<Tic, tic, tic, tic, tic, ahahhhahhahahah!!!!> nel silenzio della notte.
<Cos’e?> chiede Pina e Lino risponde:
<Il rubinetto che perdeva e adesso ha pareggiato!>
Lino e Pina abitavano nell’appartamento di via delle Condotte da
oltre dieci anni. Lavoravano entrambi, Lino era capo reparto spedizioni
in una fabbrica di Lampadine, Pina era al reparto tappezzeria di una
fabbrica di divani. Il tempo libero era per loro una merce estremamente
preziosa e proprio per questo, per quanto era loro possibile, cercavano
di trascorrerlo in pace nella tranquillità della casa o in allegria con
gli amici, a cena in pizzeria o a ballare nei locali di Latino
Americana. D’estate poi facevano tutti assieme delle belle gite al mare a
godersi il sole ed a fare lunghi bagni pieni di nuotate, di tuffi e di
schizzi anche se di ben altri spruzzi ci occuperemo fra in po’. Lino e
Pina erano molto felici insieme ed erano soddisfatti della loro vita
insieme, questo chiaramente non li portava certo a pensare che, in
fondo, non avevano molta cura del loro pur sempre bello e accogliente
appartamento. Lino era da sempre un supersprecisone, i suoi calzini
usati ritrovavano la luce anche dopo anni di sepoltura sotto la montagna
di panni che ogni giorno rovistava nella ricerca di una camicia pulita,
cosa vana e di un paio di jeans che almeno non fossero macchiati. Pina
da cosciente donna di casa era almeno un po’ più precisa ma anche lei
non dedicava e non riusciva certo a far dedicare a Lino del tempo a
rassettare, pulire o sistemare la casa. Alle pulizie venivano insomma
riservate attenzioni solo per quanto bastava a poter vivere
pacificamente, senza ritrovarsi sommersi dallo sporco e dalla polvere.
Di tutte le stanze quella che aveva risentito maggiormente della
trascuratezza e dell’uso sconsiderato da parte dei padroni si casa era
sicuramente il bagno. Abbastanza spazioso e dotato di tutti i servizi:
vasca, doccia, lavandino, bidè e water. Grande lo specchio alla parete
sopra il lavandino, pure lui dimentico della brillantezza di un tempo e
offuscato dalle migliaia di docce vaporose che si erano condensate sulla
sua superficie. Altrettanto grande e con un artistico panorama sulla
chiesetta del quartiere era la finestra, la quale però non veniva usata
quanto sarebbe stato opportuno per un bagno, lasciando che i vapori e
l’umidità insieme alla polvere si posassero indisturbati su ceramiche e
piastrelle, su legni, vetri e cromature varie. In questa trasandata
situazione, con l’acqua che sguazzava placida dalla vasca al lavandino,
dal bidè alla doccia, dalla cassetta al water e viceversa, imperatore
sovrano di tutti i sanitari regnava incrostato e incontrastato il
perfido Conte Calcare de Calcaris. I poveri accessori del bagno
vivacchiavano con le loro superfici tutte opache e con gli scarichi
corrosi ed intasati, per non parlare dei rubinetti dove il calcare
cresceva come l’edera fa su di un muro. Tutti i buchi erano otturati e
la poca acqua che riusciva ad arrivare schizzando difficilmente ce la
faceva a scorrere via tranquilla, ritrovandosi a gocciolare da tubo a
tubo con lentezza e fatica. Unico diversivo alla situazione erano i
giochi d’acqua, fatti di spruzzi e schizzi proprio come quelli che Lino e
Pina facevano al mare con gli amici. Così i coinquilini del bagno
passavano le loro giornate.
Campione assoluto di triplo schizzo mortale era Gino il Lavandino.
<Ehi guardate un po’ qua!> esclamava mentre faceva roteare
l’acqua come se fosse avvolta da un tornado e poi la sparava nella
capiente pancia di Maresca la Vasca o nelle occasioni speciali e di
maggior spettacolarità, nel più piccolo Raffè il Bidè.
La più pazzerella era sicuramente Mascia la Doccia, era veramente schizzata! Ogni volta che apriva bocca erano schizzi.
<Aaaaahhhhh! Non ne posso proprio più di vedere questi volteggi
da esibizionista, getti qua, spruzzi la, salti mortali e intanto
riempie di schizzi tutti quanti è l’ora di finirla> gridava dall’alto
con la sua vocina stridula e dopo poco le faceva eco Raffè dal basso
della sua postazione.
<Pavla bene questa> cominciava con il suo accento alto
borghese o meglio, forse basso nobile. Qualcuno lo chiamava duca ma
nessuno era riuscito a avere notizie certe sulle sue origini, si diceva
che fosse stato utilizzato addirittura dalla Regina di Francia durante
la rivoluzione francese e che se la fosse data a gambe prima che le cose
precipitassero, da allora in Francia non ci sono più stati i bidè ed
ancora oggi se ne vedono pochissimi, una rarità.
<Sì sì, pavla pavla cvitica gli spvuzzi altvui e poi non fa
altvo che schizzave da tutte le pavti, non sta mai fevma, sta mai fevma.
Ah lo diceva mammà, stai attento alle compagnie che fvequenti e invece
guavda qui dove mi sono vitvovato, tva la plebaglia, la plebaglia,
guavda dove mi sono vitvovato, tutti quanti a schizzave e l’acqua poi
non se ne va più!> brontolava Raffè mentre anche lui ci metteva del
suo con getti e spruzzi da tutte le parti.
La più tranquilla di tutti era certamente Maresca troppo oppressa
dalla sua mole e dalla mole di calcare che la sovrastava, il più delle
volte sonnecchiava indisturbata e russava gorgogliando acqua con un
suono cupo e profondo, poi ogni tanto si risvegliava mettendosi a
brontolare contro tutto e contro tutti senza che nessuno la avesse
infastidita o senza che ci fosse un motivo valido per arrabbiarsi.
<Ma la volete finire, ronf ronf, eh? Ah si dicevo la smettete
di bofonchiare che mi disturbate, mi ero appena appisolata e come al
solito i vostri inutili borbottii mi si sono infilati nei tubi, ronf
ronf> e così come si era svegliata si riaddormentava senza che
nessuno in verità si curasse di lei più di tanto.
L’unico invece che cercava, a dire il veno invano, di trovare un
rimedio alla situazione era Walter il Water, il poverino era
perennemente intasato e nonostante il cattivo odore che emanava dalle
sue torbide profondità non era riuscito a far capire a Lino e Pina che
in bagno c’era bisogno di una ripassata a fondo. Era il più anziano di
tutti e dall’alto della sua vetustà era l’unico che si rendeva conto
che, se non fosse cambiato qualcosa, ben presto sarebbero stati
sostituiti tutti con degli accessori nuovi, fiammanti e chiaramente non
intasati e corrosi dal temibile Conte Calcare che a poco a poco li stava
consumando tutti senza che quegli sprovveduti dei suoi compagni se ne
avvedessero.
<Basda, basda!> cercava di intervenire con il suo vocione
profondo e intasato <dod litighiabo fra di doi, gui le gose sodo
boldo serie, se dod trobiamo un ribedio alla sbelda ci ribeddiamo il
bosdo e buodadotte > borbottava esalando cattivi odori tra le sue
frasi ormai quasi incomprensibili mentre gli altri gli davano addosso
con megaschizzi e spruzzate artistiche e qualcuno gli faceva anche la
linguaccia. Così il previdente ma inascoltato Walter si ritrovava solo
alla sera a pregare San Itario, protettore dei bagni, affinché prima che
fosse troppo tardi, venisse trovata una soluzione a questa situazione
oramai insostenibile. Ed era proprio di notte che meglio si poteva
sentire il rumore del perfido Conte de Calcaris che succhiava lo smalto
dalle porcellane e il cromo dai rubinetti degli ignari abitanti di
quello che ormai si poteva chiamare soltanto gabinetto e tra un morso ed
una succhiata lo si poteva udire ridere e sghignazzare soddisfatto del
suo spuntino notturno.
