della Pianura
Il
gelo era ormai passato, i ghiacci resistevano testardi sulla vetta del
Monte Sacro, ancora circondato da sciami di nebbie e fredde brine. Da
lassù l’aria fresca di nevaio lasciava discendere gli ultimi aliti della
stagione finita e anche se alla sommità della montagna solo in pieno
solare il calore si sarebbe fatto sentire, più in basso la Grande
Pianura era oramai completamente sgombra dalla fredda presenza della
neve. Il suolo ancora brullo già mostrava i primi coraggiosi fili d’erba
e qualche fiore frettoloso faceva capolino sotto tiepidi raggi di sole.
Fiorile se ne stava per esplodere con i suoi colori, con i profumi e
con i venti tiepidi della Grande Pianura, l’erba sarebbe cresciuta
rapida e alta, pronta a nascondere a proteggere ed a nutrire tutti gli
abitanti della valle. Damon era il nuovo Capobranco del popolo della
Vetta, la sua forza, la sua determinazione, l’innata saggezza, la
combattività e la fierezza, degna del più robusto nero e peloso stallone
che si fosse mai visto nella Grande Pianura, l’avevano reso il degno
successore del vecchio Salainok.
Il predecessore di Damon, nella lusinghiera ma faticosa carica di
guida per il Popolo dei cavalli della Vetta, era stato grande nella
saggezza e nel temperamento, condottiero insostituibile per il branco e
insuperabile componente del Consiglio a capo della Mandria che abitava
la Grande Pianura, un immensa distesa verde che si estendeva tra la
montagna, ripida e rocciosa e la foresta, fitta e buia. Salainok era
stato forte e capace con i devoti figli di Uin, dio di tutti i cavalli
ma, suo dolore e sconfitta, incapace di trattenere l’esuberanza e
l’arroganza del proprio figlio Galan, sfortuna per lui e per tutta la
pianura.
Galan era divenuto presto una triste leggenda ma la sua storia
aveva origine dalla verità. Era accaduto solo poco tempo addietro ed era
stato il peggior evento che il branco della Vetta avesse sofferto, di
più era stato il più orribile accadimento mai verificatosi in tutta la
Grande Pianura, sia per la Mandria che per tutti gli animali piccoli o
grandi che trovavano rifugio nella valle e che da essa traevano
sostegno. Un cavallo aveva ucciso un altro cavallo. Galan, figlio di
Salainok, aveva ucciso Nadir, padre di Damon e Ministro privato di
Salainok. Da allora il malefico cavallo vagava per chissà quali terre
lontane, ogni tanto tornava alla Grande Pianura per rubare del cibo o
per spaventare giumente e puledri, quel fiorile però il suo ritorno
aveva uno scopo ben preciso, doveva in qualche modo terminare ciò che
aveva cominciato.
Durante l’ultimo Nevaio il vecchio Salainok si era incamminato
mestamente verso la sommità del Monte Sacro, lungo il sentiero avrebbe
avuto il tempo di porsi le domande che nel corso della sua esistenza
erano rimaste senza risposta e certamente fra queste ce ne sarebbe stata
una bella sfilza dedicata al suo pur sempre amato ma irrecuperabile e
malefico figlio. Dalla cima avrebbe poi spiccato un ultimo grande salto e
si sarebbe ritrovato a galoppare nelle verdi distese del paradiso dei
cavalli, con i suoi avi ed i suoi compagni di mille corse tra i boccioli
profumati della Valle dei Fiori e le fresche ombre del Bosco dei Semi
Duri. Là, tra le celesti praterie del cielo, avrebbe sicuramente
ricevuto le risposte ai suoi interrogativi ed il giusto conforto per la
sua difficile paternità.
A capo di tutta la Mandria della Grande Pianura c’era il Consiglio
dei Dieci, si riuniva per ogni luna nuova ed era formato dai dieci
Capobranco dei popoli della pianura accompagnati dai loro fidi Ministri.
