Faceva parte di una
nidiata di ben dodici tremolanti, rosei, morbidi, teneri, quasi
amorevoli, piccoli topini. Era venuto al mondo tra trucioli di legno e
semi di miglio, in uno scantinato umido al punto giusto, pieno di gabbie
con mille varietà di uccelli prigionieri che gli cantavano il buon
risveglio al mattino e la buona notte alla sera quando, dopo l’ennesima
estenuante poppata, in lotta e in competizione con gli altri undici
fratelli si addormentava beato al calduccio, fra la madre premurosa che
li accudiva tutti come se fossero l’ultima speranza di vita e la
cucciolata che si muoveva sognando pezzi di cacio su cui abbuffarsi e
corde marce da rosicchiare, tutti tranne lui. La madre lo aveva chiamato
Cacao a causa della sua inusitata e smisurata golosità orientata verso
tutto ciò che era dolce. Il piccolo topino non gradiva infatti la dieta
di cui invece i suoi fratelli andavano pazzi, avanzi di chissà quale
pasto, resti di pagliericci, semi grossi e piccoli, qualche insetto e
formaggio, tanto formaggio, di qualunque tipo, forma, grandezza, odore,
sapore e colore potesse essere; formaggio, quanto più se ne poteva
trovare, quanto più se ne poteva racimolare nelle dispense dei poveri
malcapitati, che si ritrovavano la casa invasa da questa minuscola ma
pestifera orda di barbari pronta ad assalire ogni cosa, ad infilarsi in
ogni pertugio, ad intrufolarsi in ogni scatola, sacchetto o busta che
riuscisse a raggiungere. Individuato l’obbiettivo, l’euforica masnada
provvedeva a prelevare tutto quanto poteva essere trasportato al sicuro
nelle tane o se le dimensioni troppo ingombranti lo rendevano
proibitivo, consumava in fretta e sul posto quanto la pancia permetteva
di essere ingurgitato. L’abbondante pasto sarebbe stato comodamente
digerito con calma, ognuno nel proprio giaciglio con lo stomaco
strapieno, contorno il momento di relax con ricordi sulla gustosa
mangiata o commenti sul buon profumo di cacio odorato addentando
inesorabilmente le sfortunate forme di grana o di pecorino, scovate nei
reconditi nascondigli arieggiati in cui gli umani le mettevano a
stagionare credendole al sicuro da tutto e da tutti. Certo anche Cacao
in mancanza di torte o merendine mangiava groviera o taleggio, troppo
spesso la sua dolce golosità lo aveva portato a saltare pranzi o cene e
così si era ritrovato più di una volta ad accontentarsi di formaggio e
paglia sognando gianduiotti e baci perugina e nei momenti di maggior
tristezza gastronomica ripensava ad una tavoletta di cioccolato Kinder,
con più latte e meno cacao, che era riuscito ad assaggiare una sera di
pioggia mentre correva a cercar rifugio dall’acquazzone. Come lui anche
un bambino, sorpreso senza ombrello dal forte temporale, correva tra le
pozze diretto verso una casa che lo stava aspettando calda e asciutta e
nel suo saltellare zigzagando fra le pozze e le gocce, aveva perduto una
confezione intera di barrette di cioccolato che erano andate a finire
ad un pelo dal povero Cacao il quale, prima le aveva maledette per lo
spavento procuratogli e poi, dopo aver meglio inquadrato di cosa si
trattasse, le aveva addentate e se le era spolverate in un battibaleno.
Era stato male per due giorni di seguito, perché per un minuscolo topino
quale lui era tutta quella cioccolata anche se con più latte e meno
cacao, era davvero troppa. Aveva capito la lezione ma allo stesso tempo
aveva acquistato definitivamente il buon gusto del dolce ed il sapore
del primo morso dato ad una di quelle sei barrette, che si era digrumato
come sei semi di miglio, ancora aleggiava allettante nella sua bocca
solleticandogli il palato.
