LE CULTURE MESOPOTAMICHE
LE CULTURE MESOPOTAMICHE

LE CULTURE MESOPOTAMICHE

4000 A.C. – 330 A.C.

A differenza della civiltà Egizia, che nonostante le numerose influenze esterne dovute a conquiste e invasioni è riuscita a mantenere un’unità culturale sufficientemente costante per quasi cinquemila anni, quella della Mesopotamia, cresciuta intorno ai due principali fiumi mediorientali, il Tigri e l’Eufrate, è un guazzabuglio di razze e culture succedutesi le une alle altre ma anche risorte o apparse per un breve periodo, fino alla comparsa sulla scena della potenza persiana, piombata sul bassopiano Babilonese a spazzare via tutto e tutti definitivamente, alla conquista di un territorio ambitissimo per la sua rigogliosità e per l’abbondanza di risorse e conoscenze. Da una parte questa appetitosa peculiarità ha contribuito al progresso nelle varie specializzazioni grazie allo scambio di esperienze, da quelle artistiche a quelle militari, passando per l’architettura e l’agricoltura, ma allo stesso tempo ha amplificato l’interesse per questa regione di tutte le nascenti civiltà che hanno operato continue pressioni da ogni punto cardinale. Su questo suolo si sono combattute numerosissime battaglie per l’egemonia dell’intera Mesopotamia e nei secoli successivi, fino all’era moderna, questa attività non è mai venuta meno, Hittiti, Khurriti, Accadi, Amorrei, Gutei, Aramei, Elamiti, Assiri, Persiani, Ellenici, Romani, Islamici, Crociati, Mongoli, Portoghesi, Ottomani, Sunniti, Sciiti, Statunitensi. Molti hanno incrociato le spade tra il Tigri e l’Eufrate e a farne le spese è stata sicuramente la popolazione ma sotto i piedi di invasori e razziatori e sopratutto sotto cumuli di macerie, sono stati sepolti e sgretolati millenni di storia e un patrimonio di usanze, arti, conoscenze e saperi che ancora oggi attendono una difficile opera di ricerca e recupero mai avviate in modo concreto, approfondito e continuo.

Spesso si parla di Mesopotamia riferendosi ad uno stato o una cultura uniforme, credendo magari che, come per l’Egitto, ci sia stata un’evoluzione, con le consuete ingerenze esterne e le solite lotte intestine, supponendo però che il paese sia stato pressoché uniforme lungo il corso dei secoli, facendone a tutti gli effetti la culla della civiltà, la mezzaluna fertile che ha insegnato al mondo intero l’arte dell’agricoltura. Così non è, così non è stato. La Mesopotamia, dal greco letteralmente “terra tra due fiumi”, nasce dalla coalizione di numerose Città Stato, le quali, ognuna per proprie particolarità, si autodefiniva in qualche modo capitale dell’impero. I territori che compongono lo stato che sta via via formandosi vengono continuamente assaliti e invasi dalle popolazioni confinanti e a più riprese, i confini mutano, restringendo o allargando la nazione esistente al momento, sostituendo la capitale ufficiale con un’altra città, sostituendo la dinastia regnante con una emergente. Alcune volte al momento della riconquista dei territori perduti si può anche verificare che la capitale torni ad essere la città liberata, restaurando il potere della dinastia decaduta, oppure con l’insediamento della dinastia regnante in quel momento. In alcuni periodi storici ci sono stati nella regione due, tre o addirittura quattro stati più o meno separati, più o meno indipendenti, più o meno autonomi, ma pronti a riunirsi alla prima occasione. In linea di massima la distribuzione delle diverse culture sulle sponde di Tigri ed Eufrate, vede la rappresentanza Sumera localizzata nel sud della regione alla foce dell’odierno Shatt El Arab, dove sorgono le città storiche della mitologia quali Ur, Uruk, Nippur, Isin, Lagash. L’area di maggior influenza Assira è invece situata a nord dove sorgono la città di Ninive, biblicamente conosciuta e la capitale Assur. Il regno Accadico che poi diverrà l’impero Babilonese è situato al centro dove viene costruita ex novo la capitale Babilonia e dove in precedenza il potere è accentrato nella città di Akkad, il cui sito non è stato ancora individuato con certezza.

Da questo sovrapporsi ed intersecarsi di civiltà e culture ci si aspetterebbe che la fede possa subire dei cambiamenti o si trasformi mescolando culti, riti e déi delle varie popolazioni attrici nell’evoluzione della regione o che ancora magari l’invasore imponga con la forza la propria fede sui territori occupati. In realtà ciò che risulta più affascinante della meravigliosa favola mesopotamica è che in tutto questo andirivieni di popoli e civiltà, l’unico filo conduttore costante è stata invece proprio la religione, con un minimo indispensabile di variabilità, dovuta più che altro all’evolversi della scrittura e al variare della lingua. Dall’avvio del periodo cosiddetto storico, fino all’invasione Persiana, la fede delle prime città sumere ha affascinato immigrati ed invasori riuscendo a rimanere immutata per quattro millenni, fino alla caduta dell’impero Babilonese.




 

LO ZIQQURAT EKISHNUGAL, IL SANTUARIO DI NANNA A UR


SUMERI

2900 a.c. – 2370 A.C. e 2250 a.c. – 2004

Nonostante siano accertati insediamenti nella zona settentrionale della Mesopotamia fin dal 6000 a.c. e che i primi accenni di civiltà si possano intravedere in agglomerati urbani risalenti al 4000 a.c., anche in questo caso l’inizio storico della cultura mesopotamica si fa risalire convenzionalmente intorno al 3400 a.c. in corrispondenza con l’apparizione della scrittura nei reperti archeologici a fornire dati e nozioni sufficientemente certe da poter essere prese per assolute, anche se in questa specifica circostanza ancora oggi le sicurezze non sono poi così tante. La storia dei Sumeri nasce sulle rive dell’Eufrate nella città di Uruk intorno al 2900 a.c., anche se non ci sono eccessive certezze archeologiche in merito a tutta la storia mesopotamica, visto che fino ad oggi gli scavi e le ricerche sono sempre stati ostacolati dai regimi e dalle guerre. Inoltre, il floridissimo territorio fra il Tigri e l’Eufrate, il termine Sumer infatti ha il semplice significato di “terra coltivata”, è da sempre stato obiettivo di saccheggi e invasioni da parte di numerose popolazioni, dall’antichità fino ai moderni colonizzatori e nessuno di loro ha mai rispettato il suolo che calpestavano e men che meno il sottosuolo. Qui nasce la scrittura, in contemporanea con l’Egitto o da questo mutuata o verso questo esportata o semplicemente l’uomo improvvisamente sente la necessità, ovunque sia situato, di trovare un mezzo per fissare la parola e renderla durevole e immutabile nello spazio e nel tempo. Qui si sviluppa la cultura della produzione agricola e del commercio, è in questo territorio ricco di potenzialità che si scontrano ma più che altro si incontrano culture e civiltà diverse che fondono e fondano le più importanti basi per il mondo che sarà.

La religione Sumera, così strutturata come è arrivata fino a noi, nasce nello stesso momento in cui si instaura un potere centralizzato nelle città stato del sud della regione. In realtà la fede era già presente e diffusa tra la popolazione, ma è proprio il potere centralizzato che la struttura e ne fa lo strumento di comando più efficace, approfittando, oserei dire, della particolarità più assurda di questa fede che probabilmente ha poi contribuito al suo perdurare anche con il succedersi di popoli e culture al comando della culla della civiltà o forse dell’inciviltà. La struttura religiosa che viene imbastita dai centri di potere delle varie città sumere è completamente priva di escatologia, divergendo nel modo più assoluto dalla contemporanea fede Egizia che pur manifestando un organigramma panteistico, sì più complesso ma egualmente conformato, al contrario basa tutta l’esistenza umana in virtù dell’ottenimento di una meritata ricompensa oltre i confini di questa vita. Gli déi sono antropomorfizzati all’eccesso, al punto da esaltare in loro gli stessi bisogni naturali dell’uomo, necessità che in qualche modo dovranno essere soddisfatte. Per questo motivo hanno creato il mondo, completandolo dei più sublimi doni che la natura potesse offrire, al fine di saziare tutti i loro appetiti. Inizialmente il compito di servire gli déi creatori tocca agli déi minori i quali vengono costretti ad assumersi l’oneroso compito di appagare i desideri dei loro superiori ma questi non ritengono opportuno che, nelle loro posizionI, siano obbligati a funzioni di così basso rango. A seguito di quello che si potrebbe contemplare come il primo e forse unico sciopero celeste, gli déi si vedono costretti a porre rimedio alla rivolta delle braccia conserte creando una nuova schiera di servitori. È a questo punto che interviene Enki, dio della fertilità, il quale con l’argilla, a cui ritornerà dopo una breve e servile vita, plasma l’intera umanità. Lo scopo dell’uomo, dunque completamente privo di un qualsiasi fine celeste, è quindi solo ed esclusivamente quello di provvedere alla produzione di ogni genere di beni primari e voluttuari per la soddisfazione dei bisogni e dei desideri degli déi. Questo naturalmente vale per tutti indistintamente, dal più infimo dei braccianti fino alla più alta carica del tempio, fino agli stessi re, che sovente ricoprivano tale autorità in quanto anche capi religiosi, i quali a sostegno della giustezza della posizione raggiunta si vantano di aver atteso ai loro compiti nei confronti degli déi provvedendo alla costruzione e al mantenimento dei templi e dei relativi annessi, le case degli déi e i magazzini delle scorte alimentari provenienti sia dalle offerte che dalle piantagioni private dei vari templi. Nessuno può dunque esimersi dal servizio verso i creatori dell’universo, pena duri e insistenti castighi, da scontare chiaramente sempre nel corso dell’esistenza in questo mondo. Per cui non solo la vita umana è improntata da un estenuante arco vitale ad uso e consumo degli déi, ma ogni trasgressione, trascuratezza o negligenza è foriera di pesanti rappresaglie che si riflettono sulla qualità dell’esistenza umana. Come se tutto ciò non fosse sufficientemente umiliante si deve aggiungere il triste assunto della teologia sumera, a seguito della propria morte ogni uomo abbandona il corpo, che ritorna ad essere argilla, e nel contempo una sorta di essenza trasmigra verso il regno sotterraneo nel quale porterà avanti un esistenza sonnolenta senza un fine e senza una fine definita, con minimi bisogni a cui devono attendere i suoi cari con piccole offerte, presentate non per devozione, ricordo o affetto ma al solo fine di non farli adirare, altrimenti questi hanno il potere di ritornare sulla terra dall’oltretomba a recare mali e maledizioni ai discendenti irriverenti, quasi come se fossero dei veri e propri demoni. Quale migliore fede poteva essere messa a disposizione dei potenti di una religione che predica il servizio dovuto, verso gli déi e verso la classe sacerdotale, senza poter reclamare alcun diritto né in questa vita né in nessun’altra? Risulta quindi maggiormente comprensibile il motivo che ha spinto conquistatori ed invasori a mantenere un tale regime teocratico il quale contribuisce in maniera fondamentale al mantenimento del potere e dell’ordine all’interno del paese, o meglio della città, in quanto la nazione Sumera è una sorta di confederazione nella quale le varie città stato hanno in comune la lingua, la scrittura, gli usi, l’impianto economico e soprattutto la religione ma ognuna di esse ha il proprio principe e anche i propri nemici.

Il pantheon iniziale racchiude tutte le forze della natura, tramandate dalle divinità locali preistoriche per le quali il culto era prevalentemente rivolto alla sussistenza, più tardi si allarga ad entità consacrate al destino, alla guerra, alla morte, alle scienze, manifestando anche il progredire della cultura e degli interessi umani. Grazie anche a questa evoluzione nasce spontanea la solita domanda chi, come e perché? Vedono così la luce i primi miti della creazione, anche se il culto Sumero ben presto smetterà di occuparsene, la cosmogonia appare un evento talmente misterico e lontano dall’uomo da riservargli così tante accezioni, sovente contraddittorie, da riuscire a mantenerlo profondamente imperscrutabile in modo da non doversene preoccupare più di tanto o non occuparsene più.

