Quell’autunno piovve
molto. Il cielo era perennemente ombroso e scuro. Nuvole plumbee e
minacciose correvano di qua e di là, scaricando il loro pesante fardello
di pioggia un po’ dovunque e Bosco Tondo fu letteralmente sommerso,
sotto i violenti temporali che contraddistinsero quell’antipasto di
inverno. Non fu però la forza delle intemperie a causare il danno
maggiore ma la scomparsa repentina del tepore estivo e la quasi completa
assenza di un raggio di sole, che insieme provocarono un vero e proprio
disastro. In conseguenza all’imperversare ininterrotto della pioggia,
le piante di Bosco Tondo, con in testa i Castagni e gli Ontani. decisero
che ormai, per quella stagione, avevano già portato a termine il loro
periodo di vegetazione. Fiori e frutti avevano compiuto il ciclo
completo e a questo punto, senza sole e senza calore, non potevano
sicuramente migliorare la loro produzione di bacche e frutta. Per la
stagione a venire, gli animali di Bosco Tondo si sarebbero dovuti
accontentare di quello che alberi e piante erano riusciti a produrre
fino a quel momento. Anche il vecchio melo e il pero che era nato solo
pochi anni addietro, si unirono al coro degli alberi di Bosco Tondo,
anticipando di comune accordo l’annuale riposo a cui tutti si attenevano
per preservare la specie e prepararsi alla febbrile primavera che certo
sarebbe arrivata al termine del loro letargo, dopo un lungo sonno
durato tutto l’inverno. Pini e Abeti sempreverde sarebbero rimasti a
guardia del bosco, pronti a dare l’allarme e la sveglia qualora fosse
accaduto qualcosa di straordinariamente importante. Conseguenza
inesorabile della decisione presa dalle piante di Bosco Tondo fu che,
contrariamente a quanto accadeva di norma ogni autunno, tutti gli alberi
di Bosco Tondo persero le foglie contemporaneamente e nel giro di
pochissimi giorni, invece che nei soliti due o tre mesi. Nel sottobosco
si venne a creare un altissimo strato di foglie, accatastate le une
sulle altre, tale da impedire anche agli animali più grandi di camminare
con il muso fuori da quella marea giallognola e moscia. Subito si
fecero sentire le proteste. Gli animali più piccoli come i topi, i ghiri
e perfino i tassi furono i primi a far sentire i loro versi. Chi
squittiva di qua, chi latrava di là, perfino castori e volpi non
riuscivano a districarsi in quell’ammasso di pacciame umido e
appiccicoso. Addirittura i lupi si trovarono in enorme difficoltà, non
solo non riuscivano a muoversi in quel pattume ma non lo facevano
nemmeno silenziosamente quanto sarebbe loro occorso per cacciare e
soprattutto non riuscivano a intravedere il pelo di una preda sotto a
tutte quelle foglie. Gli alberi già appisolati borbottarono qualche
scusa, gli animali si dovettero accontentare degli scarsi frutti che la
stagione aveva prodotto e l’autunno si concluse con un dura rottura fra
la specie animale e quella vegetale. A quel punto però l’inverno,
approfittando del timido autunno che non era riuscito a serbare neanche
un raggio del sole estivo, arrivò anticipato e improvviso, gelando tutto
Bosco Tondo fra i suoi aridi e freddi artigli. La neve cadde copiosa e
abbondante, ricoprendo in un battibaleno tutto quanto c’era sopra sotto,
dentro e intorno a Bosco tondo. Per fortuna però nel sottobosco c’era
un voluminoso strato di foglie su cui la neve si adagiò con prepotenza
ma che non riuscì comunque a oltrepassare. Questa combinazione di strati
provocò un evento fortuito e fortunato allo stesso tempo. Le foglie
erano così numerose che non avevano ancora avuto il modo di potersi
trasformare tutte nell'humus che avrebbe dovuto nutrire la terra e il
loro cumulo aveva bloccato la neve ad una certa altezza dal suolo. Gli
animali si trovarono così in breve tempo a poter usufruire, man mano che
le foglie marcivano, di una vera e propria galleria, estesa quanto
tutta Bosco Tondo. Sotto quella coltre di neve e foglie, quell’inverno
fu una vera pacchia, si poteva gironzolare tranquilli alla ricerca di
qualche briciola avanzata all’estate, brucare gli ultimi fili d’erba
rimasti o quelli più coraggiosi che spuntavano nuovi grazie al tepore
che si andò a formare sotto quel bianco mantello. Pure gli uccelli,
scesi attraverso tronchi cavi e piccoli passaggi, festeggiarono
allegramente quel rinfrancante inverno nella caverna più bianca e
splendente che fosse mai stata abitata. Gli unici per cui non ci fu
alcun cambiamento furono i Lupi, troppo grandi per passare sotto la
galleria, furono costretti a migrare nella vicina foresta per cercare
qualche preda da cacciare. Passerotti, quaglie, conigli selvatici, lepri
e fagiani invece, trascorsero tranquilli e riscaldati un inverno
davvero diverso. A primavera gli animali avrebbero certo trovato il modo
di scusarsi con gli alberi, ingiustamente rimproverati di aver
provocato quello che si era poi rivelato un simpatico e pratico
espediente per trascorrere il più caldo e tranquillo inverno che si
fosse mai visto a Bosco Tondo.
