà occidentali e quelle orientali, da qui provengono i nostri antenati, partiti migliaia di anni fa nel loro lungo migrare, lungo e ripetuto, ondate su ondate di popoli che si sono sostituiti, sommati, aggregati gli uni agli altri fino a dare origine alle odierne nazioni. Di questi prenderò in esame i più importanti, quelli che maggiormente e fondamentalmente hanno inciso sulle nostre essenze, quelli che ci hanno fatto diventare ciò che siamo oggi, quelli la cui sostanza si è miscelata alle culture mediterranee greca e romana confondendosi ancora di più in quell’Ellenismo globale che va oltre ogni tempo e ogni confine, Celti, Germani e slavi. Affronterò poi la linfa pura e immutata travasatasi nell’Induismo e apertasi poi nel Jainismo, nel Buddismo e nello Scintoismo. Per dovere di comprensione prenderò poi in esame prima i culti Greci, Ellenistici, Etruschi e Romani per approdare infine alle tre grandi religioni monoteistiche figlie di Abramo; l’Ebraismo, la rivelazione tormentata; il Cristianesimo, la comprensione minacciata; e l’Islam, la perfezione alterata. Fluiremo insieme lungo la corrente che dall’oceano in cui siamo ancora immersi sta riportando i mille rivoli lentamente e infinitamente verso la sorgente che ci ha disseminato nel mondo, verso la nostra pura sostanza in Dio.