Una prima semplicistica mitologia primordiale è basata sull’Abzu, l’idea dell’acqua sotterranea da cui derivano i fiumi, un modo molto pratico primo per dare un senso orogenetico all’esistenza dei fiumi che scendono dalle montagne, secondo per manifestare l’importanza che l’acqua ha in una terra stepposa che prende rigogliosamente vita grazie ai numerosissimi canali scavati dall’uomo. Nell’immaginario preistorico l’Abzu rappresenta il principio maschile, il quale si unisce alla sua controparte femminile, Ti’amat, il mare per dare origine al mondo. Anche in questo caso si riporta in cielo ciò che si può constatare direttamente sulla terra, nello sfociare delle acque fluviali in mare si rivede il fluire del seme umano che si riversa nel grembo di una donna e gli se ne dà lo stesso significato procreativo. Il fiume ed il mare come l’uomo e la donna, questi origine della vita del nascituro, i primi origine e mantenimento della vita umana per ciò che donano all’agricoltura e alla pastorizia e per la vita che nel mare si sviluppa vigorosamente. L’importanza primordiale di questo concetto rimane ferma e rilevante per tutto il periodo nella concezione creazionistica della Mesopotamia, fino ad asserire, necessariamente, che i templi immergono le proprie fondamenta direttamente nell’Abzu.

Con lo svilupparsi della cultura e con l’introduzione della scrittura cominciano a diffondersi nella regione i primi testi religiosi e tra i più importanti miti della creazione giunti fino a noi i più popolari riguardano Enlil, Enki e Dumuzi. Largamente ampliati e rimaneggiati nel tempo ma sufficientemente attendibili secondo i pareri degli archeologi, i quali hanno trovato le dovute corrispondenze tra i tardi scritti cuneiformi e i pittogrammi protostorici, i resti di edifici e i bassorilievi databili portati alla luce.

Enlil separa il cielo e la terra e decide di dissodare quest’ultima con una zappa, al primo colpo l’uomo spunta fuori come una pianta. Semplice e sbrigativo, l’umanità nasce per caso e forse anche per questo non gli è riservato alcun destino oltremondano.

In un’altra versione Enki si assume il compito di creare dei sostituti degli déi per i faticosi lavori agricoli, necessari per sfamare l’intera compagine celeste. Con dell’argilla plasma un modellino di uomo nel quale la grande dea madre inala la vita, a questi verrà riservato il compito di accudire e sostentare i loro creatori. Durante un litigio a seguito dell’abuso di birra, la grande dea madre si dichiara capace di rovinare l’opera di Enki, questi lancia la sfida ritenendosi capace di trovare una giusta collocazione per qualsiasi creatura cui ella avesse donato l’esistenza. La dea allora dà vita ad ogni genere di deformità ma Enki si rivela in grado di trovare per ognuna di esse la corretta collocazione all’interno della società. Racconto fantasioso ma opportuno, in questo modo si riesce non solo a rispondere alla primaria domanda, perché, ma anche a giustificare la presenza di tutti quegli sfortunati che manifestano chiare menomazioni in palese contrasto con una creazione di matrice divina.

In una variante di questo mito la grande dea madre è identificata con Inanna, la dea principale del pantheon Sumero. Dopo la creazione del mondo Enki assegna ad ogni dio uno specifico compito celeste, alla fine della distribuzione Inanna protesta di non aver ricevuto alcuna mansione, al che Enki la rabbonisce asserendo che lei ha invece il compito più difficile perché non essendogli stata assegnata alcuna specifica missione dovrà occuparsi di tutto. Inanna si rivelerà l’unica vera e tangibile superstite del pantheon Sumero, longeva come nessun altro la ritroveremo in altre culture traslitterata in nuove lingue, prima come Ishtar, poi Attar, Afrodite, Venere, con questo epiteto perde la sua funzione di amore celeste per tramutarsi più in dea dell’amore terreno, si confonde con Iside, fino ad incarnare nell’immaginario popolare più semplicistico la sua definitiva trasformazione in Maria Madre di Dio, colei alla quale ci si può affidare per qualsiasi bisogno, Le possiamo rivolgere preghiere per chiederLe tutto, come tutto è il compito di Inanna.

Un’ultima versione rivela invece una visione cosmica che inserisce il teorema ciclico di morte e rinascita, sicuramente di molto posteriore alle due precedenti proprio per la sua struttura elaborata, è quella che vede protagonista Dumuzi. La dea Inanna non resiste al serrato corteggiamento del pastore Dumuzi e ne fa il suo sposo elevandolo a dio. Questi sacrifica la divinizzazione ricevuta offrendosi in cambio della sposa tratta in ostaggio nel regno dei morti. Pur non essendo presente nella teologia sumera il ritorno in vita del dio, gli alti lamenti del popolo parrebbe abbiano comunque favorito una sorta di rinascita a cui successivamente verrà associato il ciclo vitale agricolo, fino a dar luogo ad una celebrazione che si tiene ogni anno durante la quale il re, per garantire la prosperità nell’anno in corso, contrae un matrimonio simbolico con una sacerdotessa convalidandolo con un amplesso volto a fertilizzare i campi e il bestiame. Il mito di Dumuzi nasce in verità in antitesi alle divinità statali il cui culto è riservato alla famiglia reale e a poche altre eminenti cariche cittadine, è un eroe divinizzato, uno del popolo, vicino ai bisogni più umani e raggiungibile da chiunque facendo sì che la fede si espanda velocemente fra le classi inferiori, costrette a sostentare clero, famiglia reale e déi non hanno altri a cui rivolgersi se non un’entità a loro più vicina a cui chiedere soddisfazione delle proprie necessità. Simbolizzando i principi maschile e femminile da cui si origina l’esistenza dell’universo Dumuzi e Inanna sono i soli che possono assicurare il sostentamento primario, cibo e salute, di questo hanno bisogno i Sumeri esclusi dai benefici dei grandi templi e le classi religiose non hanno certo alcuna motivazione per contrastare una fede bucolica e popolare che ha il pregio di evitare ogni tipo opposizione al loro potere, tanto da arrivare a farla propria e nel contempo lasciarla libera alla venerazione popolare.

In ogni città il tempio più grande è dedicato al dio protettore del luogo, così ad Uruk abbiamo i templi di An e Inanna, a Nippur il tempio Ekur dedicato ad Enlil, a Eridu quello dedicato a Enki, a Larsa quello di Utu, ad Ur il tempio di Nanna. La grandezza e l’influenza di ognuno di questi déi va di pari passo con il potere politico della città, rappresentato dal re, sacerdote e amministratore, il quale riesce ad avere la supremazia sulle zone circostanti e di volta in volta si dichiara sovrano di questa o quella città o regione. Numerose sono le liste dei re che sono state ritrovate e spesso sono anch’esse contrastanti per la mancanza di un sovrano o di una dinastia che magari in tempi successivi non risultava favorevole o opportuno inserire e quindi le liste posteriori sono spesso mancanti di nomi presenti in quelle precedenti. Quindi per tutto il periodo Sumero la popolarità e l’influenza di ogni dio si misura con la potenza politica ed economica del re che a quel dio si è affidato.

Fino al III secolo a.c. gli déi hanno propriamente gli stessi difetti degli uomini, ineluttabile considerando che si ritiene anche che abbiano le stesse necessità, con l’inizio del periodo storico e il diffondersi dei primi miti per iscritto; invece, si comincia a considerarli esseri più nobili cui non solo si è obbligati con obbedienza e servilismo ma a cui ci si può anche rivolgere per ottenere protezione, autorità e possibilità. Allo stesso modo i demoni sono inizialmente visti come esseri che causano i disagi agli uomini senza un vero e proprio motivo, poi con lo svilupparsi della teologia e della politica questi divengono gli esecutori delle volontà degli dei a cui viene riconosciuta la funzione di giustizieri con lo scopo di punire i peccati degli uomini, assimilandoli così ancor di più alle funzioni amministrative dei potenti del regno, la paura di incappare in una sciagura direttamente inviata dagli déi per mezzo dei malefici demoni, riesce a contenere le disordini e insurrezioni meglio di un’armata agguerrita. Il potere amministrativo vigila sulle azioni manifeste e i demoni le puniscono, nello stesso modo con il quale castigano le intime e segrete cattive azioni degli uomini. Anche queste in fondo minano l’impianto su cui poggia la fede Sumera, l’umanità tutta è al servizio degli déi e i re-sacerdoti sono i più meritevoli dei riguardi degli déi perché grazie a loro, alla loro politica e alla potenza delle dinastie che vengono costruiti templi sempre più grandi e amministrati i beni che al tempio sono dovuti. Il potere risiede nel tempio e i magazzini si ingrandiscono e si colmano grazie ad esso e conseguentemente il potere diventa maggiore e il re lo ribadisce a futura memoria. Urnashe lascia questa iscrizione “Urnashe, re di Lagash, figlio di Gunidu, figlio di Gurmu, costruì la casa di Ningirsu, costruì la casa di Nanshe, costruì la casa di Gatumdug, costruì lo harem, costruì la casa di Ninmar. Le navi di Dilmun portarono a lui legno in tributo dai paesi stranieri. Egli costruì lo Ibgal, costruì il Kinir, costruì la casa dello scettro.” Perché chiunque lo sapesse. Perché anche gli déi sapessero ciò che lui per loro aveva fatto e riceverne in cambio potere. Non sempre però le preghiere sono sufficienti e allora si elevano le proteste, come quella di Urukagina di Lagash sconfitto da Lugalzagesi di Umma. Si rivolge direttamente alla dea Nidaba protettrice di Umma chiedendole di punire Lugalzagesi per aver profanato la città di Lagash e i templi di Nanshe e Amageshtin, offendendone il dio protettore Ningirsu. Inoltre, ha l’innocente stupida furbizia di giustificarsi davanti al proprio dio dando al nemico la colpa della distruzione dei templi. “Egli ha posto le mani sull’Engurra di Nanshe, ha rapinato i suoi metalli preziosi e i lapislazzuli; egli ha posto le mani sulla casa di Amageshtin, la statua di Amageshtin ha rapinato dei suoi metalli preziosi e del lapislazzuli, la gettò nel pozzo del tempio; egli ha distrutto tutto il grano che era stato arato. Poiché l’uomo di Umma ha distrutto i mattoni di Lagash, ha commesso peccato contro Ningirsu, questi amputerà le mani che si sono levate contro di lui; questo non è peccato di Urukagina, re di Girsu. Che Nidaba, la dea di Lugalzagesi, ensi di Umma, faccia pesare su di lui tutti questi peccati.” Anche davanti al popolo il sovrano si giustifica, quasi come a dire che il dio protettore del villaggio avversario non abbia il dovuto controllo su Lugalzagesi. Sembra affermare, non è colpa mia, è la dea di Umma che si è distratta è ha lasciato che Lugalzagesi operasse iniquamente. Un modo come un altro per cercare di mantenere il potere. Non ci riuscirà. Lugalzagesi sarà il nuovo signore di Sumer ma, potremmo banalmente dire, subirà la maledizione di Urukagina. Nel 2370 sarà sconfitto e fatto prigioniero dall’emergente re Accadico Sargon, fondatore del potere della dinastia Accadica che trasferisce l’autorità centrale nel nord della regione, ad Accad, leggendaria città da lui fondata ma di cui non si sono ancora ritrovati i resti.