Racchiuso fra le dolci Colline della Melodia, appoggiato
soavemente sull’Altopiano dello Zibibbo, al limitare estremo del Pian
del Velluto, prima, molto ma molto prima di arrivare alle aspre e
incolte alture del Monte Ortica, ostico e inaccessibile anche ai
migliori scalatori, riposa rigoglioso e verde Bosco Tondo. Non sono
molte le strade che riescono ad aprirsi un varco, capace di arrivare
fino alle serene sommità del mite colle sul cui cocuzzolo si erge
allegro e frizzante Bosco Tondo. Bisogna davvero faticare un bel po’ se
non si conosce la strada e anche se dalla finestra della vostra
cameretta può sembrare facile, arrivare fino a Bosco Tondo in realtà è
quasi impossibile ed oltre che a molta ma molta, molta, molta fantasia,
occorre anche tanta, davvero tanta, tanta, tanta allegria e un pizzico
di fortuna. A volte è il caso che ci può far imbattere nella via più
breve per Bosco Tondo ma è sempre preferibile goderselo da lontano,
dentro il proprio cuore, che non invaderlo senza nemmeno potersi
immaginare quali guai stiamo in realtà combinando.
Fu proprio il caso a
far giungere la sgangherata automobile di Gerardo fino a Bosco Tondo.
Era la prima e per fortuna fu anche l’ultima volta che nel bosco se ne
vide una. Berta, così era soprannominata la carcassa su ruote che
scorrazzava Gerardo di qua e di là. Era vecchia, più di trent’anni, che
per un auto è un’età di tutto riguardo, hai già i parasole bianchi,
tossisci ad ogni messa in moto e più che andare avanti arranchi per le
vie più tranquille senza azzardarti ad entrare in autostrada. Berta
faceva del suo meglio ma era Gerardo che spensierato com’era, non se ne
curava abbastanza, come non si prendeva cura di se stesso. A vederlo non
era proprio un tipo perfetto, vestiva trasandato, come la sua auto che
era piena di bottiglie vuote e briciole che bivaccavano allegre sotto i
tappetini ed anche sopra e negli interstizi più reconditi ma anche
placide e tranquille sui sedili posteriori. Più che camminare zigzagava,
come la sua auto che aveva sicuramente bisogno di una urgente
convergenza alle ruote. Sfortuna volle che Gerardo si trovasse
d’improvviso davanti al meraviglioso spettacolo che offre la vista di
Bosco Tondo. Dopo essere rimasto più di dieci minuti a rimirarlo con la
bocca spalancata e purtroppo anche con il motore di Berta acceso e
sfumacchiante, Gerardo si decise a spengere il motore e finalmente a
scendere. Passeggiò, per non si sa più quanto tempo, nel fresco
dell’ombra di castagni, abeti e ontani, cogliendo more, ribes e lamponi,
macchiandosi di cremisi le mani, i polsini e perfino il colletto della
camicia. Tornò all’auto e pensò bene di continuare quel bucolico
bivacco. Tirò fuori dalla bauliera un plaid di lana che vivacchiava
intorno a buchi grossi come girasoli, racimolò un paio di lattine, delle
patatine e dei biscotti e diede vita al suo personale pic-nic. Formiche
ed insetti si gettarono come avvoltoi su quel generoso pasto e fecero
fuori tutto quanto c’era di commestibile che Gerardo non fosse riuscito
ad infilarsi in bocca. Quando il sole era ormai quasi tramontato Gerardo
ritenne fosse giunto il momento di ritrovare la strada di casa.
Raccolse il plaid, ne fece un informe pallottola e lo gettò in macchina,
prese posto e mise in modo la povera Berta gracchiando e sbuffando e
dopo aver affumicato scoiattoli, passeri, volpi e calabroni, partì ala
volta della sua destinazione, lasciando nell’aria il ricordo oleoso e
indelebile del suo avvento e sul prato bottiglie, cartacce e sacchetti
di plastica che avrebbero ornato la piccola radura in mezzo a Bosco
Tondo, per i prossimi mille o duemila anni. Ma Bosco Tondo è un
esperienza che lascia il segno, anche negli animi più distratti come
quello di Gerardo. Infatti dopo aver compiuto poco più di due o trecento
metri di strada, lo spensierato visitatore dell’ameno boschetto arrestò
bruscamente la sorpresa Berta, ingranò la retromarcia grattando gli
ultimi due o tre denti che erano rimasti nel cambio e fece ritorno al
piccolo immondezzaio che aveva abbandonato in pieno Bosco Tondo.
Raccolse tutto con calma, infilò gli avanzi in un sacchetto e lo poggiò
sul tappetino accanto al posto di guida, formulando nel contempo un
serafico ed inaspettato pensiero mentre girava intorno all'autovettura
per montare su e partire di nuovo. Avrebbe dato una bella pulita alla
cara Berta e anche una visita dal meccanico non le avrebbe certo fatto
male, magari se l‘avesse rimessa a posto, avrebbe anche potuto
partecipare alla sfilata d’auto d’epoca che rombava ogni anno sotto il
suo terrazzo e volesse il cielo non avrebbe inquinato più così tanto.
Ogni mattina Gerardo si alza presto e prima di andare in bagno a
prepararsi apre la finestra e da lontano si gode il meraviglioso
panorama che gli si pone davanti, il quieto splendore della vista delle
verdi cime che incoronano il sereno e placido Bosco Tondo.
Se lo si potesse vedere dall’alto, Bosco Tondo avrebbe la forma di
un cuore. No, non come quello vero e proprio, tutto bitorzoluto, con
canali, tubi e tubicini che entrano ed escono da ogni dove e che tra
l’altro non sta mai fermo un attimo, per fortuna direi, così che nessuno
può vedere davvero che forma abbia. No, no, non come quello ma come i
cuori degli innamorati, con due enormi precise e dolci curve, riunite in
alto proprio dove ha trovato posto un piccolo laghetto e in basso a
formare la punta che si incunea precisa fra le propaggini dell’altipiano
che lo circonda. Solo gli uccelli hanno la fortuna di poter ammirare
questo unico, particolare, armonioso disegno sul mondo. Perfino gli
uccelli migratori che ogni anno passano sopra Bosco Tondo, si fermano a
riposare tra le chiome dei suoi alberi, attratti dalla vista di questo
meraviglioso luogo d’amore.
