L'AZIONE
L'AZIONE

L’AZIONE

La disputa con la religione ha radici lontanissime, germogliate, nutrite e sviluppatesi grazie alla mia spudorata attitudine all’essere sempre in dissenso con tutto e con tutti. Non sono mai stato capace di apprendere senza protestare, in generale nella vita e in modo particolare a scuola. Non l’ho fatto con la storia, non l’ho fatto con le scienze e neppure con la matematica, nonostante proverbialmente non sia un’opinione. Durante l’adolescenza scolastica ogni volta e in ogni campo ho sempre avuto la pretesa di poter dire la mia e di portare testardamente avanti la protesta fino alla sconfitta finale, anche se qualche volta le mie elucubrazioni si rivelavano teorie parallele che potevano condurre, più o meno tortuosamente, verso lo stesso risultato illustrato dal malcapitato insegnante di turno ma che a me apparivano sempre le più semplici, le più lineari e naturalmente le più brevi, quand’anche per la logica comune non avrebbero potuto esserlo. Anche se non ha portato buoni voti, questo mio aggressivo modo di pormi dinanzi ai vari argomenti mi ha concesso la possibilità di sviluppare, affinare e mitigare l’innata attitudine alla critica, portandomi anche a rivolgerla sempre più spesso verso me stesso fino ad arrivare addirittura ad accettarla e a conviverci lasciando che mi aiutasse a crescere.

Con il tempo ho imparato anche a sentire nell’intimo quando sia opportuno prorompere in attacchi alle ragioni che mi vengono partecipate o invece ascoltare in silenzio ed accettare passivamente ideologie diverse dalle mie, se dovessi ritenere non costruttivo per me e per il mio interlocutore intavolare una qualsiasi diatriba sul tema trattato. E ancora di più quando mi sia consentito espormi, senza dover cercare ad ogni costo di convincere la controparte ma solo di comunicare il mio sentimento, nutrendomi allo stesso tempo di quello altrui. Ed è questo lo stato d’animo con cui affronto qui un delicatissimo tema, così importante e universale, lasciandomi accompagnare dalla mia di fede per accogliere e accettare, pur sempre in modo critico, sia la religione che professo che tutte le altre.

Con queste basi figuriamoci quale possa essere stato e quale ancora sia il mio approccio nei confronti di un argomento così composito, complesso, sfaccettato e volubile come quello della fede. Ciò che mi è mancato inizialmente è stata la capacità o la possibilità di poterne discutere con qualcuno in grado di darmi risposte o di aiutarmi a comprendere le sfumature della religione, scontrandomi invece, come spesso capita ad ogni bambino, soltanto con adulti che non avevano alcuna intenzione di mettere in discussione il loro mondo. Persi nel tentativo, inutile e vano, di ammaestrarmi ai loro insegnamenti senza darmi una possibilità di replica. Proprio me, incapace di imparare ad andare in bicicletta fino a che non ho capito come funzionavano i freni, il manubrio e la catena. Mi è mancato il latino, così odiato da chi era stato costretto a studiarlo, fino all’anno scolastico precedente al mio ingresso alle medie e da me visto come uno spauracchio fortunatamente evitato. Mentre adesso rimpiango la perduta possibilità di impararlo e farlo mio, per poter oggi leggere con i miei occhi e interpretare parole vive e vere, come piace fare a me, senza l’inevitabile influenza di intermediari traduttori, a loro volta entusiasti di dare la propria versione dei fatti. Mi è mancato il greco, quello di una formazione classica e letterale, così lontana dalla mia tecnico/commerciale, rigidamente munita di un paraocchi, il cui misero spiraglio appare dedicato unicamente alle regole da rispettare e alle formule imposte e immutabili. Un sostegno troppo poco flessibile per aiutarmi a coltivare con facilità e padronanza la passione del leggere e dello scrivere, due arti fondate sulla fantasia, sull’incanto e sull’estrema mutabilità del pensiero, l’antitesi del ragioniere che alla fine dona flebile vita alla nemesi dello scrittore. O meglio dello scrivano, un umile studioso che arranca nella biblioteca universale, cercando senza una mappa le fonti da cui desidera abbeverarsi, con il rischio concreto di dar sollievo all’arsura con acqua avvelenata. Essere autodidatta è spesso visto come un pregio ma la mancanza di un insegnante, di un oratore con cui instaurare un contraddittorio e l’ignoranza dei limiti o dell’illimitatezza della materia fa sì che i principi sviluppati nella mente trovino immancabilmente indiscussa ragione, senza possibilità che chiunque li possa controbattere. E allora mi ritrovo a divulgare con fierezza e timore le mie teorie alla ricerca di un consenso, una critica o finalmente una motivata disapprovazione.