In tutta Sumer i due templi più importanti sono dedicati ai principali déi del pantheon sumero, An e Inanna. Entrambe divinità celesti il primo è il dio supremo re del cielo, la seconda incarna la grande madre, dea della fertilità e dell’amore la divinità più diffusa, il principio della vita che da sempre l’umanità ha riconosciuto nel divino. In questo periodo la divinità femminile ha ancora grande potere, almeno fino a quando la politica non ottiene il definitivo sopravvento sulla gestione della religione escludendo le dee o trasformandole in divinità maschili. Probabilmente non è considerato virile e opportuno che il re, principalmente un uomo, debba avere atteggiamenti di deferenza verso una donna quand’anche fosse una dea. Nei tempi più remoti non sono però mancate le sacerdotesse con grande influenza e potere, anche se la più famosa sarà la regina babilonese Semiramide, che Dante addirittura porrà all’inferno tra i lussuriosi. I due déi celesti insieme a Enlil sono i più potenti dell’antica Sumer, la supremazia assoluta comunque e ovunque riconosciuta a quest’ultimo si riflette sull’indiscusso prestigio della città santa di Nippur, ascendente che però non la porta mai ad avere alcuna supremazia politica sul territorio, ancorché sempre e per chiunque, invasori e approfittatori inclusi, un innegabile divino rispetto. Questo ci conferma i controsensi della teologia Sumera in cui si denuncia il potere nel re sacerdote in virtù del dio servito ma poi al contrario il bastone del comando si concentra nel dio servito da un potente re sacerdote. In realtà le gerarchie di potere, sia politico e sacerdotale che la stessa commistione dei due non sono ben delineate, vuoi per la non profonda certezza delle conoscenze arrivate fino a noi, vuoi per l’apparente assoluta non necessità di un vero e proprio inquadramento secondo la carica, quasi come se il titolo non arrivi a determinare completamente le funzioni che chi lo detiene possa svolgere. Tutto questo nonostante la meticolosa individuazione di ogni specifica e particolare funzione per ogni addetto ai templi. A livello politico le cariche sostanzialmente sono solo due, il Lugal, uomo grande, è il re della città e della sua regione di influenza, le cui funzioni conseguono un carattere essenziale solo in momenti di particolare pericolo durante i quali un non meglio definita assemblea di cittadini, anziani e possidenti, lo elegge. Il vero e proprio potere amministrativo è invece nelle mani dell’Ensi, contenuto entro le mura della città ma assoluto in quanto derivante direttamente dal dio a cui egli dichiara di ubbidire. In una regione che appare unitaria a prima vista ma che in realtà è frammentata come mai potremmo credere, sembra che ognuno cerchi di emanciparsi più con i titoli che non con l’effettivo potere, quasi come fanno gli animali che si gonfiano per spaventare il nemico. Così ognuno si assegna gli attributi che più ritiene opportuni, a Uruk abbiamo il Signore di Sumer e Signore di Uruk, mentre ad Ur si proclamano Re di Ur e Re del Paese, tutto questo solo manifestando la loro completa dedizione ai voleri del dio. Gli déi in realtà non operano con ordini diretti ma attraverso il compimento di avvenimenti o l’accadimento di fenomeni inattesi, questi però devono essere interpretati da specifici addetti alla divinazione che si arrogano il potere di riuscire ad interpretare i voleri degli déi e con riti appropriati, essere capaci di modificarli a favore di chi li interpella. Il potere acquisito nelle varie cariche ne rende addirittura possibile l’ereditarietà nonostante queste siano concesse per le specifiche peculiarità delle persone inizialmente scelte, addirittura si arriva a inventarsi antenati che avrebbero trasmesso il diritto alla carica, anche se semplicemente quella di Enkum, addetto ad attività collegate all’acqua. Per ottenere però inizialmente tali incarichi bisogna manifestare la purezza del corpo e dello spirito e per arrivare alle cariche più alte è necessario dimostrare di essere in grado di saper adoperare con dimestichezza la divinazione, ma a far questo sono capaci tutti in una civiltà che proprio della profezia fa il più comune mezzo per arrivare al potere. Come quasi tutto nell’organizzazione Sumera la gerarchia religiosa non è ben definita, l’importante sembra essere la capacità di avere le mani in pasta nei maggiori templi del paese, il responsabile amministrativo di un tempio dedicato ad un dio meno importante può avere allo stesso tempo una funzione marginale in un tempio dedicato al dio principale della città e viceversa e l’abbondanza di funzioni particolari garantisce allo stesso tempo un gran numero di pubblici uffici da ricoprire nei vari templi cittadini. Gli déi sono considerati e trattati come materialmente reali, devono essere accuditi, vestiti, lavati, saziati, accompagnati nelle processioni e allietati proprio come ci si comporterebbe con un re e per ognuna di queste attività vi è una o più persone appositamente addetta. I cerimoniali sono strettamente rigidi e bisogna attenervisi scrupolosamente, come allo stesso modo l’etichetta regale che assume un’importanza fondamentale per la vita politica. Il contenuto di questo codice non dogmatico ma strettamente pratico si arricchisce e si complica nel corso dei tempi in virtù del sempre più complesso ordinamento amministrativo civile che in pratica viene gestito tramite i rituali religiosi. Le numerose cariche sono ben determinate e coprono ogni tipo di necessità diretta del dio e di tutti i cerimoniali ad esso collegati. Il Sanga è addetto ad aprire la bocca della statua del dio per cibarlo, l’Abrig è addetto alla chiusura delle porte, lo Zabardab è responsabile degli utensili in metallo. Su tutti emerge chiaramente l’Ensi, il quale non agisce mai per propri interessi ma solo a favore e per conto del dio sovrano supremo per il quale risponde come un governatore in terra e questa carica la ottiene dimostrando di essere l’amato e l’eletto degli déi cittadini e possibilmente anche di Enlil, una buona raccomandazione non la si rifiuta mai. La sua qualifica è comunque principalmente sacerdotale e con questo ufficio ha obblighi nei confronti della manutenzione del tempio ma soprattutto e direi finalmente anche verso le classi meno agiate della popolazione. Deve mantenere l’ordine sociale, esercitare la giustizia, patrocinare le opere pubbliche e difendere il territorio cittadino. Al contrario delle altre religioni, non fondandosi su principi istituzionali, quella Sumera non ha la necessità di attenersi a determinati dogmi ma soltanto di attendere alla semplice funzione sociale dalla quale essa stessa prende forma, non esistono pertanto libri sacri in cui siano indicate regole di comportamento teologico a cui l’Ensi debba attenersi. D’altra parte, la difficoltà di realizzazione della complicata scrittura, che soltanto gli stessi scribi erano in grado di leggere, lasciano alla tradizione orale il compito di tramandare le usanze. I pochi testi scritti tramandati sono stati però sufficienti ad illustrare la complicata genealogia divina e le tradizioni religiose. Manca però nella maniera più assoluta una morale religiosa che ponga dei limiti al potere del governatore, gli obblighi cultuali sono essenzialmente ridotti al servizio degli déi e qualunque cosa sia fatta in loro nome, seppur dovendone dimostrare la derivazione divinatoria, avrà il dovuto svolgimento, si trova sempre un indovino compiacente pronto ad appoggiare il volere del sovrano.

A parte i vari déi locali che assurgono a protettori temporanei solo nei momenti di grande splendore della città che li venera, in tutta Sumer gli dei principali sono solo tre, An, Enlil ed Enki. An è all’apice del pantheon in quanto dio creatore del mondo avendo separato cielo e terra insieme alla sua paredra Ki. Seppure sia riconosciuto come capo degli déi, An rimane comunque una figura astratta a cui la venerazione è dovuta a prescindere, il dio più invocato o evocato è però Enlil, il dio del destino. È lui che indirizza i comportamenti umani, l’artefice delle sventure o delle fortune, colui a cui ci si rivolge per ottenere qualsiasi cosa materiale, dal cibo, alle fortune, alle vittorie sui nemici. È lui che stabilisce le sorti del mondo intero con decreti assoluti i Me, il più delle volte severi e inflessibili ma malleabili dalle necessità dei re e dei sacerdoti, è il vero dio da temere. Grazie a Enlil, Nippur rimarrà sempre la città santa da proteggere e da non molestare, da tenere lontana da guerre e invasioni. Anche per i nemici di Sumer rimarrà il rispetto per questa città e per il suo dio, anzi ne approfitteranno conquistandola pacificamente dopo le importanti vittorie sulle città armate del paese e grazie al potere sull’Ekur potranno mantenere il comando sulla regione. Il più vicino alla gente e ai bisogni terreni è però Enki, concepito come il dio creatore delle strutture umane e quindi quello che meglio può comprendere e esaudire le semplici richieste quotidiane. Tra l’altro è il dio protettore della città di Eridu, considerato il più antico insediamento della regione da cui deriva la regalità Sumera. Gli altri dèi hanno caratteri più locali come Nanna a Ur o a Uruk Inanna, la dea madre che in altri luoghi era conosciuta con appellativi diversi ma comunemente identificata, Baba, Nintu, Geshtinanna.

Particolarità della religione Sumera è quella di dare un nome proprio ad ogni tempio, un appellativo con un significato preciso, lo splendente, il magnifico e così via. Qui elenco i più famosi tra quelli giunti fino a noi.

EANNA: il Santuario di Inanna a Uruk.

EBABBAR: il Santuario di Utu a Larsa.

EKUR: il Santuario di Enlil a Nippur.

ENINNU: il Santuario di Ningirsu a Lagash.

EKISHNUGAL: il Santuario di Nanna a Ur.

ESAGILA: il Santuario di Marduk a Babilonia.

All’interno del santuario i compiti sono ripartiti con le stesse modalità delle competenze politiche, che in realtà da questo sono derivate. Il potere amministrativo è nelle mani del Sanga, il gran sacerdote è in vece l’En, spesso questa carica è rivestita da donne e l’importanza del ruolo è confermata dal fatto che molte sacerdotesse sono di estrazione regale. Il numero di responsabili all’interno del tempio è altissimo anche perché ognuno di loro ha una specifica funzione e la svolge soltanto per uno dei tantissimi déi. La camera principale del tempio è al livello più alto dello Ziqqurat, il resto della costruzione è adibita a magazzini sia di merci che del materiale di competenza di ogni dio e da innumerevoli cappelle ognuna riservata ad un diverso dio da servire e accudire devotamente. Le denominazioni sono varie e perlopiù sconosciute, Lagal, Makh, Gada, certo è che il Sanga è l’addetto ad aprire la bocca della statua del dio per cibarlo, l’Abrig è addetto alla chiusura delle porte, lo Zabardab è responsabile degli utensili in metallo, lo Ishib è il sacerdote addetto alla libagione. La Nindingir è la “signora dio”, ve n’è una sola per ogni divinità e vive la sua esistenza in castità votata completamente al dio, il Lumah è un uomo eminente, una sorta di sapiente del tempio, i Gudu sono sacerdoti comuni, i Gugu sono musici purificatori, i Nar sono cantori e i Gala sono i piangitori ufficiali che accompagnano le loro lamentazioni con strumenti simili all’arpa. Per le manifestazioni più importanti è però il re che partecipa in prima persona alle cerimonie, è lui che adempie ai riti ierogamici, dal greco ιερογαμία "matrimonio sacro", un cerimoniale che simboleggia l’accoppiamento tra due divinità o tra un dio e un mortale, quest’ultimo rappresentato dal re sacerdote, che si unisce simbolicamente al dio ma più spesso, anzi quasi sempre, se non solo e soltanto, con una sacerdotessa addetta proprio a tale scopo. Questa celebrazione si svolge a Lagash nei giorni del Capodanno che coincidono con le feste dedicate al dio Ningirsu, durante le quali lo si fa incontrare con la sua diletta sposa Bau. L’incontro divino avviene all’interno del tempio in una stanza apposita nella quale è allestita una vera e propria camera da letto. In momenti diversi della storia mesopotamica si abbandona la reale unione carnale e si arriva ad approntare la camera da letto per le statue degli déi che vengono posti nel letto l’uno accanto all’altra per consumare la loro intimità. Solitamente queste cerimonie hanno un carattere procreativo, rievocando l’unione degli déi che ha dato vita al mondo e la cerimonia diviene necessaria per il mantenimento della fertilità delle bestie e dei campi. Una cerimonia simile si svolge nelle città di Ur e Uruk, è quella che celebra l’unione fra Dumuzi e Inanna ma ha un carattere completamente diverso. Dumuzi è l’eroe umano divinizzato che acquista la divinità con il matrimonio contratto con Inanna. Questo rito ierogamico viene svolto proprio per manifestare la divinità del re sacerdote, la sua unione carnale con la dea Inanna ne stabilisce la divenuta appartenenza tra le fila divine e per questo la sua assoluta e indiscussa autorità sul territorio. Tutta la pratica da seguire è ben descritta all’interno di un inno ad Inanna in cui sono specificati i vari momenti della festa il cui acme è preceduto dalla presentazione del re alla dea da parte di Ninshubur il quale invita Inanna a concedergli potere e potenza, gloria e fertilità per le messi, dopodiché il matrimonio viene consumato. Sulla falsariga di queste cerimonie prendono sempre più campo le unioni con sacerdotesse o meglio pseudosacerdotesse ierodule che offrono il loro corpo per il tempio, il loro appellativo è Lukur, che le differenzia dalle normali prostitute chiamate Karkid, numerose sono successivamente le definizioni di queste cortigiane sacre con funzioni più o meno direttamente gestite dal tempio, con provenienze da strati sociali diversi a seconda della loro funzione di ierodule o di sacerdotesse riservate al tempio, al dio e al re.