<Eh eh eh> ghignava malefico <qui ho trovato davvero il
paessse della cuccagna, credo proprio che non me ne andrò fino a che non
li avrò ssspolpati tutti ad uno ad uno eh eh eh!> e giù di nuovo a
succhiare. <Bravi, bravi, riposssate, eh eh eh> sibilava tra i
suoi aguzzi denti il malvagio vampiro dei sanitari <che quando avrò
finito con voi me ne compreranno di nuovi, eh eh eh, non avrò più a che
fare con delle porcellane ssstantie o dei rubinetti rugginosssi come voi
e potrò ricominciare a sssucchiare ceramica giovane e bellissimi e
funzionali missscelatori luccicanti di cromo. Me ne farò un sol boccone
eh eh eh!> e riprendeva a mordere e succhiare.
Intanto la notte Walter pregava e si sa, le preghiere vengono ascoltate.
Fu così che un bel giorno Lino fu chiamato in ufficio dal gran
capo in persona, il quale gli comunicò che sarebbe stato promosso alla
direzione del reparto con mansioni di supervisione e ufficio e
naturalmente, relativo congruo stipendio. Lo stesso accadde a Pina che
per la sua disponibilità e competenza fu premiata con un aumento
saporito. La sera festeggiarono in un ristorantino intimo a lume di
candela e poi rientrarono felici nel loro appartamento. Dopo aver aperto
rimasero per un attimo fermi sulla porta, si guardarono intorno
accuratamente e in quel momento seppero come avrebbero impiegato una
parte dei soldi che si erano visti piovere sotto forma di aumento.
Avrebbero assunto una donna per fare le pulizie di casa.
Fu così che due giorni dopo sulla porta del bagno apparve Luisa,
un donnone enorme, alta almeno un metro e ottanta per novanta chili di
peso che alla faccia della sua stazza, riusciva ad infilarsi anche negli
angoli più reconditi per succhiar via la polvere e scrostare la
sporcizia. E poi, meraviglia delle meraviglie, aveva anche la pozione
magica per sconfiggere il nefasto duca de Calcaris, il potente flacone
di Messer Scioglicalcare, un prodotto scrostante e igenizzante allo
stesso tempo, una vera manna per i poveri abitanti del bagno. Luisa era
di poche parole e di molte pulizie, cominciava presto finiva presto e
strano ma vero, puliva anche il water. Il cortese Walter da parte sua si
lasciava pulire e strusciare bene a fondo, spalancava la sua gola e
lasciava che Luisa ci infilasse le sue manone per togliere anche la pur
minima traccia di sporco. Nel bagno regnava ormai brillante e luminosa
la Regina Scintilla. Luisa rivoltava il bagno come un calzino una volta
alla settimana, strusciava, insaponava, scrostava e poi passava su
dovunque un panno morbido morbido che lasciava su tutti un gran sorriso.
Maresca si era addirittura messa a dieta e adesso era sempre
sveglia e attenta, Mascia trascorreva tranquilla le sue giornate ad
ascoltare musica rock con le cuffie mentre il solito vanitoso di Gino il
Lavandino passava tutto il tempo a rimirarsi nel grande e luminoso
specchio.
<Guarda che meraviglia, ma guarda che splendore, eh sì io l’ho
sempre detto che sotto tutta quell’opacità nascondevo un corpo da
lavandino di prima categoria>
<Beh beh cosa dive, cosa dive, siamo tutti più splendenti,
tutti più belli, più belli, ci voleva pvopvio, ci voleva pvopvio, sì sì
ci voleva pvopvio> aggiungeva Raffè e felice più di tutti scrostato e
stasato, con il suo nuovo timbro da baritono, Walter cantava romanze da
mattina a sera gorgogliando ritmi antichi e nuovi con la sua gola
lustra lustra e la sua voce finalmente libera.
<Questa volta ci è andata davvero proprio bene> sentenziò
felice Walter <Rischiavamo di finire alla discarica e invece grazie
alla mano sapiente di Luisa ed al Cavaliere Messer Scioglicalcare,
adesso abbiamo liberi perfino gli scarichi più profondi!> e giù a
cantare stornelli, serenate e arie da opera lirica, finalmente tutti
felici e splendenti.
Ed il malefico Conte che fine aveva fatto? Nel bagno se ne parlò
ancora per poco ma fu dimenticato velocemente e definitivamente.
Giunsero ogni tanto notizie frammentarie che si trasformarono con il
tempo in leggende e novelle, pare, dico pare, che lo avessero visto
alcuni mesi dopo in un gabinetto pubblico mentre attaccato ad un
rubinetto rugginoso, succhiava quel poco di metallo che ancora c’era
rimasto. Perfido, scolorito, lurido e sporco come non era mai stato.
Tempo che passa
<Tap, tap, tap, tap, tap> un rumore nell’armadio.
<Cos’e?> chiede Saverio e Luca risponde:
<Sono i tuoi vestiti che passano di moda!>
Saverio era sempre stato affezionato a quella camicia, l’aveva
portata quasi ogni sera nell’estate del ’75, era il suo gioiello, il suo
portafortuna. Aveva quella camicia indosso quando si era dichiarato a
Marisa, in ginocchio sulla sabbia della Versilia, con le luci lontane ed
il rumore del mare come sottofondo. Indossava quella camicia anche la
sera successiva, quando Marisa aveva ceduto e dopo un breve attimo di
timidi gesti d’affetto le aveva finalmente strappato il primo bacio, il
primo di una infinita serie di baci che li avevano accompagnati fino
all’altare, quando si erano sposati nel 1980. La sera prima del
matrimonio, durante la festa di addio al celibato, Saverio aveva ancora
una volta, l’ultima, indossato scherzosamente la sua cara camicia che
con quei disegni astratti e i colori sgargianti tanto era andata di moda
cinque anni prima. Dopo quella simpatica e allegra serata la camicia fu
ancora una volta lavata, stirata, piegata per essere infine riposta
nell’armadio, lassù in alto, dove ci si arriva solo montando sullo
sgabello, lassù dove finiscono tutte le cose per non essere gettate via,
lassù nel dimenticatoio, tra la naftalina ed i vestiti stretti, fra
buste di cellophane e borse in pelle di coccodrillo ricevute in eredità
dalla zia zitella. Quattro anni dopo nacque Luca, un bel bambino paffuto
con gli occhi azzurri ed i capelli neri, eh sì, anche lui come suo
padre avrebbe fatto girar la testa a parecchie fanciulle, magari anche
con l’aiuto di una bella camicia alla moda.
La vita nell’armadio non è poi quella gran cosa che si potrebbe
pensare, è quasi sempre buio e di solito l’unica attività è il riposo.
Lì, appesi tutti in fila a cercare di rinfrescarsi e deodorarsi, anche
grazie a quei magnifici sacchettini profumati che le nonne ancora
preparano con i fiori di lavanda o con i più moderni gel preconfezionati
altrettanto profumanti. Ci si arrabbia con il cappotto appena entrato
che porta nell’armadio un gran puzzo di fumo e lo si scuote bene bene,
si chiacchiera delle esperienze vissute, si intavolano discussioni, si
esprimono opinioni quasi come al bar ma in fin dei conti l’evento più
rilevante, l’Evento con la e maiuscola è sempre e soltanto uno, quando,
aperte le ante, si viene scelti per la passeggiata della domenica o per
la serata al ballo o al cinema, insomma l’importante è essere indossati e
l’autorità all’interno dell’armadio la si acquista nel quanto si è
indossati e in quali prestigiose occasioni. Tutti per esempio vorrebbero
fare la passeggiata della domenica mentre a nessuno piace andare in
pizzeria, tanto va sempre a finire che si ritorna pieni di patacche e si
viene infilati dentro alla lavatrice, quel terribile marchingegno pieno
d’acqua che si fa tornare come nuovi ma consuma le fibre e poi con
tutto quel ruzzolare è proprio una gran tortura.
Nell’armadio di Saverio erano stipati un sacco di vestiti.
Il più importante, ricercato e aristocratico e di conseguenza
quello più snob e antipatico era sicuramente Completo Elegante. Giacca,
pantaloni e gilet grigio antracite, raffinatissimi e sempre stirati e
profumati. Le occasioni di uscita erano abbastanza rare, qualche
matrimonio, forse un battesimo e un paio di convegni all’anno ma
sicuramente erano le più ambite e quelle che di conseguenza, davano
maggior lustro all’abito che vi avesse partecipato, questo chiaramente
eleggeva Completo Elegante a capo supremo ed indiscusso dell’armadio e
lo rendeva un tipo dispotico e con un po’ di puzza sotto il naso a dir
la verità. Anche camice da sera e pantaloni eleganti si davano delle
arie mentre camicioni di felpa e jeans meno rinomati, pur vedendo la
luce tutti i giorni lo potevano fare solo per andare al lavoro o per le
serate in famiglia, così rimanevano letteralmente a tasche aperte ad
ascoltare le storie che i più pregiati abiti raccontavano loro, magari
inventandosi qualcosa ogni tanto. Poi su in cima, sepolta sotto polvere e
anni, riposava la nostra camicia Anni 70, sola e perseguitata, non
passava infatti giorno senza che Completo Elegante o gli altri vestiti
di pregio avessero da far notare la loro superiorità ed il loro valore.