C’era il popolo della Piana, quello della Steppa, quello del Bosco, del
Colle, dei Fiori, della Costa, delle Caverne, del Ruscello, del Lago e
infine il popolo della Vetta. Ogni branco aveva occupato uno dei tanti
territori che formavano la Grande Pianura, i vari popoli erano in pace
tra loro e vivevano tutti felicemente riuniti nella vasta e generosa
valle. Qualche scaramuccia ogni tanto animava la pianura e soprattutto
nella stagione degli amori, i cavalli si fronteggiavano in scontri
impetuosi, si prodigavano in rapimenti di puledre e talvolta
effettuavano sconfinamenti un po’ troppo vistosi nei territori altrui,
tutte ghiotte occasioni per dare inizio a movimentate zuffe generali che
erano più vicine a dei folcloristici combattimenti che a delle vere e
proprie battaglie. Ogni popolo aveva il suo territorio da cui trarre
nutrimento, da accudire e da conservare fertile per le generazioni
future, tutti condividevano però i benefici e soprattutto la grande
abbondanza di cibo che la Grande Pianura offriva. La vera e propria
pianura era posta al centro degli altri territori e costituiva il
ritrovo di tutti i branchi ed il luogo dove i puledri scalciavano le
loro prime lotte, dove i cuori si rincorrevano al suono degli zoccoli e
dove i cavalli prima gareggiavano, vanitosi e arroganti e poi
conquistate le loro puledre, consumavano quieti e docili le giornate
della stagione amorosa che coronava poi gli sforzi di stalloni e
giumente con la nascita di nuovi puledri, nutrimento primario per la
vita di tutta la Mandria della Grande Pianura.
La giumenta avanzava lentamente, il sole era alto nel cielo ed il
calore che sprigionava ed irradiava sulla Grande Pianura era niente a
confronto di quello che la giovane Savannah sentiva crescergli dentro.
Portava avanti una zampa dopo l’altra, senza una meta, ritmando il
respiro con il suo lento trotterellare, cercando di far coincidere i
dolori dentro il suo ventre con il rumore degli zoccoli sulle dure rocce
della Vetta. Damon non l’abbandonava per un attimo, la seguiva
accompagnando i suoi passi a quelli di lei, sommando il rumore dei suoi
zoccoli ed il battito del proprio cuore a quelli della sfinita compagna.
Damon riusciva a tenere sotto controllo contemporaneamente la pianura e
la sua compagna, attento che non avessero a sorgere problemi o
contrattempi tra i componenti del suo popolo. Risse per il cibo o per
nuove conquiste potevano distrarlo dal suo principale interesse, proprio
nel momento cruciale dalla tanto attesa e desiderata nascita di un
puledrino, bello, sano, nero e con il pelo lungo. Girovagavano inquieti
alla ricerca di un luogo che li potesse accogliere per il parto, un
posto dove finalmente potersi fermare, con il passo ritmato, tenuto da
Savannah per contrastare le pulsioni interne che le stringevano il
ventre, si ritrovarono presto a calcare il morbido suolo della pianura,
così il loro erede avrebbe avuto quello della pianura come appellativo,
preceduto dal nome che avevano già scelto per lui: Aiko.
All’inizio apparve il naso, due nere narici che fiutarono l’aria
ancor prima di sapere che c’era un fuori da trovare, furono il suo
saluto alla Grande Pianura e tramite il suo primo respiro cominciò a
conoscere la valle che l’avrebbe accolto. Savannah continuava a
procedere lentamente, le sue zampe affaticate si trascinavano le une
dietro le altre fino a trovare un nuovo ritmo. Passo, contrazione,
guizzo in fuori del piccolo Aiko, che cercava di uscire dal ventre pur
sempre generoso ed accogliente della madre ma i profumi che cominciava a
catturare erano ben gradevoli ed attraenti ed in lui già premeva il
desiderio di conoscere questo posto così vario e così, così luminoso. Il
muso era infatti completamente uscito e la luce calda e sgargiante di
quel giorno di sole colpì gli occhi di Aiko, il piccolo puledro ancora
non riusciva a distinguere le forme ma poteva certo notare la differenza
fra la luminosità che l’attendeva nella valle ed il caldo ma buio
pancione della mamma. Con fatica per entrambi ma con naturalezza e senza
intoppi Aiko riuscì a poggiare le zampe anteriori a terra, potè così
assaggiare con i suoi zoccoli il sapore fresco della Pianura, poi
finalmente sgusciato completamente si ritrovò dritto su tutte e quattro
le zampe prima di crollare a terra dopo un breve istante. Damon, che
aveva seguito tutto con attenzione si avvicinò al puledrino per far
sentire il proprio odore, il proprio calore e il respiro, insieme alla
compagna lo carezzarono dolcemente strusciando muso contro muso, per
incoraggiarlo ad alzarsi. Ci fu un attimo di timore, le gambe fini come
piccoli arbusti tremarono appena poi Aiko si ritrovò in piedi e cominciò
a compiere i primi passi, i primi trotterellanti passi ed il primo
abbozzo di galoppo prima di franare sopra la morbida erba fra le
fragorose risate di Damon e di Savannh. Dopo un primo sbigottimento ed
un po’ di risentimento anche Aiko si mise a ridere e finalmente a
vivere. Quei primi giorni vicini al proprio puledro fecero ritornare
alla mente di Damon ricordi antichi e dolorosi, quelli della sua
giovinezza, quando suo Padre Nadir era Ministro del Popolo della Vetta,
fedele e laborioso assistente di Salainok, ricordarsi quei giorni fu un
po’ come viverli di nuovo, in tutta la loro intensità e fu come
riesumare un fantasma sepolto nel tempo.