Le prime schermaglie si sono avute al catechismo della prima comunione, avevo sei anni ed ubbidire ai comandamenti era l’ultimo dei miei desideri, bastavano e avanzavano gli ordini dei miei genitori, delle maestre, delle sorelle maggiori, dei bambini più grandi che decidevano chi, a cosa e come giocare. Era il 1972, si era appena consumata la rivolta del ’68, dalla quale però non ero stato colpito più di tanto, ancora troppo piccolo per capire e di lì a poco sarebbero cominciati gli anni di piombo, quelli della P38, delle Brigate Rosse e dei Neofascisti, da cui non sarei stato colpito più di tanto, avrebbero coinciso con la mia prima adolescenza ed avrei avuto ben altro a cui pensare. Ma in realtà quegli avvenimenti hanno inciso pesantemente sulla mia vita, influenzando in modo indelebile il mondo che mi cambiava intorno. Erano anni di protesta, di ribellione, di scontro; su ogni tema, su ogni argomento, per qualsiasi motivo e la religione non si esimeva certo dal dover subire l’attacco, soprattutto dopo secoli e secoli di strapotere, spirituale e temporale, contro cui tanti avevano cercato di opporsi ma con cui nessuno era riuscito a spuntarla indenne.

C’è voluto un Papa capace di far abbattere il muro di Berlino per chiedere scusa per tutte le angherie, i soprusi, le razzie, le oppressioni e le violenze perpetuate per duemila anni da una classe dirigente che più spesso è stato opportuno definirla tale piuttosto che operatrice dello spirito e questo solo a seguito di venti anni di proteste, denunce e scismi; nulla volendo togliere alle migliaia e centinaia di migliaia di uomini e donne che si sono dati e votati per il bene altrui. Con questi presupposti non è stato per niente facile affrontare l’impatto con gli insegnamenti del catechismo, un momento in cui la famiglia mi spingeva, anzi mi obbligava ad intraprendere il cammino della prima comunione ma della quale nessuno riusciva a farmi comprendere il profondo significato che solo oggi, con la maturità anagrafica e spirituale, sono riuscito a fare mio. Intorno a me tutti si ribellavano sventolando bandiere rosse ed io ero obbligato a fare una cosa che non capivo, non volevo e che vedevo solo come un supplemento di scuola, una materia in più da frequentare, da studiare, da imparare a menadito che avrebbe dovuto farmi improvvisamente diventare buono e ubbidiente. Proprio quello che avrebbero voluto dalle masse in rivolta ed io nella mia infantile incoscienza mi sono messo a sventolare la mia bandiera rossa di protesta dichiarandomi comunista, non sapendo neppure cosa potesse voler dire ma solo perché i comunisti non passavano a comunione. In questo modo avrei evitato di dover studiare regole, parabole e comandamenti. Non avevo certo bisogno che un signore anziano e barbuto venisse a darmi ulteriori ammonimenti per il mio comportamento. Chiaramente la mia rivolta di piccolo bolscevico è miseramente fallita ed ho sfilato con il mio vestitino blu in mezzo a tanti altri bambini. Ancora oggi sospetto che molti di loro fossero altrettanto ignari del sublime momento che avevano vissuto, a tutti importava soltanto del rinfresco e dei regali. Il diario segreto, la sveglia, magari un gioco e poi ancora cornici in argento, odiatissimi libri, forse un maglione. Grazie nonna, grazie dell’orologio che mi hai regalato con la tua pensione, un Margi in acciaio con il fondo blu e la corona talmente dura da spaccarmi ogni volta le dita per poterlo caricare, allora le cose erano ancora meccaniche. L’ho portato per te, per quel tuo unico atto di amore nei miei confronti, perché era la mia prima comunione e dovevo ancora conoscere, sapere, capire.

Poi è stato un continuo tira e molla, come per molti credo, e sono state le diverse fasi della crescita, le nascite e le morti, le gioie e i dolori, i fallimenti e i successi a provocare l’allontanamento o l’avvicinamento alla fede, più nello specifico alla chiesa cattolica, più ancora proprio alla chiesa intesa come edificio e alle parole che al suo interno si possono ascoltare. È difficile sentirsi dire ciò che non vorremmo, è facile giustificarsi e non ritenersi l’oggetto e il soggetto delle dure critiche delle scritture verso i peccatori, allora meglio non ascoltare meglio non frequentare, meglio crearsi un proprio dio, che giustifichi lui tutte le nostre azioni, in fondo le abbiamo compiute per noi stessi per cui non possono essere che buone azioni. Ma grazie a Dio ti rendi conto, in fondo, giù dietro l’ultimo dimenticato muro costruito dentro di te e che eviti accuratamente di oltrepassare per ascoltarti, che è tutto quanto finto e ti accorgi della presenza, della onnipresenza del male. A quel punto puoi solo finire di sprofondare o cercare almeno di provare a emergere e andare verso l’unico vero solo Dio, l’Amore.