Sì, un po’ con tutti ma in maniera particolare ed assillante proprio con
la povera camicia in stile anni ’70.
<Domenica scorsa è stato proprio un bel battesimo, anche se
quel bambino non la smetteva più di belare> cominciò subito acido
Completo Elegante <per fortuna non lo abbiamo mai preso in braccio,
mancava proprio che magari ce la facesse addosso, così poi ci toccava
andare in lavanderia a farci spruzzare tutti quei gas pestiferi addosso
che ce li portiamo dietro per chissà quanto. Però la festa è stata
bella, abbiamo ballato l’intero il pomeriggio con un delizioso vestitino
color pesca, pieno di tulle e di trine, che ci ha fatto il solletico
per tutto il tempo, ah birichino. E tu Anni 70, dov’eri domenica scorsa,
e ehhmm… quella prima e poi quella prima ancora? Ah ah ah! Oh scusa
dimenticavo, hai così tanta polvere addosso che non ce la fai nemmeno a
muoverti figuriamoci ad uscire dall’armadio. Oooohh poverina, come mi
dispiace, ah ah ah!>
<Sabato sera sono andata al cinema con Pantaloni di Velluto>
si intromise Camicia Sportiva per rincarare la dose <mi sono
strusciata per tutto il film con un maglioncino di cachemire, ahh… che
esperienza morbida morbida. La prossima settimana daranno un poliziesco,
sicuramente torneremo al cinema, speriamo di incontrarlo di nuovo. E
tu? Qual’è stato scusa, l’ultimo film che hai visto? Era a colori o in
bianco e nero? C’era già il sonoro? Ah ah ah!> e poi via tutti a
ridere camicie, pantaloni, giacche, perfino i calzini e le mutande nel
cassetto ridevano, tutti tranne Anni 70, ormai rassegnata alla sua busta
di nylon e al buio dell’armadio.
La moda però è un po’ mattacchiona, in fondo non c’è più niente da
inventare, si può solo rispolverare, ridisegnare, mescolare, così ogni
tanto rivediamo vestiti che ci ricordano le foto della mamma da ragazza o
camicie che riconosciamo nelle foto tessera sulla patente di papà, di
quelle con i becchi lunghi e il colletto rigido. Per questo l’inverno
del duemila vide rinverdire i fasti degli anni ’70, rivisitando e
riesumando colori, disegni e stile che avevano fatto un epoca, quella
della discomusic e delle febbri da sabato sera. Saverio ormai
quarantenne impiegato, non avrebbe certo più indossato la sua amata
camicia in stile anni ’70 ma Luca, che andava in discoteca almeno tre
volte alla settimana, non si lasciò sfuggire l’occasione che gli si
presento ghiotta e succulenta. Era già da qualche giorno che elogiava
questo ritorno allo stile degli anni in cui i suoi genitori erano stati
ragazzi come lui, si informava su com’era vivere allora, senza giochi
elettronici, senza tv a colori, senza le tv commerciali, senza computer,
senza tutto! Oh! Ma insomma che grigiore, forse proprio per combattere
il bianco e nero di quegli anni erano venuti fuori colori e stili così
attuali oggi, da essere nuovamente di moda. Faceva la corte a sua madre
nella speranza che acconsentisse all’acquisto, magari con una piccola
aggiunta al budget a sua disposizione, di una di quelle vistose camice,
così da poterla sfoggiare con gli amici in discoteca e soprattutto con
le ragazze che tanto gli giravano intorno e lui non poteva sicuramente
deluderle. La madre proprio non ci sentiva da quell’orecchio, non aveva
alcuna intenzione di investire in due etti di tessuto luccicante, che
sarebbero durati il tempo di una mezza stagione, per questo quasi per
scherzo, consigliò a Luca di provare a chiedere al padre se mai gli
avesse dato la sua in prestito, che da qualche parte nell’armadio doveva
ancora sicuramente essere. Luca non pose tempo in mezzo, dopo aver
avuta la conferma da Saverio dell’esistenza della camicia, fu al padre
che si mise a fare la corte, pregandolo di regalargli la sua camicia
così alla moda. Per il padre fu quasi un colpo al cuore, la sua camicia,
la sua adorata camicia, prestata al figlio per andare a scatenarsi nei
moderni e forsennati balli delle discoteche. Giammai! Ma… forse… chissà…
però… quasi quasi. Beh! Alla fine Luca riuscì a convincere il padre e
fu così che entrò in possesso della più bella camicia in stile anni ’70
che avesse mai visto. No non ce n’erano come quella nelle vetrine dei
negozi, non ne aveva viste indosso a nessuno di così sgargianti,
particolari e lucenti, nonostante l’età era proprio come nuova e poi, oh
raga! Era originale! La indossò per provarla e passò il resto della
serata a rimirarsi allo specchio. Anni 70 fu colta alla sprovvista, anni
di buio di polvere e di soprusi e poi d’improvviso la luce e che luce,
quella psichedelica e colorata della discoteca, con fumi, raggi laser e
ballerine sui cubi. Con mille altre camicie, maglioni e camicette con
cui simpatizzare, far amicizia e perché no strusciarsi nella penombra di
un pub o sulla sella del motorino. Per Anni 70 fu una seconda
giovinezza le sembrò di rivivere le serate d’agosto sulla Versilia, tra
balli e sabbia e adesso che si era trasferita si dimenticò del tutto di
quei fastidiosi, arroganti ed antipatici coinquilini dell’armadio. Luca
era strafelice del regalo fattogli dal padre e a Saverio sembrò quasi di
riconoscersi nel figlio, così identico a lui. Anche a Marisa gli
sembrava di rivedere il marito esattamente com’era più di vent’anni
prima, che a guardare le foto sembrava fossero state scattate il giorno
prima al figlio. Fra scherzi balli e lazzi l’inverno trascorse felice e
sereno, la moda fece il suo corso e… si sa quanto effimera sia, tutto ad
un tratto cambiò. Anni 70 rimase qualche giorno nei cassetti della
camera di Luca, avvistasi di questo Marisa, molto previdentemente, la
ripose di nuovo nella sua busta di nylon e l’accomodo lassù in alto,
dove ci si arriva solo montando sullo sgabello, lassù dove finiscono
tutte le cose per non essere gettate via, lassù nel dimenticatoio, tra
la naftalina ed i vestiti stretti, fra buste di cellophane e borse in
pelle di coccodrillo ricevute in eredità dalla zia zitella. Tutto come
prima? Nient’affatto Anni 70 aveva ormai riconquistato la sua verve e la
sua vitalità da ballerina, si ripresentò agli abitanti dell’armadio che
ormai l’avevano data per spacciata in qualche discarica o fatta
straccio per la polvere e di lei avevano continuato solo a parlarne
male. Il suo ritorno fu tutt’altro che indolore per Completo Elegante e i
suoi degni compari.
<Ciao babbei!> esclamò simpaticamente vendicativa Anni 70
<cosa avete fatto ultimamente, siete andati ad un barboso matrimonio o
al concerto di fine anno, oppure siete stati al cinemino a vedere le
ultime battaglie spaziali, eh come mi dispiace per voi, io ultimamente
sono andata in disco quasi tutte le sere, venerdì rock, sabato latino
americana, domenica pomeriggio hausmusic, poi martedì al pub e giovedì a
cena al ristorante cinese, uuhhh che vita bamboli! E voi! Vi siete
annoiati con la solita vita?> sentenziò saggiamente a questo punto
<oppure come avevo fatto io in questi ultimi anni, vi siete riposati
in attesa di un qualche breve ma perlomeno esaltante momento? Adesso
sono tornata nella mia bustina di plastica ma uuhhh…momenti come quelli
che ho passato valgono una vita intera chiusi nella plastica e sepolti
sotto polvere e coperte di lana. Adesso vi racconterò come sono andate
le cose…>
Fu in questo modo che le posizioni nell’armadio cominciarono ad
equilibrarsi, niente più supremazia, niente snob o puzza sotto il naso.