Dal punto di vista spirituale la religione Sumera è veramente povera di principi, a cominciare dalla completa assenza della sensazione del peccato, solo a cominciare dai testi redatti intorno al 2500 a.c. si comincia ad ipotizzare che un’azione riprovevole possa condurre a ricevere un castigo da parte degli déi. In ogni caso questa giunge comunque durante la vita del peccatore in quanto gli inferi non sono considerati un luogo di punizione, ma un luogo dove l’essenza umana residua trascorre un’eternità senza dimensione, sono temuti ma anche inesorabilmente accettati con rassegnazione in quanto inevitabili. Tutti dopo la morte proseguono la loro reietta e immobile esistenza nel Ki dove convivono in luoghi non meglio identificati e separati anche l’Abzu divino e il signore dell’oltretomba Ereškigal. Pur non essendo un luogo piacevole cui dirigersi ci si immaginano anche accessi diretti per recarsi negli inferi, strette aperture menzionate anche nell’epopea di Gilgameš attraverso le quali passa anche Inanna per liberare il suo Dumuzi, scevra da ogni orpello, apatica e abulica per confondersi con la mestizia quasi annoiata dei morti condannati a esistere tutti con la stessa silente malinconia e finalmente, privi di ogni potere, dal più alto dei re all’ultimo dei contadini. A testimonianza della neutralità degli inferi accorre lo stesso Utu, il sole che a causa del suo passaggio sottoterra dopo il tramonto per poi rispuntare a occidente il mattino successivo è considerato una divinità degli inferi ma questo non gli apporta alcun connotato negativo.

In quest’universo così ben organizzato e stabilito non mancano in ogni modo sprazzi di filosofia, i quali però non conseguono le dovute attenzioni, si affacciano timidi i primi dubbi sull’impalcatura religiosa Sumera. Quello che per qualcuno è buono può offendere il suo dio, quello che sembra senza valore al cuore di qualcuno, può essere apprezzato dal suo dio. E ancora, Chi può conoscere la volontà degli déi nel cielo? Chi può capire le intenzioni degli déi infernali? Più tardi nel periodo babilonese si ripropongono gli stessi dubbi, le intenzioni degli déi sono tanto lontane quanto il centro dei cieli, e inoltre la conoscenza è difficile, le persone non sono informate. Mancando assolutamente una coscienza del perdono, la soluzione a questi arcaici quesiti si risolve soltanto rivolgendosi alla magia e all’esorcismo, è proprio vero la conoscenza è difficile perché le persone non sono informate o peggio sono malinformate.

ABGAL: sette spiriti sumerici discendenti di Abzu e sudditi di Enki. Probabilmente la reminescenza di re primordiali.

ABU: dio della vegetazione, nato dalla testa di Enki, è l’idea stessa della crescita.

AN: il cielo, la sua sposa è Ki, la terra. Dio supremo solitamente non ben disposto verso gli uomini, contro i quali sguinzaglia il demone Lamashtu e Mamitu, la dea della morte.

BABA: dea dell’abbondanza, figlia di An.

BELILI: dea del mondo sotterraneo sorella di Dumuzi.

DAMGALNUNNA: dea sposa di Enki e madre di Marduk.

DUMUZI: dio della vegetazione, rappresenta il principio maschile della natura. Sposo di Inanna e da questa abbandonato ai demoni dell’inferno di cui è poi divenuto re per poi ritornare trionfante, simboleggiando il morire e rifiorire della vegetazione.

ENBILULU: dio dell’irrigazione e dell’agricoltura. Uno dei cinquanta nomi di Marduk.

ENKI: signore della terra, sovrano delle fonti della fertilità e delle sorgenti sotterranee, raffigurato con raggi di acqua che gli escono dalle spalle. Dio della saggezza e dell’esorcismo. Creatore della vegetazione e degli uomini. Vive con la sua sposa Ninhursanga nel paradiso il Dilmun. Getta un seme nella steppa da cui nascono otto piante. Dopo averne mangiato i frutti si ammala ad otto organi e rimane incinto. La sua sposa dea del parto lo assiste e lo aiuta a partorire otto divinità, la prima delle quali è Abu.

ENLIL: figlio di An, signore delle tavole della predizione attraverso le quali determina il corso del mondo. Osteggia gli uomini con il diluvio e gli scatena contro il mostro Labbu. Chi è influenzato dalla natura di Enlil regna sugli uomini.

ERESHKIGAL: dea del mondo sotterraneo. Rende preda degli inferi colui contro il quale punta il suo occhio della morte. Sposa di Nergal, e sorella di Inanna che la contrasta dall’alto del cielo.

GALLA: demone degli inferi.

GIBIL: dio del fuoco, portatore di luce ma anche causa di incendi.

GILGAMEŠ: re preistorico della città di Uruk. Combatte Huwawa e il toro celeste. Inutile la sua ricerca della vita eterna. Viene deificato ed entra a far parte degli dèi degli inferi.

GULA: dea guaritrice sposa di Ninurta.

HENDURSANGA: dio dell’ordine giuridico. Accompagnatore dei defunti verso il paese dei monti, una delle definizionI del mondo dei morti.

HUWAWA: demone guardiano delle montagne dei cedri del Libano, insediatovi da Enlil ma sconfitto da Gilgameš.

INANNA: signora del cielo, dea dell’amore e della guerra. Raffigurata nuda con raggi che le escono dalla schiena.

ISHKUR: dio delle tempeste. Si manifesta con il temporale e la pioggia e dall’alto del cielo aiuta i re terreni.

KISKIL-LILLA: demone femminile della notte. Vive nell’albero di Inanna, l’Haluppu che verrà poi abbattuto da Gilgameš.

LAMA: demone femminile protettivo e benevolo.

ME: sono i decreti divini di An ed Enlil, sono rigidi e assoluti, delle vere e proprie prescrizioni comportamentali a cui ci si deve attenere scrupolosamente. Emessi dai due déi principali vengono trasmessi a tutte le altre divinità che dovranno imporli all’umanità e vigilare sulla loro attuazione, solo attenendosi ai Me l’universo potrà mantenersi ammirevole per questo devono essere scrupolosamente seguiti da re, sacerdoti e popolo. Inflessibili ma stranamente non immutabili in quanto possono essere cambiati, aboliti e addirittura restaurati.

NAMTAR: personificazione del fato. Ciò che viene tagliato via. Messaggero della dea degli inferi, porta la morte agli uomini.

NANNA: dio della luna e signore del fato. Raffigurato anche in trono con anello e bastone simboli della giustizia.

NINAZU: dio degli inferi con funzione di dio della salute.

NINGAL: sposa di Nanna, madre del dio sole.

NINGIRSU: dio guerriero, assicura la prosperità alla città protetta nella sua funzione di dio dell’abbondanza.

NINGISHZIDA: dio del mondo sotterraneo, rappresentato dal serpente cornuto.

NINHURSANGA: dea madre, Nabucodonosor e Hammurabi si dichiarano suoi figli.

NININSINA: dea tutelare di Isin, figlia di An gran medico come il figlio Damu, dea ierodula.

NINLIL: sposa di Enlil e madre di Nanna. Dea materna e misericordiosa.

NINMAH: divinità madre.

NINSUN: madre di Gilgameš, interprete dei sogni.

NINURTA: figlio di Enlil e sposo di Gula. Dio campestre fa prosperare le mandrie e le messi. Riconquista le tavole del fato rubate da Zu. Vendica il padre e sconfigge il demone Asag.

NISABA: dea della scrittura e della scienza, figlia di An. Dona l’intelletto agli uomini.

NUSKU: dio della luce e del fuoco, figlio di Enlil. Nemico delle streghe e dei demoni. Indica la strada, rappresentato con una torcia sulle pietre di confine.

PABILSANG: figlio di Enlil, sposo della dea della salute, Nin’insina.

SHAKAN: dio degli animali della steppa. Gilgameš lo incontra nel mondo sotterraneo.

UTU: dio del sole, tutore del diritto. Figlio del dio della luna Nanna e fratello di Inanna.

ZABABA: dio della guerra, sposo di Inanna. 

GILGAMEŠ

ACCADICI

2370 a.c. – 2250 A.C.

Nel corso degli anni la prosperità della regione mesopotamica, pressoché circondata da zone quasi desertiche, attira invasioni e migrazioni di interi popoli, i più numerosi e costanti in questo lento insinuarsi nella cultura della regione è quello dei semitici, popoli provenienti dal vicino oriente che si insediano soprattutto nelle regioni del nord, attivi sono però anche gli scambi culturali e religiosi con Mitanni, Hurriti e Hittiti. Nonostante il gran numero di immigrati che invadono silenziosamente la valle tra il Tigri e l’Eufrate, non si manifestano particolari stravolgimenti nella realtà culturale e cultuale preesistente, anzi i nuovi arrivati si adeguano presto agli usi locali e accolgono ben volentieri la religione dei paesi occupati, quasi a riconoscerne la superiorità. Questo atteggiamento si rivelerà politicamente una mossa strategica per le genti semitiche, sia il fatto di non creare disordini, fomentando inutile odio verso loro stessi da parte degli indigeni, sia e sopratutto perché il culto sumerico è già ben strutturato a favore di chi detiene il comando e di questo ne beneficeranno appieno nel momento in cui riusciranno a strappare il potere dalle mani delle dinastie Sumere. Il susseguirsi di cambi di potere fra le varie città si amplia da questo momento a livello nazionale, le varie etnie che prendono il potere si alterneranno nei secoli, con sempre maggior influenza semita, intervallate da incursioni di genti Elamite, Gutee e Amorree che prenderanno il potere solo in alcune città e per brevissimi periodi. Dopo lo sporadico exploit accadico torneranno a governare ancora i Sumeri, ma a nord si farà sempre più importante la potenza Assira e a sud i Babilonesi più volte assurgeranno a dominatori di un impero che diverrà sempre più vasto, ma in tutto questo susseguirsi di stravolgimenti gli antichi déi Sumeri rimarranno ancora al loro posto. L’unica sostanziale variazione si ha soltanto nel mutamento dei nomi degli déi Sumeri, i quali vengono cambiati secondo la fonetica e la scrittura semita. Il pantheon arriva a superare i duemila déi ma solo una cinquantina sono quelli nazionali e sono gli stessi lasciati in eredità dai Sumeri, gli altri sono soltanto divinità locali che possono vantare pochissimi fedeli, all’interno di una tribù, di un villaggio o addirittura di una famiglia.