La sua golosità particolare non era passata inosservata né ai
fratelli né agli altri cuccioli che invece si rimpinzavano di tutto
quanto si trovava a portata di zampa e quando la fortuna o la prodezza
di qualche topo adulto lo permetteva si gettavano sul formaggio come dei
bambini avrebbero fatto in una piscina piena di panna. Fu per questo
che alla lunga, gli altri topini presero a canzonarlo per questa suo
particolare appetito rivolto verso tutto ciò che era dolce, chi lo
chiamava Topella Motta, chi Tanti Topi Perugina, Giantopotto, Magnum
Tople e così via. Gli appellativi per il povero Cacao si sprecavano ma
lui appena sentiva nell’aria il buon odore del cioccolato non riusciva a
resistere e si gettava trotterellando alla ricerca dell’origine di
tanto profumo. Ma un bel giorno ebbe la sua rivincita. Era un bel
mattino di fine ottobre, quando il sole gratifica gli ultimi coraggiosi
con qualche sprazzo di caldi raggi in mezzo al freddo dell’autunno che
se ne sta andando a finire dritto dritto dentro all’inverno, Cacao stava
rincasando dopo un nottata di infruttifere ricerche gastronomiche e già
si vedeva a tavola con tutti i suoi fratelli a consumare qualche seme,
magari delle croste ritrovate intorno ai cassonetti della nettezza,
bucce di frutta varia ed altre prelibatezze del genere che per gli altri
rappresentavano una vera e propria ricercatezza, una golosità a dirla
tutta, mentre per il nostro topo cioccolatista altro non erano se non
soltanto una magra, anzi magrissima consolazione; sconsolo e rassegnato
era giunto alla finestra, attraverso i cui spifferi si sarebbe calato
nello stanzone che ospitava la sua allegra e numerosa famigliola, quando
d’un tratto lo vide. Era adagiato su di un fianco, colpito a morte
nella parte superiore ma praticamente intatto da metà in giù, la sua
essenza lo stava abbandonando lentamente scivolando tra le pietre del
marciapiede che degradava ripidamente verso la piazza principale del
paese, un rivolo lungo e scuro che si insinuava fra pietra e pietra e
correva veloce verso il niente. Lo riconobbe immediatamente, appetitoso
come se lo era mille e mille volte immaginato passando davanti alla
vetrina del bar, dove se ne era innamorato vedendolo ritratto in una
foto pubblicitaria, un inconfondibile Magnum Double Chocolate con doppia
copertura di cioccolato inframmezzata da un succulento strato di crema
mou, infine racchiuso dentro questa dolce corazza un cuore di crema al
cacao con minuscoli granuli di cioccolata, roba da ultimo desiderio. Si
guardò intorno furtivo, non si soffermò nemmeno a pensare a chi poteva
aver mangiato un gelato così presto di mattina e soprattutto a chi
poteva aver gettato o lasciato cadere una prelibatezza del genere,
assestò un colpo deciso con i robusti incisivi infilandoli nel legno
dello stecco e sollevandolo leggermente da terrà lo portò via con se
infilandosi in un pertugio fra i mattoni e l’imbotte della finestra
attento a non perderne nemmeno una goccia, mentre invece il gelato si
stava sciogliendo inesorabilmente. Entrò nello scantinato e si avviò
velocemente verso il rifugio della sua famigliola, li trovò tutti
intorno ad una serie di quelle che lui avrebbe definito “digeribili
schifezze” e tutti si voltarono a guardarlo sorpresi ed increduli di ciò
che aveva avuto il coraggio di portare a casa. Cacao ne fece assaggiare
un po’ a tutti i fratelli, una slinguatina per uno e poi si mise
comodamente seduto nel suo angolino preferito a gustarsi lentamente
quella delizia mentre gli altri continuavano a osservarlo ma stavolta
con gli occhi sgranati dalla dolce visione e le lingue penzoloni a
strusciare inconsolabili le bocche agognanti che gridavano
silenziosamente e senza ritegno “Slurp”. Cacao terminò il suo
golosissimo pranzo, si preparò un giaciglio per trascorrere il sano
riposo giornaliero e si addormentò con un sorriso beato sul musetto e
delle belle macchie di cioccolato sparse sulle zampette e su tutto il
rotondo corpicino. Da quel giorno nessuno osò più prenderlo in giro per
la sua incontenibile, zuccherosa, dolce golosità.
Come per tutti i cuccioli, di qualsiasi genere essi fossero,
uccelli, pesci, gatti, cani e topi; come per i suoi fratelli, tutti e
undici nessuno escluso, anche per Cacao la dura legge della natura volle
che una volta divenuto autosufficiente, abbandonasse il nido natio.
Quell’ambiente familiare e conosciuto in cui era venuto al mondo ed era
stato amorevolmente allattato, curato e svezzato da Mamma Topa,
quell’incrocio di cunicoli stretti, di buchi nei muri, di corse nei tubi
e di angoli comodi in cui addormentarsi a pancia piena sul
pagliericcio, quel luogo che aveva rappresentato per lui un rifugio
sicuro adesso non gli apparteneva più. Così con il suo modesto bagaglio
legato stretto alla punta di uno stuzzicadenti che portava in spalla se
ne andò, dispiaciuto per il distacco ma allo stesso tempo fremente di
curiosità per il futuro che lo stava aspettando, nuova casa, nuova vita,
nuove avventure, sognando dolci a volontà. Salì lungo le grondaie e
ridiscese per i muri si, infilò in anfratti e ne risbucò fuori mentre
col suo musetto tremolante annusava a destra e a manca, lasciandosi
indirizzare dal suo fiuto verso quella che sarebbe divenuta la sua nuova
casa. Sali, scendi, gira e rigira, in breve tempo si ritrovò in una
soffitta, calda e accogliente e visto che il freddo aveva già fatto
capolino, pensò bene di costruire il suo giaciglio proprio sotto al tubo
dell’acqua calda in questo modo anche senza il tepore dei ,fratelli
avrebbe potuto addormentarsi ugualmente al calduccio. Girovagò per tutta
la soffitta alla ricerca di spaghi, pelucchi, legnetti e quanto altro
gli potesse servire per la costruzione del suo letto e finalmente dopo
ore e ore di frenetica ricerca e laborioso impegno la sua “suite” era
pronta. Si addormentò tanto era stanco, senza pensare al mangiare, vuoi