Anche Completo Elegante che si era divertito ad ascoltare gli
elettrizzanti racconti di Anni 70, cominciò a rendere partecipi gli
altri delle sue autorevoli prestazioni a cerimonie e appuntamenti. Da
quel momento tutte le uscite importanti o meno non furono più motivo per
pretendere autorità e potere ma solo il modo per far arrivare notizie
fresche e brillanti dall’esterno e magari per mandare qualche messaggio
passionale o piccante a un vestitino di seta o a un bel maglione di
lana.
Da allora capita ogni tanto che Saverio, la sera prima di andare a
letto, mentre Luca naviga al computer o legge e Marisa si anima con i
romanzi in tivù, monti sullo sgabello, prenda la camicia in stile anni
’70 dal ripiano più alto dell’armadio, la tolga dalla sua confezione di
plastica e delicatamente la indossi. Poi sfila davanti agli specchi
ricordando la sua beata gioventù e quando talvolta Marisa lo coglie in
flagrante, indossa anche lei la sua camicetta di lustrini e insieme
ballano il ritmo immaginario, lento e coinvolgente che li riporta ai
loro sereni ed appassionati anni dell’adolescenza. E intanto Paillette e
Anni 70 rivivono con loro, fra abbracci e mosse scatenate, gli antichi
sapori di mare, danze e amore.
Ma che caldo fa
<Cosa ci fa un termosifone al polo con una stufa?> chiese
improvvisamente Elena a Claudia, la quale rimase in silenzio sbigottita.
<Rompe il ghiaccio> concluse sorridendo la sorella.
L’avevano bramata, sognata, desiderata, cercata ed infine trovata.
Una villetta su due piani più garage, mansarda e prato intorno. Cucina,
sala, studio e una stanza per i ragazzi a piano terra; quattro camere
al piano superiore più due bagni, uno per Anna e Marco ed uno per i
ragazzi. Finalmente dopo tanto cercare e dopo tanto discuterne avevano
scelto e non era stato certo facile. Marco era stato irremovibile, lui
aveva senz'altro bisogno di un garage molto ampio dove parcheggiare la
sua auto e dove tenere gli attrezzi da giardino. Aveva di conseguenza
bisogno anche di un giardino da accudire, dove coltivare le sue rose e
continuare a far incroci fra le varie razze, per ottenere nuove forme e
colori per nuovi concorsi e molto probabilmente nuovi premi, da
aggiungere a quelli già ricevuti, il giardino era per lui essenziale, il
rientro dal lavoro era dedicato alla moglie, ai figli e infine al relax
immerso fra i suoi fiori. Il lavoro nella filiale di una rinomata
fabbrica giapponese di componenti elettronici gli dava molta
soddisfazione ed un buono stipendio ma consumava i suoi nervi ad un
ritmo irrefrenabile. Anna dal canto suo non avrebbe mai rinunciato ad
una cucina ampia nella quale dilettarsi a preparare deliziosi
manicaretti ed a una stanza tutta per se da adibire a studio, dove
avrebbe scritto i suoi pezzi da opinionista, pubblicati su importanti e
rinomati giornali. A Filippo, ormai ventenne universitario a economia e
commercio, non sarebbe bastato avere una camera a sua completa
disposizione, già ce l’aveva, desiderava invece ardentemente una
mansarda, da trasformare a seconda delle occasioni in sala studio per le
sue ricerche , in sala riunioni per gli incontri con gli amici o stanza
riservata, assolutamente off-limits per le due pestifere e curiose
sorelle, se avesse desiderato un po’ di privacy per qualche tenero
incontro. Elena e Claudia, in perenne competizione fra di loro ma
solidamente alleate contro il fratello maggiore, avevano deciso dopo
quattordici anni di convivenza che fosse giunto il momento di avere
camere separate. Insomma dopo essere vissuti per anni stretti fra
quattro mura troppo piccole per un famiglia così numerosa erano riusciti
a soddisfare i desideri e i bisogni di tutti.
Una casa di tali dimensioni aveva certamente bisogno di un buon
impianto termico con termosifoni in ogni stanza ed una caldaia che
riuscisse a rifornirli adeguatamente, così da mantenere il giusto tepore
in tutti gli ambienti e visto che Marco e la sua famiglia si erano
trasferiti nella nuova casa a fine ottobre avrebbero dovuto mettere
subito in moto la caldaia a gas da trentamila calorie situata in
cantina, nuova di pacco, pronta per il collaudo e la messa in moto,
pronta ad affrontare con calore l’inverno che avrebbe cominciato a farsi
sentire di li a qualche giorno. La caldaia, nuova fiammante era lì
pronta all’uso ma purtroppo ancora silenziosa e fredda, c’era ancora un
unico piccolo impercettibile problema. Negli ultimi anni la casa era
stata abitata da una coppia di anziani che, prima di trasferirsi in
riviera a trascorrere i giorni della loro vecchiaia, si erano riscaldati
utilizzando una vecchissima caldaia a gasolio. Avevano fatto richiesta
per il servizio del gas cittadino più per forma che per necessità e per
un motivo o per l’altro alla fine non erano mai stati eseguiti i lavori
necessari per l’allacciamento alle condutture, le quali si fermavano a
circa duecento metri dall’impaziente caldaia che, un po’ la burocrazia
un po’ le difficoltà oggettive, fra scavi e allacciamenti, sarebbe
rimasta inerte e taciturna almeno fino all’inverno dell’anno successivo.
Beh, dopo litigi, telefonate e corse a metà novembre fu riattivata la
vecchia caldaia che, con la sua enorme bocca coperta da una grata
attraverso la quale si potevano vedere le fiamme, più che altro sembrava
un treno a vapore. Anche questa trovava posto in cantina, nell’angolo
più buio e più sporco, era una vecchia caldaia a carbone riadattata per
funzionare a gasolio, carburante che fu prontamente consegnato e immesso
nel deposito collegato alla “ vaporiera”. Così la soprannominarono le
gemelle Elena e Claudia, dopo essersi divertite a buttarvi dentro un po’
di cianfrusaglie che grazie all’antiquata tipologia del bruciatore
erano divenute cenere in quattro e quattr’otto. La grande bocca infatti
permetteva non soltanto di accedere alla caldaia ma volendo, di usarla
per quella che era stata la sua iniziale funzione, bruciarvi carbone,
legna o qualsiasi altro oggetto combustibile. Era un bel po’ che non
veniva revisionata ma entrò in funzione e a pieno regime fin dal primo
tentativo, nonostante che l’idraulico avesse guardato un po’ sconcertato
tutti quei manometri e indicatori vari che chissà cosa avevano voluto
segnalare ai tempi in cui risaliva la caldaia, visto che oggi ci si
limitava ai soli indicatori della temperatura e della pressione.
Vaporiera, fiera e impettita, orgogliosa del suo lavoro, sparò un paio
di profondi colpi di tosse e poi cominciò ad irradiare il suo calore in
tutta la casa ed ai piani superiori tutti le vollero subito bene. Ai
piani superiori, perché nel sottosuolo tutto sarebbe stato presto
diverso. L’idraulico era riuscito addirittura a collegare un timer al
vecchio bruciatore, così ogni mattino alle cinque Vaporiera si metteva
in moto ed in casa era subito calore mentre in cantina era subito
musica. La Vaporiera era un vero e proprio sergente di ferro e per gli
sventurati abitanti della cantina fu un inverno molto, molto ma molto
caldo.
Vaporiera si svegliava al primo rintocco di campana e con un ruggito da leone dava, a suo modo, il buon giorno a tutti.
