I POPOLI INDOEUROPEI
I POPOLI INDOEUROPEI

LE MIGRAZIONI INDOEUROPEE

I POPOLI INDOEUROPEI

Con la semplice definizione di popoli Indoeuropei, all’apparenza così evidente ma lontana, si identificano invece tutte le moltitudini che, in un arco temporale di circa diecimila anni, dalle steppe russe fra il Mar Nero e il Mar Caspio, attraverso gli altopiani iranici sono dilagate per il mondo e i cui eredi si possono identificare oggi in quello che genericamente viene definito come occidente, senza contare l’oriente già da loro abitato millenni fa e quello verso cui si sono inoltrati, loro, i discendenti o le ideologie. Da quelle stesse pianure si sono tripartite ripetute ondate di genti che si sono sparse in varie direzioni; una si è stanziata nel vicino subcontinente indiano, una ha scelto la più agile strada per aggirare da sud il mar Nero ma si è dovuta fermare sulle rive orientali del Mediterraneo, l’ultima ha scelto il percorso più impervio ed ha avuto l’intera Europa e successivamente il mondo da conquistare. Tre figlie della stessa madre, così diverse, così uguali che oggi lentamente si riavvicinano per potersi un domani riunire per lingua, ideologia e fede. Quest’ultima così simile da creare tutte quelle diversità che oggi sono il futile, inesistente alibi alla base del grande scontro religioso che si sta consumando nella nostra era. Trovo abbastanza inopportuno che l’appellativo che oggi ci contraddistingue sia in realtà un errore, in quanto questo dovrebbe perlomeno essere Iranoeuropei od Ossetoeuropei oppure Indoucraini o addirittura Russoindoeuropei, perché è da queste regioni che i nostri pro-pro-progenitori sono partiti per illuminare il mondo intero.

Vero è che le prime invasioni, perché in questo caso proprio di ciò si è trattato, si sono rivolte verso il vicino subcontinente indiano e più nello specifico ad occupare la valle dell’Indo, che oggi è in Pakistan, sottomettendo le popolazioni indigene e creando le basi definitive per la nascita della grande religione spirituale dell’Induismo, grazie alla loro definitiva stanzialità nella zona e all’assenza di successive occupazioni da parte di altri popoli. L’arrestarsi della migrazione in questa direzione ha creato un consolidamento della fede che da una parte ci regala oggi l’ascetismo e la profondità di cui avremmo bisogno quotidianamente, ma da l’altro ha creato uno zoccolo così duro da impedirne il naturale sviluppo, stravolgimento, commistione e la conseguente sublimazione. Infatti, la religione alternativa che si è sviluppata dall’Induismo ha poi trovato un vero e proprio bacino di fede solo fuori dai confini indiani. Buddhismo Cingalese e Buddhismo Cinese hanno poi sempre più profondamente diviso India, Sri Lanka e Cina anche sotto il profilo politico, ancor più oggi che proprio in contrapposizione alla globalizzazione, il fondamentalismo religioso è tornato come non mai ad assumere il ruolo di pretesto per sollevare le masse contro i nemici economici del proprio paese. Il consolidamento che però si è attuato proprio nella regione indiana ci da oggi la possibilità di cercare e trovare quei parallelismi tra le culture e le religioni europee e quella Induista che infatti più che una religione è una vera e propria cultura anzi uno stile di vita. Allora forse proprio questo gioco di rimandi ci denomina oggi Indoeuropei a tutti gli effetti.

Gli insediamenti più antichi risalgono fino al 12000 a.c. ma le migrazioni più recenti, che hanno portato questi popoli ad una ulteriore e definitiva colonizzazione del continente europeo, sono state attuate in un periodo di tempo relativamente breve, diciamo fra i due e i tremila anni forse meno in pieno Neolitico, con momenti di stanzialità all’interno di regioni che riuscivano a soddisfare i fabbisogni delle varie tribù. I differenti percorsi, i diversi momenti in cui le migrazioni hanno preso avvio, i popoli indigeni, probabilmente eredi di precedenti spostamenti, con cui sono stati presi contatti di qualsiasi tipo, da quello culturale fino alla battaglia, hanno favorito un naturale sviluppo e mutamento della cultura e della teologia differenziando il culto definitivo in varie diramazioni che pur con differenti appellativi degli déi mantiene però il modulo originario della tripartizione tipica della cultura Indoiranica pre e post Zarathustriana. Proprio questa peculiarità contraddistingue il filone teologico tipicamente Indoeuropeo che ritroveremo completo ed integro nelle culture dei cosiddetti “Barbari Invasori” dell’Impero Romano, facenti parte dell’ultima ondata migratoria ma che è celato fra le pieghe dei culti che già in Europa si erano stanziati da tempo e che guerre, lotte, battaglie e scambi culturali ed economici hanno trasformato nei grandi culti Greco e Romano i quali contengono, soprattutto nei riferimenti arcaici, chiare rappresentazioni tipiche delle loro lontane origine Indoiraniche.

L’attestarsi ed il consolidarsi della teoria tripartita della cultura Indoiranica la dobbiamo agli studi approfonditi e minuziosi di Georges Dumézil, storico francese delle religioni, il quale attraverso numerose pubblicazioni, edite fra il 1920 e il 1978, è riuscito ad eseguire una completa disamina dell’argomento riuscendo a smentire anche i suoi detrattori. Al suo teorema Indoiranico si opponevano infatti i seguaci di Lévi-Strauss esimio antropologo, il quale però fondava gli studi e le ricerche su basi biologiche e mentali, mentre Dumézil si appoggiava esclusivamente su supporti storici documentati e documentabili. Il lavoro da lui portato avanti direttamente sul posto, nel Caucaso ad approfondire le sue conoscenze sulla tribù degli Osseti, a Istanbul, in Anatolia, Armenia, oltre agli studi sulle saghe scandinave e irlandesi e ai fini collegamenti che riesce a svelare fra le divinità dell’India e quelle della Grecia e di Roma antica, gli vale il legittimo riconoscimento di un principio generale che oggi è ormai dato per assodato.

Le culture Indoiraniche si manifestano con assoluta certezza attraverso il riconoscimento, tra gli elementi del pantheon religioso, di una struttura tripartita fra le funzioni basilari, quella Sacra, quella Militare e quella Economica. Ognuna delle tre funzioni è rappresentata da una coppia di déi, non necessariamente irremovibili, in quanto si riconosce che non è un determinato dio il destinatario delle dimostrazioni di fedeltà quanto la funzione che esso stesso ricopre. Ognuna delle tre coppie di déi, ma non sempre gli stessi, mantiene, in ogni distinta cultura che si annovera fra quelle appartenenti a questo grande insieme, le stesse specifiche caratteristiche. Alla prima funzione appartengono i due maggiori déi che si complementano fino a sfiorare il dualismo, nella sfera della persecuzione del peccato e del conflitto con l’ingiustizia. Lo stesso avviene per la seconda funzione, nella quale i due déi si spartiscono la conquista dei territori e la difesa e la prosperità degli stessi. La terza funzione si caratterizza nel fatto che le due divinità complementari sono fratelli, se non addirittura gemelli, difformi geneticamente. È indubbio che tutte le culture e i culti che Dumézil raccoglie sotto la generale definizione Indoiranica hanno ben manifesti o rivelano nelle loro genesi più arcaiche, i tratti che lo stesso ritiene assoluti per il loro riconoscimento.

Le migrazioni dagli altipiani Iranici si ripetono in più ondate a distanza di centinaia se non migliaia di anni e nonostante questo seminano per tutto il territorio che le accompagna dalle steppe russe fino alla penisola Iberica, ogni volta lo stesso elemento distintivo cultuale sovrapponendosi e risvegliando le peculiarità di questa cultura secolo dopo secolo. Questo significa che oltre alle principali culture che andrò a prendere in considerazione si deve tenere presente che il merito da riconoscere a Dumézil è quello di aver individuato anche nelle culture e tribù minori i caratteri distintivi Indoiranici che nello stesso tempo ampliavano e confermavano la validità della sua affermazione. Inoltre, gli si deve anche la sottile capacità di aver individuato nelle culture greca e romana i chiari tratti della loro appartenenza al filone Indoiranico, studi meticolosi e precisi di tesi che oggi si danno troppo facilmente per scontate ma che sono frutto dell’impegno di una vita nella ricerca delle nostre origini, e quando dico nostre parlo del mondo intero.

La differenza fra le migrazioni nordiche e quelle meridionali di queste genti degli altopiani ha però manifestazioni completamente dissimili e questa diversità la dobbiamo alla forte influenza Mazdeista sulle originarie teologie. La coppia di déi della funzione Sacra viene unificata in un solo dio Ahura Mazdā, il quale per Zarathushtra diviene l’unico. Questa caratteristica contamina i popoli persiani e i culti mesopotamici, i quali poi lo trasfigurano in un nuovo dio a capo di un ben più esteso pantheon a seconda delle varie necessità di ciascuna comunità. Ancora una volta Zarathushtra pone il suo sigillo sulla teologia del Medio Oriente gettando le basi delle future religioni monoteistiche le quali però anche in questo caso mostrano palesemente i loro comuni natali nel patriarca Abramo. Forse esso stesso Zarathushtra, forse suo contemporaneo, forse suo seguace, forse affascinato dalla profondità della conoscenza, sorgente e foce della fede in un unico, solo vero Dio.

La struttura portante e fondamentale della cultura Indoeuropea è la sua completa identificazione storica e teologica nella suddivisione tripartita delle funzioni societarie. Il Sacro, il Militare e l’Economico, contraddistinguono le funzioni del popolo all’interno dell’assetto sociale della tribù, del popolo, della nazione e allo stesso modo ognuno dei tre identifica un compartimento a cui appartengono determinati archetipi di déi, non sempre gli stessi, non obbligatoriamente con gli stessi attributi da culto a culto. A questi compartimenti e di conseguenza agli déi ad essi appartenenti si rivolge il fedele per le sue suppliche, non è quindi il nome del dio a dare fondamento al culto ma l’attività specifica da questo svolta nell’ambito delle tre diverse funzioni basilari. Si identifica il tipo di bisogno di cui si necessita, lo si inquadra poi all’interno della funzione specifica e infine si individua nella coppia il dio che meglio si ritiene adatto, rivolgendo a lui la preghiera, il sacrificio, l’offerta. È chiaro che per i popoli che praticano questo culto è tutto molto più naturale e non così tecnico-schematico come può apparire, l’abitudine e la fede portano ad una scelta molto più semplice, spontanea, franca, basata su millenni di stretto legame fra l’umanità e le divinità.

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Per meglio identificare le caratteristiche di ognuna delle funzioni ci faciliterà far riferimento alla più originaria religione dell’antica India, sorellastra gemella del Mazdeismo, direttamente discendente dal culto delle prime coscienze, per la quale è stato chiaramente anche più semplice l’individuazione di tutte le caratteristiche grazie alla vastità di scritti, testi, rappresentazioni, testimonianze, templi, oltre ovviamente agli immensi residui che ancora oggi sono parte integrante delle religioni d’oriente.

La funzione di maggior prestigio è chiaramente quella del Sacro, a questa appartengono gli déi che solitamente sono anche a capo del pantheon, non necessariamente solo padri di ma anche figli di, in un continuo mischiarsi ed evolversi di genealogie che si perdono nella notte dei tempi, in lotte con altri clan semidivini o con poteri soprannaturali, sovente progenie della madre terra, del cielo o di altri elementi naturali esistenti prima della creazione, fondazione, formazione, dono della terra prima agli déi stessi e poi anche agli uomini. Nella primordiale religione Indiana a questa funzione appartengono due grandi déi, Varuņa e Mitra. La presenza di due déi all’interno di una funzione è giustificata dalle specificità di ognuno di essi, se fosse stata solo una forzatura il tempo irriconoscente avrebbe costretto uno dei due o meglio una delle due specificità della stessa funzione a lasciare immeritatamente il posto all’altra. Mentre invece nelle derivanti culture e teologie rimane perenne questa dualità di campi all’interno di una stessa funzione.

L’elemento fondamentale del Sacro è rappresentato dalla tutela del valore fondamentale della stessa esistenza che gli indiani chiamano ŗta- e gli iranici aśā, la verità, ma più estesamente l’Ordine Cosmico, lo stesso che gli Egizi definiscono con ka. Quell’equilibrio che deve necessariamente rimanere immutato pena lo sconvolgimento dell’assetto universale e di conseguenza la stessa esistenza, di più sussistenza, consistenza e fondatezza della reale presenza della divinità in quanto essenza celeste. Un ordine cosmico e morale basato sulla corretta e coerente disposizione di ogni suo componente, che così deve restare immutato e immutabile affinché tutto possa procedere al meglio per il bene comune. E a questo punto che si mette in evidenza la necessità della presenza di due déi complementari preposti alla stessa funzione. Il cruccio dell’uomo è da sempre stata l’incomprensione di come uno stesso dio possa al medesimo tempo punire e consolare, castigare e confortare, uccidere e graziare. Miliardi di Cristiani si pongono ancora oggi la stessa domanda, antichi culti hanno dato vita al dualismo dell’eterna lotta fra il bene e il male, gli Indoiranici hanno scelto la strada più semplice e naturale. Varuņa ottempera alla sua funzione nella veste del dio oscuro e minaccioso quello da temere, quello che costringe il fedele alla supplica, all’implorazione, alla richiesta di pietà. L’umanità oppressa dalle angherie, dalle sfortune, dalle avversità è costretta a implorarlo affinché la sua vendetta si plachi. La punizione che il devoto si sente cadere addosso deriva dal comune comportamento umano che ci porta costantemente e quotidianamente ad atteggiamenti riconosciuti dalla nostra coscienza come trasgressioni, violazioni, minacce al bene comune, al naturale equilibrio, al ka al ŗta-. Il devoto si sente legato, imprigionato dai lacci della magia, posto suo malgrado in una situazione di debolezza e di infelicità. È Varuņa che opera attraverso la sua magia e riduce all’impotenza il peccatore, da qui sorge la preghiera al dio attraverso la quale si implora di essere liberati dai lacci della sua vendetta ma ancora prima la preghiera rivolta a Varuņa è quella in cui si ammette la consapevolezza che il vivere quotidiano ci porta alla trasgressione, alla minaccia dell’equilibrio universale e allora il devoto si opera affinché il dio possa comprendere per sottrarsi preventivamente alla sua punizione. “Se avviene che giorno per giorno noi, come sudditi, violiamo il legame a te, o Varuņa, o dio, tu, comunque, non ci consegnare all’arma mortale, che uccide, di te irritato, non ci consegnare al furore di te corrucciato…” e poi dimostriamo tutta la nostra debolezza umana, quella che ci porta ad invidiare e odiare gli altri. Per questo motivo nascono preghiere che si rivolgono alla magia di Varuņa affinché punisca coloro che, a nostro giudizio meritano la sua punizione, tanto per sviarlo dai nostri peccati; “Quei tuoi legami, o Varuņa che ora stanno triplicemente slegati, luminosi, tutti leghino colui che parla contro il ŗta-, e liberino colui che dice il vero. Con cento legami tu Varuņa, legalo, non sia liberato chi è avverso al ŗta-, o sorvegliante degli uomini.” Oggi come allora ci crediamo in grado di poter noi giudicare le azioni degli altri ma solo chi ha la conoscenza, sia esso Varuņa oppure Dio, è da solo capace ed è l’unico, di giudicare il peccato commesso contro il ŗta-. Siamo noi che riusciamo a fare e vedere il male in ogni cosa, per questo diamo vita ad uno sdoppiamento divino che ci dà la sicurezza che ci sia un dio castigatore diverso da un dio benefattore. Questo perché abbiamo l’arroganza di credere ciò che Dio abbia realmente deciso. Zarathushtra rigetta questo archetipo allo stesso modo di Abramo ed entrambi rivolgono le loro preghiere ad un unico Dio capace di donare e di lasciare che l’uomo si punisca da solo.

