EGITTO
EGITTO

L’ALTOPIANO DI GIZA; LE PIRAMIDI DI CHEOPE, CHEFREN E MICERINO

EGITTO

5000 A.C. – 30 A.C.

Non è stato facile stabilire da dove iniziare, il Neolitico è un periodo meraviglioso durante il quale ovunque nel mondo l’uomo comincia a diventare stanziale, a coltivare e a sviluppare la socialità con i commerci e gli scambi di cultura e di conoscenza. La sedentarietà favorisce l’opportunità di sviluppare gli embrioni di fedi e religioni grazie alla possibilità di avere luoghi e momenti ad esse appositamente dedicati. I primi stregoni e sciamani affinano i riti ottenendo sempre più potere e spesso divengono capi della tribù o loro diretti consiglieri. Poi, come spesso accade nella nostra meravigliosa storia, nelle più sperdute località del mondo, a distanze incommensurabili per quei tempi, nasce un nuovo modo di esprimersi e di comunicare, la scrittura. Dapprima con semplici immagini che riflettono direttamente il soggetto della comunicazione, poi con segni, diversi in ogni parte del mondo, che interpretano i suoni della parola orale. Questi segni o simboli si affinano sempre di più, sono sempre più complicati e di conseguenza sempre più riservati ai pochi che li sanno interpretare, tanto che ancora per quasi altri cinquemila anni, la tradizione orale sarà comunque il metodo più diffuso per la divulgazione delle culture. Quello che però è più importante è che quei segni, lasciati sulla roccia, sui papiri o sulla carta migliaia di anni fa è giunto fino a noi senza poter essere cambiato o modificato in alcun modo, facendoci conoscere da vicino le civiltà che ci hanno preceduto. Fra queste la cultura Egizia è una di quelle che per prima ha cominciato ad utilizzare questo nuovo metodo di comunicazione e certamente quella che ne ha fatto un utilizzo più ragguardevole, avendo inoltre la fortuna, per noi, di farne arrivare fino a oggi una quantità superiore forse a tutte le altre messe assieme. Sicuramente la civiltà Mesopotamica ha altrettanti illustri natali e soprattutto illustrissimi ed attuali eredi ma vuoi per la sua originalità che per la sua magnificenza, ho deciso di concedere alla cultura e alla religione Egizia il privilegio di essere la prima meta del mio lungo cammino fino a Dio. All’inizio dell’epoca storica, che si stabilisce appunto con l’avvento della scrittura e quindi con una relativa certezza dei fatti, l’alfabetismo era un privilegio di pochi, per cui la maggior parte dei documenti scritti, dai papiri alle stele, che sono giunte fino a noi riguardano comunicazioni di ambito politico, giuridico e religioso, spesso per quei tempi coincidenti con la stessa autorità emanatrice. Proprio per questo possiamo stabilire con sufficiente sicurezza quelle che erano le pratiche religiose e quanto il potere centrale vi fosse strettamente legato, anzi di più, quanto il sovrano del momento ne facesse un uso promiscuo a favore della nazione o peggio a proprio uso e consumo. In questo dobbiamo dire che gli egiziani ne sono stati i più alti esponenti, anche se solo nelle prime quattro dinastie il re era ufficialmente divinizzato rappresentando il dio in terra, per tremila anni i reggenti sono stati, quando più quando meno, identificati come manifestazione del dio o come sua diretta discendenza e di conseguenza come tali adorati.

La storia dell’Egitto affonda le sue origini nelle comunità stanziali che già prima del 5000 a.c. occupavano la fertile striscia di terra lungo il corso del Nilo. Il fiume da sempre è stato interpretato come dio o come dono divino e l’acqua ricca di limo lasciata sul terreno dopo ogni inondazione come un premio per la fedeltà dei popoli. I primi accenni di nazione ci portano fino al 3185 a.c., l’Egitto era diviso in due parti quella a nord, rappresentata dal delta del fiume era denominata Basso Egitto, sia perché a valle della sorgente che in quanto completamente pianeggiante, l’altra, rappresentata dal corso del fiume fino ai confini meridionali con la Nubia, abitata da genti dalla pelle nera, era chiamata l’Alto Egitto, sia perché all’inizio del corso del fiume come allora conosciuto sia in quanto recante la presenza di montagne, quindi un terreno più alto. Affidandoci alle indicazioni di Manetone, viene convenzionalmente stabilito nel 3185 a.c. l’anno in cui Menes, un re dell’Alto Egitto, riesce con la forza e con un’oculata politica a sottomettere l’intera regione, unificandola per la prima volta e attribuendosi le corone dell’Alto e del Basso Egitto fuse in una nuova corona che ne rappresenta l’integrità. L’importanza di questa corona è attestata dal fatto che insieme all’Ankh è il più diffuso geroglifico scolpito o dipinto nei resti delle vestigia egiziane. È proprio da questo periodo che si manifesta l’uso della prima scrittura geroglifica.

Manetone era uno storico ed un sacerdote del culto di Serapide durante il regno di Tolomeo I all’inizio del III secolo a.c.. Scrisse la storia dei re e degli eventi più importanti dell'Egitto, a cui dette il titolo Aigyptiaká, andata completamente perduta ma di cui ci sono giunti frammenti molto interessanti trasposti nelle opere dello storico romano di origine giudea Giuseppe Flavio oltre a quelle di Sesto Africano ed Eusebio di Cesarea.

Il segretario personale del Patriarca Bizantino Tarasio, Giorgio Sincello, monaco e storico vissuto dal 761 al 846 redasse la storia dell’umanità dalla creazione ai suoi tempi ed inserì nella sua opera la lista dei sovrani dell'Antico Egitto, suddivisi in trenta diverse dinastie contraddistinte da tangibili cambiamenti nella politica e nel culto egiziano. Questo elenco è basato sulle opere di Sesto Africano ed Eusebio e quindi risalendo alle fonti originali, sulla storia dell’Egitto di Manetone, direttamente tratta dai documenti conservati negli archivi dei templi egizi. Per questo oggi a tutti gli effetti e con buon diritto di Manetone, ci si basa su questo elenco dandogliene il meritato riconoscimento.

Pur lunga tremila anni e costellata da invasioni, rivoluzioni, eresie cultuali, la storia dell’Egitto è una lenta ma costante e determinata evoluzione culturale che non conosce ostacoli, accompagnata da una strabiliante e feconda evoluzione religiosa. Il pantheon si arricchisce nel tempo e a seconda dei momenti attribuisce maggiori o minori meriti ai vari déi, pur conservando intatti alcuni fondamenti alla base della teologia originaria. Molti déi andranno dall’altare alla polvere ma nessuno mai spodesterà i grandi miti delle origini: Ra, Ptah, Osiride, Iside, Horus.

La mitologia egiziana affonda le proprie radici nella sensazione di disagio comune a tutta l’umanità dalla prima stilla di intelligenza fino ad oggi. Le domande come sempre sono le stesse, chi, come e perché. Ogni civiltà è stata chiaramente influenzata dall’ambiente che la circondava e questo non è stato certamente diverso per quella Egiziana. Per la sua particolare collocazione geografica la cultura Egizia, ancor di più delle altre che più o meno nello stesso momento fiorivano in giro per il mondo, ha sentito di poter identificare nel sole e nel suo viaggio quotidiano, il demiurgo artefice della creazione dell’universo. Nel politeismo eclettico dell’Egitto questi è visto in modo diverso nelle varie regioni che compongono la nazione ma in linea generale è identificato in modo assoluto in Ra, o meglio in Aton-Ra. Dove Aton è visto più come il dio creatore che assiste dall’alto della propria potenza e Ra il dio che mantiene i rapporti con l’umanità, non direttamente ma nella sua manifestazione di Amon-Ra. Con eccezione del periodo cosiddetto eretico del faraone Amenoteph IV rinominatosi Aken-Aton, che piace ad Aton, il dio creatore pur ossequiato e rispettato non viene mai chiamato direttamente in causa nelle cerimonie e nei culti.

In principio era il caos e il caos era cosa negativa. Aton-Ra preesisteva al caos primordiale e ne decretò la fine perché, come è scritto nei Testi delle Piramidi il caos era “quando il cielo ancora non esisteva, quando la terra non esisteva, quando nulla esisteva che fosse stabilito”. Un’affermazione che non può fare a meno di evocare una sensazione di disagio, di perdizione, di smarrimento cosmico in cui non si può intravedere alcun tipo di salvezza, niente va come deve andare anzi di più niente va e Aton-Ra mette fine a questo caos stabilendo che tutto possa andare, anzi di più, che tutto vada. Mette ordine nel caos universale creando il Maat, l’equilibrio e finalmente da questo ordine possono emergere tutte le qualità che porteranno alla vera e propria creazione della terra e degli uomini che con gli déi, opereranno per il mantenimento del Maat. L’equilibrio è il termine assoluto che permette l’esistenza del tutto, trasgredire alle leggi divine significa ostacolare il Maat, per questo si deve essere puniti, chi commette peccato deve essere fermato perché il male che ne deriva sconvolgerebbe l’equilibrio e il Maat ne uscirebbe distrutto crollando su se stesso e portando con se tutto quello che è il mondo, gli uomini, gli déi e il creatore universale lasciando che il caos prenda di nuovo il sopravvento fino a generare il nulla assoluto, l’assenza del tutto, l’incomprensibile e inaccettabile, il mai ma ancora di più e peggio, il mai stato. In realtà proprio questa profonda convinzione porta al controsenso del fondamento della religione Egizia. Il giudizio che si tiene durante la cerimonia della pesatura del cuore, psicostasia, diviene ben presto una farsa. Osiride presiede al rito quale giudice sovrano del regno dei morti in attesa di conoscere le sorti del deceduto che si presenta al suo cospetto, Thot è vicino alla bilancia con gli strumenti dello scriba pronto a suggellare il risultato della pesa, Anubi conduce il defunto di fronte alla sua giuria e a questo punto il suo cuore viene pesato, se sarà più pesante della piuma, l’attributo del Maat, verrà ingurgitato dalla grande divoratrice in agguato ai piedi della bilancia, se rimarrà in equilibrio entrerà nel regno dei morti. Ma proprio il mantenimento del Maat dimostra il fatto che il peccato viene perdonato e ancora di più, nemmeno gli déi cosiddetti cattivi, possono niente contro l’apice del Pantheon Egizio, se mai dovessero avere il sopravvento l’equilibrio sarebbe violato e il mondo finirebbe di esistere. Questo chiaramente mette in crisi l’intero apparato teologico e ancor di più quello sacerdotale, fino al ricorso ad un escamotage che rende possibile il passaggio incolumi della pesatura e frustra l’autorità del giudizio degli déi. Dai Testi delle Piramidi di più antica redazione si evidenzia il fatto che soltanto il re poteva essere sottoposto a questo giudizio e in questo caso poteva ancora essere concepibile il mantenimento del Maat. Il faraone è una persona grande, un figlio degli déi se non un dio esso stesso, per cui può essere ritenuto accettabile che non abbia commesso peccato, anzi proprio la sua figura gli impedisce di compierne. Con il passare del tempo però sono sempre di più i nobili e i potenti che si arrogano il diritto di accesso al regno dei morti, ma per questi non sussiste alcuna particolarità che li renda immuni dal compiere peccati, non resta altro che trovare un modo per ottenere una giustificazione davanti al tribunale. Le pratiche per ottenere questo stato di grazia sono molteplici e più o meno ufficiali ma tutte passavano comunque attraverso la pratica dell’antitesi della religione, la magia. Il morto porta con se uno scarabeo su cui è inciso il testo di una formula magica e questo impedirebbe l’inclinarsi del piatto della bilancia. La superstizione, dilagante in tutto l’Egitto fra il popolino, escluso dalle pratiche religiose ma anche fra le alte cariche, prende così il sopravvento su una religione che nonostante tutto alla fine è più propaganda che culto.