<Allora pelandroni sono già le cinque e il mio bruciatore è già
in funzione, pronto e attento. Sono già in contatto con tutta la casa
tramite i dodici termosifoni al mio comando e voi non vorrete mica
rimanervene li a poltrire? Aaavanti! Uno due, uno due, sveglia, sveglia,
svegliaaa!> gridava mentre cominciava la ginnastica quotidiana e
guai a chi non obbediva, la sua capiente bocca era sempre all’erta e ben
disposta a bruciare qualsiasi cosa le fosse capitato a portata di
griglia <forza, forza, muoversi, scattare, giù dalle brande, avanti o
vi infilo in bocca uno per uno e vi faccio allo spiedo, uno due, uno
due ssscatttarrrè!>
In ogni casa ci sono dei luoghi adibiti a deposito o ripostiglio
per tutti quegli oggetti che ormai non vengono più utilizzati,
passeggini, lumiere, valige di cartone e vecchi mobili, che puntualmente
vanno a dormire in soffitta mentre quelli che si pensa debbano poter
essere utilizzati, la cassetta degli arnesi, vasi di ceramica, la
vecchia bicicletta, una pala, il tavolo da ping pong, questi finiscono
puntualmente nelle cantine pronti a essere rimessi in movimento in
qualsiasi momento, anche se in realtà rimangono dimenticati almeno
quanto quelli della soffitta. A far compagnia alla temibile Vaporiera
erano stati scompostamente e frettolosamente adagiati in cantina, con il
dire che poi tanto domani ne avremo sicuramente bisogno e poi non erano
più stati toccati, un completo da sci composto da salopette, giubbotto,
sci, scarponi, guanti e racchette di quando Filippo aveva dodici anni e
che nessuno era mai riuscito a buttare via; la cassetta degli arnesi di
Marco, regalo dei suoceri, che Marco non aveva mai utilizzato, troppo
impegnato con i fiori e gli unici attrezzi che conosceva erano cesoie,
zappette e palette; una scatola di bambole di Elena che ogni anno, per
la locale fiera di beneficenza, pensava di donare al parroco ma che
puntualmente dimenticava di fare; la collezione completa dei libri
Harmony annate 1985, 1986, 1987, 1988, recuperata da Claudia presso
rigattieri vari e banchi di modernariato e che dopo l’entusiasmo dei
primi batticuore era finita in uno scatolone e li era stata abbandonata;
l’enciclopedia della donna all’avanguardia, risalente al 1975,
appartenuta ad Anna e non più tanto all’avanguardia per la moderna
famigliola. Così ogni mattino alle cinque la sveglia si annunciava con
un roco ruggito della Vaporiera e per tutti gli sventurati abitanti
della cantina cominciava la giornata di addestramento militare, uno due
uno due.
<Non è assolutamente possibile continuare in questo modo>
cominciò a dire Tuta da Sci dopo poco più di una settimana <neppure
quando mostravo la mia abilità sui più prestigiosi campi da sci ero
costretta ad allenarmi così tanto, ogni mattina la stessa storia, io non
ce la faccio più, mi dolgono tutte le cuciture, ma ora glie ne dico
quattro a quella!>
<Ma sei pazza?> gli rispondeva Cassetta per gli Arnesi
<se tanto tanto ti sente, quella, come dici tu, è capace di aprire la
bocca e fumarti in men che non si dica, ieri ho visto il padrone di
casa che ci buttava delle sterpaglie, l’ha riempita bene bene e lei si è
lamentata? Ma neanche per sogno ha dato una gran boccata e se li è
fatti fuori in un attimo, piuttosto speriamo che non mi faccia fare
l’inventario anche oggi, non ne posso più di contare viti e bulloni.>
<Soldato Cassetta vogliamo fare silenzio o no. Vediamo un po’
forse hai bisogno di tenerti occupata la mente per riuscire a frenare la
lingua, potresti fare l’inventario del tuo contenuto e portarmelo qui
appena pronto, ché se non è uguale a quello di ieri ti faccio assaggiare
il mio bruciatore, RRRRROOOOOAAAARRRRRRR!!!>
<Ecco lo sapevo, sssi sssiiiii, sssubito, mannaggia a te Tuta,
allora cominciamo di bulloni ce n’è, no le pinze, aspetta quante ne ho
contate ieri, uff!> sbuffò disperata Cassetta per gli Arnesi
cominciando la conta.
<Io continuo a dire che dovremmo fare qualcosa ma per il
momento, uno due, uno due, meglio obbedire fino a che non ci viene una
buona idea> concluse Tuta da Sci.
<Uno due, uno due> sembrava quasi che cantassero le bambole,
mentre in fila indiana si applicavano alla corsa mattutina <uno due,
uno due, tutte insieme su, piegamento, vaiiii!> e tutte si fermavano
e si producevano in flessioni di vario tipo, dal semplice inchino delle
bambole di plastica ad un vero e proprio arrotolamento per quelle di
pezza, anche loro terrorizzate dalla rovente boccaccia rossa di fuoco
delle Vaporiera <uno due, uno due, su bambine andiamo e pazienza,
meglio faticare che ritrovarsi a bruciare nella pancia di questo
despota> e via piegamenti e corse in giro per la cantina.
<Su bambine, su bambine> scimmiottava ironicamente Vaporiera
<camminare, correre, piegamenti, avanti e pochi discorsi, ho dodici
termosifoni ai miei comandi, sparsi in tutta la casa, e tengono d’occhio
gli altri fannulloni come voi, avanti che ho da fare l’ispezione a
tutta la casa, non ho tempo da perdere, forza, via. Iiiiispezione,
Soldato Cassetta allora ci siamo con quest’inventario?>
<Comandi sergente, ssssi, duecentocinquantotto,
duecentocinquantanove, no trecentocinquantanove, no ma dov’ero rimasta,
duecen… no aspetta ssi ssi sergente, sssubito, sarà meglio ricominciare
da capo.>
I più buffi ma d’altra parte i più preoccupati, erano chiaramente i
libri e l’enciclopedia, consapevoli che la carta di cui erano composti
li avrebbe condannati in pochi attimi a diventare cenere, così anche
loro corse, corsette e piegamenti e guai a mescolarsi, l’ispezione
richiedeva quotidianamente il controllo del dorso ed ogni numero doveva
essere assolutamente conseguente a quello prima altrimenti,
RRRRROOOOOAAAARRRRRRR!!! Erano guai.
L’inverno fu molto lungo e molto caldo in tutta la casa, ogni
tanto Anna o Marco arrivavano con qualche strano aggeggio, vecchi
attrezzi o giornali che puntualmente finivano nella Vaporiera, la quale
non mancava mai di far sapere a tutti quanto fossero deliziosi gli
sfortunati oggetti che le capitavano in bocca e anche se non era la
verità, alimentava le paure dei già terrificati inquilini della cantina,
affermando che quegli oggetti fossero i disubbidienti abitanti della
casa che venivano inceneriti per aver mancato agli ordini impartiti da
lei stessa. Così ogni mattino sveglia all’alba, corsa in cantina,
flessioni, inventario, ispezione e gli indisciplinati dovevano passare
il resto della giornata a pulire e lustrare gli ottoni della Vaporiera o
a spazzar via le ceneri che le svolazzavano intorno, miseri e
carbonizzati resti degli sfortunati ribelli che avevano assaggiato la
dura legge del sergente Vaporiera, solido e inflessibile come un vero e
proprio militare. Leggende che cominciarono a girare per la cantina
affermavano infatti che la terribile caldaia fosse stata un tempo a
scaldare gli alloggi degli ufficiali di un cacciatorpediniere della
marina militare, a bordo del quale aveva appreso e fatto proprie tutte
le più ferree e dure leggi della disciplina accademica. Altre voci
circolanti per la casa assicuravano che avesse fatto addirittura parte
del riscaldamento centrale di una prigione nelle Antille Olandesi prima
di essere trasbordata sul cacciatorpediniere e poi via via racconti
terribili che si perdevano nella notte dei tempi, corredati da tetri
risvolti e di poco obbedienti cadetti che prima o poi finivano tutti tra
le poco accoglienti fauci della Vaporiera. E sì quell’inverno fu molto
caldo, terribile e molto, molto, molto lungo ma alla fine anch’esso ebbe
termine.
Vaporiera si era già accorta che nella casa c’era sempre meno
bisogno di lei, il timer che le avevano collegato non dava spesso
l’avvio al suo potente bruciatore perché già il tepore della primavera
lasciva entrare i suoi primi tiepidi raggi di sole ed i termosifoni
erano spesso freddi, eccezion fatta per la mattina, quando ancora il
Sergente Vaporiera riusciva a tartassare i suoi sfortunati allievi.