La prima funzione, il Sacro, si completa con la figura del dio Mitra, il dio benevolo che aiuta e premia, letteralmente il dio amico. La complicata trasformazione del nome del dio in un vero e proprio appellativo dal significato di Amico, deriva dal fatto che Mitra è un nome maschile derivato dal neutro mitram dal significato letterale di contratto, in pratica “il contratto”; da questo deriva amitra ovvero che non rispetta il contratto, inteso come colui che è ostile, nemico; per cui di ritorno mitra assume il nuovo significato di Amico. E cosa c’è di più meraviglioso che avere un dio per amico? È in questo modo che gli Indiani sentivano il loro dio. Il contratto che dà il nome al dio è quello fra lo stesso dio e gli uomini, al fine di promuovere, coltivare e mantenere l’equilibrio universale, il rta-. Le preghiere rivolte a Mitra sono di tutt’altro tenore rispetto a quelle destinate a Varuņa, Mitra è un amico a cui si confidano i sogni, le aspettative e le speranze ed è colui che si ringrazia quando queste entrano a far parte della nostra vita reale. Il rapporto fraterno lo si sente pienamente nell’inno Rg-veda III, 59, “Mitra così è chiamato perché fa sì che gli uomini si organizzino… L’uomo non è ucciso, non è violato da te; egli è da te favorito; l’affanno non lo tocca né da vicino né da lontano. Il favore del dio Mitra, supportatore delle genti garantisce il successo; uno splendore con rinomanza eccelsa. Verso Mitra, la cui forza è presenza benevola muovono le cinque razze umane.” Mitra è il dio che promuove l’equilibrio universale premiando e favorendo i buoni. Non è quindi così difficile capire come il culto di Mitra abbia potuto dilagare fra i soldati romani in oriente, così bisognosi di sentirsi buoni nonostante la loro quotidianità di sangue, mentre a Roma i Cristiani vengono perseguitati per un Dio molto simile a quello a cui si stanno approcciando. Diventa così concepibile come si sia potuto accusare il Cristianesimo di essersi impadronito del mito della resurrezione dal Mazdeismo. Ecco perché miti e leggende vogliono Gesù in oriente tra la capannuccia e la Croce. Mitra è il dio buono, il dio dell’amore, del conforto, del sostegno, dell’accoglienza, come Gesù, ma in fondo non è proprio questo che vorremmo da Dio? Diventa facile dare vita a un’essenza soprannaturale capace di dare sollievo a tutte le nostre miserie, diventa facile sentire che questa essenza è realmente intorno a noi, diventa facile se riusciamo a sentire il buono altrimenti rimane solo Varuņa.

Anche se all’apparenza può sembrare, Mitra e Varuņa e i loro attributi, non sono in conflitto fra loro ma totalmente complementari a completamento delle umane necessità, è in questo modo che gli Indiani li sentono, li vivono e li adorano. L’uno necessario quanto l’altro, come il giorno e la notte, uno esistente in quanto esistente l’altro, i poeti vedici arrivano persino ad elevare inni in onore di entrambi dando vita, finalmente all’unico appellativo Mitrāvaruņa. Questa complementarità è talmente forte e necessaria che anche nell’Iran post- Zarathushtriano, mentre il monoteismo comincia a decadere per ritornare ad uno pseudopoliteismo o ad una monolatria genealogica, Mitra riappare a fianco del dio unico Ahura Mazda, il quale però incarna già da solo tutti gli attributi della prima funzione. L’inventiva umana però non ha remore e in un batter d’occhio Mitra assurge alla sua antica funzione di protettore dell’umanità nella veste di dio della guerra prendendo il posto di Indra, relegato da Zarathushtra alla condizione di demone. Cambia la sua forma e si presenta munito di armi ma non cambia la sua vera funzione, quella di dio buono, generoso e protettore e gli strumenti di cui dispone sono solo a difesa dei fedeli. Immutato rimane il rapporto con l’umanità per la quale resta il guardiano delle promesse stipulate al fine di mantenere inalterato l’equilibrio cosmico, come dimostrano gli inni a lui dedicati. “Dacci, o forte, in virtù della stipula delle promesse fatte, i seguenti beni che ti chiediamo: ricchezza, forza, vittoriosità, esistenza gradevole, possesso della verità, buona reputazione, pace interiore, dottrina, incremento, conoscenza, vittoriosità che è dono di dio… sì che noi essendo di buon animo, lieti, gioiosi e ottimisti, possiamo superare ogni avversario… possiamo superare ogni nemico… possiamo superare tutte le ostilità degli dei cattivi e degli uomini cattivi, degli stregoni e delle fattucchiere…”. La meraviglia di questa preghiera è evidente nel fatto che si chiede sì doni materiali per l’esistenza ma anche qualità capaci di rendere gli uomini più forti e fermi nella retta conduzione della vita: dottrina, conoscenza, pace interiore; per far sì che nella positività di questo stato e solo in questo modo, si abbia di conseguenza la facoltà di superare gli ostacoli della vita. Lo completa in modo assoluto la richiesta di pace interiore, quella che oggi il mondo Cristiano chiama accettazione. “Signore dammi la forza di cambiare le cose che posso modificare e la pazienza di accettare quelle che non posso cambiare e la saggezza per distinguere la differenza tra le une e le altre. Dammi Signore, un’anima che abbia occhi per la bellezza e la purezza, che non si lasci impaurire dal peccato e che sappia raddrizzare le situazioni. Dammi un’anima che non conosca noie, fastidi, mormorazioni, sospiri, lamenti. Non permettere che mi preoccupi eccessivamente di quella cosa invadente che chiamo “io”. Dammi il dono di saper ridere di una facezia, di saper cavare qualche gioia dalla vita e anche di farne partecipi gli altri. Signore dammi il dono dell'umorismo”, Tommaso Moro (1478-1535), Preghiere della Torre 1587. Un plagio o una comunione di intenti? Il figlio fatto carne di Ahura Mazda, si ripropone ancora come archetipo per la fede Cristiana.

Nelle culture Indoeuropee si ripropone, palese o celata, la complementarità di due déi nella prima funzione. Gli anni e le distanze, l’evoluzione della lingua e la sua commistione con quelle di varie tribù ne cambiano sostanzialmente l’appellativo ma non gli attributi, così abbiamo Odino e Tyr nel culto germanico, quello che ha avuto la possibilità di giungere più integro attraverso la stravolgente pratica romana di assimilazione e parificazione ma addirittura gli studi di Dumézil riesumano un’arcaica coppia anche nello stesso culto romano, Iupiter e Fidius, quest’ultimo presto dimenticato a causa dello strapotere di Giove.

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La seconda funzione, il Militare, è presieduta in India da una singola divinità, rappresentata da Indra, di cui conosciamo la misera fine dopo la pulizia etnica di Zarathushtra. Biondo, barbuto, muscoloso, iroso, gran mangiatore e bevitore, armato di clava. La cultura Iranica non lo recupera, probabilmente perché troppo “cattivo” da essere relegato negli inferi mentre invece è troppo forte il legame con Mitra che ne prende meritatamente il posto nella prima funzione; forza senza violenza, difesa e non offesa, anche se a volte attaccare si rivela l’ultimo espediente per la propria salvaguardia. Nel pantheon Iranico ritornano invece due divinità complementari, Vayu e Vŗtra, l’attacco e la difesa. A dirla tutta è come se anche in questo caso ci fosse Indra da solo; Vayu è strettamente legato a Indra, con lui concelebrato nel culto Indiano, Vŗtra altro non è che il sostantivo di un appellativo proprio di Indra dal significato di “che schianta la difesa opposta dal nemico”, ma per i Mazdeisti Indra rimane il cattivo degli inferi.

Nelle culture Indoeuropee si ritrovano più similitudini con Indra, di cui Eracle – Ercole ne sembra il fratello gemello, sia fisicamente che biograficamente. Marte lo incarna non solo in quanto dio della guerra ma anche in qualità di massimo esponente della seconda funzione nella triade precapitolina insieme a Giove per la prima e Quirino per la terza, oltre alla sua arcaica funzione di dio dell’agricoltura inteso come protettore dei campi conquistati e fautore di ulteriori conquiste agresti, proprio nella sua veste di dio della guerra.

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Gli déi che presiedono la terza funzione, l’Economico, ovvero produzione e godimento di tutti i beni, hanno anche loro una caratteristica particolare, quella di essere fratelli, spesso gemelli, disformi, ovvero che pur apparendo paritetici manifestano invece la loro diversità quale attestazione della complementarità nella stessa funzione. La loro responsabilità copre l’aspetto economico della società nel senso più ampio, quindi non solo inteso come produttività ma anche relativo a tutto ciò che contribuisce a rallegrare, sostenere e gustare la vita di ognuno. Rendono fertile il bestiame, ottimizzano la produzione di latte, incrementano le messi ed ogni tipo di coltivazione e di creazione ma non solo, sono medici, fecondatori, ispiratori e allietatori del quieto vivere. Sono loro che concorrono a far sì che noi essendo di buon animo, lieti, gioiosi e ottimisti, possiamo superare ogni avversario… possiamo superare ogni nemico… possiamo superare tutte le ostilità degli dèi cattivi e degli uomini cattivi, degli stregoni e delle fattucchiere… rappresentati spesso nell’atto di coltivare la terra alla guida di un aratro trainato da lupi, metafora della loro capacità di trasformare in positivo anche ciò che per natura dovrebbe essere ostile all’uomo.

In India la funzione dell’Economico è ricoperta dai gemelli Nāsatya, la loro disformità si manifesta nel fatto che uno è figlio di un mortale e l’altro del cielo. Giovani e di gran bellezza, sensuali a sottolineare incontestabilmente che il sesso è un aspetto importante della terza funzione. Viaggiano su di un carro dorato con ornamenti multicolori, trainato anche da cavalli ma molto più spesso da uccelli variopinti ad indicare la loro natura non militare. In Iran si evidenziano in questa funzione due degli Ameša Spenta, i Santi Immortali, sono Ameretāt, l’immortalità, e Hauruuatāt, l’integrità. Eletti a tutela del benessere fisico e della salute, spiccatamente dediti all’azione medica della terza funzione, da questi derivano direttamente gli angeli della tradizione Islamica Mārūt e Hārūt.

Nelle più arcaiche tracce Indoeuropee si evidenziano nel culto greco i Dioscuri, anch’essi gemelli disformi esattamente come i Nāsatya. Castore è figlio dell’umano Tindaro e Polluce è figlio del dio Zeus. Protettori dei marinai, in un naufragio evidenziano in questo modo la loro tendenza alla salvaguardia della vita umana tipica della funzione dell’Economico. A Roma la più famosa coppia di gemelli è quella formata da Romolo e Remo che in molti tratti della loro mitologia mettono in evidenza le loro caratteristiche tipiche della terza funzione. La disformità si manifesta nella forza, nello scontro con i soldati del nemico Amulio, Remo viene fatto prigioniero mentre Romolo riesce a difendersi. La loro caratteristica di protettori viene evidenziata dalle scorribande attuate per recuperare il bestiame rubato ai pastori e dall’istituzione della cerimonia dei Lupercalia, a protezione del bestiame dai lupi, i cui sacrifici sono operati tra l’altro anche a favorire la fertilità femminile, tutte evidenti funzioni dell’Economico. Infine, nell’esponente della terza funzione della triade capitolina si riconosce in Quirino la figura di Romolo, la sua estrema importanza per Roma lo porta successivamente a evidenziare più i caratteri della seconda funzione, assurgendo ad un carattere più marziale quale primo sovrano della città e suo fondatore.

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Anche nell’antichità profonda in cui affonda le radici la cultura Indoeuropea e prima ancora quella Indoiranica il culto non mancava certo di un’organizzazione, anzi l’intera società era strutturata proprio secondo la visione tripartitica. Dumezil azzarda e coglie in pieno il succo dell’ideologia, secondo lui il tripartitismo è la maniera di analizzare la realtà, non incarnandosi necessariamente in una struttura sociale tripartita, ma analizzando sé stessa e il proprio operato all’interno della comunità. Dal Rg-veda VIII, 35, 16 leggiamo che il fine delle preghiere è “…rafforzare l’essenza del sacro e rafforzare le preghiere… rafforzare l’essenza guerriera e rafforzare i guerrieri… rafforzare le vacche e rafforzare i contadini…”. Questa era la visione sociale dei primordi essenzialmente suddivisa in tre, il procedimento naturale che ne deriva o al contrario da cui il tripartitismo prende forma consiste nell’individuare, nel sentire, nel cercare, la porzione destinataria delle azioni umane volte a mantenere l’equilibrio universale, contribuendo ad essa con preghiere o comportamenti. Questa visione rimane tale anche se la struttura sociale che si è successivamente evoluta si compone di due, a Roma Patrizi e Plebei; tre, nel medioevo mitteleuropeo Vassalli, Valvassini e Valvassori; quattro, nell’India e nell’Iran evoluti. Quindi si evince e si conferma che la tripartizione si riferisce non alla struttura assunta dalla comunità ma ai compartimenti attraverso i quali la società comunque suddivisa opera. Quindi che sia artigiano, generale, schiavo, re o sacerdote l’intento del vivere, del pregare, del mantenere l’equilibrio cosmico è volto e svolto comunque attraverso una delle tre funzioni, quella diretta all’unione e all’interazione con il pantheon celeste; quella diretta alla conquista, al comando, all’organizzazione sociopolitica, alla strutturalizzazione della collettività; quella diretta al sostentamento, al miglioramento della qualità della vita, alla conservazione dei beni; cioè i modi necessari per il mantenimento di quell’inalterabile equilibrio che deve essere assolutamente preservato.