Forse quell’anno erano
partite con un po’ troppo ritardo o forse il gelo della brutta stagione
in arrivo aveva fatto sentire le sue tenaglie troppo all'improvviso,
fatto é che le cicogne di Belamutka, quell’inverno si ritrovarono nel
bel mezzo di un grosso, grosso ma proprio grosso, grosso guaio. Come
tutti sappiamo e chi non lo sapeva lo scopre adesso, le cicogne sono
uccelli migratori che volano al sud a riscaldarsi, prima di tornare ai
loro nidi a covare le uova che si schiuderanno a primavera inoltrata nei
tepori del mese di maggio. Vivono al nord per tutta la bella stagione,
si godono le temperature miti, fanno nuove conoscenze, curano il loro
nido che di solito è costruito in cima ai pali della luce o nelle bocche
dei camini spenti, vanno in giro a cercare il cibo per se e per i loro
piccoli e quando rimane loro un attimo di tempo, si godono il meritato
riposo sonnecchiando, volando sopra a panorami che solo loro hanno la
fortuna di poter ammirare quando vogliono o guardando stupite la gente
che passa e magari si ferma a fotografarle e pensano a quanto sia buffa
quella specie senza ali ne piume e con quelle zampe così lunghe. Come
all’arrivo di ogni autunno, le cicogne anche per quell’anno avevano
cominciato a prepararsi per affrontare il lungo viaggio che le aspettava
di li a poco. Le più anziane, che poi erano le più esperte perché
avevano già compiuto decine di viaggi in su e in giù per tutto il
continente, furono come sempre le prime ad alzarsi in volo. Planavano
intorno ai loro nidi per ore e ore annusando l’aria e scrutando
l’orizzonte, nell’attesa di cogliere il segnale che avrebbe scatenato la
grande migrazione. La bella stagione si protrasse un troppo a lungo e
forse il raffreddore giocò loro un brutto scherzo ma aspetta, aspetta,
andò a finire che si ritrovarono a dover partire d'improvviso e in tutta
fretta che era già dicembre e nelle case i primi alberi di natale
facevano brillare le loro luci. Si alzarono in volo tutte assieme
oscurando per un attimo il cielo grigio che le circondava, grandi e
piccole, più o meno esperte, tutte si librarono in aria con quella
grazia un po’ titubante che le contraddistingue fra gli altri uccelli.
Il corpo grande, il becco e le zampe sproporzionate a tutto il resto, le
ali aperte in un volo silenzioso e quella strana illusione ottica che
ti fa strusciare gli occhi quando le guardi, sembra proprio che portino
stretto nel becco le falde di un fagottino bianco candido, da cui pare
proprio sporga un braccino liscio e roseo e un ciuffo biondo di capelli.
Vuoi vedere che davvero le cicogne portano i bambini? Ma appena la
vista si fa più chiara d’improvviso scompare quell’alone intorno a loro e
vedi solo cicogne che veleggiano fiere verso la loro meta. La loro meta
però quell’anno era un po’ troppo lontana e quando arrivò Natale erano
appena sopra Bosco Tondo. Ogni anno, durante la loro traversata
intercontinentale, avevano sorvolato il piccolo cuore verde di Bosco
Tondo e ogni anno le più giovani si abbassavano il più possibile, per
vedere da vicino quel particolare e stravagante panorama. Qualcuna lo
aveva visitato velocemente, librandosi fra le cime degli abeti e dei
castagni, prima di affannarsi a riprendere lo stormo, che nel frattempo
se ne era volato via. Fu proprio grazie a queste fuggevoli visite,
compiute in gioventù che la Capo Cicogna Fernanda prese quella
imprevedibile, sorprendente ma necessaria decisione. Lo stormo delle
cicogne si sarebbe fermato a Bosco Tondo. Discesero planando ampi cerchi
intorno al cuore verde e una ad una, posarono le loro zampone
intirizzite sulla soffice neve che copriva ogni stelo d’erba tutto
intorno. Fernanda riunì attorno a se tutte le sventurate compagne in
modo da riuscire a scaldarsi a vicenda, quella notte si sarebbero
riposate e all’alba avrebbero ripreso il volo, sperando che il tempo
concedesse loro una mattinata mite e senza vento che le accompagnasse
fino alla loro destinazione. Il tempo fu però inclemente il mattino
dopo, che tra l'altro era il giorno di Natale, una bufera di neve
circondava Bosco Tondo e l’altipiano intorno. Le cicogne con tutta
quelle neve addosso non riuscivano nemmeno ad alzarsi in volo. Era la
fine per loro, non avrebbero raggiunto le calde mete ai confini del
deserto e forse a primavera qualcuno le avrebbe scoperte ancora
congelate. Ma a Bosco Tondo si era velocemente sparsa la voce di questo
inaspettato arrivo dal cielo, gli animali di tutto il boschetto si erano
riuniti e avevano deciso di dare una mano alle povere cicogne. Tassi,
ghiri, topi, passerotti, due merli, la famiglia delle volpi, tutti gli
scoiattoli e perfino il branco di lupi di monte Ortica, portarono
qualcosa da mangiare alle cicogne, semi, noci, erba fresca, fieno
portato via nei lontani campi dai lupi, tutti offrirono un po’ di
ristoro a Fernanda e alle sue compagne. Gli animali con la pelliccia si
offrirono addirittura di scaldarle con il loro pelo e ogni cicogna trovò
rifugio nelle mille tane degli animali di Bosco Tondo. Il mattino dopo
il sole splendeva, la temperatura era salita di parecchi gradi e le
cicogne riscaldate, ristorate e rifocillate, poterono riprendere il volo
e raggiungere, di li a pochi giorni, i caldissimi lidi del caldo sud.
Fernanda e le sue amiche sorvolano ogni anno Bosco tondo e portano
sempre un sacco di doni agli abitanti del boschetto, buon cibo che
d’estate hanno messo da parte per tassi, passerotti, merli e volpi e che
viene distribuito fra tutti gli ospiti del bosco durante i
festeggiamenti per la ricorrenza del giorno in cui arrivarono Fernanda e
le sue cicogne. È bello Natale a Bosco Tondo.