Perché “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è Amore”. 1Gv 4, 8

Nel corso della mia vita ci sono state diverse opportunità per allontanarsi dalla religione, dalla chiesa e da qualsiasi tipo di fede compresa quella in me stesso e ovviamente non ho mai perso l’occasione. L’unica semplice cosa che non mi ha mai abbandonato in quegli anni è stato chiaramente l’egoismo, il più umano degli egoismi, quello per cui a noi stessi tutto è permesso, perché siamo invincibili, onnipotenti ed eterni. Troppo giovane e ignorante per temere, per credere, per lasciarsi spaventare dalle malattie, dalle incognite della vita e dalla morte. Congetture troppe volte sperperate dentro a giudizi, poesie, pensieri, discussioni, come se in realtà fossi padrone dell’essenza filosofica del senso della vita, cose in verità troppo lontane dalla mia mente e troppo vicine nelle mie sconsiderate considerazioni, nelle elucubrazioni che trasudavano conoscenza e proprietà di una materia che invece non appartiene a nessuno. Troppo facile pontificare dalle pagine di un diario dove nascondere le mie inadeguatezze, la mia timidezza, i miei fallimenti e la mia incompetenza dietro a complotti alle mie spalle da parte di tutti. Compreso, anzi il primo della fila, quel Dio che misconoscevo e allo stesso tempo odiavo, fuggivo e bestemmiavo, latitando dalla vita, con l’unico obiettivo di pretendere tutto e subito; motorini, soldi, ragazze, benessere, senza neanche lontanamente concepire l’idea di compiere un minimo sforzo, già mi sembravano troppi quelli che dovevo compiere ogni giorno per sopravvivere alla mia “incompresa” adolescenza.

Una fase che bene o male tutti abbiamo attraversato, lo spiraglio attraverso cui passiamo dal momento in cui crediamo di poter fare tutto e meglio di tutti a quello in cui siamo convinti di star facendo tutto e meglio di tutti, per approdare poi finalmente sconfitti e umiliati a quello in cui ci rendiamo conto che, come tutti, non stiamo facendo proprio un bel niente, ovviamente quando dico tutti intendo tutti quelli che ancora non sono diventati puro amore. Perché è solo in quel momento, quando ma soprattutto se arriverà, che non ci interesserà più niente di ciò che c’è da fare e di quale sia il modo migliore, a quel punto lo faremo e basta. E sarà vera purezza sentire di non essere noi gli artefici di ciò che stiamo compiendo ma umili utensili nelle mani di chi solo sa coltivare Amore. Nella poesia “Dialogo di un miscredente con Dio” esprimo proprio questa mia sensazione, la convinzione che al di là dell’esistenza di una componente malefica pronta a sviarci per la soddisfazione di dare un dispiacere a Dio, quello che l’umanità è stata capace di fare negli ultimi diecimila anni è privo di amore e la prova è sotto i nostri occhi quotidianamente. La possiamo toccare direttamente con mano nel malessere generale, nell’intolleranza, nell’arroganza e nell’ipocrisia. È nei libri di storia con le sventure che siamo riusciti a catapultarci addosso e con cui abbiamo cercato di seppellire i nostri antagonisti, è nei libri di geografia con lo scempio e la devastazione attuato contro la natura tutta, è in quelli di scienze con il peggior uso fatto delle meraviglie che ci sono state messe a disposizione. È nella letteratura; con gli odi, i rancori, i rimorsi e i rimpianti che spandiamo su pagine bianche quando per noi è ormai troppo tardi ma ancora ci crediamo capaci di poter salvare gli altri.

Umili utensili che se correttamente adoperati riescono a compiere atti di immenso amore, gesti che da soli riescono a dare una risposta a quell’ultima devastante domanda: Perché? Ama e avrai la risposta, ama e non avrai più la domanda! Personalmente non conosco nessuno che ci sia riuscito, ma ho sentito parlare di San Francesco, di Ghandi, di Padre Pio, di Madre Teresa di Calcutta e di altri ancora. Certo direte voi mie cari lettori, troppo facile parlare di persone speciali come queste. E io non posso fare a meno di rispondervi che se queste persone ci appaiono così speciali è perché noi siamo fin troppo mediocri, anzi miserrimi!  

Dio non è mai mancato nella mia casa e nella mia vita ma sicuramente mi è stato presentato nella maniera sbagliata, figlia di un’abitudine a fare troppo “perché si” e madre di un insofferenza cha ha dato vita a troppi “perché no!”, allontanando da me il momento propizio di poterLo conoscere più concretamente. Un concetto ormai arcaico di dovere e di obbligo che non prendeva neanche lontanamente in considerazione l’eventualità che per fare propria una cosa bisogna sapere cosa e se ci riusciamo amare cosa e infine essere cosa. Ho fatto il chierichetto, ho cantato nel coro della chiesa, ho fatto parte dell’Azione Cattolica Ragazzi. Tutto quanto solo per il timore che mi incuteva disubbidire a mio padre, cattolico e praticante, secondo il quale “dovevo” far parte della chiesa. Lui però era vissuto in un'altra dimensione, in piena Seconda guerra mondiale, ed aveva potuto sfruttare la possibilità di crescere all’interno di una comunità che si era formata intorno e dentro alla chiesa stessa, allora probabilmente l’unico concetto di aggregazione concepibile. L’aveva conosciuta, sentita e testimoniata e con la chiesa era maturato portandola con sé come la cosa più naturale, come se potesse essere lo stesso per tutti e per sempre. Ciò gli ha tolto la capacità di introdurmi in questa sua comunità ritenendo che anche per me dovesse essere normale sentire ciò che lui stesso provava e rendendogli impossibile trasmettermi la sua serenità della fede. Per me era soltanto un obbligo, niente di più niente di meno, come studiare, fare il bravo, stare composto a tavola, non dire le parolacce. E questo mi ha dato la prima spinta lontano da Dio prima ancora che potessi mai minimamente avvicinarmi a Lui. Da allora, praticamente da sempre, è stato un susseguirsi di piccoli passi in avanti ed enormi passi indietro. In seguito, la libertà dell’adolescenza e l’incoscienza che l’accompagna mi hanno portato un po’ ovunque tra i vari vizi umani, senza mai esagerare ma sempre in costante distanza da Dio. Continuando per decenni a dimenticarmene se non quando le mie sconfitte mi facevano ricordare che potevo prendermela con qualcuno che non ero io. Sono dovuto arrivare a trent’anni per riuscire ad entrare in chiesa di mia spontanea volontà, battesimi, matrimoni e funerali esclusi. C’è voluto un gigantesco malessere interiore e la realizzazione di un fallimento per tornare finalmente a rendersi conto che avevo bisogno di Dio, che da solo non avrei potuto mai farcela.