Salainok era appena divenuto Capobranco, acclamato a gran nitrito
dal popolo della Vetta e benedetto dal gran dio Uin, protettore di tutti
i cavalli. Il branco era composto da un centinaio di meravigliosi
esemplari molti dei quali ostentavano un pelo nerissimo e lucido a
garanzia della loro appartenenza alla Vetta. Fra i più numerosi della
Grande Pianura il branco della Vetta occupava anche un posto di rilievo
nelle decisioni del Consiglio, il popolo della vetta aveva sempre
offerto dei saggi ed onesti consiglieri e per questo era sempre ben
visto e rispettato. Già da Ministro Salainok aveva contribuito alla
formazione di nuove leggi, sia per la spartizione del territorio che per
il controllo della situazione alimentare, contribuendo anche a
risolvere particolari problemi anche agli altri popoli. La sua compagna
Mariann, finita l’attesa, aveva partorito uno stupendo puledro, nero,
dal pelo lungo e dal forte nitrito, gli fu messo a nome Galan e poiché
era nato sulla dura roccia sarebbe stato chiamato Galan della Vetta e di
li a poche stagioni avrebbe rappresentato la più oscura sventura per
tutto il branco e per l’intera Mandria. Galan si sarebbe macchiato delle
peggiori infamie mai compiute in tutta la Pianura, già da piccolo la
disubbidienza, l’invidia e la cattiveria lo portavano a continue
punizioni che col tempo si rivelarono però inutili. Il padre nonostante
la sua posizione e le sue forti dottrine, faticava a riprenderlo e
addirittura durante una riunione del Consiglio dei Dieci fu proposta
l’ipotesi di cacciarlo dalla Pianura e più di uno dei partecipanti si
schierò a favore e addirittura il capo del Popolo della Steppa propose
di ucciderlo gettandolo dalla cima del Monte Sacro ma era ancora un
puledro, acerbo e un po’ troppo ribelle, crescendo avrebbe sicuramente
imparato e poi, in realtà, nessuno avrebbe avuto il coraggio di mettere
in pratica le pur giuste proposte che erano state lanciate durante quel
consiglio, mai era accaduto che un cavallo fosse allontanato dalla
Mandria, figuriamoci ucciderlo, il tempo avrebbe sicuramente fatto
dimenticare tutto questo e Galan un giorno sarebbe diventato un buon
Capobranco. Ma tutto questo non avvenne. Il tempo passava, Galan
cresceva e con lui cresceva la sua cattiveria, di notte compiva assurde
scorribande tra gli altri branchi per spaventare i piccoli puledri,
rubava le scorte di cibo, lottava con i cavalli più deboli, con i vecchi
stalloni malati, non era mai presente alle riunioni del branco e tanto
meno a quelle della Mandria. Non faceva parte del gruppo, ma la sua
indipendenza non era guidata da sani principi Galan cresceva e con lui
crescevano la sua cattiveria, il suo odio e la sua invidia nei confronti
di Nadir. Lo stallone era il padre di Damon e ricopriva una carica
molto importante, era infatti Ministro del Popolo della Vetta, era in
pratica colui che vigilava sul branco, che provvedeva a definire gli
scontri e che concordava nuove disposizioni e nuove leggi con gli altri
Ministri, colui insomma che operava materialmente le decisioni di
Salainok e del Consiglio dei Dieci e grazie alla sua carica, soprattutto
colui che un giorno ne avrebbe preso il posto. Ma quel posto lo voleva
Galan e lo voleva molto presto, non avrebbe atteso certo la morte del
padre, figuriamoci se si sarebbe messo in coda dietro a Nadir, Galan
avrebbe presto governato il popolo della Vetta e ne avrebbe fatto il
popolo guida di tutta la Mandria e lui sarebbe divenuto l’unico e solo
capo di tutti i cavalli della pianura e questi lo avrebbero dovuto
seguire, onorare, e assecondare.