A Bosco Tondo nessuno si sente mai solo! C'è sempre un suono, un
fruscio, il verso di qualcuno dei tantissimi animaletti che lo abitano,
che ti tiene compagnia. Anche nelle notti più fredde, più buie e più
quiete il silenzio non riesce mai ad imperare. Non ci sono però rumori
fastidiosi, automobili che strombazzano, aerei supersonici che
sfrecciano impudenti nei cieli colmi di smog o canzoni sguaiate a
disturbare le giornate spensierate e le serene nottate. Solo un lieve
muover di fronde, lo zampettio di un uccellino o il suo melodioso
cinguettio. In qualsiasi momento ti senti in compagnia, protetto, sicuro
e coccolato. Chi riesce ad arrivare in sogno fino a Bosco Tondo, ha la
certezza di addormentarsi sereno e rilassato come non mai ed al
risveglio, non può che sentirsi ristorato e pronto ad affrontare con
gioia ed energia un altro meraviglioso giorno pieno di allettanti
sorprese. Vivere sentendosi immerso nel bosco con i suoi profumi ed i
melodiosi suoni.
La solitudine per lui
era un punto di principio. Tanto ma tanto, davvero tanto tempo fa gli
uccellini si posavano ancora sulle sue fronde ma ormai nessuno provava
più ad avvicinarsi al vecchio Romito, un cipresso che da anni ed anni
aveva messo le sue radici al limitare di Bosco tondo. Appena appena
fuori, da non confondersi con tutti gli altri alberi. Era nato da un
seme che era rotolato lentamente lungo un lieve pendio del bosco e che
per chissà quale serie di combinazioni era andato a finire così lontano
da tutti i cipressi e da qualsiasi altro albero. Aveva messo fuori le
sue prime foglioline in un grigio mattino piovoso di primavera, che sì
aveva favorito la sua nascita ma di certo la vista di quel cielo così
scuro, non gli instillò buon umore. Tanto che da quel giorno essere
burbero e scontroso fu la sua occupazione principale. Era poco più alto
di un corvo adulto e già aveva reso la sua corteccia più dura delle
pietre del Monte Corazza che dall'alto delle nuvole, poteva godere della
meravigliosa visuale dell'intero bosco, e già a quei tempi era un
verdeggiante cuore in una pacifica valle. Quando poi raggiunse l'altezza
sufficiente per poter davvero essere definito albero; i pochi che
avevano provato a chiamarlo alberello avevano dovuto subire le sue ire,
le sue invettive e se erano capitati a portata di fronda anche la sua
vendetta; Romito consolidò la sua ruvidezza nei confronti del prossimo,
vegetale, animale e minerale che fosse. Le sue radici si infilavano
prepotenti nella pianura scalzando sassi, pietruzze e macigni,
succhiando senza ritegno tutto il nutrimento che la buona terra della
valle di Bosco Tondo è capace di offrire, tanto da privare di ogni tipo
di sussistenza anche i pochi fili d'erba che si erano avventurati
all'ombra della sua chioma. Spaventati e affamati se ne erano dovuti
allontanare in cerca di terra fertile, lasciando intorno al tronco di
Romito un cerchio arido e granitico sul quale non avrebbe attecchito
nemmeno la gramigna. Per non parlare poi del trattamento a cui furono
sottoposti gli ultimi sventurati avventurieri che, per sbadataggine o
per testardaggine si trovarono a passare sotto i suoi rami o a posarsi
tra le sue verdi e ingenerose fronde. Fossero stati lombrichi, tassi,
faine, lupi od orsi, chi si era provato a ristorarsi all'ombra di Romito
si era beccato una delle sue piccole rotonde e veramente dure, pigne in
testa. Un orso che si era appoggiato al suo tronco per grattarsi ben
bene la schiena e trovare meritato sollievo usufruendo di quello
spazzolone naturale, era stato colto da una gragnola di pigne tale da
riempirgli la zucca di bernoccoli che gli dolsero per un intera
settimana e certamente non gli fecero dimenticare di stare alla larga di
Romito. I pochi uccellini che ancora cercavano riposo e cibo sui suoi
rami si trovavano scaraventati di sotto dagli improvvisi movimenti del
tronco e dei rami. Perfino larve, cavallette e tarli se n'erano andati
da un'altra parte, il vero parassita sembrava proprio lo scorbutico
cipresso. Romito era rimasto finalmente e definitivamente solo o almeno
così sembrò. Per un po' tutto Bosco Tondo si era preoccupato dello
strano caso del cipresso Romito ma alla fine, dopo vari, inutili e
spesso dolorosi tentativi, con cadute e bernoccoli vari, nessuno si curò
più del vecchio scontroso e burbero Romito, se non per raccontare
qualche storia in cui lo si poteva incontrare come protagonista
negativo. Forse fu a quel punto che qualcosa cambiò davvero, quando
infine Romito, che da sempre aveva voluto restarsene da solo, si era
ritrovato ad essere solo davvero! Da quel momento cominciò a guardare
gli alberi di Bosco Tondo con un po' di melanconia e addirittura un
mattino di sole particolarmente brillante, formulò un pensiero davvero
inusuale per lui, decidendo che in fondo, se una faina fosse passata tra
le sue radici, non sarebbe stato poi un così gran danno e magari si
poteva fermare un lupo a cercare refrigerio sotto il suo cappello verde o
addirittura un passerotto stanco avrebbe anche potuto fermarsi un
attimo su uno dei suoi rami. Ma tutto questo non accadde, non accadeva e