Le origini di questo culto e di conseguenza di questa cultura prendono vita proprio dalla visione tridimensionale dell’esistenza. In India all’originale tripartizione rispecchiata anche dalla struttura societaria viene forzatamente fatta un’aggiunta con il solo scopo di creare una casta, chiamata ancora oggi degli Intoccabili, in cui inserire le popolazioni indigene della valle dell’Indo, conquistata dagli invasori Ariani portatori della nuova religione. A pro di questo nasce una nuova ideologia della creazione vista come il risultato del sacrificio dell’uomo primordiale dalla cui bocca scaturisce il sacerdote, brahman il Sacro, dalle braccia il guerriero, rājanya il Militare, dalle cosce il coltivatore, vaišya l’Economico e dai piedi il servo, śūdra l’Intoccabile. Da questa trasgressione all’originale tripartitismo nasce una nuova concezione che segnerà indelebilmente la religione Indù, installando nella perfezione trascendentale dell’ascetismo un neo indelebile di ortodossia, ancora oggi non cancellato, relativamente alla suddivisione in caste a cui troppo si è legata e attenuta lasciando che l’arroganza umana prendesse il sopravvento, relegando la ripartizione paritaria del culto originale in una suddivisione gerarchica da cui tra l’altro è impossibile affrancarsi non essendo concepito alcun modo per il passaggio da una casta all’altra. Non conta il valore, l’intraprendenza, la fede, intoccabile sei e tale devi rimanere, tu e tutti i tuoi discendenti, un modo semplice e incorruttibile per le caste più potenti per evitare nel modo più assoluto il rischio di perdere la loro posizione predominante.

Lo stesso accade anche in Iran, in cui però diversamente dall’India viene inserita una classe sociale borghese quella degli artigiani. Probabilmente il progresso ha da solo creato questo nuovo assetto sociale, lo sviluppo tecnologico porta alla naturale nascita di una classe sociale che si differenzia dalle altre, Sacerdoti, Guerrieri e Contadini. Ci penserà poi l’ellenismo di Alessandro Magno a spazzare via ogni residuo del culto tripartito, già in declino, corrotto dalle continue ingerenze dei potenti e dalla globalizzazione del Medio Oriente. Alessandro si ferma sulle rive dell’Indo e solo la stanchezza e l’appagamento dei suoi eserciti e l’argine opposto da quelli indiani hanno reso possibile la conservazione dell’Induismo, il pantheon Indù sarebbe stato sicuramente depredato e integrato dalla filosofia greca, troveremmo oggi statue di Ganesh e Buddha ad Atene e di Zeus e Apollo a Mumbay.

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Anche se con il tempo quella Sacerdotale diviene una vera e propria casta, classe o addirittura professione, inizialmente l’ideologia tripartita Indoeuropea vedeva in questa attività quella di chiunque officiasse il rito. Dumézil analizza a fondo l’etimologia delle definizioni indoeuropee per questo esercizio e ne desume un fattore importante, dall’esame ne deriva che l’appellativo deriva dal fatto di portare il sacrificio verso il dio, per cui il Sacerdote in realtà e colui che porta l’oggetto sacrificale verso il dio e tale oggetto è ciò che viene portato. Questa precisazione non vuole portare soltanto ad un’analisi lessicale ma è molto più profonda fino ad arrivare a confermare che nell’ideologia tripartita il sacerdozio non fosse una realtà sociale ma la semplice funzione espletata da chiunque adempisse il rito. Ogni uomo diviene quindi sacerdote nel momento stesso in cui si rivolge al dio offrendogli il sacrificio in dono, sia questo un vero è proprio olocausto ovvero un atto cerimoniale.

Il rituale sacrificale è quasi sempre più di tipo incruento mano a mano che l’evoluzione spirituale allontana l’uomo dall’atto fisico dell’uccisione di un animale. In origine l’oggetto del martirio era però proprio l’uomo, in memoria di quel sacrificio primordiale da cui ha preso corso la vita terrena e celeste, quindi non solo l’uomo ma l’universo tutto. Dal Rg-veda X,90 questa offerta di sé del primo uomo si trasforma in un vero e proprio Big Bang, “La luna nacque dal suo pensiero, il sole dai suoi occhi, Indra e Agni dalla sua bocca, Vāyu del suo irato, dal suo ombelico si costituì lo spazio intermedio, dalla sua testa si sviluppò il cielo, dai suoi piedi la terra, dal suo orecchio gli Orienti”. Testimonianze di sacrifici umani nella cultura Indoeuropea si trovano persino anche nelle insospettabili India e Grecia e naturalmente nella cruentissima Roma, con il passare del tempo questo esercizio ha prima come oggetto prigionieri o schiavi per passare agli animali e poi trasformarsi in un semplice rito commemorativo consistente nella libagione. Questo tipo di atto di devozione prende molto campo anche perché facile da realizzare, economico, pratico e comunitario. Inoltre, il vino rappresenta pur sempre un prodotto di quella terra da cui tutti proveniamo. La libagione diviene quasi un atto di conferma tanto che addirittura nella lingua greca il lemma diviene a significare proprio “contratto” e il semplice brindisi arriva a sancire accordi importanti a tutti i livelli. Non dimentichiamoci però che con il termine contratto viene definito Mitra, il dio buono che tutto concede e tutto dà, chiudendo in questo modo un cerchio che asserisce che il sacrificio altro non è che un patto fra l’uomo e il dio a conferma dell’intenzione umana di prodursi al fine di mantenere inalterato l’equilibrio cosmico, la promessa di attenersi alle leggi divine e cosmiche con la certezza in questo modo che noi essendo di buon animo, lieti, gioiosi e ottimisti, possiamo superare ogni avversario… possiamo superare ogni nemico… possiamo superare tutte le ostilità degli dei cattivi e degli uomini cattivi, degli stregoni e delle fattucchiere…. una coppa di vino promette questo e molto di più.

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Complicata per l’assenza di precise indicazioni arcaiche è l’escatologia, alcune tesi ipotizzano una rinascita universale in antinomia al sacrificio primordiale, compiuto da ognuno con la propria morte per il perpetuamento dell’esistenza del cosmo intero e con questa rinascita completare la sussistenza dell’equilibrio cosmico, eliminando di fatto tutto ciò che può corromperlo o alterarlo. Ancora una volta Dumézil, rifacendosi alle saghe dei popoli stanziatisi in Europa, dà un’interpretazione che trovando corrispondenza pressoché in ognuno di essi, decisamente deve avere un’origine comune sicuramente più arcaica. Il demone, ovvero il male, come nel Mazdeismo, cerca di inquinare anzi addirittura eliminare gli dei ovvero il bene, per mezzo di inganni equivoci e tradimenti aprendo così un corso oscuro di lotte che ancora staremmo attraversando, per poi sfociare finalmente nella battaglia finale che vedrà il bene unico vincitore e successivamente anche in questo caso una rinascita ma del mondo nel senso più largo possibile, ormai purificato quasi come un eden eterno in cui le anime, divise dai corpi come soffi di vento, potranno perennemente essere … di buon animo, lieti, gioiosi e ottimisti. Il Paradiso senza affanni sognato, sperato, agognato da ogni culto, da ogni religione, da ognuno di noi.

Più semplicemente i cultori originari non si aspettavano niente. Il Culto Indoiranico nasce come risposta alle esigenze umane e come tale è rivolto all’esistenza mondana, già di per se molto difficile da comprendere ed accettare, non è una religione salvifica tesa a mostrare la via per una vita eterna. I riti e i sacrifici sono volti all’ottenimento di beni e favori durante la vita in questo mondo non per garantirsi un lasciapassare per l’eternità. Solo più tardi con il passare del tempo ed il progredire sociale cominciano i primi dubbi e le prime domande che portano alla ricerca di uno scopo più alto per la fatica a cui si è costretti a sottostare in questo mondo, una spiegazione, una risposta alla domanda. Chi siamo, da dove veniamo e soprattutto dove stiamo andando. Si sviluppano i primi approcci teoretici senza però avere nelle culture Indoeuropee il tempo di sviluppi concreti prima di subire l’inquinamento Classico inizialmente e Cristiano poi, o comunque essere da entrambi travisate e tradite. Fra le varie concezioni quella che forse viene da più lontano nel tempo e che più in seguito si è riaffermata è quella della Metempsicosi, ovvero la trasmigrazione dell’anima da un corpo ad un altro dopo la morte. In questo modo la morte fa un po’ meno paura, diviene davvero un trapasso verso un’altra vita, la possibilità di ottenere qualcosa di più, forse addirittura il posto in una casta superiore. Pur avendo radici nelle origini dei culti Indoiranici la reincarnazione rivela tratti di sviluppo teologico decisamente avanzati e pur essendo presente anche tra le popolazioni Indoeuropee come i Celti di Gallia, è ritenuta comunque, come le altre concezioni di attesa dopo la morte, un elemento derivante da una fede popolare opposta a quella mondana, importante e soprattutto utile, con il passare del tempo più per le classi sociali dominanti che non per quelle umili. Coloro che durante la vita non hanno avuto la possibilità di essere …di buon animo, lieti, gioiosi e ottimisti… non possono far altro che sperarne una nuova con la quale riscattare le pene della precedente o una eterna senza patimenti e affanni.

VARUNA

CELTI

… A.C. – 410

I Celti arrivano in Europa con il movimento migratorio a spirale che dal Caucaso sposta intere tribù verso la Mesopotamia da una parte e gli altopiani iranici dall’altra. Questo ramo del movimento migratorio si suddivide ulteriormente verso il subcontinente indiano e l’oriente mentre una parte svolta verso settentrione in direzione degli Urali, aggirando il Mar Caspio da nord per puntare poi con decisione verso l’Europa, fino a consolidarsi come popolo in modo particolare in Francia, in Germania a ovest del Reno, in Galles, Inghilterra e Irlanda oltre agli stanziamenti meno rilevanti della Spagna e dell’Ungheria. A questo stesso esodo, iniziato in piena età del bronzo, appartengono anche i popoli che in momenti diversi andarono a stanziarsi in Grecia e in Italia dando luogo successivamente alle grandi culture mediterranee e agli imperi Ellenico e Romano, i quali trasformarono precocemente in politeismo totale il culto tripartito delle origini, grazie alle influenze delle popolazioni indigene e alla facilità di scambi e contatti attuati grazie alle rotte marine.

Anche i Celti modificano lentamente la loro teologia ma per quel poco che oggi risulta possibile identificare sono molti i tratti tipicamente Indoeuropei che permangono nel culto e nella cultura Celtica, riscontrabili soprattutto nelle usanze e nei rituali particolarmente cruenti a dimostrazione della loro provenienza dalle più profonde origini Indoiraniche. Purtroppo, ciò che maggiormente e gelosamente custodiscono sono proprio la mitologia e la liturgia, facendone quasi una religione misterica, sia per lo scarsissimo uso della scrittura, anche per le popolazioni che ne conoscono approfonditamente le potenzialità, sia per l’interesse delle gerarchie dei potenti, le quali sfruttano appieno l’ignoranza imposta alle classi minori per assicurarsene un sicuro sfruttamento e la certezza del comando. Questa mancanza ci nega però un’approfondita conoscenza della cultura e della religione Celtica su basi storiche riscontrabili e originali, abbandonandoci nelle mani della interpretatio Romana, la quale decodifica e analizza il culto dei Celti con un occhio prettamente classicocentrico in cui si è propensi a ritenere logica la sostanziale uniformità dei pantheon di tutti i popoli. Questo ci porta oggi a conoscere sì i nomi degli déi, senza però potergli dare una sicura collocazione all’interno della tripartizione delle funzioni, salvo rarissimi casi, mentre se ne conosce gli attributi e le attitudini della versione interpretativa Romana avulse dalla loro originaria collocazione teologica.

Non potendo approfondire la religione Celtica dal punto di vista delle genealogie e delle mitologie divine, diviene ancora più interessante, se non addirittura chiarificante della relativa importanza degli déi, la figura misteriosa del Druido. Personificazione puntuale e precisa della prima funzione, il Druido riunisce in sé tutte quelle caratteristiche tipiche del religioso nella sua più ampia accezione. Sacerdote, poeta, storico e giurista riassume in sé tutte quelle attività che devono essere svolte per mezzo di atti di natura verbale. Tutto ciò in una cultura che conosce la scrittura ma ne fa uso solo in rare occasioni, per epigrafi, formule magiche o per particolari editti e che proprio a causa del potere druidico evita di utilizzare negli impieghi per i quali oggi come ieri risulta invece necessaria se non fondamentale per tramandare la conoscenza e l’ideologia. Appartenere a questa categoria significa evitare il servizio militare e le guerre ed essere dispensati da ogni tipo di onere compreso quello del pagamento dei tributi, evidenziando il motivo che porta molti giovani ad avvicinarsi alla dottrina misterica, spinti da interessi propri o da quelli familiari. La carriera non è però delle più semplici da intraprendere, occorrono fino a venti anni di studi e una facoltà mnemonica non indifferente. Nel tempo i Celti arrivano persino ad utilizzare l’alfabeto greco o la terminologia romana ma sempre e soltanto per questioni commerciali e affari pubblici e privati, mai per tutto ciò che riguarda l’ambito religioso. Evitare l’uso della parola scritta manifesta apertamente lo strapotere dei Druidi, i quali non vogliono assolutamente che la loro dottrina possa essere divulgata per mezzi diversi da quello orale, solo in questo modo può rimanere completamente nelle loro mani in quanto anche volendo nessuno può leggere dei testi sacri e farsene un’impressione o dargli una definizione personale, di conseguenza solo nelle loro mani rimane il potere amministrativo, giuridico e politico, sicuramente una scelta oculata e molto astuta. La giustificazione addotta dagli stessi Druidi mette in risalto l’uso che gli stessi ritengono di poterne fare, la scrittura, asseriscono, è fredda e morta perché immutabile, la parola invece permette al concetto di rimanere vivo e vero perché continuamente sottoposto ad interpretazioni. Un’esemplare immagine di filosofia, ma nell’utilizzo religioso e politico quotidiano attuato dai Druidi risulta assai pericoloso che ogni provvedimento possa essere disposto in base all’interpretazione di un singolo, accentrando in esso un potere indiscutibilmente illimitato.