L’odio e la follia di Galan arrivarono a fargli architettare un
piano per liberarsi di Nadir, galoppando a più non posso lo raggiunse
nei pressi del territorio del Lago e ancora trafelato, gli riferì che il
figlio Damon si era intestardito nei suoi propositi e nonostante i
consigli contrari che egli stesso aveva cercato di dare, era voluto
salire sulla cima del Monte Sacro per vedere con i propri occhi il
segreto della Vallata. Solo pochi istanti prima invece Damon e Galan
erano assieme nella Valle dei Fiori e là Galan aveva cominciato a
ricamare il suo malefico progetto.
Damon e Galan trotterellavano sulla distesa verde, immersa in un
fiorile caldo, come poche giornate riuscivano a regalare, l’erba ed i
fiori erano un manto variopinto a sfondo verde che si perdeva a vista
d’occhio. Gli uccellini volavano cantando, lanciando i loro acuti versi
per tutta la valle e le farfalle, come fiori ballerini, sembravano
proprio danzare, davanti agli occhi ingenui e curiosi di Damon, al ritmo
degli armoniosi suoni di rigogoli, passeri e usignoli. L’aria frizzante
entrava dalle narici e pizzicava dentro al naso facendo sentire tutta
la sua forza, tutta la potenza della natura, tutto il calore che il sole
donava, in quel meraviglioso fiorile inoltrato. Giornate spensierate un
po’ per tutti, momenti in cui chiunque si poteva ritrovare a correre
dietro alle farfalle, giorni in cui l’amore dava i propri frutti, giorni
in cui molte giumente davano alla luce i propri puledri. La stessa
epoca in cui, nel ciclo passato, anche Damon e Galan erano venuti alla
luce, entrambi in pieno giorno, baciati dal sole, uniti nella gioia
della nascita che in breve tempo si sarebbe trasformata però in una
sventurata unione di tristi eventi, tristi ricordi e tristi momenti e
che li avrebbe cuciti insieme per sempre, da amici prima e da nemici
poi.
Oltre la Valle dei Fiori, in fondo, quasi all’orizzonte guardando
verso il sole che sorge, la pianura si interrompeva bruscamente e la
dura roccia prendeva il posto dei colori e del verde dell’erba, la
scarna pietra scendeva ripida per un lungo tratto e là in fondo dove,
così si diceva, nessuno si era mai avventurato si vedevano luccicare le
anime dei sacri fondatori della mandria. In realtà un tempo qualcuno era
arrivato fino laggiù, era riuscito a tornare ed aveva raccontato ciò
che aveva visto. La verità era conosciuta solo dai componenti del
Consiglio dei Dieci e dai loro Ministri ed era gelosamente tenuta
segreta come tutte le sacre leggende sul Monte Sacro e sul dio Uin,
protettore dei cavalli della pianura, che abitava tra le nubi della
montagna ed estendeva il suo regno in tutta la volta celeste e le
migliaia e migliaia di anime dei saggi cavalli volavano in cielo ogni
notte e li si poteva vedere, in forma di stelle luccicanti nel buio del
cielo notturno poi, di giorno ridiscendevano sulla terra e si recavano a
pascolare nella Vallata, là dove, affacciandosi dalla Valle dei Fiori,
li si poteva vedere brillare e luccicare sotto la luce splendente del
sole. Nel profondo della gola rocciosa che si formava al di là della
Valle dei Fiori alle pendici del Monte Sacro, dalla parte opposta alla
Grande Pianura, in quella porzione di pianoro conosciuto come la
Vallata, si raccoglievano in realtà le ossa di tutti i cavalli che,
vecchi e affaticati avevano arrancato lungo gli stretti sentieri del
Monte Sacro e giunti sulla cima, dove si apriva un ampio spazio
leggermente degradante verso la vallata avevano, come diceva la
leggenda, spiccato l’ultimo salto verso una prateria celeste e piena di
stelle protettrici e amiche. I resti dei vecchi cavalli, morti sulla
cima del Monte Sacro, erano negli anni scivolati oltre il bordo della
montagna ed erano rotolati giù fino in fondo, fino alla Vallata e la si
erano raccolte le une sulle altre, stagione dopo stagione, branco dopo
branco per tutte le mandrie che si erano avvicendate nella Grande
Pianura. Adesso sul fondo della Vallata luccicavano, nelle giornate
calde e soleggiate, le ossa di migliaia e migliaia di cavalli, puledri,
stalloni e giumente che nel corso del tempo avevano percorso la lunga
salita del Monte Sacro, da soli o trasportati malati dai Ministri del
Popolo.