Sapeva che a causa della bella stagione sarebbe rimasta spenta per un
bel pezzo e di conseguenza aveva bisogno di lasciare un bel brutto
ricordo di se stessa per ritrovare tutti attenti e impauriti quando
l’inverno successivo sarebbe stata riaccesa. Per questo furono
raddoppiate le corse, i piegamenti, gli inventari e le ispezioni e di
conseguenza furono raddoppiate le punizioni, le povere bambole di pezza
ormai completamente ricoperte di fuliggine passavano quasi l’intera
giornata a strusciare maniglie e grate, manometri e termometri per far
bella lustra la ferrea carrozzeria del Sergente Vaporiera. Ma il caldo
arrivò inesorabile e la caldaia se ne andò in letargo.
<Iiiaaahhhuuuuooommmm, ma che ore sono?> chiese il primo volume dell’enciclopedia.
<Mah, sembrerebbe proprio che siano le otto passate>
risposero gli scarponi <niente sveglia stamani? Sergente, sergente
ehi dico, Sergente Vaporiera, ehi brutto ammasso di ferraglia> osò
apostrofarla visto il silenzio <dico, ci sei oppure no?>
Ma la caldaia rimaneva silenziosa, finalmente. Ci furono due
giorni di festeggiamenti ininterrotti. Le bambole fecero il bagno e
spolverarono tutti i libri, Cassetta degli Arnesi passava le giornate a
spargere viti e bulloni per tutta la cantina e tutti pensarono bene di
divertirsi più che potevano fino a che il Sergente Vaporiera se ne fosse
rimasto a dormire. Poi dopo una settimana arrivarono in cantina due
operai con la tuta blu ed una chiave inglese, smontarono i tubi che
portavano il gasolio al bruciatore della Vaporiera e collaudarono la
caldaia murale che se ne era rimasta zitta e nascosta in un angolo per
tutto l’inverno. Fuori i lavori erano terminati ed anche gli ultimi
duecento metri erano stati completati, la casa era finalmente collegata
all’impianto gas della città. La caldaia da trentamila calorie era
pronta a partire già da adesso per l’acqua calda e il prossimo inverno
avrebbe mantenuto il giusto tepore in tutta la casa.
<Buongiorno> disse Trentamila Calorie alla prima doccia del
mattino successivo <salve io sono la nuova caldaia, spero proprio che
diverremo amici e scusatemi se farò un po’ di rumore a tutte le ore del
giorno, è il mio lavoro, spero di non disturbare i vostri momenti di
riposo>
Scarponi da Sci, Cassetta degli Arnesi, Collezione Harmony e tutta
quella che era diventata un’allegra brigata, esultarono a quelle
parole, consapevoli di ciò che significavano, Vaporiera avrebbe taciuto
per sempre e le paure potevano essere definitivamente dimenticate. La
primavera trascorse serena e l’estate le fece compagnia fino all’autunno
che verso la fine a causa di giornate particolarmente rigide fece sì
che Vaporiera avesse un sussulto, il suo abituale momento di risveglio
era dunque arrivato. Ma, come mai non era ancora entrata in funzione?
Qualcosa non quadrava e cos’era quell’aggeggio appeso al muro così
silenzioso e pulito che emanava un simpatico tepore? Una nuova caldaia?
Giammai pensò e dopo un attimo di smarrimento gettò uno dei suoi famosi
ruggiti.
<Gngngngngggnngngngnngn> fu il solo rumore che ne uscì
fuori, una specie di lamento, un piagnucolio che all’inizio fece
impaurire gli abitanti della cantina che temettero un inaspettato
ritorno del Sergente Vaporiera ma che poi lasciò cadere il tutto nella
più canzonatoria ilarità, quanto tutto il seminterrato si avvide che
Vaporiera ormai poteva soltanto lamentarsi e non fare più paura a
nessuno. Passò poco tempo ma quando si rese conto che nessuno la teneva
più in considerazione a Vaporiera non rimase che raccontare tutta la
verità e chiedere perdono agli abitanti della cantina.
<Ebbene sì, era tutto falso, avevo soltanto bisogno di voi per
tenere lustra la mia corazza di ferro e funzionanti tutti i miei
manometri, erano anni che nessuno mi faceva più la manutenzione e
rischiavo di rompermi da un momento all’altro se non mi fossi tenuta in
forma ma avevo bisogno del vostro aiuto e farvi paura mi è sembrato
l’unico modo per convincere tutti voi a sporcarvi ed impegnarvi per me,
non ho mai bruciato nessuno e credo proprio che non sarei stato in grado
di farlo, chiedo perdono a tutti quanti, me ne resterò qui al buio,
sola sola, a scontare le mie colpe e non posso darvi torto se non
potrete mai perdonarmi, Gngngngngggnngngngnngn, gngngngngggnngngngnngn,
gngngngngggnngngngnngn> termino piangendo e lamentandosi.
Passarono alcuni giorni e mossi da commozione ma decisi comunque a
far pagare a Vaporiera tutte le sue colpe, Cassetta degli Arnesi e Tuta
da Sci, capitanati dal Volume Indice dell’enciclopedia della donna
all’avanguardia, si recarono in delegazione da Vaporiera per dargli
comunicato di quanto era stato deciso nell’ultima Assemblea della
Cantina.
<Quello che ci hai fatto passare è imperdonabile> cominciò
Volume Indice <ma noi abbiamo deciso comunque di risparmiarti, anche
se è tanta la strada che dovrai fare per riguadagnarti la fiducia e
l’amicizia di noi tutti. Tu sei l’oggetto più antico di questa casa, ne
conosci le storie e gli avvenimenti, conosci cose fuori da qui che hai
potuto vedere prima di essere installata in questa cantina. Se vorrai
provare a diventare nostra amica, non ti rimane che tenerci compagnia
raccontandoci tutto ciò che noi non sappiamo o non abbiamo potuto
conoscere della casa e del mondo antico>
<Gngngngngggnngngngnngn> prese a dire vaporiera e trovato
l’entusiasmo grazie alla proposta che le era stata fatta aggiunse una
sola e semplice parola <si!>
Adesso ogni sera prima che in cantina si spengano le luci,
Vaporiera racconta, inventando un po’, storie vere e inverosimili dei
bei tempi andati nella casa e delle avventure in Sudamerica e sui
cacciatorpediniere, le bambole sedute tutte attorno con la bocca e gli
occhi spalancati dallo stupore, i libri severamente in ordine sparso con
i numeri sui dorsi ben mescolati, gli arnesi tutti fuori dalla cassetta
ad ascoltare i racconti di “Nonno Vaporiera” ed un dolce e sereno
tepore a tenere compagnia grazie al moderno impianto di riscaldamento
comandato dal simpatico Trentamila Calorie.
E buon appetito!
<Cosa fa un cuoco su di un palcoscenico, con delle pentole?> domandò ingenuamente Elisa.
<Suona la batteria!> rispose Fabrizio scuotendo la testa.
A Elisa era sempre piaciuto far da mangiare, aveva imparato da sua
madre Michela, che a sua volta aveva appreso dalla propria mamma,
Berta, l’abilità dell’arte culinaria, manicaretti e pietanze prelibate
non avevano segreti per nessuna delle tre. La nonna Berta aveva imparato
a cucinare per necessità ed aveva scoperto di avere un vero e proprio
talento naturale nello svolgere il suo mestiere, con tre carote una
cipolla e un po’ di farina riusciva a portare in tavola un piatto di
paste succulente e appetitose. Di questo dono ricevuto, che aveva sua
volta tramandato alla figlia e alla nipote, ne aveva fatto il proprio
lavoro e con l’esperienza e la passione era divenuta una cuoca rinomata.