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I pragmatici romani fanno derivare l’etimologia della parola Druido dalla pratica magica legata alla quercia, in celtico deruo, definendoli in questo modo quelli della quercia, ma odierni e più approfonditi studi ne danno invece un’origine Indoiranica dalla parola dru-wid, molto sapiente, saggio, dove si riconosce nel termine sanscrito vid un appellativo tipico del Brahmino Indù. Il potere dei Druidi sulla tribù e sull’intera nazione Celtica è assoluto e incontestabile, in loro si accentrano i maggiori poteri. Controllano direttamente le elezioni monarchiche, emettono editti, promulgano leggi e derimono questioni legali, interpreti unici e soli dei segni divini e magici. Astrologi, scienziati, medici, depositari soli ed unici delle tradizioni mitologiche e storiche della nazione, nella sola forma orale naturalmente. La prima funzione è racchiusa gelosamente nelle loro mani distribuita nei tre gradi della gerarchia Druidica composta dal Druido, vero e proprio sacerdote, il Welet, l’indovino e il bardo, cantore e compositore di liriche, il mezzo per tramandare mitologia, storia e leggende. In realtà la quercia è molto legata alla funzione sacerdotale dei Druidi e delle loro cerimonie, una delle più importanti è quella della raccolta del vischio, effettuata con un falcetto d’oro. I Druidi, sempre vestiti di bianco ne tagliano rametti lasciandoli cadere su un telo, anch’esso bianco, e con questi preparano pozioni medicamentose e ottemperano ai riti religiosi. Di questi ne sappiamo ben poco a causa dell’avversione Romana alle pratiche magiche Celtiche, ai Druidi in modo particolare e al loro potere in modo specifico, non è certo il caso di rendere pubbliche delle pratiche che si sta cercando di far scomparire.

Geci e Romani vedono nelle popolazioni Celtiche dei veri e propri barbari, guerrieri tenaci e votati alla morte e quello che è arrivato fino a noi è soltanto il disprezzo e il pogrom anticeltico capace di instillare nei soldati e nell’intera cittadinanza degli imperi classici una avversione epidermica per questi popoli, ponendo in evidenza tutto ciò che appare incivile e assolutamente lontano dai culti greci e romani. Non conosciamo quindi a fondo la teologia e la ritualità della religione Celtica ma sappiamo invece tutto sui più cruenti e orripilanti usi e costumi di Galli e Gaelici. Fra le fandonie che i Romani hanno fatto arrivare ai posteri siamo quindi costretti a ricercare la verità nelle piccole pieghe che riconducono le narrazioni Romane e Greche alle origini Indoiraniche, le stesse dei due popoli che si ritenevano superiori a i Celti e che nella loro più remota antichità avevano ugualmente messe in pratica e successivamente dimenticate proprio per la loro eccessiva violenza. Le fandonie sono quindi vere ma da considerare con la dovuta moderazione a causa dell’appassionata propaganda attuata al fine di agevolare la conquista dei territori occupati dai Celti. Fra queste troviamo la Metempsicosi, ovvero la trasmigrazione dell’anima da un corpo all’altro dopo la morte, motivo per il quale i guerrieri sono così combattivi, non hanno paura della morte in quanto un’altra vita li attenderà successivamente, sempre che abbiano mantenuto integro il loro corpo, per questo i Celti tagliano le teste dei nemici, conservandole come parte integrante delle loro abitazioni, credono infatti che il cervello sia la sede dell’anima si assicurano in questo modo che quella dell’ucciso non possa migrare in quella di un nuovo nemico da combattere, via la testa, un nemico in meno nel futuro. Tra tutte le componenti teologiche questa è infatti l’unica che viene divulgata all’intera popolazione, un piccolo inganno per mantenere saldi i poteri magici e assicurarsi che la massa sia sempre disponibile. Purtroppo, l’eccesso di fede porta addirittura anche all’immolazione volontaria, dei familiari dei morti sulle pire funerarie, per potersi ricongiungere ai loro cari nella nuova esistenza o al meno cruento incendio di suppellettili da lasciare in dotazione al morto per la prossima vita. Addirittura, i Celti non hanno paura proprio di niente se non che il cielo crolli loro addosso, in quanto credono che questo sia fatto di pietra, in avestico la parola asman si traduce infatti sia con cielo che con pietra e l’antica credenza rimane nei secoli fino a diventare un’altra stranezza Celtica. Numerose sono anche le testimonianze di sacrifici, sia umani che animali ed effettivamente sono stati ritrovati resti di questi riti, i quali però nella loro crudeltà si fermano alla pura e semplice offerta di vita senza infierire sui condannati se non dopo la morte. Gli animali vengono invece consumati se offerti a déi celesti mentre soltanto immolati se destinati a déi ctoni. Grazie alle basi gettate dalla massiccia opera di informazione e disinformazione a partire da Augusto la tolleranza del culto Celtico decade definitivamente, il potere politico può agire indisturbato e con l’appoggio del popolo, il quale ormai vede nei Celti soltanto una stirpe di crudeli barbari. Hanno così inizio azioni politiche e militari volte alla completa estinzione dei Druidi e della religione Celtica, la quale ha il difetto di anteporre il potere religioso a quello politico e in più detiene il controllo dell’istruzione e dell’educazione, ovvero la formazione del popolo. Deve pertanto essere debellata la classe sacerdotale titolare delle funzioni spirituali, giuridiche e politiche, fatto ritenuto assolutamente incompatibile con la concezione romana dello stato, in pratica invece si opera una vera e propria decapitazione dell’autorità costituita per ottenere il controllo del popolo ormai privo della propria guida, spirituale e amministrativa. In un tempo relativamente breve i Druidi scompaiono dalla Gallia e la popolazione si affida alla nuova religione romana, in fondo migliore perché più semplice chiara e destinata a tutti.

L’annientamento delle gerarchie Druidiche porta alla devitalizzazione della nazione Celtica, privata dei grandi evocatori capaci di dare forza e vigore alla resistenza e al conseguente completo controllo della regione da parte di Roma. In Irlanda fa invece più velocemente il Cristianesimo a soppiantare gli déi Celti e i Druidi, qui denominati Filid i quali si ritiene che spesso siano passati all’equiparata funzione sacerdotale Cristiana, mantenendo in questo modo la loro carica, il loro carisma e lo stesso potere, si nota infatti come in Irlanda non vi siano martiri, il passaggio è quindi molto più facile e incruento, semplicemente si sostituiscono i nomi degli déi. È tipica, infatti, del più originario culto Indoiranico la relativa importanza del dio, tantomeno del suo appellativo, rimanendo di sola e unica importanza la funzione tripartita della religione, poco importa che il nuovo Dio si chiami Gesù o in qualsiasi altro modo.

La testimonianza più esplicita è quella di Santa Brigitta in Irlanda, priva di riferimenti antichi sulla sua storicità ma ricca di biografie successive che negli attributi la legano in modo molto stretto alla dea Celtica Brigit o Brigantia. Brigit nasce all’aurora, suo padre ha per nome Scuro e suo nonno Nero e cupo, la madre la partorisce sulla soglia di casa a metà fra il buio interno e la luce esterna, Santa Brigitta assume tutti i tratti caratteristici dell’aurora compresa la corona di raggi solari sulla testa. Infine, Brigit significa Nobile in irlandese, in vedico nobile si traduce con bŗhatī che è un epiteto dell’aurora. In Irlanda si continua così tranquillamente ad adorare gli antichi déi Celtici trasponendo le loro caratteristiche e le funzioni tripartite nei Santi Cristiani, più che abbondanti nella nuova religione.

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Fra gli déi a cui è stato possibile dare un nome e una funzione sufficientemente chiara si evidenziano in Gallia Taranis, dio della prima funzione che i romani assimilano a Dis Pater, Esus per la seconda funzione, assimilato a Marte e Teutates o meglio Toutatis, per la terza funzione assimilato a Mercurio. Nonostante le infinite variabili derivate dalle diverse interpretazioni dei narratori romani, quella descritta sembrerebbe essere molto vicina alla reale collocazione degli déi Galli, si deve inoltre tenere conto che come in ogni religione i culti locali e tribali sono innumerevoli ed ogni villaggio ha di fatto i propri déi privati mentre quelli nazionali vengono probabilmente onorati solo durante i riti ufficiali e le numerose festività del calendario Gallico. L’unico invece ha cui viene data una collocazione e un’assimilazione certa è il dio irlandese Lug corrispondente al gallico Lugus. Questi si presenta alla corte di Tara ad una festa a cui è permesso l’accesso soltanto a chi possiede una specifica arte che non sia già rappresentata da altri nel paese, Lug si presenta come carpentiere ma ce n’è già uno, riprova allora come fabbro, poeta e medico ma ognuna di queste attività è già stata ammessa, per poter entrare non gli rimane altro che presentarsi come l’unico che possiede in se tutte le arti conosciute. Questa caratteristica è specifica nel pantheon Romano nel dio Mercurio, già riconosciuto in Lug da Cesare nelle sue narrazioni, samildá-nach, che possiede tutte le arti è infatti l’appellativo di Lug riconoscendolo chiaramente nella terza funzione e di conseguenza assegnando la stessa collocazione al dio Romano Mercurio che sostituisce in toto Lug, il dio più venerato dai Galli, i quali riconoscono con la tipica semplicità Indoiranica l’equiparata funzione del nuovo dio imposto dai Romani, abitudine atavica dei popoli Indoiranici, compresi Greci e Romani che con la stessa semplicità nonostante le numerose e cruente avversità, sostituiranno il proprio pantheon con un Dio unico e Suo Figlio Gesù, evitando accuratamente di non tralasciare naturalmente anche i numerosi Santi che li accompagnano e Maria madre di Dio, ancora una volta come nelle più antiche genealogie cosmogoniche al Dio creatore viene forzatamente attribuita una madre, madre del figlio di Dio ma venerata come Santa Maria Madre di Dio, un’abitudine dura a scomparire.

Peculiarità della religione Celtica non ufficiale è il culto delle Matrone, divinità femminile rappresentata da un gruppo di tre dee, le quali operano una vera e propria funzione materna, donano salvano, aiutano e danno perdono come loro propria caratteristica indipendentemente dalle preghiere dei fedeli. Queste divinità pur operando anche in ambito universale sono prettamente locali, più vicine, intime di quel popolino sempre bisognoso di protezione e aiuto anche e ancor più quando non è in grado di poter offrire niente in cambio. Ogni tribù, villaggio o famiglia ha le proprie Matrone, pronte a soddisfare le loro private necessità. La cultura Indoiranica in realtà non concede eccessiva importanza alle dee ma nella sua evoluzione se ne evidenziano alcune che nelle matrone vedono il loro apice di maggior influenza incarnando infine quella grande dea madre da cui tutti discendiamo provvida di amore materno e dispensatrice di fertilità agreste. Questo tipo di culto ha la sua massima espansione durante l’occupazione romana, nel momento del passaggio fra una religione che non può essere più osservata ed una che ancora non si desidera accettare. Le matrone permettono alle classi meno agiate e più lontane dai culti regali la trasmigrazione al culto Romano prima e a quello Cristiano poi. I poveri delle Gallie troveranno certamente nella figura di Maria la triplice componente delle Matrone, senza dimenticarsi del culto delle tre Marie che affonda le sue radici proprio nel sud della Francia narrando l’avvento dei Maria madre di Dio e di Maria Maddalena insieme ad un’altra donna dalla pelle scura le quali approdano sulle coste nei pressi della foce del Rodano, dove oggi sorge la città di Saintes Maries de La Mer, dando origine alla stirpe reale Franca dei Merovingi. Uniche e sole le matrone non hanno mai abbandonato il loro umile popolo.

In Irlanda sono numerosi i riferimenti agli antichi déi Celtici nelle saghe che i Bardi, declassati a semplici cantastorie, avranno il permesso dalle autorità clericali Cristiane di continuare a raccontare, veniamo così a conoscenza del dio Nuadu il dio dei re, storicizzato in un glorioso sovrano da cui i principi irlandesi si vantano di discendere riuscendo in questo modo a mantenere saldo il loro legame con l’antico dio e a conservare la tradizione di discendenza divina caratteristica Indoeuropea di ogni re. Nuadu dio della prima funzione è il sovrano dei Thuata dé Dannan, le divinità buone in perenne lotta con gli déi cattivi rappresentati dalla genealogia dei Fomoire, riproducendo in pieno le continue corruzioni umane queste due famiglie divise si intrecciano in rapporti familiari e discendenze incrociate, siamo fondamentalmente buoni ma in noi c’è sempre il male in agguato pronto a prendere il sopravvento. Una specularizzazione dei difetti umani nel pantheon divino che ancora di più si evidenzia chiaramente in quelli Greci e Romani, figli dello stesso antichissimo culto. Nuadu perde una mano durante una mitologica battaglia, perdendo così anche il diritto alla sovranità secondo la tradizione irlandese, ma la riconquista grazie a Dian Cécht il dio medico che lo fornisce di una mano d’argento. Lo stratagemma teologico permette a Nuadu di ottenere la tipica caratteristica del dio supremo ostentare una menomazione che non è invalidante bensì simbolo di piena e illimitata conoscenza, ottenuta proprio cedendo in cambio una parte del corpo, ritroveremo lo stesso caso tra i Germani in Odino, il quale è privo di un occhio per lo stesso motivo teologico. Durante la battaglia finale Bres figlio di un Fomoire e di una Thuata dé Dannan, verso cui Nuadu ha momentaneamente abdicato per la sua menomazione, viene fatto prigioniero dai Fomoire sconfitti e costretti ad abbandonare l’isola. Per avere salva la vita questi promette di rivelare l’esatto momento in cui arare, seminare e mietere divenendo pertanto queste peculiarità dei Fomoire che ne fanno esplicitamente déi della terza funzione, quella economica. Buoni o cattivi tutti partecipano equamente al mantenimento del -rta, tutti sono necessari affinché l’equilibrio non venga compromesso.

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Come ogni religione Indoiranica l’escatologia è molto debole in quanto il culto è prettamente mondano; offerte, riti e sacrifici sono adempiuti per ottenere favori in questa vita, rendendola capace di dare pace e serenità, la morte è vista come un mostro orrendo che distrugge ogni speranza. La commistione con popolazioni indigene, il tempo ed il progresso portano però alla necessità di risposte sul dopo, favorendo l’espandersi di teologie e mitologie che si distaccano dall’originario culto Indoiranico. Prende così campo l’idea della metempsicosi, sia come completa trasmigrazione che come fase temporanea prima di un non ben definito passaggio in un regno celeste o in un’isola di pace, lontana ma comunque sulla terra, dove non esiste tempo spazio gerarchie e potere, il Paradiso che ancora tutti agogniamo.