per l’emozione di quel giorno speciale o vuoi per la gioia di esser
riuscito a trovare un ottimo appartamentino per trascorrere tranquillo
il suo inverno, insomma tanto era accaduto che dolci, gelati e zucchero
non erano passati nella sua mente per tutta la giornata ma appena
addormentato, con il pancino vuoto che brontolava e i dentini affilati
che sembravano infilarsi in un bel dado di cioccolato fondente, la fame
lo andò a trovare in sogno. Il nostro Cacao si trovava in bel prato di
campagna, verde e luminoso, con il sole alto nel cielo che scaldava le
sue fragili ossicine, correva e saltava sull’erba fresca fino a
raggiungere un angolo di bosco imbandito per l’occasione, una
lunghissima tovaglia era apparecchiata sul prato e lungo il percorso in
cui Cacao si accingeva ad addentrarsi, erano disposte tutte le più
prelibate leccornie di questo mondo, dolci con la panna, profiteroles
giganteschi con enormi bignè ripiene di crema, gelato sfuso ai gusti di
fragola, kiwi, croccantino, bacio e pinolata, torta di semolino, torte
della nonna e tortini del nonno, torta sacher, dolci di frutta, fiumi di
cioccolato e vassoi colmi di cioccolatini al rhum, al cocco, cremini,
gianduioti, baci perugina, kinder cioccolato e menta da succhiare. Cacao
era al settimo cielo percorreva scodinzolando tutta la tavola con gli
occhi che gli brillavano come due piccole perle nere incastonate nella
pelliccia grigia, l’acquolina in bocca e la lingua penzoloni, su e giù,
su e giù prigioniero dell’indecisione, cominciare dal profiteroles o dai
gianduiotti, affondare i denti nel dolce di frutta o affogarsi nella
panna, così fra un indecisione e l’altra si fece mattino e il povero
Cacao si destò di soprassalto con i crampi allo stomaco e il rimorso di
non essersi gettato su qualche buon piatto almeno nel sogno. Stirati i
piccoli muscoli e concentrata la mente sulla sua mutata situazione, il
topino si mise subito in cerca di cibo, per il momento si sarebbe
accontentato di qualsiasi cosa, anche del formaggio, poi a stomaco pieno
e dopo aver meglio studiato e conosciuto i dintorni della nuova dimora,
si sarebbe messo a caccia della sua cena preferita, cioccolato. Detto
fatto dopo una breve e sommaria ispezione dei dintorni, imboccò una
ripida discesa e dopo un paio di scodinzolate si infilò fra uno stipite e
la porta che lo avrebbe portato in quello che, di li a poco, si sarebbe
rivelato un vero e proprio paese della cuccagna. Si era introdotto in
una casa, più calda e più accogliente della soffitta in cui aveva
trascorso la notte e di cui presto si sarebbe dimenticato non appena
avesse preso confidenza con le comodità e l’abbondanza che quel luogo
gli avrebbe potuto offrire. Eh sì, quello sì che sarebbe stato vivere.
Il cibo non sarebbe mancato di sicuro, qualche avanzo caduto o un bel
foro nella pattumiera avrebbero risolto tutti i problemi per desinari
pranzi e cene e il resto del tempo lo avrebbe potuto impiegare a caccia
di dolci. Una veloce ma meticolosa ispezione lo portò in breve a
conoscenza di tutta la casa e infine, infilatosi dietro un grosso
mobile, si ritrovò in un luogo che faceva proprio al caso suo, nascosto
alla vista degli umani ma molto pratico per le sortite notturne e per
gli attacchi in cucina, adesso era veramente a posto niente e nessuno lo
avrebbe mai più smosso dalla sua nuova e sicura fortezza. Dopo un paio
di giorni di routine casa e cibo mentre gironzolava indisturbato per le
stanze disabitate, i padroni erano fuori per lavoro probabilmente, si
rese conto che, proprio sopra la sua casa c’era la cava del cioccolato,
un enorme ciotolona blu ricolma di tutti i cioccolatini più prelibati
dentro la quale Cacao si mise prontamente a banchettare indisturbato,
sazio e beato in quel laghetto di cioccolata. Andò avanti così per
qualche altro giorno e con l’andar del tempo la golosità di Cacao faceva
sì che fosse sempre più avventato nelle sortite di caccia, tanto da
ritrovarsi a mangiare nella ciotola anche mentre i padroni erano in
zona. Tutto andò bene fino ad una domenica pomeriggio, era una di quelle
domeniche uggiose di pioggia che aveva costretto sia Cacao che i
padroni di casa a rimanere rintanati fra le quattro comode e tiepide
mura, stavano consumando quelle serene ore comodamente seduti in
salotto, la coppia sul divano davanti alla tivù, il topino a pancia
piena e al calduccio sopra il videoregistratore che con il suo monotono
ronzio lo aveva presto accompagnato in un mondo di sogni beati. Tutto ad
un tratto la donna lanciò un urlo che ancora nel vicinato si
rammentano, tanto che tutti si affacciarono a finestre e balconi per
vedere che cosa fosse mai accaduto, l’uomo ruzzolò di sotto al divano
sul quale si era oramai appisolato, con gli occhi sgranati dalla
sorpresa e la mente che ancora rincorreva un pallone che sarebbe
sicuramente entrato in rete, cercò di riprendersi mentre anch’egli si
chiedeva cosa fosse successo. La donna gridava farfugliando parole senza
senso mentre indicava Cacao tranquillamente accovacciato nel suo
angolino, l’uomo resosi conto a quel punto di quanto stava accadendo, si
precipitò a munirsi di scopa e si avventò sul povero Cacao che,
sorpreso e sbigottito quanto lo era stato poc’anzi il padrone di casa,
si tuffò dietro il mobile e corse a rifugiarsi nel suo covo. Dopo
un’accurata ispezione della zona incriminata la donna trovò delle
barette di kinder cioccolato rosicchiate dal topo e la stecca di
fondente alle nocciole con le chiare impronte digitali e dentali del neo
nemico, disperata cominciò a correre su e giù per la casa tenendosi le
mani nei capelli e l’uomo dal canto suo prese a rincorrere anche le
ombre cercando di schiacciarle con la scopa, insomma tanto se la presero
e tanto si disperarono che il giorno seguente corsero in mesticheria a
comprare l’armamentario completo per la guerra ai maledetti topastri.