Crescendo Michela ne aveva seguito le orme, ampliando ancora, per
quanto fosse stato possibile, i già ricchi e completi menù di Berta, le
loro ricette erano arrivate a comprendere ogni tipo di oggetto
commestibile che si fosse visto sopra, sulla e sotto la terra, le
pietanze preparate dalle loro mani avrebbero potuto essere materia
d’esame nelle migliori scuole di cuochi a Parigi a Roma e anche a New
York, se mai avessero rivelato a qualcuno le loro misteriosissime
ricette di famiglia. Ma, sia per Berta che per Michela, utilizzare quei
personalissimi sistemi di cottura nell’intimità del ristorante che erano
riuscite ad avviare con soddisfazione e che adesso dirigevano con
maestria e padronanza, era la realizzazione di un sogno bramato e la
gioia della loro vita, davvero non avrebbe desiderato nulla di più e poi
in fin dei conti ogni ricetta è un segreto e un segreto non si rivela
mai a nessuno. Al contrario della madre e della nonna che avevano
coniugato la loro arte in cucina con il lavoro, Elisa aveva preferito
intraprendere la carriera imprenditoriale in compagnia del marito
Fabrizio e, con impegno prima e soddisfazione poi, insieme erano
riusciti a mettere in moto la loro attività, una fabbrica di
abbigliamento con una clientela molto vasta, che ormai navigava da sola
verso una consolidata affermazione. Fabrizio, figlio di sarto e sarto
anch’egli, curava tutta la parte produttiva dedicandovisi con grande
entusiasmo mentre Elisa si occupava con attenzione e con impegno della
parte amministrativa. Ma quando le prendeva, qualunque fosse la
situazione del momento, Elisa era non solo irremovibile ma anche
inarrestabile, più di una volta le era capitato di alzarsi nel bel mezzo
di una riunione e correre a casa a realizzare qualche nuova ricetta,
che poi magari avrebbe confidato alla madre e alla nonna. In quelle
occasioni nessuno aveva mai avuto da ridire, anzi comunque fosse finito
l’incontro di lavoro, sicuramente il pranzo, offerto poi a tutti i
partecipanti, sarebbe stato memorabile, insomma quando le scappava le
scappava non c’era niente da fare doveva cucinare.
La cucina di Elisa era attrezzata almeno quanto quella del
ristorante della nonna Berta e la ricordava molto, la zona fuoco
esattamente nel centro della stanza con tutto intorno la più moderna
tecnologia al servizio della culinaria: tritaquesto, grattaquello,
spremiquell’altro, congela, scongela, frulla, scalda, schiaccia,
impasta, amalgama, passa. Ogni più moderno robot da cucina aveva il suo
comodo posto nei ripiani intorno a Elisa e come in una catena di
montaggio gli ingredienti partivano da un lato del bancone nella loro
forma originale, giravano tutta la stanza passando attraverso le varie
fasi di lavorazione, trita, schiaccia e impasta per poi finire in
padella sotto una forma completamente nuova e diversa e con un sapore ed
un profumo che non si sarebbe potuto dimenticare facilmente.
L’attrezzatura a disposizione di Elisa per la sua passione ed il
suo diletto in cucina erano i più vari ed i più moderni che si potessero
trovare in commercio. Disposti sui diversi piani di appoggio
disponibili in cucina si potevano infatti notare: uno sbuccia ortaggi
elettronico bifasico, un tritatutto computerizzato con gradazione di
finezza, un passaverdura elettrico a cambio sequenziale, uno sbattiuova
con separatore e montaggio delle chiare a neve automatico, uno
sbucciafrutta con frullatore, una gelatiera con reparto frigo e dosatore
di porzioni, un macinacaffè a sensibilità di umidità, una macchina da
caffè con dosatore di latte per la macchia e di alcolici per la
correzione. Più tutta una serie di altri utensili anch’essi comunque
elettrici: coltelli, affettatrici, grattugie, spremiagrumi, tostapane e
via via via senza più fine, insomma in cucina non mancava proprio nulla,
bastava rimboccarsi le maniche e vaiiii…
Elisa aveva ricevuto in dono, dalla nonna e dalla madre, non solo
la naturale disposizione a far ben riuscire ogni pietanza da lei
preparata ma anche tutta una serie di utensili da cucina che risalivano
all’epoca in cui la nonna aveva cominciato la sua attività di cuoca,
quando la preparazione di ogni piatto veniva affidata alle mani e a
pochi altri attrezzi che certamente non funzionavano ad elettricità ma
con olio di gomito e sudore della fronte. Aveva disposto anche questi
nella sua spaziosa cucina dove, ad ogni parete, era sistemata una
mensola che correva per l’intera lunghezza e su questi ripiani avevano
trovato posto a far bella mostra di sé i mestoli e gli utensili della
nonna Berta. C’era un passatutto in lamiera a manovella, un frullino a
ruota dentata, un macinacaffè anch’esso a manovella, una caffettiera
napoletana a beccuccio con tazzine in porcellana di Capodimonte, un
tritacarne da banco, grattugie, coltelli e coltelloni, macinatoi,
spremitori, taglieri, mestoli in legno e in metallo e tutto in ottimo
stato di conservazione e perfettamente funzionante, anche se non più
utilizzato ormai soppiantato dalla praticità e dalla funzionalità dei
moderni robot elettronici. Elisa era veramente entusiasta della propria
cucina le piaceva l’ambiente pratico e luminoso, le piacevano tutti i
suoi utensili moderni, quotidianamente utilizzati e quelli antichi anche
se ormai erano solo un simpatico ornamento delle pareti e soprattutto
le piaceva tantissimo scorrazzare fra quelle quattro mura, con pentole
fumanti o con vassoi delle pietanze più prelibate.
Dopo alcuni anni di rodaggio la fabbrica di Elisa e Fabrizio aveva
raggiunto una certa notorietà sul mercato locale, il lavoro dava loro
molta soddisfazione e da un po’ di tempo stavano cercando di espandere
il loro nome a livello mondiale ed erano riusciti, tramite fidati
collaboratori, ad entrare in contatto con degli importanti acquirenti
addirittura nella lontana e popolosissima Cina. Mamma mia! A vestirli
tutti ci sarebbe stato da lavorare per tutta la vita. Così dopo numerose
trattative ed estenuanti riunioni erano riusciti a stabilire un accordo
vantaggioso per entrambi e i loro prossimi nuovi clienti cinesi
sarebbero presto venuti in Italia a firmare il contratto. Per Elisa e
Fabrizio questo accordo era molto importante, doveva essere preparato
tutto a dovere per l’arrivo degli ospiti orientali, niente doveva andare
storto altrimenti si sarebbe corso il rischio di far saltare l’accordo,
tra l’altro la fama da “Mestolo d’Oro” di Elisa, tramite gli stessi
collaboratori che avevano già assaggiato i suoi manicaretti, era per
l’appunto arrivata fino in Cina e i clienti curiosi e golosi avevano
deciso che la firma al contratto sarebbe stata apposta alla fine di un
lauto pasto consumato a casa dei due artisti, il sarto e la cuoca.
Intanto in cucina la vita scorreva tranquilla, si fa per dire,
come sempre. I robot da cucina e gli utensili più moderni correvano qua e
là tutto il giorno, intorno a piatti esotici o a veloci ma pur sempre
elaborati spuntini e tra una frullata e una macinata non abbandonavano
certo il loro hobby preferito, quello di insultare e canzonare i mestoli
antichi e gli utensili tradizionali, abbandonati senza speranza sopra
le mensole della cucina a far bella mostra di se ma niente più.
<Oggi mi sono fatto fuori tre banane, quattro mele e due pere,
in un sol colpo di lama> si vantava Frullatore e rivolgendosi ai
mestoli aggiunse <beh, a voi certo ci sarebbe voluto tutto il giorno
solo per sbucciarli, se i vostri ingranaggi rugginosi ancora girano,
dico no? Ah ah ah ah!>
<Come no> rispose Mixer <chissà se i loro ingranaggi
hanno ancora i denti, forse se li sono fatti otturare tutti, perché
erano pieni di carie rugginosa! Ah ah ah ah!>
<Sì, sono andati dal dentista dei mestoli ah ah ah ah>
aggiunse Coltello Elettrico <sicuramente qualche dente se lo sono
dovuto far levare e adesso parlano tutto cosci, sciao sciao, sciamo i
mesctoli scienscia denti, ah ah ah ah>
<Io ieri ho passato dieci litri di minestrone in tre minuti e
me lo sono fatto tutto a pezzetti piccini, piccini, piccini ma cosi
piccini che i padroni se lo sono potuto bere in un bicchiere> faceva
mostra di se Passatutto Elettrico e rivolgendosi al suo collega, oh
pardon, ex collega a manovella <e tu quante volte dovevi far girare
la tua lama sdentata prima di poter finire il tuo lavoro? E oggi
riusciresti ancora a farla girare, ah ah ah ah>
<No che non ci riuscirebbe, a manovella vanno loro, come i
carillon, tirititi tirititi, suonano sì, ma sono tutti stonati ormai! Ah
ah ah ah> disse Tostapane voglioso di poter anche lui aggiungere
anche la sua.