Dopo aver determinato la possibilità di salvezza per tutti ritorniamo indietro nel tempo cosmico per riprendere il corso della creazione. Quella operata da Aton-Ra non è la vera e proprio creazione del mondo, l’atto del dio è quello di creare, eliminando il caos primordiale, i presupposti per i quali l’equilibrio possa cominciare ad operare. È a questo punto che entrano in scena Ptah e Khnum. Il dio artigiano della città di Menfi crea materialmente il mondo, come i vasai con l’argilla modella il nostro pianeta dandogli una forma e una sostanza, la parte meravigliosa e forse più religiosa è che non lo fa con le mani ma con la lingua e con il cuore, ovvero con la parola e visto che proviene dal cuore direi una parola d’amore. Beh, perdonatemi ma mi verrebbe da dire “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv 1, 1) e chissà se questa particolarità non abbia influenzato i sensi della nascente religione ebraica. Il mondo è pronto ed esistente, lì davanti agli occhi di Aton-Ra e a questo punto non rimane che dare un senso alla domanda perché? L’equilibrio ha la necessità di dare conferma di sé oltre al fatto stesso di esistere, che di fronte al nulla è come se non ci fosse. Il Maat deve essere provato, cercato, travisato e violato per dare prova della sua stessa presenza, della sua infinità ineluttabilità, per vincere una volta per tutte sul caos che è stato sconfitto ma che continua ad esistere per il solo fatto che è presente l’equilibrio. Il Maat deve continuare a vincere fino a determinare l’assoluta inutilità del caos. Sull’opera di Ptah intervengono allora Shu e Tefnut, il primo separa la terra dal cielo creando in mezzo un vuoto che viene riempito dalla seconda la quale dona al mondo l’umidità alla base della vita. Finalmente è il momento di Khnum, anche lui considerato come un artigiano alla ruota del vasaio o, in altri momenti e in luoghi diversi dell’Egitto, ancora Ptah, che dal fango del mondo modellano i corpi degli uomini che lo popoleranno, cloro che con il loro agire saranno l’ago della bilancia nella guerra a distanza fra il Maat e il caos. La stessa bilancia su cui verranno pesati i loro cuori dopo aver superato la grande prova della vita. A coloro i quali avranno contribuito alla supremazia del Maat sarà donata la vita nel paradiso delle canne, i possessori dei cuori pesanti, ricolmi dei loro peccati, saranno puniti e dati in pasto ad Ammit e questo ne decreterà l’inesistenza assoluta, la peggiore punizione che un egiziano possa mai temere. L‘eternità in fondo è una sottile linea rossa che unisce tutte le religioni di tutti i tempi. L’uomo non è mai riuscito a capire l’utilità della vita in questo mondo e forse mai ci riuscirà, non è facile comprendere quale sia la nostra parte e in base a quali leggi o a quale copione debba essere portata avanti. Ci deve essere un motivo per il quale il nostro comportamento è diverso da quello degli animali, se il nostro intelletto ci rende capaci di comprendere la portata delle nostre azioni e ci dà allo stesso tempo la possibilità di decidere del loro compimento. Un leone che sbrana un’antilope deve soltanto soddisfare un suo bisogno di cui non ha coscienza e certamente non comprende che questo atto provoca la cessazione della vita dell’antilope e la continuazione della sua. Per noi invece è diverso, noi sappiamo che ogni nostra azione modifica tutto ciò che ci circonda, che uno schiaffo provoca dolore nel volto dell’altro ma non solo, fa nascere in chi l’ha ricevuto odio nei nostri confronti e desiderio di vendetta. È a questo punto che perdiamo il nostro orientamento, perché se non ci fosse un scopo in tutto questo, allora la nostra intelligenza non avrebbe motivo di esistere, ma se esiste allora deve esserci necessariamente uno scopo e se questa finalità non è visibile ai nostri occhi e al nostro pensiero e ancora di più, se la morte improvvisamente e inaspettatamente mette fine a tutte le nostre azioni, che scopo hanno mai avuto queste? Per cui se esse stesse oggi sono state compiute debbono assolutamente aver avuto un fine di cui non conosciamo né il modo né il tempo in cui si manifesterà e non solo, noi dovremmo certamente essere presenti in quel luogo, in quel tempo ed essere partecipi delle conseguenze finali delle nostre azioni e di tutte quelle degli altri, per questo l’Egiziano deve continuare a esiste nell’aldilà, perché altrimenti sarebbe come se non ci fosse mai stato, come se il Maat non esistesse, come se niente di quello che sta accadendo avesse senso e di conseguenza realmente fosse e fosse mai stato, ancora una volta la negazione del tutto e la inconcepibile esistenza dell’inesistenza. Che senso avrebbe tutto questo se dopo che io sarò morto tutto questo per me fosse come se io non fossi mai esistito, come se niente fosse mai esistito? Tutto ciò non può essere accettato, quindi si deve nella maniera più assoluta e con ogni mezzo oltrepassare la prova ed accedere al Paradiso. Per questo gli déi accettano l’uso della magia per superare la prova della pesatura, perché comunque l’uomo è consapevole dei peccati che ha commesso e dal momento che la potenza degli déi, traslitterabile nel potere del faraone, non comprende il perdono, l’unico modo per guadagnarsi il Paradiso è quello di negare ogni addebito, quanto basta per determinare l’assoluta importanza del Maat e la sua necessità. Il morto si trova di fronte alle quarantadue divinità del tribunale divino alle quali reciterà la propria confessione negativa consistente nell’affermare di non aver compiuto un certo tipo di atti, dal non aver spento un fuoco al non aver bestemmiato il dio, così come riportato nel Libro dei Morti. Dopo aver recitato le negazioni necessarie il defunto viene finalmente portato al cospetto di Osiride, qui sotto gli occhi attenti di Thot poserà sulla bilancia il proprio amuleto in rappresentanza del cuore e sull’altro piatto Maat lascerà cadere la sua piuma. Un lieve ondeggiare e poi l’asta si fermerà in perfetto equilibrio aprendo al neorisorto le porte del paradiso delle canne, mentre Ammit dovrà ancora una volta rinunciare al proprio pasto.

Fra le tante popolazioni che per migrazione o per schiavitù dovuta ad una sconfitta militare, popolano l’Egitto faraonico, la più conosciuta e probabilmente anche la più numerosa e quella Ebrea. Un popolo ancora alla ricerca della propria dimensione ma che sulle rive del Nilo ha potuto consolidare la sua idea di nazione e conformare un’ideologia cultuale che fosse il più lontano possibile dalla corruttissima religione Egiziana. Forse è proprio in questi frangenti che si consolida per il popolo Ebreo l’idea di un Dio intransigente e vendicativo in piena antitesi con la scaramantica schiera di déi Egizi pronti a tuonare le peggiori sciagure ma che poi si fanno beffare da una filastrocca incisa su un pezzo di pietra. La forza del popolo Ebreo invece si dimostrerà essere proprio il timore della forza Divina, la paura di un’esistenza eterna nella Geenna e con la sua fede sconfiggerà le magie e le superstizioni guadagnandosi la libertà, anche quella di sentirsi finalmente popolo.

Pur nel suo lento deteriorarsi è indubbio che la religione Egizia sia stata grandiosa nella struttura e nelle manifestazioni e forse solo l’imponenza dell’Impero Romano potrà eguagliare i fasti delle cerimonie egiziane. Anche se ufficialmente solo durante le prime quattro dinastie il faraone è parificato ad un dio o comunque considerato sua emanazione o manifestazione almeno fino all’epoca eretica di Aken-Aton la sua figura sarà sempre attorniata da un’aura divina. Successivamente al periodo Atoniano la politica è dovuta da subito uscire allo scoperto per riprendere il potere e le redini dello stato. Faraoni come Ay e Horemheb ne sono l’immediata manifestazione, anche per la loro estrazione non nobiliare. Con la dinastia dei Ramessidi, il mito della divinità viene definitivamente a cadere e prende vita la grandiosità dell’uomo e la sua potenza e l’uso che ne viene fatto per vincere e conquistare. Con i confini in ebollizione e le grandi potenze economiche e militari alle porte sono solo e soltanto le capacità della persona alla guida del paese a mantenerlo integro e unito. Fino all’ultimo istante però la religione ma più che altro le sue usanze accompagnano il faraone nella necessità di manifestare il proprio potere assoluto. Una maschera che i faraoni dalla XXVII dinastia in poi porteranno ipocritamente addosso al solo fine di tentare di mantenere la loro autorità su un popolo sempre più provato che non sentirà alcun cambiamento fra la dominazione delle dinastie Egizie, Libiche, Sudanesi, Persiane e il dominio Romano. Nemmeno dal punto di vista religioso, saranno solo nuovi déi che si aggiungeranno o si sostituiranno ad altri come già accade da più di cinquemila anni.

Una normale e naturale evoluzione per un grande popolo che primo fra tutti non solo predicherà l’uguaglianza sociale ma la metterà in atto, sempre con le dovute eccezioni, dando la possibilità dell’ascesa sociale a chi ne avrà il coraggio, la forza e il merito nonostante una religione che appare così settaria e insormontabile. Sicuramente il collante che ha tenuto unito l’Egitto per più di cinquemila anni è la religione e il modo con cui è stata attentamente gestita dai faraoni più che dai sacerdoti, per tutto questo lungo periodo.

La grande sfida dei faraoni è stata proprio quella di riuscire a mantenere il Maat fra il potere politico e quello sacerdotale. L’errore di Aken-Aton è stato quello di credere di poterne fare a meno lasciando abbandonati i templi, sciogliendo gli ordini dei vari déi e desautorando i sacerdoti del loro potere. La grande oculatezza di Ramses II è stata invece quella di demolire il potere dei sacerdoti di Amon senza mai entrare in diretto conflitto con loro ma trasferendo la capitale da Tebe a Piramesse, l’antica Avari degli invasori Hyksos e favorendo altre divinità come Ptah e Ra. Alla sua salita al trono assume personalmente la carica di sommo sacerdote di Amon per poi lasciarla immediatamente a Nebunenef, un sacerdote di Hator a Dendera, facendo in modo che questa delega figurasse come una divinazione dell’oracolo di Amon. Durante il suo regno tutti sono soddisfatti, i sacerdoti degli déi rivalutati acquistano nuovo potere, quelli di Amon lo mantengono nella ricca regione di Tebe, il popolo vede crescere il benessere dovuto alle conquiste e la nazione raggiunge la sua massima espansione. L’Egitto si estende in questo periodo, fra il 1279 e il 1212 a.c. più o meno a meta del Nuovo Regno, dal Sudan alla Siria, ovvero dalla Nubia la cui conquista è consolidata da Ramses II, fino al regno di Mitanni con cui si contende la zona costiera e contro cui combatte la famosa battaglia di Qadesh, terminata con una sostanziale tregua ma immortalata per sempre come una straordinaria vittoria negli altorilievi del tempio che Ramses dedica a se stesso come manifestazione di Ra a imperituro monito per i popoli provenienti del sud che risalendo il Nilo si sarebbero trovati davanti il mastodontico tempio di Abu Simbel. Al termine del Nuovo Regno l’Egitto diverrà una terra di conquista per i cosiddetti “popoli del mare”, probabilmente Cretesi o Greci, per i Libici, gli Etiopici e i Persiani, fino a che non arriveranno i Romani a scolpire definitivamente la parola fine sulle pietre del potere egiziano. Ma una cosa ancora non cambierà nemmeno per questi ultimi mille anni di grande Egitto, la religione. Diviso nei poteri, con capitali che si contendono il primato fra il Delta ed il Nilo ma unito nella sua policroma religione che proprio per questa sua enorme apertura e grazie al suo immenso fascino è riuscita a catturare ogni potenza straniera sia riuscita a prendere bene o male il controllo sulla nazione. Anzi di più, proprio grazie alla cultura Romana, la religione continuerà la sua espansione oltre i confini delle coste mediterranee.

