LE ORIGINI
Una pagina dedicata a coloro che mi hanno dato la possibilità di provare l'emozione della vita, quando in una notte d'inverno avvolti dal destino hanno distillato le loro anime nella mia.
I loro cuori il mio, per sempre in me, per sempre me, io infinitamente loro.
Questa foto è stata scattata intorno al 1933, seduto con il mandolino in mano mio padre, Marcello Cuccuini, che allora non doveva avere più di cinque sei anni. Credo sia stata una delle poche volte in cui ha avuto a che fare con uno strumento musicale però ha dato tutto di sé con la sua voce da basso. E' ancora lontano da quel 1943 che sarà per sempre la sua vita, gli anni della guerra coincidono con la sua adolescenza e nonostante questo gli rimarranno nel cuore come i migliori della sua vita. Nella poesia "L'uomo che amava i treni" c'è tutto il mio amore e il mio rispetto per questa sua malinconia. Possono accaderti le cose più meravigliose lungo tutto il corso della vita ma quel particolare momento in cui smetti di essere un bambino e hai la fortuna di non essere ancora grande, resta inciso in te in modo profondo e indelebile sovrastando inevitabilmente ogni altra esperienza. E' sicuramente a quei giorni che ha pensato durante gli ultimi respiri, è con quei ricordi che se n'è andato e sicuramente il suo Paradiso vive beato "tra il silenzio delle bombe e la calma della guerra".
Dietro di lui, riconoscibile dall'abbigliamento, suo zio Don Dante Cuccuini. Io l'ho conosciuto come parroco di Marcialla ma non so se lo fosse già all'epoca di questa foto, comunque siamo sicuramente in quella zona, non credo che allora avessero tante occasioni di spostarsi da Montespertoli per andare più lontano del colle di fronte.
Dietro alla sinistra di "Zio Dante" si affaccia mio nonno, Omero Cuccuini, ciabattino in Montespertoli. A vederlo in questa foto emerge tutto il carattere "Cuccuini" contro cui ho dovuto combattere, contro cui ho vinto ma che troppo spesso ancora mi tormenta. In prima fila per fare, in disparte per manifestare. Se cercate mio padre in una foto di gruppo è quello in fondo a sinistra dietro tutti che si abbassa per non farsi vedere e fa anche l'indifferente. Nonno Omero muore nel 1966, io ho un anno e nessun ricordo di lui, solo un paio di foto e aneddoti troppo lontani da raccontare quando più grande avrei potuto conoscere.
Davanti a nonno Omero, imponente e sicura di se c'è mia nonna Dina Cinelli, donna di casa e sarta. Nonna Dina terrà testa agli uomini di famiglia e riuscirà a mandare avanti la casa anche nei difficili momenti della seconda guerra mondiale e oltre. Caparbia, autoritaria, determinata, energica... tirchia... di quella tirchiaggine che tramanderà prima a mio padre e poi a me. Sarta tutta la vita fino a quando ha potuto, fino a che con quelle dita storte e i ritagli di giornale è riuscita a fare cartamodelli per la sua produzione tutta personale, fina a quando si è ritrovata a cucire soltanto vesti per le sue anziane coetanee, le uniche che ancora potevano servirsi della sua moda, anch'essa forse rimasta al '43. Egoista quanto la rustica campagna può crescerti e la miseria della guerra può farti diventare, di lei mio babbo diceva non l'avesse mai abbracciato e il suo più brutto ricordo era legato al Natale. Allora erano ben poche le decorazioni degli alberi e spesso erano commestibili, mio babbo si ricorda di un Babbo Natale di cioccolato, rivestito nella sua stagnola colorata e appeso al rametto più alto, silenzioso e beffardo a farsi agognare. Passate le feste di lui restava soltanto un cartoccio argentato nel cassetto del comò di mia nonna. Che delusione e che voglia di dolcezza, ma chi ne aveva più bisogno? Non preoccuparti babbo, la dolcezza la troverai e si chiamerà Marcella.
Ecco la mia mamma, Marcella Moroni, un oasi di dolcezza punteggiata dalla severità ereditata da nonna Genny. Certo ogni madre è puro amore per un figlio, ma quello che ammiro in lei è l'enormità del legame con mio babbo, un continuo battibecco contornato da atteggiamenti che rendevano palpabile l'intesa di fondo che c'era tra loro e il bisogno che avevano l'uno per l'altra, quel rifugio in cui rannicchiarsi per ritrovare sicurezza, pace e serenità. quel sentimento che ancora oggi sento presente in mia madre nel ricordo perenne di mio padre inciso a calde lettere sulla sua pelle colma di rughe e di bramosia dell'Amore del suo eterno sbadato, pasticcione Marcello.
Lavora come banconista in una confezione, qui conosce mio padre che viene assunto come ragioniere e da allora non si separeranno mai più e quella fabbrica diverrà il mio asilo nido, il mio parco giochi, il mio primo lavoro; erede dei loro sogni, delle loro speranze, insicurezze, concezioni e abitudini. I loro cuori sono ancora lì, fra impermeabili, conti, sorrisi e me che giro con la mia fiammante bici da cross, fra pezze di tessuto e macchine da cucire.
Il Matrimonio
Il ponte sospeso sulla Lima