Esche avvelenate, trappole a scatto, trappole a gabbia, collante per
topi, tric e trac, bum, botte e saette, disseminarono la casa di tutto
ciò che avevano trovato, tanto da farla somigliare più a un percorso di
guerra che ad una tranquilla abitazione di città e cosa più importante
fecero sparire tutta la gran delizia che era stata primo, secondo,
contorno, e dessert dell’ormai non più gaudente Cacao. La ciotolona blu
giaceva ribaltata sul mobile ad indicare la sua carenza di contenuto e
ad agire da chiaro e fermo monito nei confronti dello sprovveduto topo
il quale, inopportunamente, aveva osato approfittare di tanta
generosità, certamente non diretta a lui.
Cacao se ne stette nascosto e rintanato nella sua tana di
batuffoli e carte di caramelle per quasi due giorni, era rimasto
terrificato dalla reazione dei due umani che, a parer suo, era stata
anche troppo esagerata, in fondo era solo un piccolo topino, quali danni
poteva mai causare una creaturina così minuta e silenziosa, non
disturbava e non andava a dare noia a nessuno, aveva soltanto consumato
un po’ di cioccolatini, eh mamma topa mia, che sarà mai! Ce n’erano così
tanti che sarebbero bastati per lui e per loro per quasi tutto
l’inverno, d’altra parte Cacao mica se la sarebbe presa se loro ne
avessero mangiati senza avvertirlo o senza prima chiedere il permesso,
anzi se lo avesse saputo se ne sarebbe andato in giro a cercare qualche
rimasuglio di merendine o resti di gelati e glie li avrebbe portati in
cambio e se lo avessero chiesto avrebbe procurato loro anche del
formaggio. Invece niente, urla, sbraiti, corse e scope in testa, ecco
che cosa gli avevano riservato, ecco l’allegra accoglienza di quella
casa ma alla prima occasione se ne sarebbe andato via da quel ritrovo di
matti, avrebbe certamente trovato qualcuno che sarebbe stato ben felice
di accoglierlo con se e dividere con lui un pezzo di Toblerone, anche
scaduto. Mise il muso appena appena fuori dal mobile, fiutando anche la
pur minima traccia della eventuale possibile presenza di quei due
strampalati padroni di casa, con piccoli e silenziosi passettini sbucò
fuori dal rifugio per affacciarsi nella stanza silenziosa che l’accolse
fredda e inospitale. Guardingo come non mai cominciò a ispezionare i
dintorni del suo covo, meravigliandosi del fatto che tutti i segnali da
lui disseminati in giro erano stati spazzati via, non c’era il suo odore
sulle pareti, non c’erano i suoi escrementi qua e là per le stanze,
anzi per la stanza, perché a parte il soggiorno e l’ingresso tutte le
altre porte erano state chiuse, sigillate sprangate, vietato l’ingresso,
vietato l’accesso, stop, alt, fermi. Si sentì improvvisamente in
trappola e cominciò a correre lungo le pareti annusando, salì sui
divani, anch’essi ormai ripuliti dai sui onorevoli residui, guardò
ovunque nella speranza di trovare una traccia, un segnale, qualcosa che
gli indicasse lo stato della situazione e infine lo trovò proprio
nell’assenza di indizi, nell’assenza di tracce, tutto svanito scomparso.