<Ma davvero mio padre ti ha detto questo?> chiese Damon fra un salto e una scrollata.
<Tuo padre mi ha chiesto di accompagnarti qui nella Valle dei
Fiori, lui ti avrebbe raggiunto più tardi, alla fine della riunione del
Consiglio dei Dieci> confermò mentendo Galan <Tuo padre ha
veramente intenzione di rivelarti il segreto della Vallata, purtroppo io
devo andarmene via subito, il mio grande padre Salainok mi attende per
darmi insegnamenti sul comando, per divenire il nuovo Capobranco della
Vetta.>
<Mio padre mi rivelerà il segreto, il segreto della
Vallata!> esclamò Damon strabuzzando gli occhi dalla gioia e dalla
curiosità <Il segreto, il segreto delle anime di mille cavalli, uau,
sai Galan sono proprio felice di questo e sono orgoglioso di meritarmi
questo premio da mio padre ma perché mi sono guadagnato un premio, cosa
ho fatto per ottenerlo, eh Galan cosa ti ha detto mio padre, cosa ti ha
detto?>
<Beh, come dire è una cosa che i padri importanti fanno per i
loro figli, tuo padre oggi ti rivelerà il segreto della Vallata, ti
racconterà tutto come già da tempo mio padre ha fatto con me> precisò
Galan continuando a mentire <poi tu, come me, dovrai conservare il
segreto e non raccontarlo mai a nessuno>
<Ma a nessuno nessuno, nemmeno agli altri puledri, nemmeno agli amici>
<No, mai> disse Galan non riuscendo più a smettere di
mentire <Anch’io non l’ho mai raccontato a nessuno, adesso potrei
tranquillamente svelarti il segreto ma non posso, sarà tuo padre a dirti
tutto, solo lui può raccontartelo>
<Va bene va bene non lo dirò a nessuno ma tu…, davvero tu non puoi dirmi niente, dai racconta ,dai solo un po’, dai>
<No!>
<Dai, su dai, solo un pochino pochino>
<Mmmh, vabbè, solo un pochino pochino però eh, solo un po’,
anzi no, guarda mi sembra proprio che stia arrivando qualcuno, io sarà
meglio che me ne vada, si allora vado, tu aspetta qui che tuo padre
arriverà fra poco e ti racconterà tutta la storia del segreto della
Vallata, poi fammi sapere eh mi raccomando> aggiunse allontanandosi
<io vado, ciao Damon, ciao ciao a presto.>
<Ciao Galan, ciao e grazie di tutto, ciao>
<Ciao ciao, si ciao stupido> mormorò tra sé Galan, ormai
lontano <Ciao ciao e aspetta pure tuo padre, che non arriverà mai, no
caro mio se tutto fila secondo i miei piani tuo padre non arriverà mai
più, ciao ciao sciocco puledrino, ciao ciao> e si gettò al galoppo.
Via verso la Vetta, doveva raggiungere Damon al più presto e mettere in
scena la seconda parte del piano, dopo essersi preso gioco del figlio
adesso doveva trottare a burlarsi del padre.
<Presto presto Nadir, presto presto> Galan arrivò trafelato
alle pendici della montagna, là dove cominciava il territorio del popolo
della Vetta. Nadir trotterellava tranquillamente controllando la
pianura e gli avvenimenti pacifici che vi accadevano quotidianamente,
pronto sempre e comunque ad intervenire per qualsiasi motivo.
<Cosa c’è Galan, cosa è mai successo> chiese diffidente al
puledro, ormai lo conosceva bene e sapeva quanto poco c’era da fidarsi
di lui.