È chiaro che mai, durante tutto il periodo Egizio, i sacerdoti hanno perduto la loro influenza e quasi mai il loro potere o almeno la classe sacerdotale in generale è sempre stata al di sopra di ogni ostilità anche se sicuramente al centro di ogni contesa, eccetto certamente il periodo Atoniano. I sacerdoti ufficialmente vivono una vita separata dal popolo e dal potere, dedicandosi completamente alla cura del dio. Ogni mattina lo svegliano, lo lavano, lo rifocillano e lo preparano alla giornata e alle varie funzioni che si svolgeranno. In occasione delle feste nazionali o locali il dio viene portato fuori su un modellino di barca portato a spalla tipo lettiga, mostrato al popolo e facendolo assistere alle cerimonie a lui dedicate. A sera viene svestito e accompagnato per il riposo nel Sancta Santorum, il luogo più sacro all’interno del tempio. Il tempio è costruito proprio in funzione di questo spazio, un lungo cammino in salita dal primo pilone fino alla stanza del dio. Con le dovute varianti architettoniche imposte dalle necessità logistiche, all’importanza della città in cui si trova e al periodo storico in cui viene costruito, il tempio mantiene una struttura uniforme in tutto l’Egitto. La costruzione è completamente circondata da alte mura su cui sono rappresentate con bassorilievi le caratteristiche specifiche del dio a cui è dedicato, le storie della sua mitologia e quelle più rappresentative del faraone che ha contribuito alla costruzione, o di quelli successivi grazie a cancellazioni e abrasioni con la sostituzione del nome del re precedente con quello o quelli successivi che se ne prendevano in questo modo il merito davanti al popolo e la grazia dinanzi al dio. L’ingresso principale si trova al centro del primo pilone, il muro anteriore più esterno, vi è poi uno spazio oltre il quale il popolo non può addentrarsi, delimitato dal secondo pilone al cui interno si trova un nuovo spazio aperto da cui si accede alla sala ipostila, munifica quella di Karnak a Luxor, l’antica Tebe, un salone dall’alto soffitto sorretto da colonne su cui ancora persistono altorilievi e bassorilievi tutti vivacemente dipinti. Da qui si accede ad altre sale ipostile, più piccole e più basse in quanto il pavimento è in salita mentre l’altezza del tempio rimane sempre la stessa, su cui si affacciano le stanze di servizio al Sancta Santorum che si trova alla fine del percorso in salita, in perfetta linea retta con l’ingresso esterno. Qui si trova anche la stanza del tesoro, le dimore dei sacerdoti e il magazzino colmo delle offerte dei fedeli e delle tasse che gli stessi fedeli si vedevano assegnare con un particolarissimo metodo. Come tutte le costruzioni e le abitazioni anche i templi erano costruiti nelle vicinanze del Nilo, all’interno della striscia verde oltre la quale il deserto inghiottiva ogni possibilità di vita. Erano tutti dotati di una piccola piscina che serviva per le abluzioni dei sacerdoti e per il bagno del dio alimentata da canali provenienti direttamente dal fiume e in uno di questi canali era posizionato lo strumento per il calcolo delle tasse. Di varie forme e dimensioni, oggi le guide che accompagnano la visita ai templi lo chiamano semplicemente “nilometro”. È una sorta di pozzo graduato alimentato dalle piene del Nilo, e proprio il livello raggiunto all’interno del pozzo serviva per il calcolo delle gabelle. Se era alto significava una piena abbondante e quindi le tasse sarebbero state gravose in quanto anche i raccolti agricoli sarebbero stati altrettanto copiosi. Se il livello era basso anche le imposte sarebbero state moderate in quanto anche i raccolti avrebbero dato delle rese modeste. Le imposte andavano direttamente al tempio per il mantenimento della classe sacerdotale e per il suo smisurato arricchimento economico che chiaramente ne determinava anche l’influenza politica. Più il dio a cui il tempio era dedicato era importante a livello nazionale più offerte coatte venivano raccolte più i sacerdoti di quel dio acquistavano potere nei confronti degli altri ordini sacerdotali e del faraone stesso. La religione si consolida così come strumento di governo travalicando palesemente la fede come devozione al dio.

   IL TEMPIO DI ABU SIMBEL

Lo strumento che nella cultura Egizia è considerato il migliore per manifestarne la potenza più che la forza militare è considerato il fasto dei suoi monumenti. Il popolo egiziano cresce sulle rive del Nilo, ne è completamente dipendente e stringe con esso un legame indissolubile che lo porta a chiudersi fra i confini naturali della regione. A est il mar Rosso, a nord il mediterraneo, a ovest il deserto libico e a sud le montagne delle cateratte. Le poche conquiste espansionistiche sono volte alla ricerca di miniere nel sud verso la Nubia e solo con Ramses II riesce ad espandersi nella Palestina fino a tutta la costa libanese a est, senza peraltro mai arrivare ad effettuare una vera e propria invasione ma al massimo il controllo economico e più che altro la difesa dei propri confini consolidati, la ricchezza delle terre del Nilo è un appetitoso invito per i progetti di conquista dei popoli vicini contro i quali gli Egiziani dovranno difendersi per millenni. Gli alti costi delle opere monumentali costruite lungo il corso del fiume tolgono risorse all’apparato militare che il più delle volte deve sottomettersi sia alle scorribande dei popoli del mare che degli Hyksos, dei Persiani e degli Hittiti, fino a tracollare davanti alla potenza Romana. Da una prima visione quello Egiziano sembra un popolo tranquillo che niente altro desidera che godersi le proprie risorse e sfruttarle per il mantenimento del potere al suo interno, la grandiosità dei monumenti è si da monito per i competitori oltre confine ma più che altro serve a tenere saldo il potere all’interno della nazione. Tra questi ve ne sono due che più di tutti sono il simbolo di questo popolo misterioso e affascinante, entrambi chiara dimostrazione dell’altissimo livello culturale e tecnologico raggiunto da questo paese, forse proprio perché più indirizzato ad una crescita interna che ad espandersi militarmente verso terre così diverse dalla propria, il Nilo ne ha strutturato la mentalità legandola ad una serie di eventi che da sempre sono stati connessi alla religione, le piene con il sorgere di Sirio, la quotidianità con lo scarabeo stercorario. Perché mai avrebbero dovuto andare a cercare altrove realtà che lungo il fiume sono così presenti e abituali? L’unica attività di merito é la salvaguardia dei confini. Proprio con questo fine è stato costruito uno dei monumenti più famosi, grandiosi e religiosi che si trovano in Egitto, il tempio di Ramses II ad Abu Simbel.

Quasi come fosse un cippo di confine, sorge all’estremo sud lungo il corso del Nilo, interamente scolpito e scavato nella roccia. Sulla sua facciata sono rappresentate quattro manifestazioni di Ramses II che personificano il re deificato, Amon-Ra, Harmakis e Ptah ma che in realtà non sono altro che quattro raffigurazioni dello stesso faraone a dimostrazione della sua potenza e della sua supremazia sugli déi. La maestosità di questa opera deve sicuramente aver fatto un brutto effetto sui popoli che dal sud si avvicinavano all’Egitto denunciandone la grande potenza, nessuno si sarebbe mai sognato di entrare in conflitto con una nazione capace di architetture che sembravano realizzate dagli stessi déi. All’interno si sviluppa secondo il disegno classico dei templi con anticamere e percorso in salita che giunge fino al Sancta Santorum, adornate da altorilievi e bassorilievi dedicate, oltre che alle solite genealogie della mitologia, a commemorare la battaglia di Qadesh, la più grande operazione militare della storia dell’Egitto. Oltre alla sua grandiosità questo tempio evidenzia in modo particolare il legame della religione Egizia con il sole, il creatore Aton-Ra. All’interno del Sancta Santorum, sessantacinque metri dentro la montagna, sono poste le statue delle quattro divinità a cui è dedicato il tempio, lo stesso Ramses II deificato, Amon-Ra, Harmakis e Ptah. In questo luogo per due volte all’anno si verificava quello che era definito come il “miracolo del sole”, all’alba dei giorni del solstizio il sole arriva ad illuminare per circa venti minuti le statue di Ramses II, Amon-Ra e Harmakis, poi tutto ritorna di nuovo buio. La particolarità e che nello studio della sua posizione si è fatto in modo che mai Ptah venga colpito dai raggi solari a dimostrazione concreta della sua autorità di signore delle tenebre, la quale neppure Ra osa confutare. Con la costruzione della grande diga di Aswan il luogo originario di questa opera è stato completamente sommerso e solo grazie alla volontà del governo egiziano e alla capacità dei cavatori di Carrara è stato smontato e rimontato interamente più in alto sullo stesso colle, al sicuro dalle acque del Lago Nasser che si è formato con il riempimento del bacino sorto a monte della diga. Il “miracolo del sole” si compie ugualmente anche oggi ma naturalmente in giorni e con tempi diversi per la diversa disposizione del tempio.

  LA SALA IPOSTILA A KARNAK

A parte la grandiosità del complesso di Karnak-Luxor a Tebe che è la massima manifestazione del potere dei sacerdoti di Amon-Ra e dell’altrettanto munifico intreccio di tombe nella valle dei re e delle regine dall’altra parte del Nilo, nell’occidente del regno dei morti che ne dimostra la durata del potere in questa città, il vero e proprio simbolo di questa civiltà sono indubbiamente le piramidi della piana di Giza a Menfi, dove prima che a Tebe era stabilito il potere centrale.