Fu colto da un terribile spavento quando vide la ciotola blu rovesciata
sopra il mobile, cercò di sollevarla con le sue forze di topolino e ci
riuscì quel tanto che fu sufficiente per rendersi conto che anche lì
sotto c’era il vuoto. Si mise a correre di nuovo per tutta la porzione
di casa che gli era rimasta in possesso, così da poter effettuare un
ulteriore e più accurato controllo e finalmente trovò qualcosa, era un
quadrato di cartone di venti centimetri di lato con in mezzo un bel
morso di gianduiotto, quello con dentro le nocciole sbriciolate, che lo
salutava allegramente e sembrava chiamarlo con un lieve profumo,
attraente come il canto delle sirene e giusto quando stava per poggiare
la zampina sopra il cartone sentì, nascosto sotto il buon odore di
cioccolato, un olezzo acido che gli strizzò la gola per un attimo e solo
allora si rese conto che il cartone era completamente cosparso di uno
strano materiale semiliquido tutt’altro che attraente. Non era solo la
sua rinomata golosità che in quel momento gridava di desiderio, erano
due giorni oramai che non mangiava e anche il suo stomachino stava
lamentandosi per la fame, la situazione nuova e preoccupante l’aveva
momentaneamente distratto dalle necessità del suo piccolo ma pur sempre
bisognoso corpicino, dopo aver visto quel pezzo di cioccolatino
invitante e saporito il suo stomaco aveva preso per un attimo il
sopravvento sulla ragione e il comando della situazione ma proprio
quando la zampina si stava per poggiare sul cartone, la mente riprese il
timone chiedendosi come mai quel bocconcino prelibato fosse là e
cos’era quella roba maleodorante tutta intorno? Fu per questo che
premette lievemente la punta del più piccolo dei suoi diti sul liquido e
la risposta alle sue domande fu trovat, era colla. Cosa diamine ci
faceva della colla tutta intorno al cioccolatino, che strana invenzione
era mai quella, chissà gli umani cosa credevano di fare con
quell’acchiappacitrulli, lui non si sarebbe mai sognato di farci nemmeno
cadere l’ultimo dei suoi peli su quell’affare appiccicoso, figuriamoci
se vi avrebbe mai posato una delle sue zampine. Così si allontanò
melanconicamente da quel delizioso boccone, certo ed era vero, di essere
scampato a un qualche strano tranello sicuramente preparato per lui da
quei due strambi degli umani. A questo punto la nuova situazione era ben
delineata, il suo campo di azione si era notevolmente ridotto visto che
poteva spaziare a suo piacimento solo nel soggiorno e nell’ingresso, le
vie di uscita a terra erano bloccate e le finestre erano troppo alte
per cui non gli rimaneva che attendere il momento opportuno e
scapparsene proprio dall’ingresso principale, forse sgattaiolandosela,
brrrr… che brutta parola per un topo, tra le gambe dei padroni di casa.
Decise allora di rifugiarsi di nuovo dietro al mobile dove vi avrebbe
trascorso la notte per fare invece buona guardia alla porta durante il
giorno, in attesa che l’uomo o la donna uscissero o entrassero, a quel
punto avrebbe cercato altrove un rifugio meno pericoloso di quello in
cui si era andato ad infilare. Ah, pensare che per i primi tempi era
stato tutto così paradisiaco, calduccio, bon bon, mentine ahh che
delizia. A proposito l’ora di pranzo era passata da un bel pezzo e lui
aveva addirittura dovuto rinunciare alla cioccolata onde evitare di
rimanere incollato su quella specie di trappola di cartone, era proprio
arrivato il momento di cercare qualcosa da mangiare, sì ma dove? La
cucina era off limits, la ciotolona blu era stata svuotata di tutte le
sue bontà ed il suo pancino reclamava a più non posso. Prese di nuovo a
fare il giro dei possedimenti, certo a quel punto di accontentarsi di
ben poco, magari anche di un filo ma che fosse almeno di lana o di
cotone e non il solito acrilico, indigesto e insapore. Fu a questo punto
che, gira che ti rigira, si trovò davanti ad un sacchettino
dall’aspetto anonimo ma dal profumo gradevole e invitante, protese il
suo nasino verso quella bustina verde per riconoscerne i sapori più
nascosti e dopo essersi convinto della commestibilità di ciò che gli si
era parato davanti addentò l’immobile preda e finalmente placò la sua
smisurata fame. Non si chiese come mai quel bocconcino ghiotto fosse
rimasto alla sua portata, come mai dopo aver fatto sparire ogni pietanza
tranne la trappola al cioccolato, dopo aver ripulito tutto con acque e
saponi, dopo aver sprangato ogni via di uscita, avessero lasciato
qualcosa da mangiare per lui. Forse la stanchezza, forse lo stress,
forse la fame ma Cacao non si fece domande, ne prima di mangiare ne dopo
aver mangiato, si rintanò nel rifugio, dove ancora le carte di
caramella profumavano l’ambiente e si addormentò con il sorriso sul
musetto, pronto appena sveglio a tentare la sortita e fuggire lontano da
lì. Dopo, sì dopo se ne sarebbe andato, sarebbe scappato via e avrebbe
cercato un posto pieno di torte e gelati, si sarebbe fatto una
scorpacciata memorabile e poi avrebbe cercato una nuova casa dove finire
di trascorre l’inverno ormai alle porte. Chiaramente non fece mai tutto
questo, non fece scorpacciate fughe e nuove tane, non fece niente di
tutto ciò perché Cacao non si risvegliò più, o meglio non si risvegliò
da questo lato del mondo.
Il risveglio dall’altro lato del mondo fu veramente paradiasiaco.