non poteva certo accadere, nessuno si sarebbe mai avvicinato a Romito,
nemmeno per scommessa. Fu per caso, si sa le cose accadono sempre per
caso, che in un momento di particolare tristezza, uno dei suoi legnosi
frutti cadde sull'arido suolo che lo circondava. Quella che fino ad
allora sarebbe stata una malaugurata semina, fece venire una
meravigliosa, finalmente, idea al burbero Cipresso. Alla prima pioggia
cercò di raccogliere fra i suoi capienti rami più acqua che avesse
potuto per poi scrollarsela di dosso un poco per volta, in modo da
rendere umido e morbido il duro terreno su cui si ergeva. Le sue radici
cominciarono a lavorare la terra da sotto, come se stessero arando e
finalmente, con pazienza, riuscì a far accogliere fra le zolle il suo
frutto e continuando a curarlo con l'attenzione che tutti hanno con la
loro pianta preferita, riuscì a farlo germogliare. Ne venne fuori una
frizzante e briosa piantina che grazie alla sua allegria, si meritò
appieno il nome che Romito le trovò, Gaia. Gaia fu la sua prima vera
compagna! Romito attese con immensa pazienza alla sua nuova e per il
momento unica, amica. Le parlava ogni giorno, le raccontava di Bosco
Tondo e di tutti quegli animali che non si avvicinavano loro ma di cui
il bosco era pieno. Passarono tanti e tanti anni e Romito e Gaia insieme
diedero vita ad un gran numero di nuove piante, così numerose e
prolifiche che piano piano, il piccolo boschetto di cipressi ingrandì
fino a toccare Bosco Tondo. Quel primo contatto fu come sfiorare il sole
con le foglie, il calore che Romito riuscì a sentire tramite la catena
di cipressi che arrivava fino al bosco fu immenso. Gli arrivò così il
saluto ed il benvenuto di migliaia di insetti di uccelli e animali che
facendosi coraggio, cominciarono ad avvicinarsi alla colonia di
cipressi. Larve insetti e bacherozzoli di tutti i tipi trovarono casa
fra le pieghe della corteccia dei cipressi e Romito fu ben contento di
concedere addirittura alcuni dei suoi rami migliori ad una famiglia di
tarli. Tornarono anche gli uccelli che dapprima si posarono titubanti
sui rami e poi con il tempo nidificarono allegri fra le cime dei
cipressi. Gaia e Romito si divertivano un sacco quando capitava qualche
orso a grattarsi la schiena su uno dei loro tronchi, tanto che mentre
uno serviva da spazzola per la schiena l'altro si offriva di solleticare
la pancia del plantigrado con i suoi rami. Romito e Gaia erano davvero
felici, l'intera colonia di cipressi pullulava di vita, finalmente il
bosco viveva di nuovo insieme. È bello l'abbraccio di Bosco Tondo, qui
non sei mai triste perché c’è sempre posto per tutti.
A Bosco Tondo puoi trovare di tutto. Tutte le meraviglie della
natura le puoi ammirare in questo mondo incantato, racchiuso tra dolci
colline; verdi a primavera, gialle d'estate, brune d'autunno e bianche
d'inverno. Ogni stagione racchiude segreti che svela piano piano, calore
per i piccoli freddolosi, ristoro per i vagabondi affamati, sorgente
per i viandanti assetati, riposo per gli instancabili viaggiatori. Per
gli uccelli che costruiscono nidi, per i castori che creano le loro
dighe, per le talpe che scavano lunghissime tane, per chi caccia e per
chi fugge, alla sera c'è sempre un posto dove rinfrancarsi e
rigenerarsi, piluccare un po' di cibo e recuperare le energie per il
nuovo giorno. Pace, per gli animali di tutte le taglie, con il pelo, le
piume o le squame, come i piccoli pesci o le trote che abitano il
laghetto nel quale si rispecchiano le meraviglie di Bosco Tondo.
Certo, un posto dove
puoi trovare di tutto come Bosco Tondo, è sicuramente un luogo dove puoi
combinarne di tutti i colori, anche se ci ha già pensato Madre Natura.
Sì, perché le molteplici meraviglie che puoi ammirare a Bosco Tondo si
differenziano le une dalle altre anche per la moltitudine di colori che
le contraddistingue. Ci sono i gialli, i rossi ed i viola dei fiori di
campo, ci sono tutte le sfumature possibili del verde, da quello
dell'acqua del piccolo stagno, alle verdi chiome degli alberi con le
loro sfumature, ogni foglia un suo colore, ogni pianta la sua tonalità.
Ci sono i corvi, neri come la notte più buia, ci sono le fulve volpi e i
grigi lupi, le talpe color antracite, i passerotti marroni e i becchi
arancione delle papere. Poi ancora il bianco dei cigni e il viola delle
anatre. I colori hanno trovato un buon posto dove risplendere. Quello
che non si era mai visto a Bosco Tondo era un animale che li
rappresentasse tutti assieme. E a Bosco Tondo non poteva certo mancare
un esemplare del genere. Infatti un bel giorno passò per il bosco
Gedeone il Pavone. C'è da sottolineare subito che fra tutti i pavoni,
che notoriamente sono vanitosi e un bel po' narcisi, Gedeone era fra i
più superbi se non il più vanesio in assoluto. Quando camminava lo
faceva con la flemma tipica di chi non solo vuol essere osservato ma
vuol essere sicuro che lo si possa osservare bene. Non solo vuol
controllare che lo si ammiri ma vuol essere certo che si sia apprezzata
la sua rinomata bellezza e il non plus ultra delle meraviglie naturali,
che è la coda che si porta appresso. Un baraccone da fiera enorme.