La storia delle piramidi comincia con la sepoltura del faraone Zoser della III dinastia nel 2660 a.c.. Per questo re fu deciso di costruire il complesso funerario in una zona piana ai confini del deserto, e fu innalzata una mastaba, un parallelepipedo di mattoni al cui interno sarebbero state sistemate le stanze funerarie. Durante la costruzione fu palese il pericolo delle tempeste di sabbia e se non fosse stata trovata una soluzione in poco tempo sarebbe rimasto tutto sepolto sotto la sabbia. Fu così deciso di innalzare un muro intorno alla costruzione centrale. Ben presto ci si rese conto che questo impediva si al deserto di minacciare la tomba del faraone ma ne impediva allo stesso modo la visione, mentre invece la tomba doveva proprio rappresentare l’importanza e il prestigio che il faraone si era guadagnato durante la sua vita da dio in terra a garanzia della sua importanza nell’aldilà. Per ovviare a questo inconveniente fu costruita una mastaba più piccola sopra la precedente e così via fino a che l’opera non fu visibile da qualsiasi luogo intorno. In questo modo si arrivò a costruire la prima pseudopiramide, detta piramide a gradoni, sulla cui struttura furono poi studiate e realizzate le più famose piramidi regolari che seguirono. Si deve tenere conto che tutto questo accadeva durante la vita del faraone e non dopo la sua morte e in questo luogo si svolgevano le celebrazioni dedicate al re il quale così ne godeva in effetti mentre era in vita più che dopo morto, la più importante di tutte era il giubileo. Ogni cinque anni il faraone doveva sottoporsi ad una serie di prove, diciamo sportive, a dimostrazione del perdurare della propria forza, la quale avrebbe garantito forza all’intero paese. La piramide si dimostra in questo modo il miglior monumento funerario, il più grandioso e appariscente e il più vicino a Ra verso cui la punta della costruzione è rivolta. In questo modo nasce la piramide che raggiunge il culmine architettonico con la costruzione dell’immenso complesso funerario di Giza, dove si trovano le tombe di tre faraoni, Cheope, Chefren e Micerino, centinaia di nobili e funzionari e persino gli operai che parteciparono alla costruzione di una delle opere più grandiose della terra. Questa mirabile opera architettonica è stata ed è tutt’ora al centro delle più svariate teorie archeologiche, sfociate in asserzioni che spaziano dall’intervento degli alieni alla datazione della costruzione fino al 10000 a.c., vero è che molte delle tesi presentano a loro favore studi e riscontri che più o meno possono confortarle tutte, anche se in contrasto le une con le altre, senza considerare che i dati di fatto ci consegnano opere immani costruite senza l’ausilio del ferro, quindi niente martelli, leve o altro e soprattutto senza la ruota, che arriverà più tardi in Egitto, per questo motivo ancor più incredibili da realizzare. Di certo c’è che la sfinge, l’animale mitico con corpo di leonessa e testa antropomorfa ricavato nella roccia e molte delle aperture misteriose che dalle camere centrali delle piramidi arrivano all’esterno, sono rivolte verso oriente in attesa del sorgere della stella Sirio e del sole. Questa congiunzione era molto importante per gli Egizi, ogni anno il Nilo tracimava oltre gli argini naturali rischiando di distruggere villaggi e raccolti, risultava perciò molto importante poterne prevedere con un certo anticipo lo straripamento, in modo da immagazzinare in tempo il raccolto e mettere al sicuro le rive. Fin dall’antichità gli Egizi avevano notato che il momento in cui la stella Sirio sorgeva poco prima del Sole annunciava di lì a poco l’arrivo dell'inondazione, causata in realtà dalle piogge equatoriali. La Sfinge, con il volto del faraone Chefren, sembra proprio stia di guardia in doppia attesa, quella quotidiana del sorge del sole, rigurgitato da Nut e quella annuale del sorgere in congiunzione con Sirio. Al di là delle teorie non può che risultare chiaro l’utilizzo smisurato della tecnologia applicata al divino. Come in cielo anche in terra. Risulta difficile discernere la tecnologia, dalla religione e dalla magia in quanto in questa cultura tutto è legato indissolubilmente assieme. È indubbio che tutto è consequenziale, lo sviluppato acume degli studiosi egizi trovava una concreta relazione con ciò che accadeva realmente e questo portava ad avvalorare le credenze che sicuramente per loro si sarebbero poi rivelate concrete certezze, in questo modo con poche dimostrazioni la classe sacerdotale, a volte senza a volte con malizia, costruisce l’intero impianto religioso che in un divenire infinito ingloba ogni atto e ogni fatto. Dalle guerre alle costruzioni, dalle nomine ufficiali alle più quotidiane azioni, instaurando una spirale di superstizione a cui il popolino aderirà nella speranza di una vita migliore, se non in questa almeno nella prossima. In molte occasioni si invocherà l’intervento del dio a supporto delle azioni compiute dai potenti. In proposito una delle tante leggende riguarda proprio la piana di Giza. Dopo l’abbandono della necropoli, la Sfinge fu quasi completamente ricoperta di sabbia perdendo la sua funzione ma anche il suo potere protettivo verso il popolo. Il faraone Thutmosi IV fu l’artefice del primo tentativo di disseppellirla intorno al 1400 a.c. come ringraziamento per la sua chiamata all’importante carica. Un chiaro tentativo, tra l’altro ben riuscito, di approfittare della religione, per scopi politici e strettamente personali. Addormentatosi ai piedi della Sfinge gli sarebbe apparso in sogno il Horus, nella sua manifestazione di Ra-Harakhte, guarda caso l’Horus dell’orizzonte proprio là dove la Sfinge sta fissa a guardare, il dio gli avrebbe consegnato il regno, se avesse liberato la statua dalla sabbia rendendola alla sua funzione principale di guardiana. Con un sostenitore di tale immane grandezza era praticamente impossibile non diventare re e così infatti avvenne.

Come in cielo anche in terra. È l’affermazione con la quale sembra disegnato il piano regolatore della necropoli di Giza. Per molto tempo le piramidi sono state considerate solo delle tombe attraverso la cui grandiosità il faraone non ancora morto autocelebrava la sua potenza politica ed economica. Ma l’egittologia non ha mai smesso di svilupparsi da Erodoto in poi. Ai nostri giorni uno dei più spregiudicati studiosi si è rivelato essere Robert Bauval, il quale ha dato concretezza a teorie evolutesi in migliaia di anni. La posizione delle tre piramidi principali situate sull'altopiano di Giza risulta innegabilmente la riproduzione in terra delle stelle che compongono la cosiddetta Cintura di Orione, la costellazione che rappresenta il dio Osiride, evidenziando inoltre che i condotti che partono dalla Camera del Re della Grande Piramide di Cheope puntano verso la Costellazione di Orione, quasi come se fosse la via diretta attraverso la quale l'anima del faraone si proietterebbe verso la costellazione, ovvero la sua trasfigurazione da umano, da faraone, a dio. Il confronto fra la disposizione delle piramidi in terra e quella degli astri nel cielo conforta decisamente questa teoria, che ancor di più rispecchia le credenze della civiltà Egiziana e le profonde basi della sua religione la quale laddove già non fosse stato copiava con estrema disinvoltura il firmamento facendolo proprio e forse attraverso i condotti ricavati nelle pareti delle piramidi gli studiosi del tempo osservavano i propri déi.

La prima ad essere costruita fu quella del potente faraone Cheope, è la più elevata di tutte, il re proibì al discendente al trono Chefren di costruirne una più alta e l’astuto faraone obbedì devotamente posizionandola però su una parte più sollevata dell’altopiano, a prima vista appare perciò più alta della prima. Quella di Micerino è visibilmente più bassa delle altre a chiara dimostrazione del minor potere del faraone, non tanto per la sua importanza ma più che altro per la mancanza di fondi per la costruzione di una piramide altrettanto grandiosa come quelle dei suoi predecessori, con Micerino si avvia il tramonto della IV dinastia e la V porterà ai disagi del primo periodo intermedio, con rivolte popolari e invasioni del territorio da parte di popolazioni asiatiche. La religione, nelle figure dei sacerdoti e della ritualità, cerca di mantenere il proprio potere ma il disprezzo verso una fede che tutela solo ed esclusivamente le alte cariche ha il sopravvento. Le piramidi vengono saccheggiate degli enormi tesori celati dentro di esse, lasciati ad accompagnare il viaggio dei faraoni verso il regno di Osiride, l’importanza della capitale Menfi decade e i faraoni si trasferiscono temporaneamente a Tebe dove getteranno le basi per le dinastie del Nuovo Regno, quelle che estrometteranno definitivamente gli Hyksos dal potere in Egitto e daranno al paese la definitiva maestosità che lo ha portato integro e misterioso fino a noi. È indubbio che il maggior valore aggiunto della cultura egiziana è dovuto alla sua particolare conformazione e alla capacità di averlo tenuto pressoché unito per cinquemila anni, altri grandi culture si stavano sviluppando nel Medio Oriente ma verranno letteralmente sepolte e in parte distrutte da reiterate invasioni le une verso le altre. Il delta del Nilo diverrà il granaio dell’Impero Romano ma la sua cultura resterà nascosta sotto i granelli della sabbia del deserto per altri milleottocento anni e ancor di più il corso del fiume rimarrà al di fuori delle mire di conquista degli invasori di turno almeno fino all’ondata risorgimentale dell’Islam, che comunque poco si curerà di una cultura e meno si preoccuperà di una religione superstiziosa, seppellite sotto la sabbia.

In un’atmosfera di questo genere non poteva certo trovare approvazione l’iniziativa del faraone Amenhotep IV. L’Egitto non era solamente potere e plebe, in un paese con un progresso tecnico e scientifico così sviluppato per l’epoca non poteva certo mancare la classe intellettuale. Questa elite si pone al di sopra degli interessi politici e religiosi, affrontando e disquisendo di temi esistenziali, quasi un’antesignana della prolifera compagine filosofica greca. Già fin dai tempi della IV dinastia si fa largo il pensiero di un cosiddetto “dio dei sapienti”, scevro da una visione antropomorfica che lo vuole troppo simile alla nostra specie solo per giustificare i comportamenti dell’umanità e lontano da una superstizione popolare strettamente legata alla magia. Si tende in genere a non parificare questi ideali religiosi ad una visione monoteistica della teologia egiziana e probabilmente non era neppure questo l’intento degli intellettuali del tempo, per i quali era anche impossibile tale concezione in un contesto politeista così ricco, ma le teorie da loro formulate travalicavano i confini delle loro capacità cognitive e le asserzioni che arrivano a sentenziare delineano in realtà un dio onnipotente, giustiziere, moralista e caritatevole più vicino a quello Ebraico e Cristiano di quanto si possa pensare. A partire dal concetto di Maat, visto più come un equilibrio necessario per l’equanimità della vita umana tutta che non un ordine cosmico che l’uomo sembra più subire invece di esserne l’attore principale, si evolve un sentimento che identifica in Dio la capacità, conglobata e sfrondata dalle peculiarità tipicamente umane, di tutte le varie manifestazione dell’ignoto, fonte dello stuolo di déi che si sommano, si complementano, si sostituiscono, si fronteggiano nel pantheon egizio. In contrapposizione ai fasti sepolcrali dei faraoni si sono tramandati testi ricchi di filosofia come “Insegnamento per Merikara”, i consigli di un padre al figlio in cui si evidenziano passi molto profondi, “Abbellisci la tua sede nella necropoli con l’equità e il praticar giustizia: è ciò in cui l’uomo deve aver fiducia. È gradito (a Dio) il carattere dell’equo, più del bove di chi compie iniquità.” Qui si evidenzia chiaramente il sentimento che nega le fondamenta della religione egiziana, non è la grandezza della piramide che assicurerà al faraone l’ingresso nel Paradiso ma le azioni sue come quelle di qualsiasi altro uomo. Una sensazione che può sorgere soltanto in menti libere sotto tutti i punti di vista, personaggi che non devono sudarsi la vita nei campi e neppure temere le ire del faraone. Può forse sembrare facile avere pensieri così indipendenti quando c’è la possibilità, anche economica perché no, di non avere timori per la propria incolumità ma allo stesso modo si può premiare la volontà di materializzare un tentativo di giustizia e giustezza verso l’intera umanità. “Non si sa cosa possa avvenire e cosa Dio faccia quando punisce.” Questo si può leggere in un testo dal nome “Insegnamento per Kaghemni”, un’affermazione che cerca di demolire le certezze della pesatura del cuore e di tutti gli stratagemmi magici per ingannare un dio potentissimo la cui capacità cognitiva viene improvvisamente accecata da semplici filastrocche. Any al tempo della XVIII dinastia scrive “Se hai pregato con cuore amante, di cui tutte le parole sono nascoste, egli soddisferà i tuoi bisogni, perché ode ciò che dici e accetta la tua offerta” e poi ancora “Non mangiar pane mentre un altro se ne sta in piedi e tu non hai steso per lui la tua mano verso il pane.”. La profondità di queste sentenze colpisce in modo esasperante, la genuinità della preghiera viene sentita come prerogativa per meritarsi l’ascolto di Dio e ancor più sorprendente diviene il percepire Dio capace di saper ascoltare le necessità del nostro intimo senza il bisogno di doverlo esternare con parole. La carità entra prepotente fra le necessità della vita comune, Dio diventa ispiratore di gesti di amore per il prossimo delineando una nuova scala di valori per l’ascesa al Paradiso. “È preferibile la povertà nella mano di Dio alla ricchezza nella dispensa.” così recita un brano tratto da “Insegnamento di Amenemope”, l’apoteosi dell’avversione alla corsa all’accaparramento di beni da portarsi con se nell’aldilà e continua “Non essere avido di rame, odia il bel lino: a che serve una veste di fine stoffa per chi ha mancato davanti a Dio?” i beni terreni perdono ogni valore davanti alle azioni, non sarà presentandosi ben abbigliati e corredati davanti a Dio a permetterci di avere la Sua considerazione, meno che meno il Suo perdono. Asserzioni che purtroppo non trovano lo spazio sufficiente per espandersi nello stretto corridoio scavato a fatica fra il potere faraonico-sacerdotale e la paura lenita ma allo stesso tempo fomentata dalla superstizione del popolo. Pietre miliari di enorme spessore che non rimangono silenziose e inascoltate, semi pronti a germogliare quando i tempi e i modi si dimostreranno maturi. Nel XIII secolo a.c. gli Apiru, come mercanti, emigranti o prigionieri hanno già manifestato la loro presenza in Egitto, scolpiti in altorilievi lungo le mura dei templi, schiavi o liberi di professare la propria fede monoteista tramandata dai discendenti di Abramo. Apiru, questo era l’appellativo con il quale gli Egiziani indicavano gli appartenenti al popolo Ebreo. Nel 1348 a.c. sale al trono Amenhotep IV il quale disconosce le sue origini e modifica il proprio nome in Aken-Aton, “Che piace ad Aton”, unico e solo dio riconosciuto dalla nuova religione da lui stesso fondata. Le vie del Signore sono infinite, misteriose e infinite.