L’artefice di questa svolta è il futuro re Sargon, un alto funzionario del re Urzababa della città di Kish. Si impadronisce del potere proprio a Kish e conquista Uruk, poi sancisce definitivamente la sua supremazia sulla regione sconfiggendo l’esercito radunato da Lugalzagesi fra le città confederate. Fonda una nuova capitale, Accad, nel centro della Mesopotamia. Anche per questo sarà ricordato, l’idea di fondazione è strettamente legata alle divinità, non vi è nel paese memoria della creazione ex novo di una città se non per mano di un dio e per questo sancirà il suo operato nel nome degli déi. “Sargon, il re, si prostrò in preghiera dinanzi al dio Dagan in Tuttul e questi gli diede la regione settentrionale, Mari, Iarmuti, Ibla fino alla foresta dei cedri, e alla montagna d’argento. Enlil non permise che alcuno si opponesse a Sargon, il re”. Il suo impero si espande velocemente fino all’odierno Libano e all’Anatolia, il re non agisce per proprio conto ma per ringraziare il dio Enlil, in quanto prima di ogni sua azione il dio gli fa ricevere un dono, il potere, e successivamente il re deve operare in modo da dimostrare di essere degno di ciò che ha ricevuto. Quindi l’azione compiuta dal re acquista la qualità divina in quanto eseguita per compiacere il dio e il sovrano, di conseguenza, si prende i meriti dell’atto compiuto per il dio. “Poi, nella sua tarda età tutti i paesi si rivoltarono contro di lui e lo assediarono in Accad. Ma Sargon eseguì una sortita e li sconfisse, li batté e spezzò il loro grande esercito”. Il re compie i riti sacerdotali che gli competono e comanda personalmente le battaglie per portare il suo potere ovunque e con questo l’ordine cosmico voluto dal dio. Il suo regno dura cinquantasei anni e alla sua morte gli succede prima il figlio Rimush, poi il secondogenito Manishtushu, entrambi caduti a seguito di congiure di palazzo, poi il comando arriva nelle mani del nipote di Sargon, Naramsin, il quale riesce con molte difficoltà a tenerlo per trentanove anni, ma già dagli ultimi tempi del regno di Sargon il declino del potere della dinastia è già cominciato e alla lunga torna nelle mani dei Sumeri.

L’inserimento ufficiale della cultura semita nella regione e il progresso naturale dell’umanità, pur non mutando le attitudini degli déi Sumeri e il dominio della classe sacerdotale, favoriscono la nascita di nuove interpretazioni sull’esistenza degli déi e sul loro rapporto con l’umanità. Con uno stile tutto occidentale si rivedono le genealogie divine creando nuove coppie di déi paredri con propri discendenti scelti tra altre divinità e con uno stile tutto mesopotamico le si confondono facendo diventare fratelli i discendenti di due diverse coppie e figli che divengo padri, insomma tutto rimane come prima, ogni città assurge i propri déi protettori a divinità di maggiore importanza e il potere rimane ancora nelle mani della classe sacerdotale. Grazie però all’influenza semitica si affacciano sulla scena teologica alcuni flebili lampi di riflessione sul culto mesopotamico. La divinità creatrice An viene identificata con il dio semita El, un dio sì di tutti gli déi ma che per certi versi è foriero di un primo timido approccio al monoteismo semita che già serpeggia nella regione e che influenzerà un uomo anziano senza figli fino al punto da portarlo a parlare direttamente con Dio e a sentirsi promettere una discendenza più numerosa delle stelle del cielo. Abramo.

Gli stessi teologi Sumeri cominciano a domandarsi se questo enorme numero di divinità possa davvero corrispondere alla realtà e più volte si cerca se non di instaurare un monoteismo, troppo lontano dalla radicata cultura sumera, quantomeno di cercare di ridurre la quantità di déi che inflazionano il pantheon mesopotamico. Ma la forza politica della struttura sacerdotale, legata a doppio nodo con il potere amministrativo rende vano ogni tentativo di modifica, poco importa se i nuovi arrivati modificano i nomi degli déi, ciò che conta è mantenere immutato lo status quo delle autorità. In questo periodo si evolve anche la scrittura e le tradizioni orali vengono scolpite sulla pietra nella nuova lingua semitica definita accadica. Universalmente conosciuta la saga di Gilgamesh, re di Uruk intorno al 2700 a.c., che insegue spasmodicamente l’immortalità. Nel suo lungo peregrinare alla ricerca della vita eterna incontra l’unico uomo immortale che ha ricevuto questo dono Utnapištim, sopravvissuto al diluvio universale per volere di Enki. L’eroe si trova davanti ad un vecchio decrepito e questo fa nascere i primi dubbi nella sua ricerca, Gilgamesh fantasticava dentro di sé di un esistenza eterna così come la stava vivendo in quel momento, al massimo del suo vigore fisico e della sua potenza, mentre invece l’eternità gli appare appunto come un infinito deperimento del corpo umano. Non potendo beneficiare del dono ricevuto da Utnapištim, ottenuto durante un evento eccezionale, sta quasi per rinunciare quando il vecchio gli dona una pianta rivelandogli che il segreto dell’immortalità è contenuto in essa, basta mangiarla. Gilgamesh se ne va soddisfatto ma sospettoso, non vuole cibarsi del vegetale, ha il dubbio tutto umano che quanto ci viene donato dagli déi possa avere effetti collaterali indesiderati, così decide di farla provare ad un vecchio al suo ritorno in città. Stanco e spossato si ferma sulla riva di un fiume per ristorare il corpo con un bagno e mentre nuota un serpente inghiotte la pianta e se ne scappa agilmente cambiando la sua pelle all’istante. Il prodigio della pianta era efficace ma ormai è andata perduta. In questo poema eroico è contenuto tutto il particolare modo di porsi davanti all’aldilà tipico dei Sumeri e delle popolazioni che con loro si fonderanno in terra di Mesopotamia. Il cruccio di queste semplici genti è la vita sulla terra, è questa che deve essere onorata è per questa che si devono fare offerte agli déi e prestare obbedienza ai loro Me. Ciò che accade dopo la morte è qualcosa di troppo distante dalle loro menti, non è presente in loro un concetto preciso ma soprattutto concreto di esistenza dopo la morte, il mondo dell’oltretomba è un guazzabuglio intricato di luoghi dove vivono déi, dove scorre l’Abzu, dove transita Utu nel suo viaggio di rinascita alla luce, dove staziona in un mondo tenebroso, statico e infelice l’essenza residua dei morti. Gli déi che qui abitano non sono considerati demoni, sono cattivi quanto lo può essere Enki o Enlil, hanno soltanto il loro regno di inesistenti e lo comandano a proprio piacimento. In fondo non si muore mai veramente, addirittura le case sono dotate di un’ala apposita dedicata al culto personale da rivolgere ai propri numi tutelari e in questo stesso locale vengono effettuate le sepolture dei familiari con i quali viene condiviso il kispu, un pasto cerimoniale tenuto una volta al mese nella notte di luna vuota, durante il quale si celebra una sorta di ricongiungimento con l’idea della morte e si dà allo stesso tempo sostentamento al corpo del defunto che continua la propria miserrima non esistenza. Qui si manifesta appunto l’assoluta assenza di escatologia del culto mesopotamico votato alla vita e visto il numero di guerre, battaglie, invasioni e conquiste, ad avere il massimo per tutta la sua durata, un aspetto a dir la verità prettamente umano che ci accompagna ancora oggi e contro il quale più di una religione ha invece cercato di opporsi, invano.

La vita è l’unico bene di ogni uomo e finisce con la morte e per la vita che si prega e si sacrifica agli déi, è ad essi e ai loro Me che si deve sottomissione, devozione e deferenza. Per questo i templi nascono come vere e proprie abitazioni come gli déi desiderano, qui vengono accuditi e serviti, qui vivono in stanze ammobiliate proprio come i re, forse più a significare che il potere del re è pari a quello degli déi piuttosto che questi abbiano gli stessi usi umani. Il tempio è circondato da alte mura e vi si accede da portali munifici dai quali si aprono gli ingressi ai cortili interni e alle varie stanze. In uno di questi cortili è situata una torre a molti piani, simile alla piramide a gradoni di Zoser a Saqqara in Egitto. Il nome di queste torri è infatti Ziqqurat, appuntita in accadico, in cima alla torre è situato un santuario che idealmente collega il cielo e la terra, il dio e gli uomini. Il dio a cui è dedicato il tempio la abita per mezzo della statua che lo rappresenta tutta ricoperta di scaglie d’oro e d’argento e pietre preziose. Assieme a lui vivono nel tempio le divinità che compongono la sua famiglia e la sua corte, ognuno di loro con il proprio codazzo di addetti per ogni bisogno fittizio dovessero poter mai avere. I sacrifici sono strettamente legati alla preparazione dei quattro pasti compiuti dal dio e dalla sua corte. Le numerose vesti adornate di preziosi sono custodite in appositi armadi, a disposizione per i diversi cambi d’abito da effettuare ogni giorno. Il dio viene accompagnato in processione da tutti i vari sacerdoti e dai componenti della sua corte per le visite di cortesia effettuate agli altri déi nei templi cittadini o durante le celebrazioni ufficiali. In caso di spostamenti molto lunghi vengono utilizzati i templi minori, posti fuori dalle città, per effettuare soste lungo il percorso ove poter esperire tutte le pratiche formali relative al cibo e al pernottamento seguendo le stesse modalità del tempio di origine.

Con la fusione delle culture mesopotamica e semita, la già complicata struttura gerarchica e i pressanti dettami sacerdotali si ampliano e si irrigidiscono, re sacerdoti e sudditi si ritrovano sempre più intralciati nelle proprie azioni, le estreme esigenze della religione toccano ogni uomo nella più profonda intimità della vita quotidiana, impedendogli in pratica quasi ogni azione pur di non rischiare di incorrere nelle ire degli déi, per questo motivo sempre più si diffonde, al pari del culto ufficiale, quello conosciuto come culto sacramentale, ovvero quello officiato dalla gente comune complementato da riti specifici volti all’ottenimento di un ben preciso risultato. Il culto mesopotamico deriva direttamente dalla magia ma volge la sua attenzione al soddisfacimento dei bisogni terreni che vengono attribuiti agli déi. Ma i riti magici non sono stati abbandonati dalle tradizioni del popolo, il quale ha continuato a utilizzarli per i propri intimi umani bisogni. La società, la cultura e le contingenze tutte favoriscono la nascita di un pensiero comune nel popolo che lo porta a ritenere la propria vita soddisfacente e degna di essere vissuta se non fosse per tutte quelle continue azioni di disturbo operate dai demoni, non rimane altro che rivolgersi continuamente e ripetutamente a coloro i quali soli possono porvi rimedio. Una malattia, la cattiva sorte o qualsiasi prova si deve essere costretti ad affrontare porta a richiedere l’intervento di due figure molto particolari, il divinatore, colui il quale individua il male e l’esorcista, quello che porrà rimedio al problema. Inizialmente la procedura da tenere era affidata all’estro degli sciamani ma successivamente, adeguandosi alle modalità del culto ufficiale diviene una vera e propria infinità di riti standardizzati con le stesse parole ripetute ogni volta a seconda del demone da sconfiggere, demone che viene sempre individuato come il colpevole del disagio causato alla vittima, così come in ogni cultura così come in ogni tempo, ancora oggi maghi e fattucchiere sono ricolmi di clienti, impauriti e creduloni, pronti a pagare qualsiasi cifra pur di risolvere i problemi da cui sono assillati.

Come in ogni cultura, come in ogni tempo, anche in questo caso il popolo, da una parte tenuto distante dal contatto con gli déi per motivi politici palesati come religiosi, dall’altra lontano da veri e propri benefici diretti del culto, si aliena sempre più dalla religione ufficiale, officiata solo nelle principali cerimonie e crea un proprio culto parallelo che può praticare in ogni momento e a cui può ricorrere per soddisfare ogni bisogno terreno e immediato. È anche grazie a questa voglia di riscatto che un dio di origini umane come Dumuzi, sale velocemente agli onori della devozione popolare, l’uomo diventa dio, finalmente padrone di sé stesso.

IL CODICE DI HAMMURABI

ASSIRI

2000 a.c. – 612 a.c. e 1595 a.c. – 900 a.c.