Dapprima pare un insulso strascico che il povero uccello sia costretto a
trascinarsi dietro a fatica, ma che quando invece arriva il momento
adatto, al passaggio della prima pavoncella, sfodera in tutta la sua
maestosità. Beh! A quel punto non rimane che dargli completamente
ragione e rimanere a bocca aperta ad ammirarne la grazia, il portamento e
la rilucente gragnola di colori sfavillanti che nascono o si riflettono
sulle sue multicolori piume. A Bosco Tondo non se ne era mai visto uno
prima! Persino le formiche si misero in fila per correre ad ammirarlo e i
ragni si calarono giù dai rami per vederlo da vicino. Marmotte,
castori, daini, cerbiatti e volpi accorsero al richiamo del bosco. Tutti
rimanevano lì impalati, con la lingua penzoloni, ad ammirare tanta
meraviglia. Il pavone non attendeva altro. Per una settimana continuò a
gironzolare per tutto il sottobosco, tra le fronde e tra i rovi, lungo
le rive dello stagno e vicino ai prati. Gabbiani, germani reali, persino
aquile, fagiani e avvoltoi, raggiunti dalla voce che era planata di
becco in becco, erano volati in picchiata a vedere con i propri occhi la
fonte dei colori di cui tanto si cinguettava a Bosco Tondo e dintorni.
Tutti accorrevano al suo passaggio e Gedeone camminava con quel suo
incedere un po' gallinaceo che, con tanto che c'era da vedere, non dava
nell'occhio: Con quella coda aperta a ventaglio infilzata nel suo
fondoschiena, nessuno faceva caso al fatto che in fondo era un uccello
come ce n'erano tanti nei dintorni. Le cose nuove, dopo che le si sono
viste un paio di volte, non fanno più notizia e un bel giorno Gedeone si
rese conto al suo passare dimenando l'imponente sua coda, nessuno si
voltava più a guardarlo. Troppo si metteva a favore della luce,
lasciando che i raggi del sole si riflettessero sui suoi piumaggi
madreperlacei ma nessuno faceva più caso a lui. Nessuno accorreva da
lontano per ammirare Gedeone il Pavone, perché nessuna voce si spargeva
più in giro. Ormai Gedeone non faceva più notizia. Ormai le sue piume
erano parte delle sfumature eccentriche di cui ne era pieno il bosco e
si confondevano con i mille colori di piante, alberi, uccelli e animali.
Fuxia, bordò, fumè, granata, terra di Siena, blu oltremare, amaranto,
ocra e verde pisello con in alto l'azzurro più azzurro che pittore
avesse mai potuto disegnare, che cantante avesse mai potuto solfeggiare e
che nessun fiore avrebbe mai potuto profumare, il cielo terso e
limpido, leggera coltre di Bosco Tondo. Gedeone temette per la sua
fluente coda, poteva forse essere accaduto qualcosa che aveva potuto
danneggiarla o aver reso meno appariscenti i suoi sgargianti colori ma
dopo ripetuti controlli, si convinse che purtroppo niente di tutto
questo era accaduto, il motivo del disinteresse che lo circondava era
celato da qualche altra parte. Per timore di ciò che poteva essere
accaduto Gedeone prese ad osservare accuratamente il mondo che gli stava
attorno e di cui fino ad ora non si era certamente occupato. E
finalmente, sbalordito come non era mai stato se non quando si era
specchiato nelle chiare acque del laghetto del bosco, si rese conto
delle meraviglie che nascondeva Bosco Tondo, degli insetti e dei cervi,
dell'erba verde e delle farfalle colorate e fu rapito dalla meraviglia
dei colori che lo circondavano. Fu talmente inebriato da tanta bellezza
che si riprese solo quando si trovò a passare sotto il suo becco stupito
una bella pavoncella, più vanitosa di lui se mai fosse stato possibile.
Graziella la Pavoncella era accorsa ultima ma più interessata di tutti,
ad ammirare questo gran bel pavone di cui si narrava per i campi
attorno al bosco e prima ancora che lei se ne innamorasse, lui era già
cotto di lei. Tra le radici della grande quercia, in un'apertura nel
tronco grande abbastanza per far sbucare fuori un becco, cinguetta
affamata la piccola nidiata dei pavoni di Bosco Tondo. Gedeone non se
n'è più andato e Graziella e rimasta accanto a lui. Bosco Tondo, il
posto migliore per innamorarsi!
A bosco tondo tutti diventano più buoni. Non è proprio possibile
comportarsi altrimenti. Perfino i lupi riposano fianco a fianco con gli
agnellini, sotto le fresche fronde degli alberi di Bosco Tondo. Chi ha
fame trova sempre qualcuno che dividerà la propria ghianda per donare la
parte più grande. L'aria che respiri, i colori, i suoni, i sogni che
arrivano desiderosi dalle città, rendono questo cuore nel verde un luogo
d'amore. I bambini che al mattino presto si affacciano alle finestre
per ghermire un attimo di Bosco Tondo, prima che il cemento intorno a
loro faccia sparire tutto di nuovo, al primo suono della sveglia. È
l'amore di questi bimbi e di chi bimbo è rimasto che portano la bontà
fino al centro de Bosco Tondo. Fino al cuore di tutti.