Aken-Aton toglie il potere ad ogni categoria sacerdotale, i templi vengono abbandonati, viene costruita di sana pianta una nuova capitale dal nome di Akhetaton, l’orizzonte di Aton, lontano da Tebe, lontano da Amon il dio più potente dell’epoca contro cui maggiormente si scaglieranno le ire della nuova gestione. Il nome deriva dal luogo dove Aken-Aton fonda la sua capitale, quando il sole sta tramontando sulle montagne intorno si delinea un profilo che disegna un geroglifico il cui significato è proprio “orizzonte” al faraone sembra di compiere un atto divino, di soddisfare il volere di Aton edificando qui il nuovo centro dell’impero egiziano ereditato dal padre Amenophi III. L’intera compagine amministrativa viene completamente sostituita e ne entrano a far parte personaggi delle più disparate classi sociali, i quali detengono un unico pregio, la fedeltà al dio Aton e di conseguenza al faraone. Aken-Aton cerca distruggere tutto quello che una cultura millenaria aveva costruito, la sua è una vera e propria rivoluzione che a differenza di quelle che funzionano non parte dal basso minando dalle fondamenta, desautorando i poteri amministrativi e politici e ricostituendo una nuova classe dirigente fra le file dei rivoltosi. No, Aken-Aton taglia la testa a tutti i poteri del regno e li sostituisce con suoi fidati adepti, incapaci ma più che altro incompetenti. Il fulgore dell’impero lasciato da Amenophi III perde velocemente di brillantezza, dopo pochi anni dal suo insediamento Aken-Aton ha accumulato un numero di nemici incredibili fra coloro a cui ha tolto ogni potere amministrativo ma che ne detengono ancora tantissimo dal punto di vista politico. Il popolo non può appoggiare la riforma Atoniana perché ne subisce ben presto gli sfavorevoli effetti, l’amministrazione è allo sbando, l’esercito non è in grado di difendere i confini, il grano scarseggia e la miseria dilaga ben presto in ogni dove, meno che nella fastosa reggia di Aken-Aton. La follia del faraone è stata quella di credere che le sue convinzioni potessero essere accolte in toto dall’intera popolazione in ogni sua diversità, senza subire alcun contrasto. Fidandosi di Aton ha ritenuto che la dedizione al dio fosse sufficiente perché intorno tutto continuasse come prima senza aver bisogno della sua presenza e della competenza che probabilmente non aveva. Le immagini rimaste sulle pareti delle costruzioni ad Akhetaton, l’odierna El Amarna, sono di una meraviglia e di una semplicità allarmante per quanto stava accadendo intorno. Nonostante i numerosi testi ritrovati ad El Amarna che affermano la tranquillità delle relazioni internazionali sono stati effettuati riscontri con altrettanti testi nei regni allora in tensione con quello Egiziano che dimostrano esattamente il contrario, ma a palazzo reale tutto prosegue nella massima pace e tranquillità. Gli altorilievi dello scultore reale Bak ci mostrano una famiglia unita nel nome di Aton, il dio unico rappresentato dal disco solare è alto nel cielo e i suoi raggi si indirizzano verso la famiglia reale terminando con delle piccole mani recanti l’Ankh, come a donare al re il potere divino. La devozione del faraone è indubbia, la sua fedeltà e quella della sua famiglia sono profonde, come la convinzione dell’importanza del cambiamento in atto. Ma la razionalità non abbandona il re che si circonda di forze militari di polizia a difesa dell’incolumità del faraone e della moglie Nefertiti. Il sovrano è fedele al dio ma si rende conto dello stravolgimento in atto nel paese ma più che pensare alla sua ricostruzione si rinchiude nella sua devozione ad Aton creando una nicchia all’interno del paese dentro la quale si ritiene al sicuro da tutto e da tutti, circondato da coloro che egli devono la vita agiata del palazzo reale, scribi, amministratori e sacerdoti reclutati dal popolo e che si sentono in debito con lui e con Aton per il benessere trovato. Solo chi si è convertito donandosi al dio e ad Aken-Aton con quella semplicità bucolica che possiamo intravedere nelle immagini della famiglia reale può giovare dei benefici del nuovo corso.


”. Certo dal punto di vista politico l’intento principale del faraone è quello di togliere autorità alla classe sacerdotale del dio Amon, ai potenti sacerdoti di Tebe che hanno in mano tutto il paese, un’opera che sarà completata dalla dinastia dei Ramessidi a conferma della lungimiranza di Aken-Aton, con azioni politiche e strategie amministrative che riusciranno a tenere unito l’impero e a farlo addirittura crescere. L’errore di Aken-Aton è quello di ritenere che il suo potere sia sufficiente ad un automatico cambiamento ma il suo isolamento dai fatti del regno, dando per scontato che questo sarebbe durato in eterno grazie ad Aton, portano invece al contrario ad un aumento delle fazioni opposte alle sue imposizioni e ad un loro pronto intervento non appena giunge la morte di Aken-Aton. I devoti di El Amarna sono in numero esiguo, molti dei cortigiani sono solo profittatori che hanno abbracciato la nuova religione per interessi personali e prontamente rivolgono di nuovo la loro dedizione ad Amon e agli altri déi. Dopo il breve regno di Smenkhara e della figlia del faraone Neferneferuaton, vittime probabilmente della stessa epidemia che decima l’intera famiglia reale, sale al trono l’ultimo componente ancora in vita con il nome di Tutankhaton, immagine vivente di Aton, ma in poco tempo si rende conto della situazione del paese e le enormi pressioni lo convincono ad abbandonare Akhetaton e tornare a Tebe, cambiando il proprio nome per stralciare ogni rapporto con l’eresia da dimenticare. Per ridare unità al paese, avviare la facile controriforma e rafforzare il sodalizio politico assume il nome del faraone più famoso e conosciuto della storia egiziana, l’immagine vivente di Amon, Tutankhamon.Quando il pulcino è nell'uovo Tu lì dentro gli dai aria perchè viva. Tu lo completi perchè rompa l'uovo e ne esca per parlare e completarsi e cammini sui suoi piedi appena ne è uscito.”. Queste sono le parole dell’Inno ad Aton scritto dal faraone e all’interno possiamo scorgere ancora la profonda purezza di questa fede. “Come numerose sono le tue opere! Esse sono inconoscibili al volto, Tu Dio unico, al di fuori del quale nessuno esiste. Tu hai creato la terra a tuo desiderio, quando tu eri solo, con gli uomini, il bestiame ed ogni animale selvatico, tutto quel che è sulla terra e cammina sui suoi piedi e tutto quel che è nel cielo e vola sulle sue ali.Nel periodo Amarniano cambia totalmente anche il modo di presentarsi e di proporsi nelle immagini scolpite. A differenza di quanto accadeva prima e di quello che proseguirà dopo, gli altorilievi evidenziano corpi non perfetti e più umani, evidenziando la rozzezza dell’uomo di fronte a Dio. I corpi non sono più massicci e perfetti, sono leggermente sgraziati evidenziando le debolezze umane, il faraone viene rappresentato con tratti sensuali ed effemminati che per molto tempo hanno fatto protendere ad una sua possibile omosessualità tacitata dai sei figli avuti da Nefertiti. Ben sappiamo che senza un’analisi del DNA non è possibile essere sicuri della paternità e che nel corso della storia molti figli di re sono nati fuori del matrimonio, ma a sconfessare le accuse resta la semplicità della religione che Aken-Aton tenta di divulgare anche se non con i metodi più appropriati. Le figure che possiamo ammirare hanno lineamenti dolci che esaltano l’essenzialità, l’uomo è piccolo davanti a Dio e quello che riceve lo deve soltanto a Dio. “
 

LA MASCHERA FUNERARIA DI TUTANKHAMON

Si conclude così una brevissima parentesi nella munificenza delle dinastie del Nuovo Regno che con l’aiuto delle classi sacerdotali desautorate da Aken-Aton, riprendono immediatamente il controllo dell’intero paese con il non meno importante favore del popolo, stremato dalla politica estera e interna del faraone profeta, dal quale sempre è rimasto lontano e dal quale è sempre stato tenuto lontano dalla stessa religione non votata alla conversione del popolo ma legata solo ed unicamente alla famiglia reale che assumeva dopo Aton la qualità di semidéi al pari di Amon, Horus e tutti gli altri che mai erano stati cancellati ma solo ridotti alla dipendenza di Aton, creatore di tutto e di tutti. Un’occasione perduta per la possibilità di soverchiare il potere del politeismo e innestare nell’animo umano quella sensibilità monoteista che aleggiava inascoltata nel paese a causa dei sempre troppi interessi politici.