ABNOBA: dea della Foresta nera, protettrice della selvaggina e delle sorgenti d’acqua.

ADRASTE: l’invincibile, dea Britannica della guerra, a lei furono sacrificate le prigioniere romane dalla regina Boadicea.

ARDUINNA: dea Gallica della caccia, a lei deve il nome la zona montuosa delle Ardenne in Francia. Il cinghiale è il suo animale sacro.

AUFANIAE: dee madri.

BOYNE: dea Irlandese della fertilità, compagna di Dagda e madre di Oengus.

BRESS: dio Irlandese della fertilità, figlio dei Femore viene successivamente adottato dai Tuatha De Danaan. Divenuto re si ribella agli stessi Tuatha De Danaan ma questi ultimi lo sconfiggono durante una battaglia facendolo prigioniero. Viene liberato dopo che ha insegnato l’agricoltura agli uomini.

 

BRIGIT: l’autorità, figlia di Dagda, è la dea protettrice dei poeti, dei medici e dei fabbri. Il suo rapporto con il fuoco purificatore è molto stretto tanto da tramandare la sua protezione al fuoco sacro anche nell’agiografia Cristiana come Santa Brigitta.

CERNUNNOS: deo ctonio della fertilità e della ricchezza. Rappresentato nella tipica posizione del Buddha con corna di cervo.

 

DAGDA: padre universale, il più alto fra i Tuatha De Danaan dio dei contratti. Padre di Brigit e Oengus. I suoi attributi sono la clava che può uccidere ma anche ridare la vita; l’arpa che dona il sonno, la gioia ma anche il dolore; il paiolo che sazia tutti.

DANA: madre dei Tuatha De Danaan.

ERIU: il nome dell’Irlanda, è la dea dell’isola. Dà alla luce Bress dopo essere stata violentata dal re dei Fomore.

ESUS: violento dio Gallico, ha sete di sangue umano.

FINN: eroe delle leggende Irlandesi, una delle sue mogli è una cerva e cerbiatti sono i suoi figli, grazie al suo cappuccio magico può apparire come uomo, come cane o come cervo.

FOMOIRE: demoni Irlandesi, hanno la capacità di dominare per un breve periodo gli déi, ma nella battaglia di Mag Tured subiscono la sconfitta definitiva e sono costretti a restituire l’arpa a Dagda.

GOIBNIU: dio Irlandese dei fabbri, fabbricatore di armi infallibili, i contadini si rivolgono a lui per purificare il proprio aratro. Presiede alla fermentazione della birra in quanto possessore dell’idromele della vita eterna.

GOVANNON: trasposizione Gallese di Goibniu, signore del fuoco e dei metalli.

GRANNUS: dio Gallico della salute legato alle sorgenti calde.

LIR: dio Irlandese del mare, è considerato il più impavido dei Tuatha De Danaan.

LUG: dio celeste, luce, raggi del sole e fulmine. Maestro degli artigiani e dei guerrieri.

MANANNAN: figlio di Lir, dio del mare predice il tempo atmosferico. Il suo magico canto rende invisibili i Tuatha De Danaan. Letteralmente l’uomo dell’isola di Man.

MAPONOS: dio Britannico protettore dei fanciulli.

MATRES: divinità domestiche di carattere materno che si presentano in gruppi di due o tre. Di volta in volta evocate con nomi diversi hanno centinaia di appellativi diversi.

MIDIR: dio della terra miracolosa di Mag Mor, aio del dio Oengus.

MOG RUITH: dio solare, vola come un uccello o guida un carro di bronzo lucente.

MORRIGAN: dea Irlandese della guerra, infierisce durante le battaglie. Anche dea dell’oltretomba, regina degli spettri.

NUADU: dio dell’autorità regale partecipa alla battaglia di Mag Tured perdendo una mano. Dian-Chet gliela sostituisce.

OENGUS: l’unico potente, figlio di Dagda ne usurpa il palazzo con l’astuzia. Dagda glielo aveva concesso per un giorno ed una notte ma per l’ideologia celtica questo modo di dire ha il significato di eternità.

OGMA: principale dio Irlandese, quello dal volto di luce, la guida, il segno. Nella battaglia contro i Fomore riesce a togliere la spada al loro re. Inventore della scrittura Ogham irlandese.

OGMIOS: trasposizione Gallica di Ogma, incarna il potere della parola.

RUDIANOS: dio gallico della guerra.

SIRONA: divinità astrale collegata alla fertilità.

SUCELLOS: il colpitore, suo attributo il martello. In lui si ritrovano attributi divini legati alla fertilità ma anche all’oltretomba.

SUL: dea del sole.

SULEVIAE: dee madri.

TAILTIU: dea Irlandese della forze della natura, balia di Lug. La sua morte è festeggiato con il rito ierogamico Lugnasad, le nozze de dio Lug, la luce e la terra che si fondono.

TARANIS: dio Gallico del tuono, signore del cielo.

 

TETHRA: uno dei re dei Fomore, signore di Mag Mell, il regno dei morti. La sua sposa si sazia con sangue e guerrieri macellati.

 

TEUTATES: Toutatis, dio Gallico della guerra, della fertilità e della ricchezza. Lo splendente, padre del popolo, re del mondo e della battaglia. Anche appellativo del dio proprio di ogni tribù.

 

TUATHA DE DANNAN: stirpe di déi Irlandesi, eroi divinizzati esperti di magia druidica portano sull’isola la pietra di Lìa Fáil e sconfiggono i demoni Fomoire.

VOSEGUS: dio protettore della regione dei Vosgi.

        MITRA

GERMANI

… A.C. – 1050

Contrariamente a quanto accaduto per i Celti, le notizie riguardanti i Germani sono arrivate fino a noi numerose e sufficientemente esaustive per permettere una visione completa della loro cultura e della religione in modo specifico. Questo grazie a due motivi in particolare, la loro resistenza agli attacchi Romani e l’esser riusciti a tramandare pur sempre in modo orale, ma diffuso, le loro tradizioni fino all’abitudine e al riconoscimento dell’importanza dell’uso della scrittura. Quest’ultima opportunità la si deve soprattutto all’assenza di un corpo sacerdotale forte e aggregato capace di sottomettere le gerarchie politiche e militari, anzi queste assumo nel popolo Germanico una rilevanza tale da appropriarsi addirittura anche della prima funzione religiosa unificandola in pratica in un solo complesso che fa della guerra la via per il Paradiso, il Valhalla, e gli déi della prima funzione si trasformano in veri guerrieri pur mantenendo intatte le caratteristiche tipiche Indoeuropee. I più antichi ritrovamenti di tracce relative ad insediamenti Germanici risalgono addirittura al 12000 a.c. ma popoli della stessa stirpe continuano le loro migrazioni fino alla piena età storica e postromana, favorendo il mantenimento e l’integrità delle tradizioni Indoiraniche pur con la piena accettazione della trasformazione bipartitica attuata dai loro predecessori. Per un popolo invasore che in più deve vedersela prima con l’Impero Romano e successivamente con i neonati reami europei confortare e incoraggiare il popolo grazie alla forza virile del proprio esercito è un invito risoluto al non arrendersi mai e non avere alcun timore del nemico, qualunque esso sia gli déi saranno sempre dalla nostra parte!

Intorno al 3000 a.c. i nuovi arrivati si mescolano con gli antichi, i quali hanno già sottomesso le popolazioni preesistenti ed occupato la Scandinavia, l’Inghilterra e tutta l’Europa centrale e i decisivi mutamenti si riscontrano principalmente nel culto dei morti con la generalizzazione dell’erezione dei Dolmen, vere e proprie stele funerarie che in alcuni casi recano scolpite l’immagine del morto, nel periodo Megalitico che va dal 3500 a.c. fino al 1800 a.c. per poi arrestarsi con l’arrivo di nuove teologie dall’oriente e la soppressione dell’usanza della inumazione sostituita, con le ultime immigrazioni più legate all’originale culto Indiano, con la cremazione e la successiva tumulazione dell’urna cineraria. Il culto Germanico è ormai ben radicato e non disposto a stravolgimenti né verso l’antico Vedico né verso una maturazione, contro la quale si trincera per resistere all’avanzata dei popoli Europei e del Cristianesimo.

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Guda è il dio Germanico, inteso in senso generico da cui deriveranno l’inglese God ed il tedesco Gott, la sua etimologia deriva dal vedico Hutá, libato, divenendo la santificazione di un’azione che diverrà universalmente l’acme delle più importanti religioni, cioè l’assunzione di un liquido, o il semplice brindisi di augurio. L’utilizzo di una bevanda ha origine dal Soma del Ŗg-veda, l’intruglio usato durante i sacrifici, probabilmente allucinogeno e per questo aborrito da Zarathushtra, talmente inebriante da avvicinare l’assuntore al suo dio, cerimoniale di chiara impronta sciamanica come lo è la religione protogermanica. Il dio più antico è Tuistone, il doppio, che si equivale agli déi vedici Yama e Yami, fratelli incestuosi genitori del primo uomo. Figlio della terra e padre anch’egli del primo uomo Manno, i cui tre figli sono Ing, fondatore del popolo marino degli Ingevoni, Irmin del popolo del mezzo degli Erminoni e Ist fondatore del popolo continentale degli Istevoni, da cui hanno origini le primitive etnie germaniche. Non solo Manno ha valore per i Germani proprio della parola uomo, da cui man in inglese e Mann in tedesco, ma rispecchia fedelmente il Puruşa vedico, l’uomo primordiale da cui ha origine l’umanità. Risulta palese l’attaccamento alla progenitrice religione Indiana Vedica più che a quella Iranica gia scevra delle umane necessità di dover, come in cielo così in terra, parificare l’esistenza degli déi a quella umana attribuendogli necessità, vizi e virtù che certo non si addicono ad un dio e che nei più espressivi culti Greco e Romano vivranno un’apoteosi inconcepibile, siamo lontani dalla maturazione prima Zarathushtriana e poi Ebrea del concetto di Entità unica, infallibile, onnipotente e priva di bisogni, che a fatica persiste nel Cristianesimo e trova infine il suo compimento nell’Islam.

Come lo doveva essere anche quello celtico, il pantheon Germanico è ricco di personaggi, principali e secondari, protagonisti di una teogonia che ci giunge grazie a Snorri Sturluson redattore intorno al 1200 dell’Edda in prosa, derivata dall’Edda Poetica orale, la quale narra le gesta degli déi del popolo Germanico. La drammaticità e la concretezza dei fatti raccontati è talmente palpabile, evocativa e coinvolgente che pur ridicolizzando spesso gli stessi déi, che non si crederebbero mai capaci di tali e tante bassezze, debolezze e inettitudini, domandandosi oggi come sia stato possibile adorarli se non impersonificandoli nelle nostre bassezze, debolezze e inettitudini al fine di giustificarle, hanno permeato indelebilmente la cultura germanica nella quale sono sopravvissute numerose credenze, usanze e teorie, anche nefaste come quella nazista, ed hanno influenzato numerose creazioni artistiche fino ad oggi. Molte sono le saghe medievali derivate dalla Teogonia Germanica redatte in tutto il mondo Anglosassone, l’epopea Wagneriana poi ne fa rivivere le gesta di Sigfrido e appioppa ai poveri Vichinghi un paio di corna in testa. Si giunge infine alla palese rilettura di J.R.R. Tolkien nella triologia de “Il Signore degli Anelli”, con numerosi e chiari riferimenti Germanici a cominciare da Midgard, la terra di mezzo, per finire nella lotta tra elfi, umani, nani, giganti ed entità superiori, il Ragnarök. Al capolavoro di Tolkien si sono ispirati successivamente i più famosi film di fantascienza a partire dalla saga di “Guerre Stellari” in cui i guerrieri jedi continuano ad esistere anche dopo la loro morte e come Odino proteggono i loro discepoli, i nuovi guerrieri.

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I primordi del culto Germanico riproducono perfettamente il tripartitismo peculiare della cultura Indoiranica, si ritrovano infatti tutte le caratteristiche tipiche delle migrazioni Indoeuropee a cominciare dalla tripartizione delle funzioni divine in Sacro, Militare ed Economico, anche se necessità e virtù modificheranno precocemente la panoramica della struttura divina.

Anche se non palesemente riscontrabile il tripartitismo appare già celato nelle affermazioni di Giulio Cesare che ne descrive il culto identificando in Sole, Vulcano e Luna che rappresentano esattamente le tre funzioni il Sole divinità celeste per il Sacro, Vulcano, la forza e l’energia per il Militare ed infine la Luna, ovunque abbinata alla fertilità, per L’economico. Questi valori si perdono presto ma nelle caratteristiche delle divinità si possono ben riconoscere gli arcaici tratti Indoiranici. Il Sacro è rappresentato da due divinità che si spartiscono equamente i compiti della funzione, Odino o Wodan e Tyr. Odino è il dio sovrano, il padre degli déi, colui che giudica e che ordina mentre Tyr impersonifica il contratto con gli uomini e si adopera per garantire la giustizia. Il Militare è amministrato da Thor, Thunraz o Donar dio della guerra pronto a difendere déi e uomini con il suo prodigioso martello che rappresenta il fulmine, con la particolare caratteristica di ritornare nelle mani del suo padrone ogni volta che viene lanciato. Dio della tempesta, rapido e violento, combatte e sconfigge i giganti nemici e lotta contro il serpente cosmico. La terza funzione è affidata ai figli di Njördr dio marino della pesca e della navigazione. Freyr e Freyja fratelli asimmetrici per sesso, Freyr è protettore delle greggi e degli allevamenti, dio del sesso e del piacere di vivere, Freyja dea della fertilità e della gravidanza completa con la presenza femminile la fecondità degli aspetti essenziali della vita dei popoli Germanici, il mare da attraversare e la terra da seminare.

La visione divina Germanica muta però velocemente proprio per le caratteristiche guerriere del popolo invasore. Il viaggio fino alla loro destinazione finale non deve certo essere stato dei più semplici e solamente la forza e in particolar modo la forza militare, dà loro la sola ed unica possibilità di sopravvivenza e probabilmente già lungo il tragitto hanno inizio e perfezionamento i mutamenti sostanziali che portano alla definitiva concezione cultuale. Si crea pertanto una nuova visione del modo divino, non più tripartito ma guidato da due sole funzioni, quella dell’Economico divinizzata nei déi terrestri Vani e quella del Militare divinizzata nei celesti Asi che adottano ad interim anche la funzione del Sacro marzializzandone le divinità.