Non aveva ancora aperto gli occhi ma già le sue narici avevano ricevuto
il buongiorno, odorava intorno a sé profumi lievi e vellutati che lo
cullavano e lo coccolavano mentre suoni melodiosi accompagnavano come
dolci nenie il suo dondolante e lento riapparire alla luce. Si ricordava
di essersi addormentato alle soglie dell’inverno in una inospitale casa
di città, nascosto dietro la mobilia e pronto alla fuga da un momento
all’altro. Ricordava il buio e il freddo che si sentiva arrivare da
fuori e confrontava, ancora con gli occhi chiusi, le soavi melodie che
udiva ed il tepore che provava mentre ancora si rotolava nella sua
morbida e comoda tana di cotone che chissà da dove era sbucata fuori
durante la notte e quei profumi così inebrianti e primaverili stonavano
con gli ultimi ricordi che gli sobbalzavano nella memoria. Stabilì che
stava ancora sognando e formulata quell’affermazione decise di
crogiolarsi ancora un po’ in quel comodo giaciglio che anche se era solo
un sogno era talmente confortevole che valeva la pena di dormire ancora
e di gustarsi appieno tanto inatteso benessere. Giunto che fu al
termine dei beati sonni decise che era arrivato il momento di aprire gli
occhietti e darsi da fare, fuggire da quella casa era il primo passo da
compiere e non era più tempo di indugiare e dopo essersi dato del
pelandrone si decise finalmente ad aprire gli occhietti. Meraviglia
delle meraviglie tutto intorno a lui era cambiato, erano spariti i
mobili, di più era sparita la stanza, più ancora era sparita la casa e
tutta la città che le stava intorno. Davanti a se una infinita distesa
verde punteggiata di fiori, con uccellini che cinguettavano e farfalle
che svolazzavano e ovunque topi, topi di tutte le forme e le dimensioni,
di tutti e colori e le varianti di pelo e tutti che si gettavano
allegramente in vasche piene di… piene di… di… formaggio? Formaggio,
intorno a lui forme, tranci, fette, appese agli alberi come frutta e
esplose da terra come funghi, con forme, colori, sapori, odori mai visti
e conosciuti, molli, secchi, stagionati, freschi, aromatizzati, senza
crosta, qualità e quantità inimmaginabili, in una distesa che finiva
dove l’occhio la poteva accompagnare e chissà cosa c’era oltre. Cacao
rimase sbigottito, prese a pizzicarsi la pancia e il musetto, a tirarsi
le orecchie e i baffi, a mordersi la coda ma tutto ciò che faceva lo
portava ad una sola ed unica risposta, non era un sogno. Il suo
sbigottimento aumentava di minuto in minuto, più si guardava intorno e
più rimaneva sconcertato dalle meraviglie che gli si presentavano
dinanzi e non riusciva ancora a credere ai propri occhi. A bocca aperta e
con la lingua penzoloni, divenne il bersaglio di un topo giocherellone
che passandogli davanti si divertì ad infilargli un bel pezzo di cacio
fra i denti e se ne passò via sghignazzando, Cacao rimase pietrificato e
ancora incredulo seguì i balzelli del topo fino a che questi se ne
tornò indietro chiedendogli come mai rimanesse li stecchito come un
baccalà, invece di andare a divertirsi come tutti quanti e a
sgranocchiarsi una bella forma di grana o un bel pezzo di pecorino.
Cacao si tolse il formaggio di bocca e sentendosi un po’ sciocco e un
po’ imbarazzato chiese all’allegro compagno dove mai fossero finiti e
cosa fosse tutta quell’abbondanza di formaggio, sembrava quasi di essere
nel paradiso dei topi. L’altro lo guardò un po’ sorpreso poi si rese
conto che probabilmente il compagno, che se ne stava lì allibito, era
nuovo del posto ed allora gli confermò che effettivamente erano proprio
in paradiso, eh sì il paradiso dei topi in tutta la sua fragrante,
profumata, formaggiosità. Cacao era passato a miglior vita e quella
sarebbe stata la sua allegra e nutriente dimora per il resto dei tempi.
Ne aveva sentito parlare spesso ma non ci aveva mai veramente
creduto, la mamma più volte gli aveva rammentato di essere un bravo
topino per guadagnarsi il paradiso e lui aveva sempre pensato che fosse
solo un tranello per tenere buono lui e tutti i suoi fratelli, un
paradiso dei topi tutto groviera e grana dove le bianche e candide anime
dei topini più meritevoli scavavano gallerie di formaggio da una forma
all’altra ma sì e chi ci avrebbe mai creduto? Eppure non era mai stato
particolarmente buono da meritarsi il paradiso ma in fondo non era
nemmeno stato particolarmente cattivo da non meritarselo e forse la sua
estrema golosità era stata perdonata anche grazie agli ultimi tristi
giorni passati nascosto, al riparo dalla furia dei padroni della casa in
cui lui si era innocentemente ritrovato. Somme e sottrazioni non erano
mai state il suo forte però, in conclusione dei suoi calcoli, giunse a
stabilire che alla fine la realtà di fatto confermava quello che per lui
aveva avuto valore nella sua vita precedente, cioè che in fondo in
fondo non era stato poi così cattivo da non meritarsi la pace e
l’abbondanza in cui si era ritrovato e a dire il vero si era sempre
pentito delle marachelle combinate a mamma Topa o ai topi suoi fratelli.
Cominciò così a girovagare sul prato fiorito disseminato di infinite
qualità di formaggio e passeggiando spelluzzicava qua e là piccoli morsi
di cacio, assaggiando e assaporando le specialità del luogo, un po’ di
grana, un morso di groviera svizzero e poi uno di olandese, robiola,
edamer, mozzarella, tomino e poi e poi e poi… ancora e ancora da non
poterne davvero più da riempirsi prima la pancia e dopo anche gli occhi.