<O sole mioooooo, ghighighigoooo, stà n’frontammeeeeee,
gragragragreee, ah ah ah ah tutti stonati> concluse Spremiagrumi
<invece io senti come canto bene, senti come sono ben oliati i miei
ingranaggi, vrrrrrrrrrrrrr vrrrrrrrrrrr, vrrrrrrrrrrr! Ah ah ah ah!>
E così via senza mai fine, sì che la cucina sembrava sobbalzare
sotto il fragore delle risate di robot e utensili elettrici. Ogni giorno
era la stessa storia, tutte le volte che uno di quegli aggeggi
elettronici veniva utilizzato aveva sempre da fare la propria esibizione
canzonando i vecchi utensili ed ai mestoli abbandonati sopra le
mensole, non rimaneva che starsene zitti a subire. Proseguivano poi,
novellando delle prodezze compiute e dell’abilità dimostrata
nell’eseguirle, di quanto erano stati bravi, quanto avevano saputo fare,
quanto era orgogliosa di loro la padrona di casa e così via fino a non
poterne davvero più. Eh sì! Quei cosi a corrente avevano proprio bisogno
di una bella lezione. Ma cosa potevano fare i poveri mestoli di legno e
gli utensili a manovella contro i più moderni ritrovati della tecnica
culinaria? C’era davvero bisogno che accadesse qualcosa di inaspettato.
E quel qualcosa finalmente avvenne.
Era il gran giorno, anzi la gran sera, i cinesi erano arrivati e
tutto doveva filare liscio. Si erano trattenuti tutta la giornata in
fabbrica visitando i vari reparti ed erano rimasti molto soddisfatti
della scelta effettuata, i prodotti che si apprestavano ad acquistare
erano di ottima fattura ed avrebbero avuto un gran successo nelle
boutique della Cina. L’affare sarebbe stato sicuramente concluso, adesso
non rimaneva che gustare gli ottimi piatti che la rinomata cucina di
Elisa gli avrebbe presentato a conclusione della loro visita. La cuoca
infatti, subito dopo i primi convenevoli, se ne era subito scappata a
casa, si era rinchiusa in cucina ed aveva cominciato i preparativi per
quello che doveva essere il gran finale, un bicchiere di tisana calda
per rilassarsi ed un ultima occhiata al giornale prima di partire a
tutto vapore, aveva in mente un sacco idee nuove e si sarebbe divertita a
cucinare almeno quanto i suoi ospiti si sarebbero divertiti a gustare
le sue prelibatezze. Ma l’occhiata al giornale guastò il suo buonumore e
la tisana le andò a finire di traverso, la cronaca locale riportava una
notizia disastrosa! <ATTENZIONE> diceva a caratteri cubitali
<per lavori di manutenzione, nella giornata di oggi sarà tolta la
corrente a tutte le abitazione di viale dei tigli fino alle ore
21,00> questa proprio non ci voleva, Elisa si guardò attorno e solo
in quel momento si accorse che tutti i suoi elettrodomestici tacevano
addormentati, la corrente sarebbe tornata appena in tempo per l’arrivo
dei Cinesi ma cosa avrebbe dato loro da mangiare, senza corrente non era
in grado di far funzionare i suoi preziosi aiutanti di cucina, cosa
avrebbe combinato adesso e come sarebbe andata a finire la serata,
avrebbero firmato il contratto o sarebbe finito tutto quanto per aria?
Si consultò allora con il marito che, appena udita la notizia crollò
imbarazzatissimo sulla poltrona del suo ufficio, stavano appunto
parlando della cena con i manager stranieri e così dopo essersi
sbarazzato di loro, affidandoli al direttore del marketing, cominciò ad
elencare con la moglie le possibili alternative. Trattoria Lo Zozzone,
scartata, gli ospiti erano troppo eleganti per quel locale il rischio
che tutto potesse precipitare era esageratamente alto; Hao Mao
ristorante cinese, non era proprio il caso, i Cinesi non erano certo
venuti in Italia per mangiare i loro piatti nazionali; così avanti,
ristorante indiano Stai Mahl, nemmeno a parlarne e poi in fin dei conti i
loro clienti erano venuti fino in Italia proprio per assaggiare qualche
buon piatto speciale cucinato da Elisa, Fabrizio era disperato ma Elisa
doveva fare qualcosa, così dopo un attimo ancora di smarrimento la
brava cuoca ebbe un idea geniale, beh, per lo meno avrebbe tentato, si
sarebbe servita dei mestoli della nonna Berta e con quelli avrebbe
cucinato una serie di piatti tradizionali a cui gli antichi legni e i
vecchi metalli avrebbero certamente dato un sapore inimitabile.
Cominciò a sminuzzare la verdura con il macinino a mano, ne lessò
altra che dopo cotta, fu filtrata con il passatutto a manovella, per i
contorni grattugiò l’insalata a strisce, le carote a filini e il
formaggio a riccioli con le grattugie a mano, preparò condimenti e
arrosti, minestre e sughi e fu talmente allietata dalla soddisfazione
provata nell’utilizzare quegli utensili che si servì di tutti, ma
proprio di tutti, per preparare quella cena. Utilizzò i vecchi mestoli
di legno per agitare, mescolare, sciabordare; tagliò pane, formaggio e
carne con i coltelli della nonna; montò a neve le chiare d’uovo con il
frullino e addirittura triturò i chicchi nel vecchio macinino, sì anche
il caffè sarebbe stato preparato alla vecchia maniera e servito
nell’antica caffettiera napoletana con le tazzine di Capodimonte.
Insomma nessun utensile rimase sulla propria mensola, per fare questo o
per fare quello tutti furono utilizzati e tutti in coro come alpini si
misero a cantare la loro gioia e la loro rivalsa sui robot della cucina.
<La lallallalalalllalalallalala la la la la la ah sì sì sì era
proprio tanto che non macinavo, che bello sgranchirsi i denti, gnam gnam
gnam, e ora una bella sveglia al sapore di caffè> prese a
canterellare il macinino da caffè.
<Frulla frulla frullallà, quanto è bello girellar, frulla
frulla frullallà, uova e panna far montar.> canticchiava il frullino.
<Trita, sgrana, frulla e impasta quanto e bello far la pasta> cantavano in coro il passatutto e lo spiana pasta.
<Ma che bello cucinare, ma che bello far mangiare, ma che bello
tutti assieme in cucina scorrazzare> cantavano allegri e spensierati
mestoli e utensili <la corrente non ci occorre, maciniamo senza
fili, funzioniamo con le mani, siam contenti siam felici>
Mentre la cucina era tutto un turbinar di macinate, frullate e
rimestate, tutte debitamente a mano ed i poveri elettrodomestici se ne
dovettero rimanere in disparte miseramente spenti ed inutilizzati.
La cena fu un trionfo, i piatti furono spolverati uno dopo l’altro
ed i cinesi non smisero mai di mangiare, guardarsi fra di loro, annuire
con la testa e continuare a mangiare, per tutto il tempo. Dopo caffè,
ammazzacaffè e dolcetti, fiaccati dal gran numero di pietanze a cui
nessuno era stato in grado di rinunciare, satolli e soddisfatti i cinesi
confabularono brevemente fra di loro, prima scossero la testa, poi
annuirono ed infine sorrisero. A questo punto il capo della delegazione
si alzò, si complimentò con Elisa prima e con Fabrizio poi, dopodiché,
con la pancia piena ed il palato soddisfatto, pose entusiasta la sua
firma sul contratto confidando che se invece di vestiti avesse
acquistato cibo, quello di Elisa sarebbe stato sicuramente il più
venduto in tutta la Cina.
Intanto in cucina, sparsi fra tavoli, mensole ed acquai, i
mestoli, i passatutto, i macinini ed i frullini, esausti per il gran
lavoro, riposavano entusiasti di aver dato prova delle loro qualità.
Erano stati capaci di dar vita a piatti squisiti senza l’aiuto di nessun
motore elettrico ma solo con manovelle e ruote dentate che tra l’altro
non avevano per niente stonato, anzi avevano gorgheggiato come in un
opera lirica ed i loro acuti erano brillati nella penombra delle
candele, sparse per la stanza ad illuminare i lenti ed antichi ma
riusciti, preparativi per la cena. La rivincita era stata un vero
successo su tutta la linea, i robot da cucina allibiti di ciò che
avevano visto non sarebbero stati più in grado di proferire parola, in
futuro non avrebbero potuto far altro che rispettare ed ammirare gli
utensili tradizionali che, da quel giorno, non furono più abbandonati
sulle mensole. Elisa ricominciò ad utilizzarli quasi ogni