La teogonia del popolo Germanico, e con questo termine si indicano tutti gli stanziamenti europei delle tribù raggruppate sotto l’epiteto Germani, dall’Inghilterra all’Ungheria, dalla Scandinavia alla valle padana, è molto ricca grazie proprio al loro carattere guerriero, che ha poi fatto dell’arte della guerra la maggiore divinità, il quale ha fatto in modo che questi potessero resistere più a lungo all’invasione Romana prima e all’evangelizzazione Cristiana poi. Le ultime resistenze conservative si manifestano ancora ben oltre il medioevo e alcune tradizioni rimangono tutt’oggi più che vive. Il testo più importante da cui poi tutti gli altri si sono sviluppati e la Völuspá, un carme in versi narrante la profezia che partendo dalle origini dell’uomo si svolge fino al Ragnarợk, il destino degli dèi che poi si trasforma in Ragnarøkkr, il crepuscolo degli dei, la fine del mondo come lo si conosce. In principio ci sono gli déi, gli elfi i nani e i giganti e fra questi vi è Ymir dal cui sacrificio ha origine la terra; con il suo corpo viene plasmato il mondo, con la pelle la terraferma, con le ossa le rocce, con il sangue il mare, i capelli danno forma alle nuvole e il cranio diviene la volta del cielo. Dalla terra ha origine Tuistone il quale genererà Manno e da lui l’intera razza umana, che ovviamente nella concezione cosmogonica era limitata alle tribù Germaniche.

Parallelamente a queste vicende si sviluppa la storia degli Dei, suddivisi in due distinte categorie, gli Asi, che comprendono le divinità della seconda funzione e quelle della prima migrate dal Sacro al Militare, e i Vani, gli déi della terza funzione. Nella Völuspá si snoda la vicenda degli attriti fra le due genealogie divine nel tentativo di sopravanzare l’una l’altra per arrivare a detenere il potere assoluto sull’intero universo. Questa battaglia viene inquadrata dagli studiosi come una rappresentazione nel divino di fatti che sono realmente accaduti con l’arrivo delle prime tribù Germaniche in Europa. Gli Asi sarebbero proprio i Germani e i Vani le popolazioni indigene sopraffatte dalla potenza militare degli invasori, l’epilogo della Völuspá manifesta la situazione sociopolitica consolidatasi con la definitiva conquista dell’Europa centrosettentrionale.

I Germani, i quali non sono avvezzi alla sedentarietà e di conseguenza alle attività di coltivazione e pastorizia, occupano stabilmente i poteri religiosi e militari, guidano il paese, lo proteggono e ne hanno cura, ai popoli indigeni, stanziatisi millenni prima e quindi già progrediti nelle attività socioeconomiche tipiche dei villaggi, rimane il compito di provvedere a tutte quelle attività necessarie per il sostentamento e la ricchezza dell’intero popolo. Gli Asi sono visti come gli déi buoni i quali cercano di proteggere il mondo nel tentativo di evitare che la profezia si avveri, i Vani sono invece disposti a tutto pur di giungere ad ottenere il potere e governare il mondo, ma ovviamente non ci riusciranno; pastori e contadini in tutte le rivolte e rivoluzioni fatte dai primordi fino ad oggi non sono mai riusciti ad ottenere un bel niente, questa esposizione concede loro almeno il riconoscimento del duro e importante lavoro da loro svolto.

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Odino e a capo degli Asi accompagnato dalla sposa Frigg, i loro figli sono Hödur e Baldr affiancati dei fratellastri. Vali, concepito con la dea della vegetazione Rind e Vidar con la gigantessa Gridr. A proteggere tutta la stirpe divina e l’intera umanità c’è Thor, il dio del tuono, con il suo potente martello Mjölnir, simbolo del fulmine, capace di uccidere ogni nemico. Tra i Vani si mettono in evidenza solo i veri cattivi, Loki che prima combatte a fianco di Thor nella guerra contro i giganti per poi approfittare della fiducia guadagnata e provocare il Ragnarök, e Fenrir il lupo, il di lui figlio avuto con la gigantessa Angrboda. La vicenda si dipana in storielle più o meno ridicole, non per il loro contenuto quanto per le peripezie applicate agli déi le quali ne manifestano in modo assoluto la loro decisa umanità e umanizzazione, gli Asi rivogliono le scacchiere d’oro perdute simbolo del loro benessere e della fertilità e scomparse a causa dei dissapori con i Vani e questi bramano il potere degli Asi. Come in terra così in cielo, gli intrighi terreni vengono trasposti ed enfatizzati nei difetti e nelle debolezze divine, ancor una volta al fine di giustificare le debolezze e le nefandezze umane. Baldr è molestato da un sogno ricorrente, quello di morire, al fine di impedire che ciò avvenga viene chiesto ad ogni essere animato o inanimato un giuramento solenne, quello di non fare mai alcun male al figlio di Odino. Il perfido Loki non perde però l’occasione di sfruttare a proprio favore la vicenda e con l’inganno riesce a farsi dire proprio da Frigg se tutti proprio tutti gli elementi dell’universo hanno prestato giuramento. Questa raggirata da Loki in sembianze di donna, afferma candidamente di non aver chiesto il giuramento ad un cespuglietto di vischio di un bosco lontano ritenendolo innocuo. Loki architetta immediatamente il suo piano e si presenta alla festa in onore di Baldr. Durante i festeggiamenti gli déi organizzano un gioco, colpire Baldr con ogni possibile arma per celebrare l’acquisita invulnerabilità del dio. Loki si accosta a Hödur, il fratello cieco di Baldr e porgendogli un rametto di vischio lo invita a partecipare al gioco. La fine è manifesta, il ramo trafigge e uccide Baldr nella disperazione generale e questo scatena il caos universale, Vali vendica il fratellastro uccidendo Hödur, le forze si scatenano e il male ha il sopravvento. Baldr finisce in Hel, l’oltretomba dell’oblio, in quanto non essendo morto in battaglia non può accedere al Valhalla. Gli Asi chiedono a Hel la restituzione del dio e questa viene promessa se tutti gli esseri della terra ne piangeranno la prematura dipartita. Ancora una volta Loki volge l’evento a proprio favore, trasforma le sue sembianze in quelle della gigantessa Thökk e nega la sua disperazione agli déi, Baldr è così condannato per l’eternità, il Ragnarök è giunto al suo epilogo, “se ne andarono giuramenti patti e parole, tutte le sacre promesse strette fra loro”, così recita la Völuspá. Asi e Vani combattono strenuamente per l’esistenza stessa dell’universo, ogni essere divino o terrestre si cimenta nella lotta, il lupo Fenrir viene incatenato ma Tyr perde la mano nella lotta, nani, elfi e Giganti combatto al fianco dei Vani, uno ad uno tutti gli déi muoiono. Le Valchirie riesumano i guerrieri caduti dal Valhalla per combattere a fianco di Odino ma questi muore ucciso dal Lupo e Vidar lo vendica riuscendo ad uccidere Fenrir. A questo punto si aprono diversi scenari a seconda dell’interpretazione data al finale del Ragnarök. I diversi autori tramandano inizialmente un epilogo sufficientemente uniforme che vede il mondo rinascere sulle ceneri della distruzione, Vali e Vidar sono gli unici déi sopravvissuti, i sovrani del nuovo mondo in cui tutto e pace e benessere dove le messi crescono senza dover essere seminate, un vero e proprio Paradiso. Le tavole d’oro ritornano in possesso degli Asi e la vita riprende con la vittoria del bene sul male. Autori successivi, probabilmente già influenzati dai primi contatti con il Cristianesimo, vedono invece la resurrezione del dio Baldr che governerà il mondo rinato con equità, rettitudine e giustizia. I primi evangelizzatori sono arrivati tra i Germani ed hanno già in loro instillato una piccola luce che illumina il monoteismo e l’idea di un salvatore risorto. Addirittura, si arriva in uno dei testi ritrovati ad ammiccare palesemente a Gesù Cristo sulle nubi nel Giorno del Giudizio, “Allora viene il potente al suo regno, il forte dall'alto che tutto governa”, i saggi missionari non perdono certo l’occasione per convincere i Germani che in fondo stavano già adorando lo stesso Dio.

La Völuspá ricorda molto da vicino gli eventi della nascita di Roma e ne ricongiunge gli albori Indoiranici, la guerra con i Sabini, i quali hanno le donne mentre i Romani hanno il potere si conclude con l’accordo tra le parti e lo scambio dei beni rappresentativi delle tre funzioni, ai Sabini viene data una piccola concessione nella prima funzione unificando i due territori e ai Romani vengono concesse le donne, il cui simbolismo di fertilità le inquadra chiaramente nella terza funzione. La profezia pur promettendo una rigogliosa e mirabile rinascita decreta però la morte di tutti gli déi, sia Asi che Vani e questo sconvolge l’intera Thing, l’assemblea degli déi. Anche in questo caso, come per Roma, lo scontro deve essere evitato nella maniera più assoluta, si deve e si giunge infine ad un accordo. Njördr, Freyr e Freya abbandonano la corte dei Vani e portano la componente della terza funzione in quella del Sacro-Militare, gli Asi invece concedono il meno importante Hoenir confermando una volta per tutte il sostanziale prevalere delle prime due funzioni sulla terza. Il mutamento occorso consolida il bipartitismo Germanico che sopravanza l’antica ideologia tripartita delle origini. In questo modo l’equilibrio, il ŗta- potrà essere mantenuto assicurando benessere per tutta l’umanità, agli Asi viene definitivamente concesso il controllo della funzione del Sacro-Militare, ai Vani quello della funzione Economica.

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Al vertice del pantheon Germanico rimane inamovibile il dio Odino, Wōden, Wuotan il cui nome ha il significato di furore, estasi, forza spirituale esuberante e quindi strettamente connesso con le sue funzioni specifiche. È il dio padre di tutti gli déi, il protettore dei guerrieri, evidenziando in questo modo il carattere militare della genia Germanica che a suon di battaglie ha conquistato i suoi territori. Le sue guardie private sono le Valchirie, le quali raccolgono i caduti sul campo per accompagnarli nel Valhalla, dove continueranno ad allenarsi in combattimenti incruenti e a tenersi in forma nell’attesa di cimentarsi durante la battaglia della fine dei tempi. Il carattere bellicoso dei Germani ha portato anche il loro dio più importante ad assumere sempre più il carattere militare necessario, per dare al popolo la forza di continuare ad invadere e a difendersi. Odino è il dio onnipotente che tutto sa e tutto vede, si serve di due spiriti incarnati in corvi che vagano giorno e notte per il mondo a vigilare per riferirgli le mancanze umane e in più il suo sapere non solo è divino, ma con la forza della sua divinità se lo è anche saputo conquistare con sacrificio, a monito perenne per il suo popolo dell’estrema difficoltà della vita. Odino è rappresentato sempre senza un occhio perché quell’organo così importante è conservato nel fonte di Mimir, dato dal dio in pegno al gigante Mimir, famoso per la sua saggezza, in cambio della conoscenza assoluta del tutto e della saggezza universale identificata con il potere magico, che lega nei lacci dell’incantesimo proprio come il vedico Vāruna. La sua divinità è infine completata dall’estremo sacrificio di rimanere appeso per la gola nove notti, in quanto i Germani contavano le notti e non i giorni, all’albero Yggdrasill che affonda le proprie radici nell’Hel, soffrendo tutte le pene che hanno reso la sua saggezza perfetta. Grazie a tutto questo si guadagna di diritto l’appellativo incontestabile di padre di tutti gli déì.

A fianco di Odino, a completare l’immagine dell’originale prima funzione, c’è Tyr, Teiwaz, Zio, la derivazione da Mitra si evidenzia nel suo incarico di controllore che i patti siano rispettati al fine del mantenimento perenne del ŗta-. Tutore dell’ordine e della legge presiede la Thing, l’assemblea degli déi e proprio questa sua carica trasforma precocemente anch’egli in un dio guerriero, il quale proprio con la forza presiede, con la forza si accerta che le risoluzioni assembleari non siano disattese e con la forza le impone. Il passaggio alla seconda funzione determina nella religione Germanica un decadimento del valore della carica sacerdotale, suoi rappresentanti in terra i sacerdoti presiedono alle assemblee terrene, giudicano e puniscono come se avessero ricevuto un ordine direttamente dal dio ma in realtà attenendosi a quelle che sono le disposizioni delle gerarchie militari. Tant’è che il metodo di giudizio per i casi più importanti era affidato all’Ordalia, un duello in cui i comparenti si sfidavano e i giudici si affidavano alla volontà e alla saggezza divina, chi ha torto non può certo uscire vincitore da una prova così dura. Un ferro infuocato veniva stretto nella mano del malcapitato, il quale poi doveva camminare su una lastra incandescente, immergere la mano in acqua bollente ed infine essere gettato in acqua. Chi può si fa rappresentare da propri campioni, i quali si sottopongono alla prova per il loro signore. Dopo alcuni giorni, il poveretto è controllato dai giudici che ne attestano la guarigione, quindi vittoria in giudizio o l’aggravamento quindi condanna, ma i giudizi in questo caso sono strettamente nelle mani dei preposti i quali a loro piacimento anche dopo lunghe diatribe arrivano a determinarne l’esito e in questo caso il risultato può sempre essere dirottato dove più opportuno o più conveniente. Vi è poi il duello giudiziario, semplicemente chi muore ha torto chi vive ha ragione, le divinità non fanno certo vincere un mentitore. Il giudizio non è pertanto mai riconducibile alla volontà degli uomini e in questo modo si scaricano tutte le responsabilità. I sacerdoti divinano ed interpretano i segni e le rune e solo loro possono accompagnare il carro della dea Nerthus, accudire la dea, lavarla e rifocillarla e rimanere vivi dopo tale cerimonia, gli operai addetti a tale compito verranno successivamente annegati nello stesso lago in cui hanno lavato il simulacro, in quanto non degni di tanto onore e soppressi perché non credano di meritarselo.