Qualcuno parla di fato, di destino già scritto, di strade già tracciate, di fortuna, di coincidenza ma a me piace pensare che Dio è semplicemente tutte queste cose, le puoi chiamare Zeus, Buddha, Allah, Quezalcoatl, ma che differenza c’è? Un bel giorno accade che incontri per caso una persona, lungo un percorso che niente ha a che fare con la religione, con la fede, con la chiesa e la tua mente si apre e divieni capace di sentire, di vedere e pian piano, molto mooolto lentamente anche di cominciare a capire, a capire che è possibile ascoltare, prendere, dare, accettare, rinunciare, sbagliare e infine miracolosamente cambiare e grazie a questo rinegoziare tutte le tue certezze, tutte le tue sicurezze, tutti i cardini inamovibili della tua esistenza. Reinterpreti i fatti accaduti ed hai finalmente la capacità di osservarli da ogni angolazione e pur continuando a sentirli duri e crudi come li hai vissuti riesci a dare loro un nuovo significato, riesci a comprendere i motivi che hanno spinto gli attori della tua commedia ad avere con te e contro di te il comportamento che hanno avuto. Grazie a questo mondi i tuoi giudizi di ogni fronzolo inutile e ti apri a tutto ciò contro cui ti eri chiuso solo e soltanto per opporti a pensieri, parole, opere ed omissioni di altri, nel vano tentativo di far loro del male, di osteggiarli e di schiacciarli con la tua presunta e presuntuosa supremazia.

Questo “mister x” altri non è che un dottore, uno psicoterapeuta, che mi ha visto passare quasi per caso è ha pensato bene di salvarmi o meglio di trovare il modo di farmi salvare da qualcuno, di più, lasciare che io mi facessi salvare. Attraverso un tortuoso sentiero, profondamente intimo e intricatamente interiore, che qui non ha ragione di occupare spazio,  grazie a un duro lavoro di sofferenza, di umiliazione e poi di rivincita ha risvegliato in me le sensazioni che derivano dall’amore, la sensibilità di sentire amore, la possibilità di dare amore, la conoscenza di Amore, il suo senso, il suo significato, che in primis mi ha condotto a riascoltare quelle parole contro le quali mi turavo le orecchie e in esse riconoscermi e accorgermi di riconoscervi il mondo intero e il suo sfacelo nel turarsi le orecchie per non prestarvi attenzione:

“Amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi.” Mc 12, 30-31

Con semplicità, ingenuità e innocenza di bambino ho cominciato a cercare l’amore nelle persone e a sentire amore dalle persone. In mio padre, in mia madre, con le mie sorelle, con gli amici, con le persone intorno a me ed ho potuto capire che l’amore trovato in ognuno di loro, perché c’è davvero basta avere il coraggio di guardare bene senza nascondere gli occhi, altro non era che lo stesso da me deposto che mi veniva con amore restituito. La ricerca si è conclusa facendomi finalmente sentire l’importanza di questa presenza, l’indispensabilità, l’assoluta necessità, la tangibilità in ogni materia e spirito intorno, la certezza che c’è e che l’Amore è fattore e fattura, ovvero Dio.