L’egemonia della religione mesopotamica è talmente radicata in tutta la regione che i vari reami e imperi oltre i confini dell’antico regno di Sumer ne vengono affascinati a tal punto da farla propria non appena oltrepassano i fiumi che la rappresentano, questo vale per tutti i popoli che la invadono più o meno pacificamente che per quelli più lontani ma pur sempre racchiusi nella mezzaluna fertile. Intorno all’anno 2000 a.c. nel nord della regione sale sulla ribalta politica ed economica il regno di Assur, dal nome del dio principale del territorio, il quale dà il nome anche alla capitale. Inizialmente la sua è una convivenza relativamente pacifica con il neonato I impero Babilonese, ricca di scaramucce fra i re delle varie città ma senza propositi particolarmente ostili. Assur fa propria la religione di Sumer mutuando gli déi e le usanze, visto anche il fruttuoso ritorno politico ed economico, mantenendo come proprio solo il dio Assur che però viene identificato in toto con Enlil, quasi a cercare di impossessarsi delle radici sumere al fine di farsi riconoscere gli stessi privilegi dinanzi agli dèi e di conseguenza gli stessi diritti della città di Assur nei confronti di tutte le altre. Dopo essersi impossessati di una religione non propria gli Assiri, mantengono però il massimo rispetto di quelle altrui, i paesi invasi vengono lasciati liberi di mantenere i propri riti e credi, soprattutto per non creare motivi di attrito con i conquistatori, ma in caso di rivolte i simulacri degli déi vengono asportati dai templi e portati in ostaggio ad Assur sino a che la popolazione in rivolta non ritorna sui propri passi tanto da meritarsi il ritorno delle statue nella loro allocazione originale. Un metodo particolare per influire psicologicamente sui territori occupati, i popoli vengono privati della possibilità di pregare per cui viene loro tolta la prerogativa di invocare i propri déi per un intervento in loro favore. Inoltre, la traslazione delle immagini sacre appare come un voltafaccia del dio il quale trova in Assur un luogo migliore di quello da cui è stato reciso e nel quale viene omaggiato e rispettato con ogni onore dispensando così i suoi favori ai sequestratori.

Dopo aver fatto propri gli usi religiosi sumeri, gli Assiri arrivano intorno all’anno 1350 a.c. avere la supremazia politica sull’intera Mesopotamia, salvo tutti quei regni più o meno vicini, più o meno lontani che venigono annessi, si sottomettono o si ribellano facendo ingrandire o regredire il territorio controllato dalla città di Assur. Con la conquista di Babilonia da parte di Murshili I, i Cassiti riescono ad annientare l’egemonia babilonese sul territorio e successivamente una serie di alleanze, contratte e risolte con le grandi potenze rappresentate dal regno di Mitanni e dall’Egitto, spostano alternativamente il baricentro del potere fra Assur e la Babilonia cassita. Infine, con l’avvento del re Ashshuruballit gli Assiri riescono a perfezionare la loro integrazione con l’antico Sumer, sconfiggendo la dinastia Cassita insediatasi in babilonia, e la completano politicamente con l’assoluto rispetto dei precetti religiosi ormai consolidati. Vengono introdotti nuovi idoli che però hanno vita breve e scarsa risonanza a livello nazionale ma l’intervento di maggior peso, oltre ad assimilare il dio Assur con Enlil, è quello di consolidare e amplificare l’autorità e il prestigio del dio tutto babilonese Marduk, riportando addirittura in patria il suo simulacro, depredato dagli Hittiti, per porlo nuovamente nel suo tempio. Questa mossa, prettamente politica, consente loro di mantenere il potere nelle mani di una classe sacerdotale già esistente da cui ricevere in cambio tutto l’appoggio possibile per il controllo del territorio. Le città del nord divengono sempre più grandi e importanti fino ad avere la possibilità di divenire capitale dell’impero solo per la sua grandiosità come accade a Ninive che durante il solido regno di Sennaherib prima, intorno al 700 a.c. e di Assurbanipal successivamente nel 640 a.c., diviene la città più grande di tutta la regione, ancora di più che la celebrata Babilonia.

Il re diviene sacerdote combattente in prima persona, la guerra è condotta come un’attività religiosa e la sete di conquiste degli Assiri li porta ad espandersi sui territori confinanti. I nemici vengono sgozzati come agnelli sacrificali da donare agli déi quale completamento del loro volere, tenendo sempre presente che le azioni del re vengono compiute solo ed esclusivamente per soddisfare il volere degli déi, non per il mero potere terreno. Il tempio diviene un’attività economica vera e propria con possedimenti fondiari, attività artigianali e addirittura bancarie. Il re acquisisce tutte le facoltà clericali, diviene il gran sacerdote del dio nazionale estendendo il suo potere sui templi e sulle designazioni dei membri degli ordini religiosi, completando così la politica di accentramento dei poteri già iniziata sotto il primo dominio della dinastia babilonese di Hammurabi. D’altra parte, sempre più si afferma il concetto di origine divina del re, il quale nasce per volere degli déi, da loro crato in seno alla propria madre. Questo favorisce l’attendibilità delle azioni del sovrano, il quale non solo opera su espressa richiesta degli déi ma questi sono il loro padre e addirittura è dio egli stesso e in fondo agisce solo per glorificare il volere degli déi, non certo per proprio interesse. Si deve quantomeno sottolineare che però questo atteggiamento non garantisce la stabilità del re, il quale viene ritenuto responsabile di peccati contro il volere degli déi quando catastrofi o sconfitte colpiscono il paese ed è lui che ne deve pagare le conseguenze.

La politica espansionistica vide il suo apice fra il 1250 e il 1200 a.c. con Salmanassar I che porta l’impero alla sua massima estensione e Tukultininurta I il quale sconfigge tutti i popoli confinanti consolidando l’egemonia su di un territorio così agognato e governando addirittura direttamente su Babilonia. Potere che comunque non raggiunge mai la stabilità, si tenga presente che ogni città o territorio è amministrato da un re con incarichi di governatorato concessi da Assur e che l’abitudine al decentramento, tipica di Sumer fomenta continuamente velleità di indipendenza delle varie città, prima fra tutte Babilonia ma anche di Isin, che minano continuamente la stabilità interna e nelle varie regioni mesopotamiche, pur teoricamente sotto controllo assiro, si alternano per brevi periodi Cassiti, Elamiti e Babilonesi che addirittura con Nabucodonosor I tentano il riscatto dalla dominazione Assira. Si deve in ogni caso tenere conto che nonostante gli storici abbiano dato dei confini cronologici e geografici agli imperi che hanno convissuto o che si sono susseguiti nella regione della Mesopotamia, in realtà non c’è mai stato un impero realmente unito in un'unica nazione, oltre al fatto che sovente più reggenti coesistevano nei vari territori della zona uno tributario dell’altro o in guerra aperta fra loro. Per questo molto spesso si ripresentano alla ribalta dinastie, regni o città stato che nei vari periodi storici alternano momenti di gloria a quelli di oblio. Sumeri, Accadici, Cassiti, Assiri, Caldei, Babilonesi la distinzione diventa una sottile linea che spesso si confonde nello spazio e nel tempo a seconda del potente del momento e delle alleanze con i grandi imperi stranieri. Resta solo il culto ad accompagnare il tragitto da Sumer ai Persiani, con solo poche piccole anche se a volte importanti trasformazioni, quali ad esempio l’ascesa di Assur o quella di Marduk, ma mai con sostanziali stravolgimenti.

Il periodo cassita è caratterizzato da un fiorente sviluppo teologico parallelo al culto ufficiale, con riti ormai troppo intrisi di significato politico volti solo alla celebrazione e all’autocelebrazione del re. Il gran numero di déi ormai sviluppatosi appare estremamente esagerato fino a portare i teologi del tempo a dubitare del fatto che possano davvero coesistere così tante divinità. L’avvento sulla scena nazionale del dio babilonese Marduk, favorito nel successivo periodo Cassita dalla scelta di Assur di rivolgergli particolari onori al fine di tacitare le sommosse di Babilonia, dà lo spunto per una rielaborazione del Pantheon mesopotamico. Nel poema epico della creazione Enuma Eliš, “Quando lassù…” si celebra infatti l’apoteosi di Marduk, figlio del sole, la sua lunga ascesa comincia con l’aumentare del potere di Babilonia. Dapprima secondo solo alla grande triade An, Enlil ed Enki viene da questi investito del potere su tutte le genti fino ad arrivare con Hammurabi I ad avere la supremazia su tutti gli dèi scalzando anche lo storico Enlil. Il poema viene scritto proprio per giustificare questa sua scalata gerarchica che in realtà rispecchia la scalata al potere di Babilonia su tutte le altre città decretandone la definitiva supremazia in tutta la Mesopotamia. Una volta giunto all’apice del Pantheon si appropria addirittura delle peculiarità di molti altri dèi fino a divenire il dio con cinquanta nomi sin quasi a trasformare il culto della regione in una sorta di monolatria speculare all’egemonia di Babilonia. A questa trasformazione ben si adatta anche la sempre più diffusa pratica della preghiera che, forse anche grazie all’influenza semita, la stessa che porterà alla nascita dell’Ebraismo, sempre più è rivolta ad un unico dio che li comprenda tutti, forse anche solo al fine di evitare di dimenticarsene uno. La preghiera assume un aspetto che ritroviamo ancora oggi nelle più conosciute preghiere delle religioni monoteiste, l’inno si suddivide in sezioni, più o meno articolate che rispecchiano una forma di comunicazione ottimale anche sotto l’aspetto psicologico. Solitamente vi è un’introduzione di lode verso il dio, al fine di adempiere agli obblighi di sottomissione, segue la descrizione dello stato dell’orante, quasi un gesto di scuse per essere costretto a disturbare la quiete del dio, la supplica, che sempre più assume un carattere personale, per finire con il ringraziamento anticipato per ciò che il dio opererà.

La ritualità diviene sempre più eccessiva, sembra quasi che il re passi le giornate fra sacrifici e orazioni, ogni giorno viene dedicato ad un diverso dio, vengono stabiliti precisi criteri di comportamento, quando, come e dove effettuare ogni singola azione. L’importanza della liturgia viene considerata talmente rilevante da far arrivare Assiri e Babilonesi a decretare la loro meraviglia dinanzi ad una religione basata su un patto stretto direttamente fra un intero popolo e il suo Dio, Yhwh, affermando che in fondo la folla festante degli Ebrei è solo uno sfondo variopinto ai ben più prestigiosi riti. Il rito prende il sopravvento sul culto, tutto ruota in funzione dei minuziosi cerimoniali immutabili che vedono però la partecipazione solo della corte reale e della classe sacerdotale, tenendo sempre più ai margini il popolo che di conseguenza sviluppa il proprio culto sacramentale, accettato e anch’esso comunque regolato dalla religione ufficiale. Questa pratica parò favorisce la possibilità di una interazione fra l’uomo semplice e il dio creando un canale diretto di comunicazione privata volto alla soddisfazione delle necessità personali di ognuno, la preghiera diviene lo strumento quotidiano per chiedere e chiedere perdono. Sì, perché in questo periodo si afferma anche la concezione del peccato che pur non avendo riscontri su vite successive a quella sulla terra, viene ritenuto il motivo per il quale le sventure e soprattutto le malattie si abbattono sull’esistenza umana. Il re agisce con le sue peculiarità divine e conseguentemente alle sue responsabilità nei confronti della popolazione intera ma la preghiera riesce ad avvicinare alla religione anche l’individuo singolo il quale sempre più si estranea dalle cerimonie ufficiali dalle quali non riesce di fatto ad ottenere nulla di concretamente materiale a suo beneficio. Nel singolo si sviluppa inoltre il terrore degli déi e la confusione creata dalla enorme quantità di déi a cui sottostare lo porta ad avere timore di una vendetta divina per ogni sua singola azione, la paura si impossessa di lui e questi non trova altra soluzione che rivolgersi ad un dio che li comprenda tutti o a tutti senza mai nominarne uno, conosciuto o sconosciuto che sia. Il terrore attanaglia infatti a tal punto l’uomo da arrivare ad avere timore anche di quegli déi che malauguratamente non dovesse conoscere. Riporto qui di seguito un testo di una preghiera assai elementare da sembrare l’antenata del nostro Padre Nostro, che proprio come in esso si riassume in poche semplici parole: Signore liberaci dal male. La ritengo particolarmente evocativa e per questo la riporto integralmente come da me rinvenuta.