Con il Nuovo Regno si restaura il potere autarchico egiziano, il faraone ritorna ai fasti della IV dinastia, la religione recupera il suo potere e i templi raggiungono il maggior splendore. Vengono vinte le battaglie contro gli invasori e le casse del paese si rimpinguano, il popolo vive tranquillo, si riavvicina con tranquillità alle imposizioni dei sacerdoti e la nazione gode di questi benefici. La munificenza dei faraoni artefici ricopre di nuovi altorilievi e pitture le mura dei templi e delle tombe che adesso vengono scavate in luoghi nascosti sotto le montagne a oriente del Nilo di fronte a Tebe, sempre nel regno di oriente, la regione del tramonto dedicata ancora al Regno dei Morti di cui Osiride ne rimane il sovrano incontrastato. A occidente però il potere è saldamente nelle mani della dinastia dei Ramessidi, il faraone diviene figlio di dio e lo stampiglia sulle sue opere. Ramses II pone il suo sigillo sul tempio di Abu Simbel, conscio delle usanze che da millenni vedevano il re successivo cancellare le iscrizioni di quello precedente per fare proprie per sempre le opere compiute dei suoi predecessori. Sopra l’ingresso al tempio ci sono tre simboli, Wsr – Māt - Rā, Osiride, Maat e Ra i geroglifici che indicano i tre déi ma che al contempo sono l’appellativo dello stesso Ramses II, in questo modo il faraone è certo che il suo nome non verrà mai cancellato. Si poteva passare con lo scalpello sopra a qualsiasi cosa ma mai sopra al nome di un dio, che, come una sua raffigurazione, come una sua immagine, è assolutamente sacro e intoccabile. Si odia il faraone e si desidera cancellarlo ma la paura delle ire degli déi è talmente alta anche nei re che detengono il potere più assoluto da non poter osare un atto del genere. Tutmosi III cancellerà tutte le effigi della cognata Hatscepsut ma non oserà distruggere l’obelisco da lei fatto costruire a Karnak in onore di Ra, troverà però ancora una volta uno stratagemma tutto egiziano. Intorno all’obelisco fa erigere un muro per tutta la sua altezza in modo da impedirne la vista ma da non offendere il dio. Tutto questo chiaramente è molto ipocrita, in realtà il motivo per cui le iscrizioni o quanto altro si riferisca agli déi viene preservato illeso solo per mantenere integro il proprio potere. Se il faraone che è figlio di dio o sua manifestazione, osasse mettersi contro un altro dio, frantumerebbe il Maat che funge da collante per la nazione, se da parte del faraone non ci fosse rispetto per gli déi perché mai il popolo dovrebbe aver rispetto del re, della classe sacerdotale e delle amministrazioni locali? Ancora una volta questa affascinante struttura teologica si rivela l’unico modo per sottomettere il popolo a proprio uso e consumo, grande il re, ma umano, però grande in quanto potente il dio a cui il faraone si lega, il popolo osanna il dio e di conseguenza il re che ne è sua emanazione e da questo ne ottiene il potere e la possibilità di sfruttarlo a proprio favore e anche per la tutela del regno, il regno cresce economicamente e rafforza le proprie difese, il faraone vive tranquillo, l’economia prospera, i nilometri stabiliscono le imposte e il popolo paga sereno le sue quote al dio che lo protegge. L’umanità tutta non è in grado di accettare il potere di un altro uomo, ne allora ne ancora oggi, ma ha assoluto bisogno di affidarsi a qualcuno, allora ci si affida ad una guida umana non direttamente ma in quanto volontà di dio, un dio in cui spesso neppure si crede, un dio quotidianamente tradito con le mille superstizioni di un popolino il quale ha il solo ed unico scopo di sopravvivere e compiere gesti rituali al fine di permettere al proprio re il governo del regno dell’oltretomba come novello Osiride e guadagnarsi la possibilità di passare oltre la soglia della morte accompagnando devotamente il faraone, non importa se gli agi dell’aldilà spetteranno al sovrano, l’importante sarà riuscire a sconfiggere il nemico numero uno della cultura Egiziana, la morte in quanto non più esistenza, non importa se la sua sarà un’eternità di lavoro, non ci saranno più pericoli, non ci saranno più stenti, non ci saranno sofferenze, disastri, invasioni, alluvioni o siccità e questo è più che sufficiente per accettare il potere del faraone. Basta attenersi ai suoi voleri, a quelli del dio e rivolgere le proprie preghiere a numi tutelari che ognuno si fabbrica nel proprio intimo in base alle proprie esigenze e alle avversità che gli si pongono dinanzi.

Far parte dell’inarrivabile confraternita dei re dell’alto e del basso Egitto, gli unici che possono vantare il diritto di appartenenza a questa sorta di società iniziatica per l’eternità, è un sogno irrealizzabile per la quasi totalità della popolazione ma nessun Egiziano è disposto a rinunciare almeno a provarci. I fasti e le meraviglie della religione Egizia, la pomposità delle cerimonie e il complicato intreccio di genealogie divine che portano fino alla divinità del faraone, sono riservate ad un elite ben circoscritta che in ogni modo cerca e riesce a mantenere intatto questo privilegio che si è dato da solo.

Quando guardiamo un qualsiasi film epico sull’antico Egitto, si srotola dinanzi ai nostri occhi un fiume di gente osannante al passaggio del faraone o del dio di turno, ma questa immagine non rende giustizia alla veridicità della situazione che il popolo viveva sulla propria pelle. Quegli eventi erano in realtà gli unici momenti in cui poteva avere un rapporto diretto con le divinità, faraone compreso. I contadini, gli artigiani, i pastori non avevano alcuna possibilità di aver accesso ai templi se non fino al primo pilone, potevano recare offerte ma non avevano l’opportunità di adorare gli déi, subivano le tasse e le imposte stabilite dai nilometri ma non avevano alcun beneficio diretto da tutto questo, se non il votarsi al dio e al re nella speranza di poter attraversare con lui i confini dell’oltretomba e assicurarsi il paradiso. Quale poteva allora essere la soluzione per la certezza di una vita degna e di un’eternità sicura se non l’affidarsi alla superstizione e alla scienza occulta. In un’atmosfera già così carica di misticismo ed esoterismo la magia trovò un terreno fertile come meglio non poteva verificarsi.

Nasce in questo modo un mondo parallelo che dalla religione ufficiale mutua i riti e le peculiarità, a cominciare da quello della creazione il cui artefice e Ptah che con il verbo, ovvero con la sola parola, dona la vita al mondo. La formula magica è efficace nella misura in cui si ascrive all’origine della vita, la sentenza deve essere recitata ripetutamente e con intensità emotiva coinvolgente, l’obolo di maggior valore è quello donato con la parola, un espediente più che necessario quando il sacrificante è pressoché nullatenente e il poco che ha a disposizione deve riconoscerlo direttamente al mago, allo stregone, al divinatore, al veggente. L’offerta per eccellenza è la Peret Kheru, quel che esce dalla voce, la parola stessa capace di animare la materia. Insieme ai gesti compiuti dal mago incanta gli elementi e li piega al proprio volere. Il rito magico inizia quasi sempre nello stesso semplice modo “formula per…”, continuando poi con l’affrontare il tema della questione. La formula deve essere letta, imparata, recitata, fatta propria, incisa su di un amuleto, come per lo scarabeo da posare sul piatto della bilancia al momento della pesatura del cuore. Il rito deve essere ripetuto all’infinito nella propria intimità fino al raggiungimento del proprio obbiettivo, quasi come un mantra Bauddha. Gli dèi appaiono irraggiungibili e sordi alle richieste della plebe, non rimane altro che aggirarli, ingannarli, incantarli e costringerli a concederci anche quello che per la stessa religione ufficiale non avremmo diritto di ottenere, qui sta il potere del mago quello di persuadere, illudere e convincere la vittima del proprio potere. Cinquemila anni fa come oggi, la magia affascina e carpisce le nostre volontà e il mancato raggiungimento dello scopo invece che farci desistere contribuisce invece ad aumentare l’accanimento con cui ci si vota poi all’incantesimo diventandone schiavi, succubi dei convincimenti che il mago è stato capace di consolidare dentro di noi. Il mago utilizza il proprio acume per conquistare la fiducia del malcapitato, intuizione e parola divengono le sue armi fino ad autoconvincersi di possedere realmente le facoltà palesate. L’uso e le abitudini arrivano persino a far accettare la pratica e a descrivere le modalità per diventare maghi anche all’interno di testi ufficiali come il “Testo dei sarcofaghi”. Il sortilegio deve essere tenuto segreto non deve essere rivelato o divulgato a chicchessia, la sua conoscenza è un’iniziazione misterica riservata a pochi. La magia ufficiale impregna ogni atto religioso ed è religione ufficiale, riservata alla casta, viene scolpita sulle mura dei templi e nei libri dei riti, ma non può essere avvicinata dal popolo. E il popolo crea la propria religione parallela ma convergente all’ottenimento dello stesso ultimo fine il benessere in terra e il paradiso nell’oltretomba. La magia è la parola che conferisce potere alle cose, nel “Libro dei morti” si legge “Parole da pronunciare su un pilastro djed d’oro messo al collo del beato, su un nodo di diaspro rosso messo al collo del beato, su una collana d’oro messa al collo del beato…” il beato è colui che con addosso tutti questi amuleti riceverà il convincimento di essere al sicuro da tutte le forze del male e di essersi messo nelle mani di uno stregone capace di piegare il volere degli déi, la magia è una lotta, gli déi devono piegarsi al volere del pensiero e le dee devono innamorarsi delle parole del mago, se non sarà sufficientemente potente gli déi tutti diverranno implacabili nemici del santone e dei sui seguaci. La buona riuscita del rito è assicurata dall’esistenza e dal prosperare del mago che specula sulla credulità del popolo, il quale non può far altro che ammettere la potenza del mago che in realtà è alimentata dalla stessa sprovvedutezza di chi si rivolge a lui in un circolo vizioso da cui l’unico a trarne giovamento è il contabile del mago. Il mago è veggente, guaritore, sapiente, è per la gente comune ciò che il sacerdote, di più ciò che il faraone stesso è per l’intera nazione.



Scevra da tutte le speculazioni tipicamente umane la religione egiziana è un affascinante e meraviglioso teorema teologico che ha saputo innalzarsi prima di tutte oltre le semplici credenze figlie dalla preistoria. Anche se i temi principali sono comunque la creazione, la sopravvivenza e l’escatologia, l’architettura del pantheon egizio riesce a dargli una dimensione particolare e su questa o con questa nasceranno o si svilupperanno tutte le religioni mediterranee, compreso l’ebraismo prima e il cristianesimo poi. Al suo interno riesce più volte a manifestare la sensazione di qualcosa che vada ancora oltre e con più concretezza, il “Dio dei sapienti” o l’eresia di Aken-Aton sono soltanto due esempi ma l’essenza di Aton, persa dietro i mille volti degli déi ha lascerà un seme capace di far germogliare al momento opportuno una delle più fiorenti colonie cristiane.

IL PILASTRO DJED A DENDERA

AKER: incarnazione della terra. Rappresentato da una striscia sottile con ai due lati teste di leone, una rivolta a occidente dove il sole tramonta e una ad oriente dove il sole sorge dal regno delle tenebre. Rappresenta anche l’entrata e l’uscita dal regno sotterraneo e la soglia fra ieri e domani, un passaggio per i teoremi ciclici tipici della cultura egizia.

AMAUNET: madre primordiale degli déi. Detta anche la madre che fu padre perché non ebbe bisogno dello sposo.