C'è modo e modo di
vedere Bosco Tondo. Come tutte le meraviglie e in maniera particolare le
meraviglie della natura, ci si può perdere dentro, in una specie di
quella strana sindrome che coglie chi si lascia travolgere dalla
meravigliosità di un a pittura o di un opera d'arte. Allo stesso modo si
può svenire ammirando la bellezza unica e irripetibile che Madre Natura
ci pone sotto gli occhi ogni giorno e chi si trova davanti alle proprie
pupille una sublime visione come Bosco Tondo, non può che sentircisi
immerso completamente, farne parte, esserne una estensione ed una
concentrazione allo stesso tempo. Insomma chi riesce a vedere Bosco
Tondo ne rimane meravigliato, abbagliato, estasiato e non può certo
scordarlo. Queste sono certamente le parole più semplici per descrivere
la visione dell'unicità di Bosco Tondo. Ma, come sempre c'è e forse e
bene che ci sia, anche in questo caso c'è un ma! Chi non riesce oppure
addirittura non vuole ammirarne la bellezza, non può che ridursi a
denigrarlo e cercare di rovinarlo. Questo è ciò che accadde quando si
trovò a transitare all'ombra degli alberi verdi e rigogliosi di Bosco
Tondo, la malefica, maligna, maliziosa e chi più ne ha più ne metta
Malerba la strega superba. Non c'è niente di peggio per i superbi, che
si credono i meglio in tutto e quindi anche in bellezza, di trovarsi a
tu per tu con qualcosa che risulti oggettivamente, cioè chiaro e
lampante agli occhi di tutti, più bello di loro. Subito Malerba si rese
conto che il luogo dove era finita era un covo di bellezza, gioia e
armoniosità e Malerba non lo poteva certo sopportare. Uccellini che
cinguettavano, farfalle che svolazzavano colorate fra i fiori colorati,
scoiattoli che sgranocchiavano nocciole e nocciole che pendevano
spensierate dagli alberi, in attesa di diventare seme o pranzo. Era
troppo, il destino sciagurato l'aveva voluta ficcare in quel luogo, ai
suoi occhi, orribile e lei avrebbe vinto il destino trasformando quel
posto in un sito a cui nessuno avrebbe voluto certamente nemmeno passare
vicino. Già se l'immaginava, una palude putrida e marcia con nebbie che
non si diradano mai. O peggio ancora, una steppa arida sulla quale
avrebbe disseminato qua e la qualche piccolo scheletro di qualcuno di
quegli odiosi abitanti felici. Insulsi animaletti che appestavano quella
foresta di cui non riusciva nemmeno a pronunciare l'orribile nome
mieloso e appiccicoso. Proprio come la ragia sulla corteccia delle
piante, basta appoggiarsi un attimo per riposarsi e ti ritrovi tutto
impiastricciato di quelle appiccicose lacrime d'albero. Bosco tondo, che
nome! Foresta Nera, quello era un bell'appellativo ma se le fosse
riuscito bene ogni incantesimo, presto quel piccolo pianoro lo avrebbero
chiamato deserto della disperazione. Eh, eh, eh! Rideva e sghignazzava
mentre già vedeva in sogno il risultato dei suoi mille incantesimi.
Tanto per scaldarsi un po’ e riprendere confidenza con le più malefiche
maledizioni, prese a cambiare i papaveri in ortica e le margherite in
gramigna. Rideva Malerba ad ogni sparire di colore. Tramutò un paio di
colorite anatre in corvi e tre scoiattoli in grigie talpe e rise a
crepapelle, immaginando le piccole ossa di quei miseri animaletti
distese sul deserto che avrebbe creato per loro di li a poco. Giorno
dopo giorno sparirono tutti i fiori di Bosco tondo, tramutati come tutti
gli animali. Anche gli alberi cominciavano a venir trasformati in
tronchi pietrificati e il deserto prendeva ad avanzare a grandi passi.
Un bel giorno e certo si può dire ad alta voce che quello fu proprio un
bellissimo giorno, Malerba si accorse che tutto il suo gran lavorare,
maledire e magicare era stato inutile. Tutto il suo voler trasformare
Bosco Tondo in un immondezzaio era stata solo una mera speranza. Davanti
a lei si parava il deserto più bello che avesse mai visto, gli animali
che aveva trasformato si erano adattati al nuovo habitat e continuavano a
viverlo allegramente. Scorpioni, lucertole, serpenti, rose del deserto,
cactus e agave ornavano l'immensa distesa di sabbia come mai nessun
giardiniere avrebbe potuto disporre. L'animo colmo di amore di quel
dolce cuore che è Bosco Tondo, era rimasto integro e incontaminato
tramandandosi da pino a cactus, da scoiattolo a scorpione, da lupo a
serpente. Mutato nell'aspetto ma immutato nella sua semplice
armoniosità. Malerba non potè fare a meno di mettersi a piangere. Pianse
e pianse così tanto e per così tanti giorni che le sue tristi lacrime
irrigarono l'arido deserto appena costruito, fino a rendergli
l'originale aspetto. Bosco Tondo era tornato a fiorire dalle lacrime di
colei che per invidia lo aveva voluto distruggere. Malerba ha cambiato
nome, quello che aveva non si adattava certo ad un abitante di Bosco
Tondo. Si perché la strega, oops scusate, adesso non fa più nemmeno la
strega, Generosa la fata amorosa, questo è il nome che si è scelta,
adesso abita proprio tra le fresche fronde di Bosco Tondo. Colora di
azzurro i mattini di primavera e adorna di rosso i tramonti estivi,
soffia le foglie che cadono in autunno e sbianca la neve che d'inverno
si adagia sulla calda terra di Bosco Tondo. Se vi affacciate alle vostre
finestre, al mattino presto, appena prima che sorga il sole, la potete
vedere saltellare mentre rincorre un passero o gioca a nascondino con
una lucertola o fa la gara di nuoto con una salamandra nel mezzo del
placido laghetto di Bosco Tondo. Che ci volete fare, Bosco Tondo è così,
non si può non venir travolti dall'amore, lasciatevi andare anche voi,
ci troveremo tutti a correre sui verdi prati di Bosco tondo.
Quello che rende Bosco Tondo unico ed ineguagliabile, se ancora ci
fosse bisogno di dimostrarlo, è che in qualsiasi momento si dimostra il
luogo più ospitale nel quale ci si potrebbe imbattere. Quando fa caldo
puoi star sicuro di trovare ristoro fra le fresche fronde dei suoi
alberi, al riparo dai focosi raggi del sole che attraversano la trama
traforata del fogliame e disegnano arzigogoli e arabeschi fra l’erba su
cui ti puoi comodamente sdraiare a riposare. Quando è il freddo a
imperare niente di meglio che trovar rifugio in un tronco cavo, dove le
foglie cadute ti forniranno un comodo cuscino e il vivo legno il tepore
necessario, isolandoti dal gelo che ti circonda. Se piove e magari il
cielo ha deciso di scaricare anche qualche fulmine qua e là per prati e
foreste, meglio ripararsi in un antro o sotto qualche roccia sporgente
al sicuro dall'umidità ma anche dalle saette. Bosco Tondo è come una
madre con i suoi piccoli, comunque e dovunque ti protegge e se ti
smarrisci ti viene a cercare in sogno per riportarti tra le sue verdi
cime e coccolarti ancora un po’.