Da quel momento è cambiata completamente la mia vita, sono cambiato io. La mia tranquillità interiore, guadagnata con l’approccio alla fede, mi ha dato la possibilità di vedere il mondo oltre quella misera fessura da cui avevo guardato fino a quel momento. È quando sei sereno, sereno con te stesso e privo di pretese ma anzi ricco di energia, che accadono le cose meravigliose. O forse è proprio il contrario è la meraviglia delle cose che vivi a renderti capace di sentire la tua serenità e di conseguenza accettare tutto ciò che prima appariva così lontano da te, così diverso, ostile, cattivo. L’amore, l’amore ti cambia, l’amore sotto ogni sua forma. È questo sentimento, questa sensazione vissuta appieno in ogni suo aspetto che completa la tua vita e te la rende accettabile, l’amore di un uomo, l’amore di un padre, di una mano tesa e poi più ancora l’amore dato più di quello ricevuto, l’amore donato, provocato, elargito, amato. Amore, vissuto sentito amore, amore, amore, amore, amore, amore ripetuto mille e mille e mille volte ancora tra queste righe, contro ogni grammatica, contro ogni sintassi, contro ogni regola della scrittura, amore e poi ancora amore. Una lettera e poi amore, una parola e poi amore, una frase e ancora, amore, amore, amore, amore, amore che deve trasparire, trasudare, colare mielosamente da ogni pagina di questo libro. Anche se non dura, anche se non è eterno, anche se è solo un sorriso, un involontario battito di ciglia, uno sguardo oltre l’orizzonte in una piovosa giornata autunnale. Meglio se ce ne sono stati milioni, miliardi fantastiliardi da portare con sé ma quand’anche ce ne fosse stato solo uno, misero solitario unico a cosa credete che penserete il nanosecondo prima di morire? In quell’infinitamente breve momento in cui conoscerete la verità? Nell’attimo in cui dovrete dare un significato alla vostra vita, qualunque essa sia stata, quello che vi farà compiere l’inevitabile trapasso con un sorriso sulle labbra. Che siate stati un narcotrafficante o un bimbo nato morto. È l’amore, anzi l’Amore che avrete avuto la possibilità di dare o ricevere, portare o regalare, creare o da cui siete stati creati. È questa l’unica possibilità che ognuno di noi ha avuto, ha ed avrà per salvarsi. Quando vi chiederanno i documenti all’ingresso del paradiso avrete un lasciapassare che recherà scritto sopra con lettere rosso sangue “Sono stato parte dell’Amore!” oppure “Non ho conosciuto Amore”.

Io ci credo. Crederei in questo qualunque religione professassi, anche se i traviatori della mia religione scatenassero inutili guerre fratricide sante senza Santità. Non è la religione che istiga all’odio, è l’uomo, siamo noi che riusciamo a scoprire fra le introvabili pieghe della fede una scusa per odiare qualcuno. Perché non possiamo fare a meno dell’amore per vivere, nel senso che senza amore non è possibile definire vita la nostra esistenza, allo stesso modo non possiamo fare a meno dell’odio, nel senso che non riusciamo a vivere senza odiare qualcosa o qualcuno, magari perché non abbiamo ricevuto amore o non abbiamo sentito l’amore che ci è arrivato, magari perché non siamo capaci di dare amore o non ci siamo resi conto di darlo o di averlo potuto dare.


Non sono io a poter giudicare se ho dato amore, sarebbe troppo facile, posso solo ammettere di averne ricevuto tanto, tantissimo, da tutte le parti, anche da chi, incontrata lungo la mia strada, poteva negarmelo ma ha deciso invece di riempirmene la mia vita. Oltre a quella di decine, centinaia di persone che più di me ne hanno avuto bisogno e più di me ne avevano da renderle. Ma l’amore è così, c’è e non puoi trovargli una spiegazione logica, la fede c’è e non puoi dare una spiegazione razionale a chi ti dovesse chiedere perché credi. Credo perché amo, amo perché credo. E in ogni religione l’amore c’è, palesato o celato tra le miriadi di visibili rughe della fede.

La vita è meravigliosa ma non è sempre meravigliosa, ci sono le guerre, i soprusi, le tasse, le invidie, le gelosie, le paure, le malattie, la fame, il cancro. E intorno a te tutto svanisce portato via improvvisamente da una folata di vento gelido. Certo non è la religione che ti rende tuo padre, né ti spiega perché o come mai è capitato a te. Ma la fede è accanto a te per accettare qualunque dolore, superarlo e ricominciare a vivere portandosi dietro la melanconia di ciò che ti ha colpito e le gioie di chi ti rimane dentro e non è certo rinnegare una fede che ti può aiutare a superare un dolore o una difficoltà. Nonostante tutta la mala volontà quando attraversiamo un’esperienza particolarmente negativa possiamo fare il nostro massimo per inveire contro ogni dio, contro la sfortuna o la mala sorte, contro il destino o qualsiasi cosa alla quale vogliamo ad ogni costo dare la colpa di quanto ci ha straziato, niente di tutto questo ci allontana dall’idea di fede, magari le siamo contro o la contestiamo ma agendo in questo modo le diamo vita. In fondo la domanda rimane sempre la stessa: perché? L’unica reale reazione completamente ed assolutamente atea sarebbe l’indifferenza. Veder morire, soffrire, o anche gioire e non provare niente, non rimanerne colpiti. Una reazione introvabile perfino negli animali, perché gli stessi animali soffrono o sono felici, soffre la madre che perde i cuccioli, si affeziona un cane al suo padrone, si arrabbia un orso disturbato nel suo territorio. Se in loro ci fosse una coscienza razionale, e qui non intendo né negarlo né tantomeno affermarlo, tanto da potersi porre la domanda una prima volta anche gli animali avrebbero la loro fede. Bisognerebbe essere una pietra per potersi dichiarare assolutamente atei. La fede la si professa non solo con la preghiera, con l’idolatria o i sacrifici ma anche con il solo promuoverla o dichiararla. È un controsenso assoluto dichiarare di non credere perché allo stesso tempo altro non vuol significare che credere in quello che stiamo affermando, dichiarando e promuovendo la nostra nuova ideologia, la cosa in cui crediamo, la nostra nuova fede. Neghiamo il tutto promovendo il nulla, che automaticamente diviene tutto.