<Presto Nadir> riprese trafelato <E’ Damon, è salito, io…
,io, glie l’ho detto di non farlo, ma lui…, lui ha tanto insistito>
<Cosa stai dicendo Galan di cosa stai parlando, per Uin>
<Damon, Damon è voluto salire per il sentiero, è… è voluto
salire, io… io non volevo, gli ho detto no… no, non andare ma …non sono
riuscito a fermarlo, mio padre, ha detto, mio padre sarà d’accordo, va
tutto bene mi ha detto ma io, io… non gli ho creduto e sono venuto qui
da te per dirti tutto>
<Allora Galan per favore, se vuoi davvero dirmi tutto
ricomincia da capo, parla e fallo con calma, cosa ha fatto Damon?>
<Allora ecco uhmm Damon è salito per il sentiero, ha detto che
voleva arrivare in cima, che voleva vedere il luogo da cui tutti
spiccano l’ultimo salto, per volare nelle pianure celesti, ha detto che
tu lo sapevi o che anche se non lo avessi saputo, sarebbe stato tutto a
posto che non c’erano problemi, lui voleva soltanto salire e poi tornare
indietro, da solo>
Nadir sapeva bene di cosa si trattava, più di una volta aveva
accompagnato cavalli vecchi o malati fino allo spiazzo sulla sommità
della montagna e sapeva quanto fosse duro e pericoloso il tragitto che
portava fino alla cima ed aveva visto con i propri occhi i corpi di
cavalli anziani e stanchi che, saliti sulla montagna da soli, avevano
abbandonato i loro corpi lungo il sentiero o erano caduti nei crepacci o
nelle strette gole disseminate lungo la strada. Nadir non pose altro
tempo in mezzo, partì al galoppo per raggiungere il piccolo Damon per
riuscire a fermarlo prima che fosse troppo tardi. Galan si gettò dietro
di lui e galoppò faticosamente sulla salita della montagna. Damon
intanto non aveva avuto la pazienza di aspettare il padre nella Valle
dei Fiori e non era molto distante dai due quando questi si misero a
galoppare verso il monte, rimase insospettito dalla scena che vide, così
impaurito e incuriosito prese anche lui a galoppare lungo il sentiero
che portava in cima al Monte Sacro.
Nadir giunse sulla cima del monte, era stanco, sfinito dal veloce
galoppo e dall’aver percorso l’intero sentiero in così breve tempo. Più
volte aveva salito la montagna ma sempre con calma, accompagnando
cavalli stanchi e malati ed alcune volte aveva impiegato un intero
giorno per giungere fino alla sommità, là dove si era poi separato da
loro dopo amorevoli parole di conforto e di amicizia. Quella volta
invece la foga, l’impeto e la paura per il figlio Damon, dettata dal suo
irrefrenabile istinto di padre, l’avevano portato sulla cima in
pochissimo tempo. Appena arrivato cominciò disperatamente a guardarsi
intorno nella speranza di vedere il figlio e di poter intervenire prima
che gli potesse accadere qualcosa ma intorno non vedeva nessuno e tutto
era silenzio. Quando un filo di fiato ritornò nei suoi forti polmoni,
cominciò a nitrire forte per chiamare Damon, il suo era un grido
disperato ed impaurito, nitriva, cercava, ascoltava ma intorno a lui
c’era solo il vuoto, si avvicinò senza ormai speranza al bordo del
precipizio, sicuro ormai di affacciarsi e di riconoscere sul fondo della
Vallata il corpo esanime del caro figlio. Galan era ancora molto
giovane ma la sua follia e il suo odio lo aiutarono a mantenere la
veloce andatura di Nadir, su per lo stretto sentiero, fra le tortuose
gole e in mezzo a tutti i pericoli della salita alla cima del Monte
Sacro, come Damon anche lui si era più volte ferito scivolando sui
friabili sassi del sentiero o colpendo col proprio corpo le dure rocce
che lo delimitavano ma per entrambi le ferite ricevute rappresentavano
soltanto un ulteriore stimolo a scalare ancora più rapidamente la
montagna, Galan raggiunse così il largo spiazzo sulla montagna e vide
Nadir sporgersi dal precipizio.
Damon si addentrò tra le strette viscere del Monte Sacro dietro a
Galan e al padre Nadir e lo fece, inizialmente, con tutta la sacralità
ed il rispetto che si usa quando il nostro corpo va a disturbare un
luogo sacro, i suoi passi erano lenti, cauti, e silenziosi e più il
sentiero diveniva ripido e stretto più Damon saliva lentamente,
guardandosi intorno impaurito dal luogo e dalla sua importanza, sentiva
più avanti i rumori delle veloci cavalcate del padre e di Galan e ad un
certo momento, facendosi coraggio, provò a chiamare Nadir, lo invocò ma
la sua flebile voce si frantumò alla prima stretta curva del sentiero e
non raggiunse le orecchie del padre. A quel punto Damon, un po’ con il
cuore, un po’ con la ragione acquistò quella decisione e quella fierezza
che lo avrebbero poi contraddistinto da adulto e partì al galoppo,
anche se, durante quel tragitto, ancora i suoi giovani occhi avevano da
vedere cose molto più spaventose di uno stretto, tortuoso e buio
sentiero. Cominciò galoppare incurante del sacro suolo su cui posava i
suoi zoccoli anche se la sua andatura era frenata dalla pericolosità e
dalla difficoltà del percorso, lungo i lati della stradina vedeva ogni
tanto dei piccoli monti di strani sassi con strane forme e più ne vedeva
e più si rendeva conto che non erano sassi, fino a che non ne trovò uno
con ancora tutte le ossa ben saldate fra di loro e potè rendersi conto
di cosa realmente fossero. Cavalli o perlomeno quello che ne restava.