Giocava, camminava e mangiava; rosicchiava, chiaccherava e passeggiava;
saltellava salutava e si abbuffava. Dopo tanta abbondanza, immerso
ormai appieno in quel paese delle delizie, dopo un pezzo di pecorino
sardo, fra il gorgonzola e la feta ebbe un attimo di melanconia e gli
ritornò a mente il dolce sapore del cioccolato, la cremosità dei gelati,
la polposità dei canditi e la spumosità della panna ma soprattutto
provò un brivido di desiderio ricordando il sapore delizioso di un bel
Magnum double al cioccolato o meglio ancora al caramello. Beh, cosa
c’era da preoccuparsi, era o no nel paradiso sicuramente avrebbe trovato
ciò che cercava, bastava guardarsi meglio intorno, cercare o chiedere.
Si mise allora a scorrazzare in lungo e in largo per il prato chiedendo a
chiunque informazioni ma i più lo guardavano stupiti, altri non
capivano perché mai cercasse dei dolci con tutto quel buon formaggio a
disposizione e lo canzonavano sonoramente, altro che paradiso, qui c’era
solo formaggio, buoni sì ma che già gli sbucava dagli occhi e dalle
orecchie tanto ne aveva mangiato, no questo paradiso da topi non faceva
al caso suo. Il paradiso per lui si era trasformato ben presto in un
vero e proprio inferno. Si fermò all’ombra di una quercia, tra forme di
cacio e topi saltellanti di gioia e ripensò ai primi momenti, quelli
durante i quali aveva ben pensato di essersi meritato ciò che aveva
davanti, eh sì, non era stato poi così cattivo ma si vede che non era
stato poi nemmeno così buono, altrimenti sarebbe finito in un paradiso
su misura per lui, poi un ratto di grossa taglia si fermò a chiedergli
cosa avesse e perché non fosse gioioso come tutti, Cacao gli spiegò la
sua situazione e il ratto dopo essersi fatto una sonora risata
canzonatoria gli disse mentre ancora continuava a sghignazzare, che
oltre le colline vi erano altri paradisi e che spesso altri animali o
addirittura uomini a volte andavano e venivano da un paradiso all’altro,
se avesse cercato avrebbe sicuramente trovato quello che faceva per
lui. Rasserenato da questa scoperta e rinfrancato nelle speranze si mise
alfine in cammino alla ricerca del paradiso dei golosi.
Ne vide allora di luoghi strani e divertenti, trovò il paradiso
degli elefanti, dove chiaramente i topi non erano ben accetti, passò
molto vicino al paradiso dei gatti ma non osò avvicinarsi, neppure
quanto bastava per vedere di cosa si trattasse, rimase così con il
dubbio che quel paradiso fosse in fin dei conti l’inferno dei topi e che
in un posto solo avessero riunito i gatti beati ed i topi dannati. Fu
solo dopo il paradiso delle scimmie in cui era stato costretto a
districarsi in una selva di bucce di banana e quello dei cani, dove gli
parve di vedere un povero micio rincorso da un branco di randagi
ululanti che gli fece tornare a mente il suo concetto di paradiso dei
gatti, che riuscì a scovare il paradiso degli umani. A differenza di
tutti quelli che aveva attraversato fino a quel momento non ricordava
affatto alcun ambiente della terra, era una distesa di batuffoli di
nuvola su cui la gente se ne stava placidamente chi a riposare, chi a
fare musica, chi a parlare, a discutere o solo ad ascoltare, ognuno
insomma poteva dedicarsi ciò che della vita gli era maggiormente
piaciuto. C’erano donne che danzavano e uomini che cantavano in allegri
gruppi, bambini che scorrazzavano fra risa e schiamazzi e nonni che si
beavano nel vederli giocare. Addentrandosi tra tanta pace e tranquillità
scoprì luoghi davvero interessanti, c’erano immense sale da ballo dove
innumerevoli coppie danzavano i più svariati ritmi, dalla rumba al
rock’n’roll, grandissimi stadi dove venivano giocate interminabili
partite di calcio e lunghissime piste dove abili sciatori zigzagavano
sollevando spruzzi di neve paradisiaca, illimitati laghi di aranciata
dove bambini si tuffavano e nuotavano allegramente e in fondo dietro
alla montagna di mattoncini lego finalmente lo vide, uno sterminato mare
di cioccolata. I suoi occhi non credevano a tanta grazia che gli si era
parata dinanzi a soddisfazione dei suoi ambiti desideri, corse a più
non posso e appena fu sulla riva di quell’oceano dolce, si tuffò
immergendosi nel liquido denso e marrone in cui poté piacevolmente
nuotare fino a giungere ad una spiaggia di cioccolato bianco vicino a
degli scogli di Toblerone con le nocciole, ottime da rosicchiare. Sul
dorso, a farfalla, a rana in puro stile topolibero, nuotava e si
riempiva la bocca di quella essenza così deliziosa e poi si distendeva
sulla polvere di cacao ad abbronzarsi proprio come un topo marinaro. Era
proprio convinto di aver finalmente trovato il suo paradiso ma così
invece non era. Per quanto poteva aver verificato quel lido marinaresco
di cioccolata era frequentato quasi esclusivamente da femmine della