AMENTET: dea dell’occidente dove il sole tramonta, per questo considerata dea delle necropoli.

AMMIT: divoratrice dei morti. Testa di coccodrillo, busto da gatto, posteriore da ippopotamo, attende accanto alla bilancia del giudizio finale, per ingoiare il peccatore.

AMON: dio primordiale associato ad Amaunet, opera nel vento, dominatore dell’aria e signore dei raggi, creatore della luce. Raffigurato con la testa di ariete e il disco solare, acquista potere con l’ascesa di Tebe, quando viene associato a Ra divenendo il dio nazionale dell’Egitto con il nome di Amon-Ra.

ANKH: simbolo divino che identifica il paese dell’Egitto. È una croce con la parte corta sostituita da un’ansa. La parte superiore identifica il delta quella inferiore il corso del Nilo. La chiave della vita utilizzata per l’apertura della bocca in varie cerimonie.

ANUBI: dio dei morti dalla forma di sciacallo o con la sola testa di cane. Presiede all’ingresso delle necropoli e al processo di mummificazione. Oscurato dalla fama di Osiride cui concede la sovranità dell’oltretomba, dirige la pesa del cuore nel momento del giudizio divino.

ANUKET: dea dell’acqua adorata ad Elefantina dove era collegata alla piena del Nilo. Chiamata anche Signora della Nubia per la posizione geografica.

APIS: toro sacro, vivo, adorato inizialmente nel basso Egitto. Considerato l’anima magnifica di Ptah. Simbolo di fertilità la sua processione benediva campi e bestiame. Dopo la morte si univa al dio Osiride, adorato anche in età ellenica con il nome di Serapis.

APOPHIS: serpente in lotta con il dio del sole per stravolgere l’ordine cosmico. Per fermarlo deve essere fatto a pezzi. Nel Nuovo Regno identificato con Seth.

ASH: signore della Libia, con testa di falco, associato a Seth.

ATON: nome del disco solare, manifestazione del dio Ra. Con Amenophi IV assurge ad unica divinità monoteista, il faraone prende il nome di Aken-Aton, “Che piace ad Aton”, adorato come sole vivente padre e madre del creato. Raffigurato come disco solare con raggi che terminano con mani recanti l’Ankh, la chiave della vita. Alla morte di Aken-Aton il monoteismo instaurato crolla sotto il potere della classe sacerdotale politeista.

BA: forza spirituale, l’anima rappresentata come un uccello dalla testa di uomo e la barba da dio a rappresentare la continuita della sua esistenza dopo la morte del corpo.

BA NEB DEDET: dio dell’agricoltura, della fertilità e della maternità dal corpo di ariete, adorato nella zona di Dedet.

BAT: divinità dell’alto Egitto associata ad Hator per la sua rappresentazione con la testa di vacca.

BATA: dio dell’alto Egitto fratello di Anubi.

BES: demonietto dalla forma di nano con il volto deformato, dotato di coltello per la difesa e di strumenti musicali per scacciare gli spiriti maligni. Sorta di nume tutelare della casa in special modo a guardia dell’incolumità dei bambini.

BUCHIS: toro sacro a Hermontis nei pressi di Tebe, araldo di Ra. Le vacche madri di Buchis erano considerate sacre in quanto avevano partorito una manifestazione di Ra.

CHENSIT: dea del basso egitto, manifestazione dell’Ureo, il serpente simbolo del potere che appare sul copricapo dei faraoni.

CHENTECHTAI: dio di Atharbis, cambia nel tempo la sua manifestazione da coccodrillo a falco e poi ancora a toro, considerato l’Osiride che abita ad Atharbis.

CHENTI-IRTI: dio della città di Letopolis, associato ad Horus per la mancanza di occhi. Tutela l’ordine e il diritto.

CHEPRE: lo scarabeo stercorario adorato ad Eliopoli. Nato da sé, uscito dalla terra senza essere stato generato, associato ad Aton e Ra. Dio del sole che sorge, rappresenta il ciclo della vita che rotola ripresentandosi giorno dopo giorno, come lo sterco assemblato dallo scarabeo.

CHNUBIS: dio dell’epoca romana, sincretismo fra cultura egizia, greca e romana vicono alla filosofia gnostica.

CHONTAMENTI: dio dei morti. Il faraone si augura di diventare Chontamenti alla sua morte in modo da poter regnare sull’oltretomba.

CORONA: quella dell’alto Egitto è a forma di pilone, stondato sulla punta; quella del basso Egitto è a forma di trono; quella imperiale è la fusione delle due una dentro l’altra. Curiosamente la corona dell’alto Egitto potrebbe simboleggiare un fallo e quella del basso Egitto un ventre femminile; quindi, le due fuse insieme rappresenterebbero l’atto sessuale che dona la vita al nuovo Egitto unificato. In realtà nessuno studioso ha mai accennato a questo simbolismo e del resto pur non mancando mai, sia implicitamente che esplicitamente, le peculiarità sessuali non sono predominanti nella cultura Egizia se non per quanto strettamente legato alla fertilità.

DUAMUTEF: uno dei quattro figli di Horus che proteggeva le salme. A lui viene affidato lo stomaco. La sua testa di sciacallo si può vedere in uno dei vasi canopi.

FARAONE: trascrizione fonetica dall’egiziano “per-aa” dal significato di “la grande casa”, così come viene riportata nella Bibbia. Indica inizialmente il palazzo reale dove vive il sovrano, a partire dal Nuovo Regno, forse proprio mutuato dall’appellativo datogli dagli Ebrei, viene utilizzata anche per indicarne l’abitante e signore della grande casa, oltre che di tutto l’Egitto.

GEB: dio della terra. Con la dea del cielo Nut ha generato il sole. In questo modo geb diviene il padre degli déi. Antropomorfo con la corona del basso Egitto, delega la sovranità sul regno della terra, ovvero dei morti al figlio Osiride.

HA: dio del deserto occidentale, signore dei libici, associato ai morti, sul sarcofago è rappresentato alla destra morto, ovvero a occidente.

HAH: manifestazione dell’eternità, reggitore del cielo è rappresentato con le braccia alzate con la volta celeste sopra di esse. Nella numerologia rappresenta la cifra di un milione. La sua figura ha una fronda di palma simbolo dell’anno.

HAPI: uno dei quattro figli di Horus che proteggeva le salme. A lui vengono affidate le interiora. La sua testa di scimmia si può vedere in uno dei vasi canopi, a lui è inoltre affidata la lingua.

HAPI: personificazione del Nilo, vive vicino alle cateratte e presiede alle piene del fiume. Non ha luoghi di culto a lui dedicato ma è lui stesso che offre sacrifici ai faraoni.

HAROERIS: Horus vecchio, la sua battaglia per recuperare l’occhio lo fa diventare dio degli oculisti.

HARPOKRATES: horus bambino, figlio di Ra, donatore di fertilità è rappresentato come sole bambino nel fiore di loto.

HATHOR: dea del cielo. La casa di Horus, assume la forma antropomorfa con la testa cornuta con al centro il disco solare in quanto il cielo era visto come un enorme vacca e lei ne era la manifestazione. Prima madre poi, sostituita in questa funzione da Iside, compagna di Horus, dea della danza, della musica e dell’amore. Il luogo principale di culto è Dendera, fu adorata anche come dea delle necropoli.

HESAT: vacca bianca divina, prima tra le vacche, madre di Anubis e Imiut dona il latte al faraone neonato.

HEZ-UR: dio babbuino, il grande saggio, manifestazione di Thot. Gli Egiziani vedevano ogni mattina i babbuini in piedi con le braccia alzate verso il sole ritenendoli così devoti a Ra, quel loro atteggiamento sembrava una preghiera mattutina al dio. In realtà i babbuini si stavano asciugando al sole dalla rugiada della notte mista all’urina espulsa nel sonno.

HIKE: personificazione della magia, figlio maggiore del dio primordiale Aton. I medici erano definiti i sacerdoti del dio Hike.

HYKSOS: invasori non meglio definiti che prendono il potere in Egitto nel secondo periodo intermedio tra il 1750 e il 1540 a.c.. Il loro nome deriva dall’egiziano “Heqa-khasut” cioè principi dei paesi stranieri probabilmente Hurriti o Khurriti o di provenienza mesopotamica.

HORON: dio siro-cananeo, adorato in Egitto per breve tempo identificandolo nella sfinge di Giza.

HORUS: dio celeste raffigurato come falco o antropomorfo con la testa di falco, il sole e la luna sono i suoi occhi. Signore del Basso Egitto da sempre in contrapposizione con Seth, signore dell’Alto Egitto, che gli rubò un occhio. Importante la sua manifestazione come bambino, allattato prima da Hator, che poi invece diverrà sua compagna, poi da Iside. Famosa l’immagine della dea che allatta il figlio, questa visione dell’amore degli dèi verso i più deboli sarà esportata in tutto il mondo ellenistico fino a trasformarsi nel Cristianesimo nella versione della Madonna con Gesù bambino. Armato di arpione combatte il male incarnato nell’ippopotamo e nel coccodrillo, Sobek. In stretto rapporto con Ra in quanto portatore dell’occhio solare.

HU e SIA: attributi di Ra. Hu è la personificazione della parola, Sia dell’opera creatrice.

IMHOTEP: architetto costruttore del primo monumento funerario a gradoni, la piramide di Zoser. Adorato nella sua funzione di medico e considerato figlio di Ptah.

IMSET: uno dei quattro figli di Horus che proteggeva le salme. A lui viene affidato il fegato. La sua testa antropomorfa si può vedere in uno dei vasi canopi.

ISDES: signore dell’occidente, giudice dei morti. Si fonderà con Toth e con Anubi.

ISIDE: personificazione del trono inteso come potere divino. Sposa del fratello Osiride di cui andrà a recuperare per tutto l’Egitto il corpo fatto a pezzi dall’altro fratello Seth. Ricostruito il corpo concepirà Horus. Protettrice dei morti, visti tutti come Osiride, viene raffigurata con ali aperte nell’atto di donare aria e protezione. Occhio di Ra, si fonderà con altri déi e dee nelle più svariate funzioni, il suo tempio più importante è quello di Philae ad Aswan, ma il mondo ellenistico la porterà ad avere luoghi di culto in tutto il mondo. La città di Parigi deve a lei il suo nome, identificava infatti la cittadina vicina al tempio a lei dedicato, “Par-Isis”, vicino a Iside.

ISTEN: appellativo di Thot nella sua manifestazione di scimmia con testa di cane.

KA: forza vitale, generatrice ma soprattutto spirituale, anche destino. Raffigurato da due braccia alzate come nume tutelare dell’uomo anche dopo la sua morte. Spesso usato come appellativo, Geb era considerato il Ka di tutti gli déi.

KADESH: dea cananea della vita amorosa nel Nuovo Regno. Sue devote le Qedeshah ovvero le consacrate, cioè le prostitute dei templi. Poi assimilata ad Hator.

KEBECHET: figlia del dio Anubi, impersonava l’abluzione vivificante e purificatrice nel culto dei morti.

KEBECHSEBEF: uno dei quattro figli di Horus che proteggeva le salme. A lui viene affidato l’addome. La sua testa di falco si può vedere in uno dei vasi canopi.

KEMATEF: dio primordiale in epoca tarda. Figlio di Nun, manifestazione di Amon sotto forma di serpente.

KEMWER: toro nero adorato ad Athribis, manifestazione di Chentechtai.