L’importanza della funzione sacerdotale e talmente dipendente dalle attività sociopolitiche da non avere neppure una costruzione dedicata alle funzioni. Fino ai contatti con i Romani e poi con il Cristianesimo che ne muteranno le usanze, i templi germanici sono situati in boschi o radure dove al massimo può esserci una demarcazione di pietre o un piccolo altare, non esistono ancora luoghi in cui vengono conservate e venerate immagini di divinità, esse vengono adorate nella natura stessa. I Germani non ritengono infatti che la grandezza degli déì possa essere racchiusa fra mura o ritratta in immagini umane. La caratteristica salvifica di Tyr si evidenzia nella sua mutilazione, come il Nuado Celtico anch’egli è rappresentato privo di una mano. Per evitare la catastrofe del Ragnarök gli Asi cercano di incatenare il lupo Fenrir, colui che è destinato a dare il via al crepuscolo degli déi, il Lupo catturato non vuole essere messo in catene e chiede a garanzia di ciò che Tyr gli metta una mano tra le fauci. Tyr deve salvare il mondo e l’esistenza, per cui pur conscio di mancare presto la parola data accetta ma appena Fenrir è tranquillizzato lo incatena e per tutta risposta Fenrir stringe i denti e compie la sua vendetta. Tyr si sacrifica perché il contratto fra gli déi e gli uomini sia rispettato e da gran dio qual’è lo fa anche a costo del martirio personale. Pur nella confusa prima-seconda funzione Germanica l’erede di Mitra continua a manifestare l’amore per l’umanità, unico che pur militarizzato rimane dedito ai bisogni del popolo.

L’originale dio della guerra è e rimane nella composita prima-seconda funzione Thorr, Thunaraz, Thunar, con il suo fedele martello Mjölnir, simbolo della folgore. Affianca Odino all’apice della vera e propria gerarchia divina, in pratica sono loro due gli déi preposti alla sacralità del Militare e alla militarizzazione del Sacro. Lotta contro i giganti, i più antichi esseri sulla terra, fra i quali da Ymir viene creata la terra stessa. Non si separa mai dal martello che è il simbolo stesso della sua forza, difende déi e umani da tutti gli esseri che ne sono nemici. Loki riesce a trafugarne l’arma nascondendola nella terra dei giganti. Il re Thrymr chiede in sposa Freyja per restituirlo e Thor vestito da sposa si reca a corte e chiede di vedere il martello ma appena ne rientra in possesso compie la strage vendicativa. Mjölnir funziona come un vero e proprio boomerang perché ogni volta lanciato ritorna nelle mani di Thor, un semplice stratagemma teologico per impedire che il dio rimanga malauguratamente privo della sua arma mortale. Il suo acerrimo nemico è la Serpe di Midgard, un enorme biscione che tiene il mondo stretto fra le sue spire. I due lottano costantemente fino a che nel corso del Ragnarök si uccideranno a vicenda. Thor è il vero e proprio simbolo della battaglia e i Germani che le truppe romane si sono trovati davanti dovevano impersonarlo in modo perfetto, coraggiosi, votati alla morte, possenti e sicuri di se. Impossibile per le legioni riuscire a spingersi oltre il Reno, i Thor umani sono spaventosamente brutali, quasi impossibile combatterli, letale cadere nelle loro mani. I Germani non fanno prigionieri, o meglio li fanno ma solo per sacrificarli ai loro déi.

Il culto di Thor si espande in tutta l’Europa centro orientale e a lui viene consacrato l’albero di quercia nei cui boschi si tengono le cerimonie in suo onore, tra queste la più cruenta viene celebrata una volta l’anno e comprende un sacrificio umano. Nella notte di Natale del 724 i devoti di Thor si radunano intorno alla quercia per sacrificare al dio un bambino. San Bonifacio venuto a sapere quello che stava per accadere si reca sul luogo, strappa il bambino dalle mani del sacerdote e con un’ascia colpisce la quercia che viene poi abbattuta dai suoi compagni. I germani rimangono un attimo in attesa convinti che la vendetta di Thor si sarebbe presto abbattuta sui sacrileghi distruttori. La leggenda continua raccontando che i Germani rimangono sbigottiti dall’assenza della vendetta divina convincendosi in tal modo che il Dio di Bonifacio è più potente del loro e per questo si convertono. Il futuro Santo li invita a mantenere la loro usanza di ritrovarsi una volta l’anno intorno ad un albero consigliando però loro di farlo nelle proprie case sostituendo il sacrificio umano con uno scambio di doni nella notte di Natale. È questo che ancora milioni di Cristiani fanno tutt’oggi ogni anno, continuano a ritrovarsi intorno all’albero di Thor per scambiarsi doni.

Quest’usanza prende campo nel modo Germanico e rimane intatta per centinaia d’anni fino a che nella notte di Natale del 1914 a Ypres sul confine fra Germania e Belgio i Tedeschi addobbano le loro trincee e immediata si instaura fra i soldati dei due fronti una rimpatriata pacifica con scambi di doni e giochi. La cosiddetta “Tregua di Natale” sdogana l’abete, più comune nella foresta del fronte della tradizionale quercia di Thor e l’usanza veterogermanica conquista il mondo intero affiancandosi inizialmente al più Cristiano Presepe, fino a soppiantarlo ed espandersi ad ogni culto e cultura tanto che il più potente culto del più comune dio umano, il denaro, la esporta in ogni parte del mondo per la sola brama di potere economico. Natale ritorna ad essere la festa pagana più celebrata al mondo e il suo simbolo diventa un vecchio ciccione che beve coca cola e per questo lascia il verde originale Germanico per il rosso della multinazionale statunitense. Di Gesù Bambino sono sempre meno a ricordarne l’immensa grandezza e ancora minore è la memoria di Thor, il padrone del’albero.

Frey e Freya incarnano perfettamente la terza funzione, quella dell’Economico. Figli di Njördr già dio della fertilità a cui si affianca la sua eponima Nerthus, probabilmente in età più antica gli déi con parentela e asimmetrici potevano già essere loro, forse una coppia in cui l’asimmetria si colloca già nella diversità sessuale. Cosa che si ripete anche nei fratelli Frey e Freya, diversi per sesso, figli di Njördr probabilmente sua sostituzione per importanza. L’introduzione della componente femminile esalta l’importanza della sessualità nella cultura Germanica manifestata inoltre dalla rappresentazione dei Frey con un vistoso fallo, simbolo sì di fertilità ma non solo agreste e dal rapporto incestuoso dei fratelli. La funzione economica si evidenzia limpidamente in questi déi in quanto per la cultura Indoeuropea la funzione economica riguarda non solo l’ambito produttivo ma anche e soprattutto il godere dei beni e delle opportunità dalla vita. La libertà sessuale di Frey e Freya ne mette in evidenza le possibilità, gustarsi a pieno l’esistenza, dopo tante guerre e tante faticose battaglie è certamente quanto di meglio possa accadere per ogni bellicoso Germanico.

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A fianco dei culti ufficiali maturano nel tempo culti minori che spesso nascono dalla necessità per il popolo di più infime origini, di avvalersi di entità più vicine alle cose di ogni giorno e come per i Celti si sviluppa in modo esteso il culto delle Matrone o Madri, le quali in gruppi di tre sovrintendono ai bisogni quotidiani. Proteggono, salvano e guidano alla vittoria anche i più umili soldati, i quali molto più che agli déi preposti si rivolgono alle più intime Matrone per avanzare le proprie richieste, spesso così pratiche ed immediate da ritenere i grandi déi smisuratamente lontani. Le matrone sostituiscono in tutto e per tutto le funzioni sacrali, militari ed economiche delle più alte gerarchie divine, ci sono quelle che danno forza, che proteggono gli accordi, che soddisfano ogni desiderio; per questo il loro culto si espande ovunque, dando anche luogo a Matrone locali che sono venerate soltanto in una zona ristretta o addirittura in un unico villaggio. Anche questa metodologia cultuale ha però origini Indoiraniche. È molto usato infatti anche nell’originale culto Indiano l’appellativo rivolto ad un dio o a una qualsiasi entità divinizzata che ne evidenzia la discendenza da più madri in numero variabile per importanza fino a decretare di Agni e Indra che ne hanno ovunque. L’avere molte madri identifica perciò avere molta protezione e quindi molta fortuna nella vita, essere potente ed invincibile. Con l’arrivo della cultura classica e Cristiana gli déi maggiori sono spazzati via dalla preponderanza dei nuovi culti, imposti ai più alti livelli sociopolitici Germanici, mentre il popolino sarà ancora per molto tempo libero di venerare indisturbato le proprie Matrone.

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I riti Germanici comprendono inoltre la divinazione che viene eseguita dai sacerdoti le cui interpretazioni sono per lo più legate all’ambiente naturalistico, nitriti di cavalli, volo degli uccelli o il loro canto, fino a maturare nell’interpretazione magica attraverso le rune, una scrittura inizialmente pittogrammica e poi alfabetica, utilizzata esclusivamente nell’ambito religioso. I vari caratteri incisi ognuno su di un pezzo di legno vengono gettati e raccolti a caso e la loro consequenzialità ne decreta l’auspicio. Più tardi l’utilizzo delle rune si espanderà alle sepolture e alle iscrizioni più importanti. Oggi come tutto ciò che non è Cristiano rappresentano simboli esoterici, dove lo stesso termine esoterismo è divenuto raffigurazione del male anziché manifestazione dell’intimo umano, anzi proprio per questo è divenuto diabolico.

Nella liturgia Germanica sono frequenti i sacrifici umani, con la particolarità di essere effettuati in modo non cruento, ovvero senza spargimento di sangue. Le modalità più diffuse sono l’annegamento o l’impiccagione, ma talvolta le vittime vengono perfino sepolte vive. I sacrifici sono propiziatori prima delle battaglie ma anche di ringraziamento successivamente allo scontro, in entrambi i casi le vittime sono rappresentate da prigionieri e quelli fatti in battaglia vengono solitamente uccisi tutti. Il sacrificio rituale con il più alto numero di vittime è invece quello successivo alla processione della dea Nerthus in questo caso tutti gli addetti al trasporto e alla cura del simulacro, tranne naturalmente i sacerdoti, vengono annegati nelle stesse acque in cui viene lavato il carro. I sacrifici animali invece prevedono l’uccisione dell’animale in modo cruento, addirittura da questa pratica deriva il moderno verbo to bless, benedire, il quale risale al germanico blōdisōn che letteralmente significa spruzzare con sangue. L’aspersione benedicente dei Cristiani anglosassoni ricorda ancora oggi i sacrifici dei loro antenati, il sangue materiale delle bestie uccise è sostituito dall’acqua benedetta in rappresentanza del Sangue di Cristo morto per tutti noi. L’Agnello Sacrificale sparge il Suo sangue non più per i bisogni mondani ma per il perdono di tutti i peccati ma ancora lo si riceve per ottenere la forza di affrontare le battaglie quotidiane della nostra esistenza.

AEGIR: gigante marino, le onde sono chiamate figlie di Aegir.

ALCIS: fratelli divini, numi tutelari della funzione economica.

ALP: elfi, nani déi con funzioni magico tutelari, si differenziano in Liosalfar elfi della luce vicini agli déi, Döckalfar elfi oscuri abitanti sottoterra ed elfi neri identificati nei nani.

ANDVARI: nano pesce, catturato da Loki viene liberato in cambio di oro e dell’anello Andvarananaut su cui il nano offeso scaglierà una maledizione che avrà ripercussioni su Fafnir.

ASI: stirpe divina abitante in Asgard, il nome deriva dalla parola Ass dal significato di palo; infatti, le raffigurazioni di questi déi sono proprio dei Totem intagliati nel legno. Capostipite è Odino, fra i più importanti vi sono poi Thor, Baldr, Heimdall, Frigg, Nanna e Sif. Patriarchi divinizzati che verranno sterminati alla fine del mondo durante il Ragnarök, sopravvivranno solo i figli di Odino Vali e Vidar.

AUFANIAE: matrone, generose antenate.

BALDR: dio della luce, figlio di Odino e Frigg, lo splendente e mite. Antagonista del perfido Loki che lo fa uccidere dal fratello Hödur con un ramo di vischio. Saranno vani i tentativi di farlo ritornare dal regno dei morti, lo farà solo dopo il Ragnarök, per questo viene identificato anche in dio della fertilità che muore e risuscita.

BOR: figura del mito germanico, padre di Odino.

DISE: le forze femminili germaniche della fertilità e del destino, dee del parto. Assumono poi il ruolo di Parche e di divinità guerriere. Fra loro anche le Valchirie e le Norne.

FAFNIR: essere demoniaco custode del tesoro dei Nibelunghi, viene ucciso da Sigfrido.

FENRIR: demone in forma di lupo, figlio di Loki e di Angrboda, una gigantessa. Viene incatenato dagli Asi con la corda indistruttibile Gleipnir nel farlo Tyr perde la mano. Durante il Ragnarök si libera e uccide Odino.

FIÖRGYN: dea boschiva, madre di Thor.

FIÖRGYNN: dio delle tempeste, padre di Frigg.

FORNJOTR: gigante primordiale padre di Hler padrone del mare, Logi del fuoco e Kari del vento.

FORSETI: figlio di Balder, amministratore della giustizia sugli uomini e sugli déi.

FREYA: figlia di Njörd della stirpe dei Vani, dea della fertilità e assistente al parto. Splendente adornata di pietre preziose. Si unisce agli Asi sposando Od, una manifestazione minore di Odino, alla cui morte piange lacrime d’oro.

FREYR: figlio di Njörd, dio dei raccolti e della prosperità rappresentato anche in forma di fallo. Dio di grande prestigio, preso come capostipite di una dinastia reale svedese, identificato come il re Frodi autore di un leggendario governo di pace, protettore degli déi, dio del mondo.

FRIGG: dea protettrice della vita già dal parto, sposa di Odino. Sensuale e accusata adultera ma di prevalente principio materno. Dà il nome al venerdì, Freitag.

FULLA: dea germanica dell’abbondanza, ancella di Frigg.

FYLGIEN: spiriti tutelari personali che appaiono in sogno in sembianza di donna o di animale. Strettamente legati al protetto divengono esseri autonomi solo dopo la sua morte.

GARM: cane mitico, combatte al fianco di Tyr durante il Ragnarök.

GEFJON: ipostasi di Freya, donatrice di fortuna e prosperità.

GULLWEIG: maga divina della stirpe dei vani, demonio che instilla la bramosia dell’oro e riesce a farlo anche con gli Asi i quali tentano invano di bruciarla per ben tre volte.

HATI: figlio di Fenrir, cane della luna riesce a divorarla durante il Ragnarök.

HEL: regno dei morti ma anche il nome della sua sovrana. Figlia di Loki, regna su tutti i morti tranne quelli dovuti a battaglie. Anche gli déi sono costretti a percorrere la via di Hel che porta all’oltretomba.

HLODYN: dea islandese della terra e della fertilità, madre di Thor.

HÖDUR: figlio di Odino, cieco è preposto a giudicare gli uomini secondo il loro valore interiore. Ingannato da Loki uccide il fratello Baldr e viene ucciso da Vali.