Glauco, Emilia,
Federico e Anna amano un sacco giocare tutti insieme. Sono quattro
fratelli, tra il primo e l'ultima ci corrono cinque anni a malapena e
sono molto affiatati e amici fra di loro. Come tutti i bambini, anche
loro, la cosa che riescono a fare meglio di tutte è certamente quella di
combinare guai. Ci sono infinite varianti di questa magistrale arte,
innata in ognuno di noi e che con il tempo un po' con dispiacere e un
po' per fortuna la maggior parte abbandona. Anche se c'è chi continua a
combinare guai per tutta la vita. Rompere ogni tipo di oggetto,
macchiarsi con i pennarelli o con il sugo degli spaghetti, infradiciarsi
da capo a piedi in pieno inverno e scottarsi con il phon in piena
estate sono attività sbalorditive per i grandi ma per gli scalmanati
fratelli, in realtà sono pane quotidiano. Fra i passatempi preferiti dei
quattro allegri bambini quello di affrontare una bella scampagnata è
certamente il più divertente e anche il più sano da praticare.
Immergersi a pieno nella natura, lasciarsi andare nel gran divertimento
dello scorrazzare allegramente. Senza rumori, gas di scarico e motorini
che sbucano da tutte le parti. Correre e rincorrere farfalle, cavallette
e ragni è uno spasso indimenticabile. Quando poi il divertimento è
maggiore é più facile perdere il senso del tempo, tanto che non appena è
iniziato il gioco già il sole si sta avviando al tramonto. Soprattutto
però è facile perdersi nello spazio intorno, nello spazio luminoso e
gioioso che circonda l'allegria. Glauco, Emilia, Federico e Anna quel
pomeriggio avevano salutato la mamma, ferma sulla soglia della loro casa
in collina a sventolare melodrammaticamente un fazzoletto. Ognuno con
in spalla il proprio zainetto pieno di leccornie, si erano avviati verso
il Pian del Velluto per un escursione che programmata da giorni. Si
erano organizzati davvero bene, vestiti, scarponi comodi, merendine,
giochi e balocchi, una coperta per stendersi a fare merenda e un sacco
di altre cose che ai grandi sarebbero sembrate superflue ma che per loro
erano sicuramente essenziali. Fu proprio un passeggiata meravigliosa,
tanto che non riuscivano più a smettere di camminare, allontanandosi un
po' troppo da casa. Svoltare un campo più in la di quello che credevano e
un albero prima di quanto avevano preventivato e perdersi fu un gioco
da ragazzi, anzi da bambini. Glauco, Emilia, Federico e Anna si erano
divertiti un mondo quel pomeriggio, si erano rincorsi tra fili biondi di
grano e macchie di rovi piene zeppe di more e bacche colorate e quando
era arrivato il momento di cominciare a riporre attrezzi e balocchi
avevano alzato il naso dal loro camminare e giocare per rendersi conto
che non sapevano per niente dove fossero mai andati a capitare. Il posto
era bellissimo, un bosco fresco e accogliente, colorato e pieno di
animaletti simpatici che zampettavano da tutte le parti, un luogo dove
piantare le proprie radici, dove costruire la casa sull'albero e il
capanno dei pirati, dove trascorrere una serata a guardare le stelle
illuminare il cielo, la meraviglia delle meraviglie. Ma un luogo da cui
non sapevano affatto come fare a tornare a casa. Anna, la più piccola,
si mise a piangere. Federico, appena più grande di lei, spese qualche
lacrimuccia. Emilia storse la bocca e guardo di sbieco Glauco, che si
strinse nelle spalle e con un gran sorriso restituì coraggio e allegria
ai propri fratelli. Si addentrarono nel bosco mentre cominciava ad
imbrunire, speranzosi di trovare qualcuno o che i loro genitori
sarebbero venuti a cercarli. A dir la verità erano tutti un po'
preoccupati, quella volta l'avevano combinata proprio grossa, i loro
genitori non gliela avrebbero perdonata. Si accovacciarono appoggiati al
tronco cavo di una grossa quercia e mentre intorno tutto diventava
buio, furono circondati da tutti gli animali di quel posto meraviglioso,
che ovviamente era Bosco Tondo. Lucciole a migliaia rischiararono tutto
intorno mentre scoiattoli, volpi e marmotte si avvicinarono loro per
tenerli al caldo e rassicurarli. Nessuno avrebbe fatto loro del male.
Passò un bel po' di tempo prima che qualcosa accadesse ma ad un tratto
si sentirono dei rumori in mezzo al bosco, i piccoli si strinsero
tremanti di paura temendo che potesse essere un orso affamato o un lupo
peggio che mai. Quando però la forma indistinta che si stava avvicinando
fu rischiarata dalla miriade di lucciole che li circondava, i quattro
spaventati pargoli poterono scorgere le facce sorridenti dei loro
genitori. Se il divertimento fa volare la tua fantasia l'unico posto
dove posso venire a cercarti è sicuramente Bosco Tondo, dove l'allegria,
l'amicizia e l'amore ti circondano come una calda coperta. Un posto
dove tutti sono passati, qualcuno l'ha scordato, qualcuno ancora se lo
ricorda, altri non lo dimenticheranno mai. I genitori, Mirko e Giulia,
quando avevano visto che si stava facendo tardi e i bambini non erano
ancora tornati, conoscendo quanto si volessero bene e quanto amassero
divertirsi, erano corsi subito a cercarli a Bosco Tondo, certi che li
avrebbero trovati, tremanti di fifa ma uniti più di prima, rintanati
nell'albero cavo. Anche Mirko e Giulia erano venuti a giocare a Bosco
Tondo durante i loro sogni.