KHNUM: guardiano della sorgente del Nilo. Antropomorfo con testa di ariete. Il creatore, modella i corpi dei bambini da far poi giungere nel ventre delle madri. Come dio primordiale è considerato padre dei padri e madre delle madri. In epoca ellenistica diventa Kneph.

KIS: dio della città di Kusae. Il domatore, è raffigurato mentre tiene per il collo due serpenti o due giraffe.

KOLANTHES: dio della città di Panopolis in epoca greco-romana.

KUK E KAUKET: dei primordiali dell’Ogdoade rappresentano l’oscurità che precede la creazione della luce.

MAAT: ordine cosmico. Incarna i concetti di diritto, verità e legalità. Figlia di Ra, è la sostanza che contiene il mondo, compresi gli déi. I giudici erano considerati suoi sacerdoti e gli atti processuali si svolgevano in luoghi di culto a lei consacrati. Chi trasgrediva le leggi veniva condannato in quanto aveva osato mettere in pericolo l’equilibrio del Maat. Il faraone veniva considerato amato da Maat in quanto scelto perché sicuramente avrebbe mantenuto inalterato l’equilibrio del Maat che faceva sì che il mondo non precipitasse nel male. Il suo attributo è la piuma, l’estrema delicatezza dell’equilibrio che serve da contrappeso al cuore del defunto colmo di colpe, sulla bilancia del giudizio divino dopo la morte.

MAFDET: dea dalla forma di belva feroce. Colei che punisce, munita di un’arma per l’esecuzione. Nemica dei serpenti è di aiuto agi morti in cammino verso l’oltretomba.

MAHES: dio solare dalla forma di leone adorato nel delta del Nilo. Forza distruttrice del sole, signore del massacro.

MEHIT: dea leone della zona di Thinis. Sposa di Onuris, la completa che ripristina l’occhio solare.

MERESGER: dea serpente protettrice della necropoli di Tebe. Sovrana dell’occidente, il regno dei morti.

MESHENET: personificazione dell’utensile a forma di mattone su cui si poneva la partoriente.

MIN: dio della fertilità e della procreazione, antropomorfo con fallo in erezione. Detto Kamutef cioè toro di sua madre in quanto generatore di se stesso. Adorato come dio della vegetazione donatore di cibo, durante i suoi festeggiamenti gli era dato in offerta il primo covone tagliato direttamente dal re.

MONTU: dio dalla testa di falco adorato a Hermontis come dio guerriero che atterra i nemici di Ra dando la vittoria al faraone. Re degli déi a Tebe, dove poi prevalse il potere di Amon.

MUT: sposa di Amon e madre di Khonsu. Padrona della città di Tebe, madre del proprio generatore ovvero madre universale non generata.

NECHBET: dea protettrice del re nell’alto Egitto. Dalla forma di Avvoltoio dona il suo simbolo agli ornamenti del faraone. Nel Nuovo Regno dea del parto con il simbolo del fiore di loto.

NEPER E NEPIT: il dio e la dea del grano. Antropomorfi con una fascina di grano sulla testa.

NUN E NAUNET: dio primordiale delle acque da cui sono sorte tutte le cose e la sua compagna nell’Ogdoade. Padre degli déi a Menfi fu associato a Ptah.

NUT: dea del cielo, ingoia il sole la sera a occidente e lo genera la mattina dopo ad oriente. Impersonifica la risurrezione, il sarcofago è il suo simbolo dal quale i morti tornano a nuova vita. Viene separata da Geb dal dio dell’aria Shu che la solleva a formare l’arco celeste sopra la terra.

OGDOADE: le quattro coppie di déi adorati a Ermopoli denominati Shum, gli otto. Personificazioni delle forze primordiali del caos precedente alla venuta del Maat. Nun e Naunet le acque, Kuk e Kauket le tenebre, Hah e Hauhet l’eternità dello spazio, Amun e Amaunet l’invisibilità. Antropomorfi in quanto dei cosmici ma anche come animali ctoni, cioe dell’oltretomba, rane quelli maschili serpenti quelli femminili.

ONURIS: manifestazione del guerriero reale. Forma greca del dio Anhauret adorato a Thinis, signore del massacro. Antropomorfo con quattro penne sulla testa. Si fonde con Shu, il dio che riporta indietro l’occhio del sole.

OSIRIDE: figlio di Geb e di Nut. Viene fatto a pezzi dal fratello Seth che ne sparge i resti per l’intero Egitto. La sorella Iside ne raccoglie le parti e ne resuscita il corpo. Da loro nasce Horus che erediterà la corona del padre, il quale diverrà sovrano dell’oltretomba. Dio della vegetazione, fa spuntare le piante e si manifesta nelle fertili acque del Nilo. Il sole notturno ma anche la luna che con le sue fasi testimonia la sua morte e resurrezione. Porta la corona di Atef con piume di struzzo sopra corna di ariete.

PILASTRO DJED: la colonna vertebrale di Osiride, uno dei pezzi sparsi per l’intero Egitto da Seth dopo aver ucciso il fratello. Rappresenta la forza della nazione, il potere del faraone concessogli dagli déi. Durante alcuni riti il faraone stesso innalzava un pilastro djed a simboleggiare il proprio contributo dato per il consolidamento dello stato.

PETBE: dio della vendetta nell’età Tolemaico-Romana.

PETESUCHOS: dio coccodrillo adorato nel Fayum nell’epoca ellenistica.

PTAH: dio artigiano della città di Menfi. Si trasforma in creatore universale quando il suo culto si espande nell’Egitto. Creò il mondo con la lingua e con il cuore ovvero con la parola, le sue parole si trasformarono in creature grazie ai denti, organo maschile e le labbra organo femminile. Ha in sé l’essenza maschile di Nun e quella femminile di Naunet. Modellatore della terra sulla ruota del vasaio come Khnum, signore dell’ordine del mondo, il Maat e del Duat, il mondo sotterraneo. In epoca Tolemaica diviene dio nazionale e nel suo tempio veniva incoronato il re.

RAT-TAUI: sposa di Montu. Antropomorfa con corna di vacca, disco solare e ciuffo d’avvoltoio.

RA: dio del sole nato dall’oceano primordiale. Di antichissime origini si fonde con molti altri dei impersonando il creatore del mondo con Aton, dio nazionale con Amon, dio coccodrillo con Suchos. Molto presto i faraoni ne comprendono la potenza e si autodefiniscono “Figli di Ra” già dalla IV dinastia. Dio solare che durante il gionro attraversa la volta celeste accompagnato dal suo Visir Thot e dalla figlia Maat fino a sera quando si tuffa nel cielo inferiore. La notte atraversa il mondo sotterraneo minacciato da Apopi ma protetto da Seth e dal serpente Mehen che respinge le forze malvage. Il sole rappresenta il suo corpo ma è più noto come occhio di Ra. Gli obelischi, simboli cultuali di Ra, venivano rivestiti d’oro sulla punta per riflettere già dal primo mattino i raggi del sole.

RENENUTET: dea dell’agricoltura e della messe dalla forma di serpente. Le si offrivano sacrifici al momento di riporre raccolto e della pigiatura dell’uva. Sotto forma di cobra protegge il re.

RERET: dea ippopotamo. Il nome in realtà significa scrofa alludendo alla fertilità capace di creare nuova vita in continuo.

RUTI: la coppia di leoni di Letopoli la cui funzione è quella di nutrire i morti.

SATIS: sposa di Khnum. Signora di Elefantina dona l’acqua delle cateratte. Antropomorfa con la corona dell’alto Egitto e corna di antilope.

SEKHMET: dea della guerra sposa di Ptah e madre di Nefertem con i quali costituisce la triade divina di Menfi. Madre del faraone che accompagna in battaglia trafiggendo i cuori dei nemici con le sue frecce. Antropomorfa con testa di leonessa, signora della magia dona le sue conoscenze alla medicina.

SELKET: colei che fa respirare le gole. Protettrice dei morti. Con le sue formule magiche aiuta il dio del sole contro i nemici.

SERAPIS: il dio toro Osiris-Apis. Introdotto dalla dinastia dei Tolomei è dio universale ma anche della fertilità con il suo copricapo di spighe.

SESHAT: dea della scrittura presiede alla casa dei libri. Sorella ma anche figlia di Thot è addetta ad elencare gli anni di governo dei re e i giubilei da festeggiare.

SETH: figlio di Nut signore del deserto e nemico del fratello Osiride dio della fertilità. La contina lotta dei due rispecchia i conflitti della vita mondana. Dopo l’uccisione del fratello incarna il male assoluto. La sua ambiguità si esalta come dio dell’Alto Egitto che difende Horus dal serpente Apopi ma nella teologia nazionale è il suo acerrimo nemico.

SFINGE: incarnazione del faraone con corpo leonino e volto umano. Adorata come dio nella sua massima espressione della sfinge di Giza, prima come Harmachis poi come Horon. Più tardi sarà invece identificata in Amon-Ra e la testa umana viene sostituita da quella di ariete. La gigantesca Singe di Giza misura 73 metri di lunghezza, 6 metri di larghezza e raggiunge l'altezza di 20 metri.

SHU: il vuoto. Uscito dal respiro di Aton ha separato la terra dal cielo. Con la sorella Tefnut, l’umidità, incarna le forze della vita.

SOBEK: dio coccodrillo adorato a Kom Ombo. Identificato con Horus ottiene l’attributo della testa di falco, poi in RA ottenendo il disco solare sulla testa.

SOKAR: dio dei morti a Menfi, posato sulla sabbia, quindi sopra l’oltretomba. Protettore degli artigiani che lavorano alla necropoli si fonde con Ptah e poi con Osiride come dio dei morti. I suoi riti prevedevano il martirio di un asino, simbolo di Seth, che alla fine veniva ucciso dal re.

SOMTUS: dio creatore figlio del sole adorato a Dendera sotto forma di serpente ma anche come fiore di loto.

SOPDET: dea incarnazione della stella Sirio. A lei si devono le piene del Nilo in quanto avvengono alla sua apparizione nella volta celeste. Diventerà Iside che incarna Sirio a fianco di Osiride incarnato in Orione.

SOPDU: dio del confine orientale, protettore delle miniere di turchese del Sinai. Antropomorfo con due penne di falco in testa, si fonderà con Osiride.

THOT: dio della luna, del calendario e del tempo. Antropomorfo con la testa di ibis. Segna gli anni su una fronda di palma. Cerca e trova l’occhio lunare scomparso e lo risana con la sua saliva. Rappresentante di Ra, sua lingua e cuore, possiede poteri magici con i quali protegge Osiride divenendo aiutante dei morti. Nasce dalla testa di Seth che aveva inghiottito per sbaglio il seme di Horus.

TOERIS: dea ippopotamo con braccia e seni umani. Nume tutelare viene raffigurata sui letti e nei libri dei morti. Sua peculiarità aiutare le partorienti.

UNUT: dea lepre adorata a Ermopoli. Sostituita da Thot diviene nume tutelare armata di coltello.

UPUAUT: dio sciacallo a Siut. Accompagna il re in battaglia precedendo vittoriosamente l’esercito munito di clava e arco. Al fianco del re anche nelle processioni precede addirittura Osiride. Ad Abydos diviene signore della necropoli.

UTO: dea serpente di Buto. Quella col papiro, incarna le forze della vegetazione. Diviene anche forma dell’occhio solare comparendo anche con capo di leone.