Zampe, teste, corpi vuoti e inanimati, tutto ad un tratto il sentiero
sembrò ancora più stretto, ancora più buio, le pareti sembravano
piegarsi addosso a lui, i rami dei pochi arbusti sembrava che lo
volessero ghermire, che si volessero impossessare di lui, sembrava
desiderassero fermare la sua cavalcata verso la cima, verso il luogo
dove suo padre lo stava cercando, riconobbe il nitrito di Nadir che
invocava il suo nome, suo padre si disperava e Galan, il suo strano e
temibile amico, era con lui. Ma erano insieme per lo stesso scopo o
avevano due diversi desideri da soddisfare, quelle insistenti e
maldicenti voci sulla superbia del suo amico Galan erano false o avevano
un fondamento di verità. Non si rese conto allora e ripensandoci non si
è mai saputo dare una risposta, se fu la paura di quel luogo sacro e
misterioso, se fu la rabbia verso quel Galan che lui credeva amico o
l’amore per il padre ma le sue zampe misero letteralmente le ali, i suoi
zoccoli non toccavano il suolo sembrava come trasportato dalle forti
aquile della Vetta. La sua corsa fu però inutile, giunto alla fine del
sentiero appena affacciatosi sul largo spiazzo alla sommità del monte,
la scena che gli apparve dinanzi fu la più straziante e dolorosa che i
suoi occhi avrebbero mai visto.
I due cavalli stavano lottando furiosamente, Galan aveva sorpreso
Nadir proprio vicino al precipizio e adesso stava cercando di gettarlo
di sotto con tutta la sua prepotenza e la sua folle rabbia. I due non si
risparmiavano i colpi, fieri e imbizzarriti l’uno davanti all’altro,
con gli zoccoli che scalpitavano sullo spigolo del dirupo, feriti in più
parti del corpo dalla corsa lungo il sentiero, dalla lotta, dai morsi e
dai calci che si scambiavano con grinta e con furore ma alla fine fu
una mossa di Galan a terminare la lotta, con le zampe posteriori si
puntò e con quelle anteriori riuscì a colpire Nadir che fu spinto nel
vuoto della Vallata. Si udì un atroce nitrito e poi solo la voce di
Damon che gridava il nome di suo padre.
E fu gridando che Damon percorse all’indietro il sentiero e
ritornò sfinito e sgomento verso la valle, i suoi nitriti si sentirono
per tutta la Grande Pianura, amplificati dalle strette gole della
montagna si riversarono, come un fiume in piena, verso le orecchie dei
cavalli che stavano placidamente pascolando. Tutta la mandria si riversò
alle falde del monte incontro ai nitriti disperati di Damon, nessuno
riusciva a capire cosa stesse mai succedendo e quando il figlio di Nadir
apparve furono tutti colpiti dal tormento che gli si leggeva sul muso.
<L’ha ucciso> gridò <Galan ha ucciso mio padre Nadir!>
La mandria cominciò prima a mormorare e poi a sollevarsi.
<Come è mai potuto accadere?> c’era chi si chiedeva.
<Io lo sapevo che quello era un poco di buono!> c’era chi esclamava.
<Presto cerchiamolo> gridavano i cavalli imbizzarriti
<Dov’è andato?> chiedevano.
<Chi lo ha visto?> domandavano.
<Dobbiamo cercarlo, presto organizziamo delle squadre>
<Popolo della Steppa seguitemi> nitrì il loro Capobranco
<Voi del Lago, da questa parte>
<Cavalli della Steppa al galoppo>
<Presto branco della Vetta cercate mio figlio> nitrì
Salainok <E che sia fatta per lui la giustizia che merita>
aggiunse demoralizzato e sconfitto l’umile Capobranco.