KVASIR: nano che personifica una bevanda fermentata, possiede la saggezza divina. Nasce dalla saliva versata durante una battaglia fra gli Asi e i Vani. Alla sua morte il sangue viene mescolato con miele per creare l’idromele che dà a chi lo beve peculiarità poetiche.

LOKI: dio del male. Capostipite della stirpe dei Vani, dio dell’astuzia, e dell’inganno. Invidia e odia il bene terreno e quello divino. Doppiogiochista combatte al fianco di Thor contro i giganti ma poi provoca il Ragnarök, la caduta degli déi.

MAGNI E MODI: figli di Thor. Il forte e l’irato. Manifestazioni di questi aspetti del dio Thor, ne erediteranno il martello Mjölnir sopravvivendo al Ragnarök.

MANNUS: il primo uomo. Nato da Tuisto, avrà tre figli capostipiti degli Istevoni, Ingevoni e Erminoni.

MARS THINGSUS: dio della guerra e del diritto fonte di un’assemblea giudiziaria.

NANNA: sposa di Baldr, muore di dolore alla sua scomparsa. Appellativo poetico per fanciulle.

NERTHUS: dea della fertilità, Mater terra. Nei paesi del nord la sua figura ambiguamente androgina si trasforma in Njörd.

NIDHÖGGR: demone divoratore di cadaveri e tormentatore dei morti.

NJÖRDR: dio della fertilità, comanda il vento, il mare e il fuoco. Appartiene alla stirpe dei Vani ma vive con gli Asi fino al Ragnarök. Padre di Freyr e Freya.

NORNE: divinità del destino, Urd, Verdandi e Skuld i tre stadi dello scorrere del tempo: ciò che è divenuto, quello che è e ciò che diverrà.

ODINO: il capo degli Asi, il più potente fra gli déi. Dio della guerra e degli eroi, al suo seguito ci sono le Valchirie il lupo e i due fidati corvi Hugin e Munin, i quali gli riportano tutto ciò che vedono nel mondo. I suoi epiteti sono molteplici e lo coinvolgono in tutte le funzioni anche se appartiene alla seconda, quella militare; dio dell’estasi, della poesia, della magia, il mascherato, l’agitatore, il terribile, dio dei sacrifici e del commercio. Il suo nome si trasforma in mercoledì nei paesi di lingua anglofona: Wednesday.

OSTARA: dea della rinascita, la primavera intesa come l’aurora della stagione.

RAN: figlia di Aegir, con la sua rete preda gli annegati per portarli nel suo proprio regno dei morti.

RIND: dea della vegetazione, dalla sua unione con Odino nasce Vali.

SAXNOT: interpretazione locale del dio Tyr per la tribù dei Sassoni, compagno di spada, divinità della guerra.

 

SERPE DI MIDGARD: demone ipostasi di Loki, attorciglia il suo corpo intorno alla terra, interpretata come un cerchio contornato dall’oceano. Antagonista di Thor i due si uccideranno a vicenda durante il Ragnarök.

SIF: divinità della vegetazione sposa di Thor.

SIGYN: sposa di Loki, dimostrerà la sua fedeltà al marito raccogliendo in una ciotola il veleno che cade dalla serpe che pende sulla testa di Loki come punizione per aver fatto uccidere Balder.

SOL: personificazione del sole, viaggia nel cielo su di un carro trainato da due cavalli, Arvakr, guardia del mattino e Alsvidr, velocissimo. Aggiungo: l’importanza dell’arrivo del giorno e impossibile da fermare nel suo corso che alla fine ci apparirà sempre troppo breve.

 

SURTR: gigante del fuoco, combatte contro gli dei durante il Ragnarök , uccide Freyr e con la sua spada incendia il mondo.

THÓRR: Thunraz, figlio di Odino e della terra nella personificazione della dea Jörd, dio del tuono, Donner, della tempesta e della fertilità. Viaggia su un carro trainato da due caproni e tiene in mano il suo martello Mjölnir. Difensore degli déi e degli uomini durante il Ragnarök combatte contro i giganti e uccide la serpe di Midgard ma alla fine muore anch’egli. Protegge il bestiame e le sementi e dona fortuna al matrimonio. Il mondo germanico lo ricorda nel giorno di giovedì, Donnerstag, il giorno di Donner.

TUISTO: nato dalla terra, essere ermafrodito fa poi nascere da sé Mannus, il primo uomo.

TYR: dio del cielo, poi sostituito da Odino. Dio della guerra e della garanzia di giustizia, amministrate attraverso la sua lancia che ha questo duplice valore. Durante il Ragnarök perde il braccio per incatenare Fenrir e viene poi sconfitto da Garm. A lui viene dedicato il giorno di martedì nella sua forma fonetica di Ziu, Dienstag.

VAGDAVERCUSTIS: dea della funzione bellica.

VALCHIRIE: esseri femminili soprannaturali al comando di Odino. Compiono azioni sul campo di battaglia e accompagnano gli eroi morti nel Valhalla, la sala dei morti. Impersonano le forze della natura, nebbia, nubi, e tutte le potenze esterne che possono interferire nella battaglia, una di esse Hildr, resuscita di notte i guerrieri caduti durante il giorno.

VALI: figlio di Odino e Rind. Appena iniziato alle forze divine vendica Baldr uccidendone il fratello Hödur.

VIDAR: colui che ha un regno esteso, dio della vendetta, figlio di Odino e della figlia dei giganti Gridr. Vendica la morte di Odino uccidendo Fenrir. Dopo il Ragnarök regna con Vali sul nuovo mondo.

YMIR: gigante primordiale nato da acque ghiacciate e velenose e allattato dalla madre di tutte le vacche Audhumla. Viene ucciso da Odino, Vali e Ve e con il suo corpo viene plasmato il mondo, con la pelle la terra, con le ossa le rocce, con il sangue il mare, i capelli danno forma alle nuvole e il cranio diviene la volta del cielo.

I DIOSCURI

LE CULTURE SLAVE

… A.C. – 1168

Il culto dei popoli Slavi giunge fino a noi privo della maggior parte del suo significato, l’assenza dell’uso della scrittura, addirittura anche successivamente alla cristianizzazione, ci lascia solo pochissime tracce provenienti dai rari resti archeologici e dalle testimonianze non sempre così precise e attendibili dei cronisti stranieri delle varie epoche. Le caratteristiche del tripartitismo Indoiranico sono appena visibili nella marea di déi distribuiti su un territorio che va dal mar Baltico fino alla Turchia e dall’Italia fino alle lontane steppe russe. Spesso questi déi sono soltanto relativi a zone più ristrette causando un accavallarsi di nomi all’interno della stessa funzione ma gli studiosi sono riusciti a dare un’immagine sufficientemente composita delle varie realtà riscontrate.

Accomunati più dalla lingua che dall’etnia gli Slavi giungono per ultimi dal vicino Caucaso e manifestano una minor aggressività dei cugini Germani, dai quali più volte sono costretti a difendersi. Non c’è una vera e propria unità del gruppo, la mancanza di un’origine etnica comune impedisce una aggregazione sufficientemente salda e questo porta a una poco efficace forza bellica che comunque denota anche questo popolo che pur mantenendo l’originaria tripartizione, rafforza la funzione bellica con tre diversi déi. Il culto di tipo naturalistico si svolge in zone sacre e solo in epoca tarda si realizzano vere e proprie costruzioni dedicate ai riti. Il definitivo crollo della cultura Slava si ha nel 1168 con la presa della città di Arcona, sul mar Baltico, roccaforte degli ultimi pagani d’Europa, preceduta dall’evangelizzazione dell’intero territorio da parte dei Santi Cirillo e Metodio e dalle campagne belliche dei principi tedeschi. Una espansione politica e culturale che ha spazzato via i ricordi degli ultimi Indoeuropei.

Il pantheon Slavo si compone di numerose divinità ma come caratteristico della cultura Indoiranica i maggiori sono agevolmente collocabili nelle tre funzioni che mantengono il ŗta- immutato. Nella funzione del Sacro si mette in evidenza in quasi tutto il territorio con nomi foneticamente simili o derivati l’uno dall’altro, il dio Perunǔ, il fabbricatore di folgore, facilmente identificabile con Odino, Zeus e Giove. L’etimologia del nome lo lega ancora una volta ad un albero, Signore della Quercia, come per i Celti, come per i Germani a dimostrarne la derivazione da un unico culto originario ancestrale che in mancanza di raffigurazioni del dio portava ad adorarne la sua forza in uno degli alberi più comuni e resistenti d’Europa. Sotto le sue fronde sono celebrati i riti e qui vengono offerti i sacrifici. A completare la prima funzione c’è il dio Velesǔ, come per Mitra in suo nome vengono stipulati accordi e contratti, è il dio preposto più di tutti al mantenimento del ŗta-. Nella teologia Slava i due déi hanno inoltre una particolarità nella destinazione del loro operato, Perunǔ è il dio degli uomini e Velesǔ quello degli animali, il giuramento su entrambi evidenzia l’uiversalità dell’atto confermato, la certezza che venga rispettato dinanzi ad ogni essere vivente della terra. In alcune zone si è inoltre manifestato verso questi déi un dualismo di chiara influenza postmazdeista che ha portato Perunǔ a divenire il dio del bene e Velesǔ ad incarnare invece il dio del male. Ancora una volta si mettono in evidenza le chiare origini Indoiraniche.

Nella seconda funzione si ritrovano stranamente tre diversi déi, questo può portare a due diverse conclusioni, la prima che il nome riscontrato sia relativo al Militare di diversi luoghi, confermando la scarsa importanza del nome, non derivato neppure etimologicamente, quanto la funzione a lui assegnata indipendentemente da chi esso sia. La seconda manifesta invece la necessità di più déi dedicati ad una funzione che nel tempo assume sempre maggior importanza, per le invasioni compiute o subite e per le numerose battaglie a cui gli Slavi sono costretti per la difesa dei propri confini. Svarogǔ, dio del fuoco, il lottatore, il combattente; Daźĭbogĭ, dio di ciò che arde figlio di Svarogǔ; Triglav, il dio tricefalo, dio dei tre mondi, cielo, terra e inferi, a lui viene offerta la decima del bottino di guerra collocandolo così indiscutibilemente nella seconda funzione; infine, Jarovitǔ il cui scudo ricoperto di lamine d’oro accompagna gli eserciti in battaglia.

La funzione dell’economico è sicuramente presieduta da Svantovitǔ, che i Cristiani vogliono ingegnosamente ricondurre a San Vito il cui culto viene introdotto per breve tempo nella cattedrale dell’isola di Rugia, prima che gli Slavi la riconquistino politicamente e cultualmente. Nel tempio di Arcona il dio è raffigurato con due toraci e quattro teste, nella mano destra reca un corno che viene annualmente riempito con del vino. L’anno successivo si verifica quanto ancora ne residua e in base al livello rimasto si predice l’andamento dell’annata agreste successiva. La sua collocazione nell’Economico si conferma nella sua totalità, ovvero fertilità dei campi, del popolo, benessere e godimento della vita, con l’orgia che porta a conclusione il rito della predizione.

Anche i riti di sepoltura ricordano molto quelli dei cugini Celti, il morto viene arso su di una pira o sulla sua barca e se è un capo con lui vengono arsi anche i suoi averi e la sua donna. Le ceneri vengono successivamente sepolte e il tumulo contrassegnato da un palo recante il simbolo del defunto. I riti sono presieduti da sacerdoti, i quali manifestano anche un notevole potere tanto da obbligare anche i re ad offrire in sacrificio persino un essere umano, quando gli eventi lo richiedano. Questi sono anche preposti alla divinazione pubblica come quella di Svantovitǔ o all’interpretazione dei nitriti o delle ferite dei cavalli a seguito di apposite prove a cui questi vengono sottoposti, obbligati ad un tortuoso percorso fra lance acuminate conficcate nel terreno. In caso di richieste private ci si rivolge invece a maghi e fattucchiere capaci di leggere la mano o interpretare il volo degli uccelli o altre diavolerie simili comuni a tutta l’umanità e destinate a disperati creduloni. Tutti i riti si svolgono inizialmente in boschi sacri o sotto la protezione di una quercia ma con il progredire naturale umano e sotto le influenze di altre culture si erigono i primi templi all’interno dei quali si celebrano le funzioni e in cui vengono portati i sacrifici destinati agli déi, in genere carne, primizie o bevande alcoliche. Solo per eventi straordinari vengono compiuti qui anche i sacrifici umani. Durante l’evangelizzazione del territorio le vittime più comuni sono proprio i martiri Cristiani, uccisi davanti agli dei per contrastare con la potenza delle divinità la forza delle armi con cui i Cristiani impongono la nuova religione. La potenza del proprio credo riesce a far compiere atti efferati che il credo stesso il più delle volte aborrisce, ma l’uomo è capace di piegare il culto alle proprie volontà piuttosto che piegarsi alla volontà di Dio.

CHORS: dio del sole con testa cornuta di cane.

 

CZERNOBOG: dio nero, probabile antagonista del dio bianco in una teoria dualistica.

DOMOVOJ: spiriti originati dalle anime dei morti. Numi tutelari della famiglia e del bestiame.

JAROVIT: dio impetuoso, probabile dio della guerra.

NAVI: demoni delle anime dei bambini nati morti o periti accidentalmente rappresentati da grandi uccelli con testa di bambino.

PSEZPOLNICA: spirito femminile del mezzogiorno, appare a tormentare e confondere i contadini intenti al lavoro sotto il sole, li paralizza o addirittura taglia loro la testa con una falce. Rappresentata da una donna con capelli neri e le zampe di cavallo.

RUGIEVIT: dio della funzione bellica della zona del Baltico.

RUSALKA: spiriti demoniaci femminili, ninfe nude danzanti che con le loro squillanti risa uccidono gli uomini.

SVANTEVIT: dio della guerra adorato sull’isola di Rügen nel Baltico, protettore dei campi.

SVAROG: dio del fuoco e del sole, fabbro divino fondatore del matrimonio. Attraverso di lui si eseguivano riti profetici ed oracoli per mezzo dei cavalli. Inizialmente occupa il posto più alto del pantheon ma nel tempo viene sostituito da altre divinità.

TRIGLAV: dio della funzione bellica con tre teste. Assurge a capo del pantheon e diviene oracolo attraverso riti operati con cavalli.

VELES: dio del mondo sotterraneo, in lingua moderna il suo appellativo viene utilizzato per denominare il diavolo.

 

WODNIK: demone dell’acqua, lo spirito di un bambino morto prima di venire battezzato. Attira gli uomini verso l’acqua per annegarli. Per salvaguardarsi da lui gli si sacrificano piccoli animali.

VAYU