Nella cultura occidentale, intesa in senso amplissimo, da San Francisco a Tokyo, è impossibile essere atei perché la conoscenza è talmente vasta da rendere impossibile non lasciar entrare qualcosa dentro di noi ma pure nelle culture più retrograde civilmente o economicamente la stessa criticità della situazione porta a cercare un motivo, una spiegazione, una soluzione, un aiuto. Anche il peggiore dei pessimisti arrivando a realizzare che non ci possa essere nessuno che può darci una spiegazione una soluzione o un aiuto non può fare a meno di affermare che allora c’è qualcos’altro che dedica la sua eterna esistenza a distruggerci e pure questo è credere, in questo caso l’unica cosa di cui potremmo essere certi sarebbe l’infinita sofferenza e pensate che non le innalzeremmo un altare, pro o contro? Per questo mi sento di dire con la massima tranquillità che nessuno sulla terra può affermare di non credere.

Accertato questo, non ho potuto fare a meno di iniziare ad approfondire la conoscenza delle religioni del nostro mondo, per puro interesse personale, e mi sono accorto che ce ne sono centinaia, migliaia. Con centinaia e migliaia di ramificazioni, variazioni similitudini che nel corso dei secoli si sono ripetute, accresciute, sviluppate, incontrate, scontrate, perdute dimenticate, ritrovate, riscoperte; contigue, successive, eteree, eterne. Non mi rimaneva a questo punto che conoscerle e riconoscerle una ad una, nelle sue proprie infinite sfaccettature e perdermi nella meraviglia di quanto è stato creato e nella meraviglia di ciò che l’uomo è stato capace di raccontarsi, spiegarsi o inventarsi per dare una risposta alla domanda che dai tempi dei tempi non trova soluzione: Perché?

La religione sempre ha fatto parte della mia vita, ho avuto le mie opinioni che ogni tanto cambiavano, variavano per poi tornare alle origini e da lì ripartire ancora e poi ancora. Ma vivevo in tutta tranquillità, pur senza occuparmene in modo così approfondito e pretenzioso. Devo dire però che ne sono stato sempre affascinato e il mio tira e molla non è stato mai spavaldo e superficiale ma sempre sofferto e profondo. Poi sono caduto anche io nella rete, come milioni di persone in tutto il mondo e trovando in me terreno fertile, fertilissimo più della valle del Nilo, mi sono messo ad annaffiare le mie pianticelle vedendole crescere e ramificarsi ogni giorno di più, dando continuamente vita a nuovi virgulti che rafforzavano la mia fede, rasserenavano il mio credo e mi spingevano a scoprire conoscere e di conseguenza ampliare la capacità di amare tutti indistintamente. Almeno quando non mi arrabbio. Beh, sto cercando di deviare il discorso dall’argomento principale ma alla fine devo rivelare con tutta l’umiltà possibile qual è stato l’impulso che ha dato il via a tutto questo, la scossa vibrante che ha risvegliato il ricercatore sopito dando vita ad un novello provetto Indiana Jones da salotto.

Alla fine, lo devo confessare, anche se siamo solo all’inizio, ma credo che a questo punto non possa più tirarmi indietro. Come sono arrivato qui, a questo, a studiare, criticare, pontificare su un argomento che mi ha sì accompagnato nella vita ma di cui fino ad ora mai mi ero sognato di poterne andare a discernere le intimità con un pizzico di cognizione di causa. Come, dove e quando è cominciato tutto questo?

Un po’ me ne vergogno, ma è un dato di fatto innegabile ed è giusto che l’ammetta. Sono anch’io una delle tante, tantissime, innumerevoli vittime della sindrome di Dan Brown!

Solo che, a differenza di molti, non sono guarito facendo indigestione di commentari, controversioni, smentite, conferme, apocrifie, special televisivi, film, discussioni, dibattiti, anatemi e bolle papali, lasciando poi che tutto quanto cadesse nel dimenticatoio insieme a “2001 odissea nello spazio”, “Il muro di gomma”, “L’ultima tentazione di Cristo” e “Arancia meccanica”. Ho voluto invece andare a fondo, anzi sono stato trascinato nel fondo senza poter opporre resistenza, nel profondo della ricerca, dell’interesse, dell’immenso fascino che questo argomento ha evocato in me. Non sono riuscito a fermarmi davanti al fantasioso e intrigante quadro che ci è stato presentato, rimanendone rapito e abbagliato, stregato dalla rivoluzionaria, almeno per i più, rivelazione, provocazione, eresia per poi controllare la mappa del museo, il catalogo e passare al quadro successivo. Non ho potuto fare a meno di avvicinarmi, guardare i particolari, ammirare i giochi di luce, osservare la cornice per poi passare attraverso le trame della tela, scrostando via i colpi di pennello e andare oltre le immagini, oltre l’immaginazione e scoprire un universo immenso, infinito fatto di tutto e di niente. Naufragando dolcemente in questo mare. E poi cominciare a nuotare verso le mille e mille rive che lo circondano scoprendo l’immensità e la varietà di mondi disseminati ovunque e dei pensieri, delle speranze e delle illusioni che li popolano.