Possa placarsi verso di me la furia del cuore del mio signore. Possa placarsi verso di me il dio che è angosciato. Possa placarsi verso di me la dea che non è conosciuta. Possa placarsi verso di me il dio che conosco o che non conosco. Possa placarsi verso di me il cuore del mio dio. Possa placarsi verso di me il cuore della mia dea. Possa placarsi verso di me il cuore del dio che si è adirato con me. Possa placarsi verso di me il cuore della dea che si è adirata con me. …Senza saperlo ho mangiato ciò che è proibito dal mio dio. Senza saperlo ho posto il piede dove è proibito dalla mia dea. O signore, i miei peccati sono molti; grandi sono le mie colpe. O mio dio, i miei peccati sono molti; grandi sono le mie colpe. …I peccati che ho commesso, in realtà, io non li conosco. Le colpe che ho commesso, in realtà, io non le conosco. …Il signore nell’ira del suo cuore guardò verso di me. Il dio nel furore del suo cuore mi affrontò. Quando la dea era adirata con me, ella mi fece ammalare. Il dio che conosco e che non conosco mi ha oppresso. La dea che io conosco o che non conosco mi ha inflitto sofferenza, sebbene io sempre cerchi aiuto, nessuno mi prende per mano. Quando io piango, essi non vengono al mio fianco. …Quando infine, o dea che conosco o che non conosco, il tuo cuore ostile si placherà? L’uomo è stolto; nulla egli conosce. L’umanità, chiunque esiste, che cosa conosce? Se egli commette il male o compie il bene egli non lo sa. …La colpa che io ho commesso, volgila in bene. Il peccato che io ho commesso, fa che il vento lo porti via. …Togli via i miei peccati; io canterò la tua lode. Possa placarsi verso di me il tuo cuore, come il cuore di una vera madre.

Un’implorazione toccante che porta alla luce lo smarrimento dell’uomo, una supplica che invoca l’ignoranza a sua giustificazione, la debolezza di chi si trova dinanzi a circostanze troppo, davvero troppo più grandi di lui. La disperazione della solitudine dell’abbandono, “…nessuno mi prende per mano. Quando io piango, essi non vengono al mio fianco…”, non sono queste le medesime parole che ripetiamo noi stessi anche oggi, non è questa la sensazione che proviamo ogni giorno dinanzi alle quotidiane difficoltà della nostra vita. Chi ha scritto questa preghiera è in cerca di un dio, oggi invece abbiamo la possibilità di confidare in Dio e a lui affidarci nella nostra disperazione per trovare conforto, come ho già detto Dio non è qui per risolvere i nostri problemi, noi siamo qui per ritornare Amore a Dio.

INANNA - ISHTAR

BABILONESI

1894 a.c. – 1595 a.c. e 626 a.c. – 539 a.c.

La continua immigrazione di genti semitiche da occidente favorisce a più riprese la destabilizzazione politica nella regione portando spesso i capi delle genti amorree spostatesi in Mesopotamia anche alla conquista del potere in alcune città con conseguente insurrezione e autonomia dall’autorità centrale. Di volta in volta anche i regni vassalli più stabili approfittano di questi momenti di caos e indebolimento politico per tentare un sovvertimento delle sorti e in piccole o grandi alleanze riescono spesso ad ottenere un’effimera indipendenza fino a che uno di questi non ha il sopravvento sugli altri o l’impero non ristabilisce lo status quo ante. Nel corso di un dei tanti di questi eventi Sumuabum riesce nel 1894 a.c. a rendere Babilonia indipendente e a fondare la prima dinastia. Il regno babilonese convive più o meno conflittualmente con quello Assiro a nord e con le tumultuose città del paese del mare, la regione meridionale genesi dell’antico Sumer. Solo circa cento anni più tardi però Babilonia riesce ad ottenere la completa autonomia e la supremazia su alcune città del sud approfittando della morte del re assiro Shamshiadad I e della contemporanea insurrezione delle regioni siriane, grazie alla contingenza di questi eventi il re Hammurabi ha la possibilità di salire agli onori della storia. Il suo lungo regno dà solidità alla dinastia babilonese e consegna alla città l’autorevolezza religiosa sufficiente per imporre il culto del proprio dio cittadino Marduk in tutta la regione. Il re rimarrà famoso per la stele, chiamata appunto Codice di Hammurabi, in cui per la prima volta nella storia si individua una sorta di codice civile, in realtà non è altro che una codificazione di esempi giudiziari e non un vero e proprio ordinamento giuridico che però contempla una casistica talmente vasta da essere preso ad esempio nelle organizzazioni future; dalla famiglia al commercio, dalla proprietà alla legge del taglione. Probabilmente fu eretta a dimostrazione del potere amministrativo oltre che come manifestazione del prestigio divino del dio Marduk, indicato come l’ispiratore del codice, eleggendolo in tal modo a signore di tutte le regioni. Prestigio e influenza che rimangono anche dopo la caduta del regno di Babilonia, ne è dimostrazione il fatto che anche il successivo impero neoassiro pur di non inimicarsi la potente città assurge Marduk a sovrano di tutti gli déi. Con la morte di Hammurabi comincia il lento decadimento del regno di Babilonia terminato con il sacco di Babilonia da pare degli Hittiti che addirittura asportano il simulacro del dio Marduk dal suo tempio. L’espansionismo assiro completa lo smantellamento dell’amministrazione babilonese e la rinascita dell’impero Assiro.

La predisposizione all’organizzazione di Hammurabi, si riflette non solo nell’ambito amministrativo ma conseguentemente anche in quello religioso, fino addirittura a quello teologico. Per sostenere il culto di Marduk e per la sua elevazione a dio universale vengono scritti inni che affrontano una volta per tutte i misteri dalla creazione al fine di dimostrare il ruolo decisivo tenuto dal dio affinché tutto potesse accadere. Si rielabora la teoria creazionistica asserendo che dopo numerosi tentativi di sconfiggere il dio creatore dell’oceano, agli déi suoi figli, rei di disturbare la quiete del padre e per questo da lui condannati alla estinzione, accorre in aiuto un dio minore, Marduk, il quale progetta il piano che sconfiggerà le torme inviate dal dio dell’oceano facendo guadagnare agli altri déi il diritto all’esistenza. Per premio gli viene conferita la supremazia su tutti gli déi con atto di volontaria rinuncia dei grandi déi An e Enlil, Marduk da parte sua dona loro l’umanità creata con l’aiuto di Enki. Proprio grazie a questo mito si ripresenterà più volte nella teologia mesopotamica il dubbio del monoteismo, identificando in Marduk un dio unico e negli altri déi niente altro che una sua diversa manifestazione. Questo nuovo mito assomiglia un po’ troppo a quello di Dumuzi per non esserne una palese rielaborazione ma nessuno osa certamente controbattere la nuova filosofia, soprattutto in babilonia che da questo nuovo mito ne trae vantaggio politico ed economico con l’espansione dei propri templi, in realtà veri e propri istituti di credito e magazzini generali intorno ai quali ruota ancora tutta l’economia nazionale, ma anche al di fuori evitando alle città confinanti di ritrovarsi faccia a faccia con la potenza militare babilonese. Enlil è morto, viva Enlil che rivive alternativamente, a seconda del regno che ha il sopravvento nella regione, un po’ in Assur, un po’ in Marduk. La religione si conferma la migliore arma di conquista, repressione e sottomissione, una lunga lancia che evita lo spargimento di sangue. Almeno fino a quando non diviene il pretesto per nuove imprese belliche.

Grazie all’ispirazione del carattere organizzativo di Hammurabi, anche nel Pantheon mesopotamico si cerca di mettere un po’ di ordine. Chiaro nessun dio viene eliminato, se non quelli minori, propri di ogni reame che arriva al potere, che poi cadono nel dimenticatoio non appena lo scettro dell’impero passa di mano, gli déi continuano tutti a coesistere ma si cerca di identificare in uno stesso dio le prerogative di altri déi, anche al fine di renderli più potenti e di conseguenza più influenti, per tacere della classe sacerdotale, così riunita in un sindacato che promette cerimonie per tutti. L’amalgama più rappresentativo appare certamente Ishtar, già Inanna nell’antico Sumer, la quale incorpora numerose dee assumendone in questo modo anche i tratti peculiari e diventando da dea dell’amore perfino dea della guerra. L’intento malcelato in questo caso è quello di sminuire le dee, probabilmente al fine tutto misogino di evitare di profferire troppi onori ad un simulacro femminile e per affermare anche in campo universale la definitiva retrocessione dell’influenza della donna nella società. Sono ormai passati i tempi di Hatscepsut in Egitto e denigrati saranno quelli di Semiramide, Sammuramat, in Assiria. Ma la potenza divina femminile non si arresterà davanti a questi subdoli trucchetti e arriverà fino a noi tramandandosi di dea in dea.

L’innovazione più importante però è quella di raggruppare in triadi gli déi maggiori in virtù dell’essenza della loro componente principale al fine di conferire una parvenza di gerarchia alle varie divinità che in secondo luogo avrebbe assegnato un parallelo grado di rilevanza ai loro templi e ancor più essenziale alla corrispondente classe sacerdotale. Enlil, o chi per lui nei vari momenti storici, An ed Enki formeranno la grande triade degli déi cosmici, il fondamento del culto mesopotamico che si continua sopra ogni tentativo di ingerenze divine e terrene. Ishtar, Sin già Nanna e Shamash, già Utu, formano invece la grande triade degli dei celesti la quale avrà maggior fortuna negli anni successivi alla caduta di Babilonia grazie soprattutto all’importanza delle divinità astrali nella cultura semita che le farà proprie per i secoli a venire.

Viene riorganizzato anche il calendario delle cerimonie, alle feste vengono assegnate cadenze cicliche prefissate, la più importante di tutte è chiaramente quella che inaugura il nuovo anno, della durata di una decina di giorni, solennizzata con numerose e fastose cerimonie a significare il passaggio di rinascita nel nuovo anno, ancora l’unica manifestazione di resurrezione nel culto della culla della civiltà. In questo stesso periodo si svolge la cerimonia della ierogamia in cui inizialmente il re si accoppiava realmente con una sacerdotessa, successivamente però il rito diviene puramente rappresentativo ed effettuato addirittura per mezzo delle statue degli déi posti in un apposito locale in cui idealmente consumano il loro atto sessuale.

La validità di tutte queste innovazioni, maturate durante il primo impero Babilonese, è dimostrata dal fatto che anche dopo il tracollo del potere della dinastia fondata da Sumuabum ed eccelsamente ereditata da Hammurabi, l’impostazione generata e perfezionata in questo periodo resisterà per millenni, perfino alle conquiste di Ciro il Grande prima e di Alessandro Magno poi nel cui impero addirittura si esalteranno come non mai grazie al grande culto sincretico dell’ellenismo.

Ci vogliono però mille anni perché, grazie a giochi e intrighi di potere, ai soliti sommovimenti del paese del mare e all’astuzia di Nabopalassar, Babilonia torni a diventare capitale dell’impero. Inviato come governatore dall’imperatore assiro Sin-shar-ishkun, al fine di placare i tumulti cittadini prende invece il potere e alleandosi con il re medio Ciasarre sovverte le sorti cittadine riuscendo addirittura con abili campagne militari a conquistare e depredare prima Assur e successivamente la grande nuova capitale assira Ninive. Ciasarre ritorna in patria pago dell’immenso bottino della ricca Ninive lasciando a Nabopalassar l’opportunità di rimanere in Assiria a consolidare il suo potere. La forza delle armate babilonesi si manifesta nelle numerose campagne militare vittoriose in tutta la regione e perfino contro gli Egiziani, portate avanti prima dallo stesso Nabopalassar e poi dal principe Nabucodonosor, futuro imperatore di Babilonia. Anche in questo caso come per Hammurabi ci fu un lungo e glorioso regno che fece dell’Impero la principale potenza del vicino oriente dal Tigri fino alle coste del mediterraneo ma le seguenti lotte per la successione portarono anche in questo caso ad un lento decadimento fin quando l’intera regione viene spazzata via dalla fama, prima che dall’esercito persiano, del grande nuovo conquistatore, Ciro di Anshan.