razza umana e questo era talmente irrilevante per lui quanto invece
divenne fastidioso prima e insopportabile poi per le golose abitanti
della spiaggia. Intorno a lui si formò un via vai di curiose e
indispettite facce sporche di cioccolata, le meno importune si
limitavano a guardarlo, lasciandosi disegnare sui volti un campionario
di smorfie disgustate vario e sorprendentemente divertente, quelle
invece che non riuscivano per niente a sopportare la presenza di un topo
nel loro paradiso personale, non si limitavano certo ad osservarlo ma
lasciavano ben intendere con inopportune esclamazioni o con indici
esclamativi ed interrogativi puntati verso l’impaurito musetto di Cacao,
qualcuna addirittura mentre passeggiava disinvolta intorno al topo
disteso ad accioccolatarsi lasciava che un po’ di polvere di cacao si
alzasse controvento in modo, se possibile, da infastidire il nostro
amico e portarlo alla sofferta decisione di andarsene da qualche altra
parte. Certo non erano atteggiamenti da paradiso ma d’altra parte Cacao
era un abusivo ed ebbe la bontà e la razionalità di comprendere che quel
paradiso non era stato certo creato per lui. Immensamente triste e
infinitamente sconsolato dette un ultima leccata ad un onda ed una buona
rosicchiata ad uno scoglio, poi mogio mogio decise che sarebbe stato
meglio per tutti che lui se ne fosse tornato tra i fiori e il groviera
del paradiso dei topi. Riprese mestamente il suo cammino percorrendo a
ritroso tutti i mondi che aveva già visitato e giunto che fu al paradiso
dei gatti, vuoi per la paura vuoi per la disattenzione girò a destra
invece che a sinistra, prima di quello delle tartarughe o forse andò
diritto invece di curvare dopo quello dei pesci rossi, insomma fatto sta
che a un certo punto non seppe più orientarsi e cominciò a chiedere a
destra e a manca informazioni per ritrovare l’eden in cui per lo meno il
cacio non gli sarebbe mai mancato, magari ogni tanto imparando meglio
la strada si sarebbe fatto un viaggetto fino al mare di cioccolata e se
ne sarebbe rimasto giusto il tempo di un paio di tuffi dagli scogli di
toblerone. Rinfrancato da questa decisione e preoccupato invece per aver
smarrito completamente la strada si ritrovò ai bordi di una piatta ed
estesa vallata, era uno dei pochi luoghi da lui attraversati che gli era
apparso, a prima vista, quasi completamente disabitato, vide due umani
lontano all’orizzonte, c’erano degli orsi, vide farfalle, api e
procioni, un gruppo di bambini e bambine e poi quasi non rendendosi
conto di come potesse non averlo ancora visto, fermò il suo sguardo su
quell’immenso, altissimo, gigantesco vasetto di Nutella che si trovava
esattamente al centro della vallata. Non credeva ai suoi occhi ma la sua
gola lo guidò e la sua pancia dette il carburante per le sue gambe che
non ebbero certo bisogno di pensarci due volte, in un battibaleno arrivò
alle pendici del vasetto e ancora stava pensando a come fare che già lo
aveva scalato e si stava per tuffare beato, quando i suoi occhi furono
catturati da una visione, potremmo dire appropriatamente, paradisiaca.
Due nerissimi occhietti a spillo, un nasino fine ed aguzzo con ai lati
due lunghissime paia di fluenti baffetti e più in basso un sorriso che
mostrava dei candidi incisivi pronti a mordere amorevolmente. Quei due
occhietti lo stavano guardando interessati almeno quanto i suoi
guardavano sorpresi la dolce visione di quella graziosissima ed elegante
topina che sedeva comodamente sul bordo del vasetto, con una zampina
immersa nella Nutella a disegnare ghirigori senza fine prima di
raccogliere un po’ di quel nettare e portarselo voluttosamente alla
bocca. Il povero Cacao rischiò di finire a capofitto nella cioccolata ma
si riprese in tempo per formulare imbarazzatissimo una semplice ingenua
frase di circostanza, si presentò e le chiese il nome, le raccontò di
come lui fosse finito in quel gustoso paradiso e lasciò che lei gli
raccontasse le sue avventure che erano almeno altrettanto emozionanti.
Si chiamava Pralina ed era la più deliziosa, carina, dolce, soffice
topina che lui avesse mai incontrato, non era rimasto un granché nel
paradiso dei topi ma non era rimasto attratto da nessuna delle sua
abitanti e nella sua vita precedente non aveva mai incontrato due occhi
così profondi, una voce altrettanto suadente ed un animo gentile e
sensibile quale quello di Pralina. Cacao e Pralina cominciarono a
lasciar trascorrere il tempo, che in paradiso non esiste, fra due parole
e una stretta di zampa, una scorpacciata ed un po’ di meritato
rilassamento, persi l’uno negli occhietti vispi dell’altra, finalmente
entrambi felici di aver trovato il paradiso dei paradisi, l’eden dei
cuori gentili e golosi uniti per l’eternità in un oceano di Nutella.