 


Più prosaicamente mi sono inoltrato in questa selva oscura per rendermi conto che “Il codice Da Vinci” era solo la punta di un iceberg. La storia, la preistoria, la letteratura, la scienza e l’età contemporanea sono piene di alternative religiose, di fedi, di culti, di storie e leggende dove si dice tutto e il contrario di tutto, dove le opzioni, le possibilità, le teorie sono infinite e per rendere onore all’infinità di questa definizione, ho cominciato a sentirne nascere una mia da coltivare, lasciar crescere ed infine vedere morire, magari sul ripiano di una biblioteca fra Topolino e, perché no, “La Divina Commedia”.

Affrontare la lettura del romanzo di Dan Brown è stato affascinante. Lasciarsi coinvolgere e travolgere dal susseguirsi degli eventi e dalle continue e sconvolgenti rivelazioni è stato emozionante, soprattutto per uno come me che legge ogni volume, qualunque esso sia e qualunque sia l’argomento con estremo trasporto, immedesimandosi nel protagonista ma non solo, anche in quello di ogni personaggio di ogni situazione, di ogni ambientazione. È per questo che ammiro in modo particolare scrittori come Dan Brown stesso, James Rollins, Joanne Kathleen Rowling, Stephen King, o Tolkien, perché diventa impossibile non vedere intorno a te i luoghi e i fatti che ti scorrono davanti riga dopo riga, capitolo dopo capitolo, come ascoltando una fiaba prima di addormentarsi, fino a desiderare, bramare, volere, pretendere di arrivare in fondo perché non puoi più fare a meno di sapere come va a finire. Dopo, trovandoti davanti alla pagina bianca che precede la copertina, ti senti sperso e non rimane che un’ultima domanda, un'esclamazione, un dubbio. E ora? Ora non resta che gettarsi a capofitto dentro un altro libro. Esattamente ciò che è accaduto dopo aver letto la parola fine del romanzo “Il codice Da Vinci”. Solo che la lettura successiva non è stata “L’isola del Tesoro” o “Shining” ma è stato un estenuante addentrarsi dentro i misteri del Cristianesimo prima e di ogni altra forma di fede poi. Le prime letture sono state chiaramente molto inerenti al romanzo di Brown, critiche di storici e ricercatori, di teologi e di teorici più o meno preparati e competenti, che si sono avventati come falchi sull’argomento agganciandosi al treno del successo riscosso dallo scrittore, tali e tanti che rimane comunque il dubbio che fra i molti qualcuno lo abbia fatto magari non senza un pizzico di interesse commerciale. In ogni caso non me ne sono perso uno. Ho navigato per mesi ed anni tra Templari e Santo Graal, fra Catari e Sicari, scoprendo che non solo Gesù aveva avuto una moglie e una figlia, ma pure una madre e un fratello, no due, anzi tre, forse quattro. Man mano che andavo avanti in questo sconvolgente susseguirsi di scoperte mi sono reso conto di quanto queste si intrecciassero fra di loro, si ricalcassero, si assomigliassero e divergessero verso fini e finali diversi. Quanto ancora ciò che veniva manifestato potesse contrastare oppure collegarsi e collocarsi non solo con il Cristianesimo, l’Ebraismo e l’Islam, che molto hanno chiaramente in comune ma con fedi, culti, riti, icone di ogni tempo ed ogni luogo. Ho continuato focalizzando la mia attenzione verso i cosiddetti “Vangeli Apocrifi”, le leggende su Santi e anacoreti, le storie dei personaggi biblici, i racconti sulla vita di Maria e sulle sue numerose apparizioni e naturalmente leggendo la Torah, la Bibbia e il Corano.

Il tuffo in apnea dentro il romanzo di Brown ha scatenato in me un irrefrenabile desiderio di approfondire l’argomento, dopo duemila anni ancora così attuale, della vita di Gesù e di quanto intorno ad essa è stato creato, aggiunto, scoperto. Inizialmente ho seguito il filone del “codice” ma ad ogni passo si aprivano nuovi orizzonti, nuove prospettive, nuove teorie ed è stato poi impossibile non tentare di collegarle inoltrandomi nei misteri della religione Cristiana, per poi cercare di capire i fondamenti derivanti da quella Ebrea e le riletture dell’Islam. Il tutto condito da leggende cosmopolitane, influenze ellenistiche, gruppi massonici, sette sataniche che pescando più o meno correttamente dall’universo di fedi esistenti ed esistite tentano di prospettare nuove ideologie, nuove ipotesi e innovative ed illuminanti teorie, le quali affermano ognuna di essere certamente vera, fondata e pura.