Nel breve periodo della monarchia neobabilonese non si presentano cambiamenti di rilievo o trasformazioni di alcun tipo nell’ormai consolidato culto impostato da Hammurabi sulle solide basi di quello sumero, accade però un fatto che cambia in modo essenziale le sorti teologiche della religione monoteista più antica ancora professata. Nel corso di secoli il piccolo stato di Israele, diviso fra regno di Israele e regno di Giuda con capitale Gerusalemme, era passato più volte dall’indipendenza alla sottomissione agli imperi che si contendevano il dominio del vicino oriente, Egizi e Assiri si erano contesi la lunga striscia di terra lungo il mediterraneo fino a che nel 700 a.c. circa Giuda diviene uno stato semindipendente vassallo degli Assiri. La cultura nazionalista degli Ebrei però poco sopporta ingerenze esterne soprattutto se queste rischiano di intervenire sulla loro religione, un culto alla base della loro storia e della gloria di cui si compiacciono, quella di essere la nazione unica e sola eletta da Dio, un unico Dio, come proprio popolo. Dopo numerose vicissitudini Giuda viene invaso dalle prorompenti forze di Nabucodonosor II che destituiscono il re Yoakin, successore di Yoakim posto sul trono dagli Egizi del faraone Nekao, deportandolo a Babilonia con la sua intera corte dopo aver saccheggiato i tesori del tempio di Gerusalemme e posto a loro volta sul trono di Giuda il nuovo re Sedecia. Trascorrono dieci anni di insofferenza che infine conducono il popolo di Giuda a tentare un’inefficace ribellione che ad altro non porta se non ad una nuova aggressione da parte di Nabucodonosor II, con il sacco di Gerusalemme, la deportazione di quasi tutta la popolazione in Babilonia e la definitiva annessione di giuda come provincia neobabilonese.

Questo periodo di confino in terra mesopotamica sarà per gli Ebrei una fonte inesauribile di meditazioni e considerazioni sul proprio culto, rafforzandolo ancora di più invece che inquinandolo con il culto babilonese. Sarà proprio questa pausa di riflessione a dare maggior forza e sostanza all’Ebraismo e agli Israeliani, venuti a espiare le proprie colpe dinanzi a Dio nel paese dal quale milletrecento anni prima il loro capostipite, Abramo, era partito alla ricerca della terra che Dio aveva scelto per il proprio popolo. L’Ebraismo prende piena coscienza di se stesso e diviene la religione che ancora oggi conosciamo, passerà ancora attraverso mille tragiche peripezie, odiato da tutte le altre popolazione proprio per questa sua commistione fra religione e nazione che ne impedirà la completa integrazione con qualsiasi altro popolo sarà costretto a convivere, per l’eternità.

ADAD: dio delle tempeste e della pioggia, signore dell’abbondanza, figlio di An. Dio benefico ma se trattiene la pioggia possono giungere siccità e carestia.

AN: il cielo, la sua sposa è Ki, la terra. Dio supremo solitamente non ben disposto verso gli uomini, contro i quali sguinzaglia il demone Lamashtu e Mamitu, la dea della morte.

ANSHAR e KISHAR: secondo l’epopea della creazione, l’Enuma Eliš, sono la terza generazione di dei genitori di An. Sono tutto il cielo e tutta la terra.

 

ANTUM: sposa di An.

ASSUR: inizialmente era il dio della città stessa, successivamente assurto a divinità nazionale. Gli spettano l’ufficio del giudice e la condotta della guerra. Il re era il suo rappresentante in terra e suo diretto sacerdote.

 

BABA: dea dell’abbondanza, figlia di An.

BEL: componente di nomi divini che indica la parola signore. Solitamente utilizzato come appellativo di Marduk.

BĒLET-ILĪ: dea madre.

BĒLETSĒRIi: dea contabile e scriba degli inferi.

DUMUZI: dio della vegetazione, rappresenta il principio maschile della natura. Sposo di Inanna e da questa abbandonato ai demoni dell’inferno di cui è poi divenuto re per poi ritornare trionfante, simboleggiando il morire e rifiorire della vegetazione.

EA: dio dell’oceano sotterraneo d’acqua dolce. Dio della saggezza a dell’arte magica, l’acqua di Ea veniva utilizzata per guarire i malati. Riconosciuto come dio creatore. Trova corrispondenza in Enki.

ENBILULU: dio dell’irrigazione e dell’agricoltura. Uno dei cinquanta nomi di Marduk.

ERRA: dio demoniaco della peste e altre sventure umane.

GIRTABULU: uomo scorpione, demone a guardia dei monti Mushu attraversati dal dio del sole al mattino e alla sera.

GULA: dea guaritrice sposa di Ninurta.

HUWAWA: demone guardiano delle montagne dei cedri del Libano, insediatovi da Enlil ma sconfitto da Gilgameš.

ISHARA: signora del giudizio e della premonizione.

ISHTAR: dea dell’amore e della sessualità. Vergine ma con numerosi amanti tra i quali Dumuzi. Anche dea nell’ambito bellico e astrale ricondotta alla stella venere. Scese nel mondo sotterraneo sul quale regnava la sorella Eresh-kigal, per raggiungerla attraversa sette porte presso le quali perde i suoi vestiti fino a rimanere completamente nuda, simboleggiando la perdita dei suoi poteri. Conseguenza di questo è la cessazione dell’attività riproduttiva sulla terra. Con il tempo diventa appellativo dal significato di dea.

KINGU: figlio di Tiamat che tenta di elevarlo a signore degli dèi. Viene però sconfitto da Marduk. Con il suo sangue Ea crea gli uomini.

MAMA: appellativo infantile delle madri. Diviene dea madre levatrice, nella mitologia forgia gli uomini con argilla e sangue.

MAMITU: dea del giuramento. Giudice del mondo sotterraneo. Sposa di Nergal.

MARDUK: dio della magia, della saggezza, medico, giudice, portatore di luce. Signore degli dei. Nell’epopea Enuma Eliš sconfigge Tiamat. Da dio della città di Babilonia diviene dio nazionale con Hammurabi. Diviene così importante che alcuni altri déi divengono una sua varia e diversa manifestazione.

NABU: figlio di Marduk e di Sarpanitu. Dio della saggezza e della scrittura. La sua importanza nasce dal fatto che è lui a scrivere sulle tavolette del fato.

NANĀIA: dea della vita sessuale.

NERGAL: dio del mondo sotterraneo sposo di Ereshkigal. Sinonimo di regno dei morti. Originariamente era un dio celeste del calore portatore di febbri ed epidemie.

NINHURSANGA: dea madre, Nabucodonosor II e Hammurabi si dichiarano suoi figli.

NINURTA: figlio di Enlil e sposo di Gula. Dio campestre fa prosperare le mandrie e le messi. Riconquista le tavole del fato rubate da Zu. Vendica il padre e sconfigge il demone Asag.

NUSKU: dio della luce e del fuoco, figlio di Enlil. Nemico delle streghe e dei demoni. Indica la strada, rappresentato con una torcia sulle pietre di confine.

OANNES: dio civilizzatore dell’umanità, insegna agli uomini l’architettura, la scienza e le arti manuali.

OMORKA: donna primordiale. Fu divisa in due dal dio Bel creando il cielo e la terra.

SARPANITU: sposa di Marduk, dea della gravidanza.

SEBETTU: gruppi di demoni, buoni e cattivi. I sette malvagi sono figli di An ma aiutano il dio Erra, mangiano la carne degli uomini e ne bevono il sangue. A loro si contrappongono i sette buoni, figli di Enmescharra.

SHAMASH: dio del sole. Durante il giorno vede tutto e per questo è anche dio del diritto e delle predizioni. Signore giudice del cielo e della terra, è accompagnato costantemente da Mesharu e Kettu le personificazioni del diritto e della giustizia. Durante la notte porta luce e nutrimento ai morti nel mondo sotterraneo.

SHEDU: demonietto buono, soccorritore. Insieme a Lamassu proteggono gli ingressi dei palazzi in veste di uomini toro.

SHULMANU: dio della guerra e del mondo sotterraneo.

SIN: dio della luna. Il suo simbolo la mezzaluna era vista come una barca. Immaginato come un vecchio saggio giudice in cielo e in terra. Sposo di Ningal.

TIAMAT: madre primordiale. Personificazione dell’acqua salata. Sposa di Apsu, dio dell’acqua dolce. Conosciuto anche come mostro del caos, viene sconfitto da Marduk che crea il cielo e la terra con le due metà del suo corpo.

URSHANABI: traghettatore sul fiume dell’oltretomba nell’epopea di Gilgameš.

ZABABA: dio della guerra, sposo di Inanna.

ZU: uccello demone della tempesta. Per divenire capo degli dèi ruba le tavole del fato ma viene sconfitto da Ningirsu.

PERSIANI

539 a.c. – 330 a.c.

I Persiani divennero i dominatori di un grande impero, conquistato sotto Ciro il Grande, della dinastia Achemenide, nel VI secolo a.c.. L'impero persiano fu successivamente ampliato da Cambise II, figlio di Ciro, nominato reggente in Mesopotamia nel 529, col titolo di re di Babilonia, il quale estese il nascente impero fino all'Egitto settentrionale. In seguito, Dario il Grande, appartenente ad un ramo cadetto della dinastia Achemenide successore di Cambise II, ingloba anche la parte settentrionale della Grecia, il Caucaso e si spinge a est fino all'Indo. Anche per i Persiani era necessario dimostrare di agire se non in nome e per conto di Dio almeno per Suo volere e con la Sua benedizione, lo Stesso Dario nell'iscrizione di Behistun, fatta incidere da Dario stesso afferma di aver colto alla sprovvista l’usurpatore del trono di Cambise II, Gautama, in una delle sue fortezze e di averlo sconfitto con l'aiuto di Ahura Mazda. Alla creduloneria del popolo bisogna però aggiungere anche l’astuzia politica, che può comunque formare un tutt’uno con il volere di Dio e per consolidare le sue pretese al trono sposa Atossa, figlia del re Ciro II il grande e vedova dello stesso Gautama. Da questa unione nasce Serse, successore di Dario e ultimo vero conquistatore persiano, costretto ad arrestare l’impetuosa avanzata del suo esercito da Leonida alle Termopili nel 480 a.c.. Serse è pero in grado di consolidare l’Impero Persiano che rimane insuperabile per più di cento anni prima di essere consegnato intatto al nuovo grande conquistatore Alessandro Magno nel 330 a.c..

La civiltà persiana abbraccia tre religioni principali: Zoroastrismo, Mitraismo evoluzione politeista dello stesso Zoroastrismo e Manicheismo, un sincretismo che tenta di unire le religioni occidentali a quelle orientali, dal Cristianesimo al Mitraismo. Tutti questi culti riflettono ampiamente la tendenza all'estremo dualismo della cultura persiana derivante dalla estremizzazione non approfondita del Mazdeismo, culto che invece professa una religione prettamente monoteista, inquinata dai fiorenti politeismi delle regioni circostanti che con il controllo politico di culti votati a più déi hanno creato imperi solidi. Durante il periodo Achemenide, lo Zoroastrismo diviene la religione ufficiale dei sovrani e della maggioranza dei Persiani ma non viene imposta ai popoli sottomessi, come infatti accade anche nella regione mesopotamica nella quale popolo e amministrazione, adesso controllata dagli Achemenidi, rimangono liberi di professare i propri culti anche dopo l’invasione persiana. In realtà più che di invasione si potrebbe parlare di annessione in quanto Babilonia spalanca le proprie porte a Ciro il Grande, preceduto dalla sua fama di magnanimità che poi si rivela effettivamente concreta. I maggiori beneficiari di tanta generosità sono proprio gli Ebrei ai quali viene consentito il ritorno in patria arricchiti dall’esperienza dell’esilio.

La Mesopotamia mantiene la propria religione delle origini fino alla conquista islamica che nel 637 arriva a Babilonia, la forza della classe sacerdotale con il beneplacito del governo dei Satrapi riesce a mantenere in vita un culto basato sul potere amministrativo di cui il tempio ne è il fulcro indissolubile. La successiva conquista da parte di Alessandro Magno e l’evoluzione del sincretismo globale, più tardi definito Ellenismo, favorisce la conservazione, lo sviluppo, la trasformazione e l’espansione di alcuni fra i più consolidati miti, riti e déi del culto mesopotamico, il diluvio, Gilgagmeš, Babele, ma sopra tutti Inanna-Ishtar, la grande dea madre che fondendosi con le sue corrispondenti di altre religioni darà vita ad un culto verso il femminino sacro che non avrà più fine.