E quindi: Graham Hancock & Robert Bauval “Talismano”, Josè Antonio Ullate Fabo “Contro il Codice da Vinci”, Dan Burstein “I Segreti del Codice”, Jack Whyte “I Custodi del Codice”, Irving Wallace “Il Codice Segreto della Vergine”, Luis Miguel Rocha “La Morte del Papa”, Tom Egeland “Il Cerchio si Chiude”, Javier Sierra “La Cena Segreta”, Robert Eisenmann “Giacomo il Fratello di Gesù”, Simon Cox “I Segreti del Codice da Vinci”, Sangeet Duchame “Misteri e Segreti del Codice da Vinci”, Graham Simmans “Vita di Gesù dopo la Crocifissione”, Joseph Ratzinger “Gesù di Nazaret”.

Proprio questo proliferare di verità mi ha spinto a cercare anche la mia, una verità che avrebbe quietato la mia fede dandole la soddisfazione della speranza, della serenità, della quiete dell’accettazione senza cercare ulteriori secondi, terzi e quarti fini oltre a quelli già complessi e complicati che ogni giorno siamo costretti ad interpretare dallo scorrere della nostra vita che mai sembra avere un senso. Questo mi ha spinto ad ulteriori indagini in un mondo che guardandolo tutti i giorni sulle facciate delle chiese sembra così semplice ma che cela invece duemila e ancor prima altri ottomila anni di misteri irrisolti e di infinita ricerca della verità, della conoscenza, del sapere. Diecimila anni che continuiamo imperterriti a chiedere perché. Senza aver mai avuto una risposta. Senza mai una certezza. Con la sola compagnia dell’amore che unico e solo ha dato reale dimostrazione di dare speranza, serenità, e accettazione. E così ho continuato e continuo ancora a cercare, leggere, chiedere perché mi sono accorto di amare, amare la fede in ogni sua manifestazione, tanto da convincermi ogni giorno di più che al di là dell’esteriorità di ogni religione, quando non è servilismo o terrore, solo l’amore è il vero ed unico fondamento universale che le collega tutte.

Quindi: “La Bibbia”, “Il Corano”, “La Torah”.

E poi ancora: Gibran “Il Profeta”, Giovanni Filoramo “Storia delle Religioni – Mondo Classico, Europa Precristiana”, Manfred Lurker “Grande Dizionario Illustrato Dèi Angeli Demoni”, Redazione Grandi Opere di UTET Cultura “La Storia – Dalla Preistoria all’Antico Egitto”, Joyce Tyldesley “L’Egitto dei Grandi Faraoni”, Christian Jacq “Il Mondo Magico dell’Antico Egitto”, Rizzoli Larousse “Atlante Storico”, Fede Speranza Amore “Storia del Popolo Ebraico Attraverso la Bibbia”, Osho “Questioni d’Amore”, Platone “Liside”, Platone “Fedro”, Ovidio “L’Arte di Amare”, Herman Hesse “Siddharta”, Martin Bocian “Dizionario dei Personaggi Biblici”, Luigi Moraldi “Vita di Maria”, G. Hierzenberger e O. Nedomansky “Le Apparizioni della Madonna”, Ed. Giuseppe Laterza & Figli “Storia delle Religioni – Cristianesimo”, Ed. Giuseppe Laterza & Figli “Storia delle Religioni – Islam”, Ed. Giuseppe Laterza & Figli “Storia delle Religioni – Ebraismo”, Ed. Giuseppe Laterza & Figli “Storia delle Religioni – Buddismo”, Ed. Giuseppe Laterza & Figli “Storia delle Religioni – Induismo”, Paul Poupard “Dizionario delle Religioni”, Marcelo Crateri “I Vangeli Apocrifi”, Platone “Parmenide”, Platone “Filebo”, Platone “Simposio”, Graham Simmans “Vita di Gesù dopo la Crocifissione”, Joseph Ratzinger “Gesù di Nazaret” Corrado Augias e Remo Cacitti “Inchiesta sul Cristianesimo – Come si costruisce una religione”.

Potete immaginarvi la confusione, anzi non potete affatto. Ma proprio tra le nebbie di questo caos mi sono reso conto di quanto ognuna delle parole che avevo letto e più tardi ognuna di quelle che ho ascoltato, sono ugualmente importanti che proprio dalla confusione, cioè dal fonderle tutte assieme nasce, anzi si realizza, anzi si rivela la fede universale. Ovvero che crediamo, crediamo in noi stessi, crediamo di potercela fare, di poter capire, di poter sapere, di poter avere una risposta a quella inquietante seducente incantevole domanda: Perché?

È a questo punto che ho cominciato a cercare le similitudini e le differenze, a fare cioè un’analisi di tutto ciò che avevo saputo e a cercare di saperne ancora di più. Ho provato a dare un ordine cronologico agli avvenimenti affiancandomi libri di storia e atlanti per posizionarli nelle varie regioni della Terra. Ho cercato di segnare un percorso andando a ritroso nel tempo e nello spazio per trovare un’origine comune e poi ritornare ai giorni nostri seguendo quello stesso sentiero per vedere se avesse riportato a me. E mi sono ritrovato.