Il popolo della Vetta e la mandria tutta rimasero sbigottiti
nell’ascoltare le parole del povero Salinok ma la su fedeltà al popolo
della Grande Pianura andava al di là di ogni altro diritto ed inoltre
l’affronto subito da Nadir, dalla sua famiglia, dal suo popolo e
dall’intera Mandria era arrivato nel profondo del suo cuore ed aveva
colpito duro. Non era mai riuscito da solo a controllare e contrastare
il proprio figlio ed era riuscito a non farlo cacciare credendo in cuor
suo che un giorno sarebbe cambiato ma le sue speranze erano risultate
vane e sentiva sua la colpa della morte di Nadir. Se avesse fatto
esiliare Galan, quel giorno, adesso non avrebbe potuto uccidere il suo
fedele compagno, anche perché sicuramente gli scopi della sua azione
sarebbero venuti a mancare. Salainok aveva intuito che suo figlio voleva
impunemente impossessarsi della Mandria e di tutta la Grande Pianura.
Il Consiglio dei dieci si riunì frettolosamente ed in quella
breve, concitata e triste riunione fu deciso di esiliare per sempre
Galan dal teritorio della Grande Pianura e che la trasgressione a tale
ordine sarebbe stata punita con la morte, nonostante sapessero che
nessuno avrebbe avuto il coraggio di ucciderlo, anche se in molti
avrebbero gradito affrontarlo in un combattimento ad armi pari. Da quel
giorno Galan divenne il fantasma della pianura, le madri impaurivano i
propri turbolenti puledri minacciandoli di chiamarlo per portarli via o
ricordandogli che sarebbero diventati come lui e di conseguenza
scacciati dalla pianura, se non avessero obbedito. Il povero Salainok
subiva senza ribellarsi questa umiliazione, sempre più debole, sempre
più chiuso in se stesso, in quello stato d’animo che, in pochi cicli di
stagioni lo avrebbe poi portato alla morte tra le sofferenze dei sensi
di colpa e l’immensa tristezza per quanto accaduto a suo figlio e al suo
caro amico Nadir. La vita nella pianura riprese a tranquillizzarsi dopo
pluviale mentre la stagione di nevaio, che quell’anno sarebbe stata
particolarmente rigida, già faceva sentire i primi freddi. Ogni tanto
qualcuno diceva di aver visto Galan, o di aver sentito il suo folle
nitrito ma dopo un po’ di tempo rimase solo una leggenda, almeno per tre
cicli di stagioni, fino a quel fiorile che vide la morte di Salainok,
la proclamazione di Damon a Capobranco e la nascita di Aiko.
Quel mattino Aiko riuscì a convincere Savannah e Damon a lasciarlo
giocare da solo nella Valle dei Fiori, più di una volta si era recato
tra i magnifici colori del prato fiorito con i propri genitori e come
tutti i puledrini era affascinato dall’arcobaleno di piante che si
distendeva immenso dalla pianura fino al costone della Vetta da una
parte e alla tetra Vallata dall’altra. Forse era proprio quel miscuglio
di cose che rendeva così appetibile la Valle dei Fiori a tutti i
piccoli. Colori, fiori, profumi, insetti di tutte le dimensioni e
anch’essi colorati, che svolazzavano o saltellavano e poi la dura roccia
su un versante e la leggenda delle anime luccicanti che abitavano la
Vallata sull’altro. Gira, gira, trotta o galoppa i puledri finivano
sempre a rimirare a bocca aperta, i luccichii che si riflettevano sul
lontano fondo della valle proibita. Non era un cosa particolare che Aiko
andasse da solo nella Valle dei Fiori, in fondo era il luogo di ritrovo
per giochi e passatempi fra i piccoli cavalli della pianura che, appena
erano abbastanza grandi da poter ritrovare la strada per il loro
territorio e dopo una lunga serie di preghiere e di musi imbronciati
riuscivano a strappare ai loro genitori il permesso di galoppare da soli
tra i fiori colorati. Aiko stava trottando con gli altri puledri,
scorrazzavano in lungo e in largo rincorrendo farfalle, cavallette, api,
solcando quel mare verde pieno di macchie colorate. Gira gira, anche
Aiko finì al bordo della valle e si ritrovò a cercare i luccichii di cui
tutti parlavano, nel bene e nel male, misteri, leggende, il dio Uin, la
Vallata era il luogo da cui, si dice, provenivano i cavalli ed il
luogo, si precisava, in cui sarebbero tornati e la cima del Monte Sacro
era il trampolino per la pace che la valle sottostante prometteva e Aiko
ne era attratto quanto la misteriosa valle, se non di più, la sua
curiosità e la sua fantasia lo facevano galoppare anche nei pensieri e
aveva già formulato a suo padre il desiderio di salire sul Monte Sacro.
Aiko era completamente assorto nei sui pensieri, già si vedeva sulla
vetta del monte a rimirare le anime luccicanti dei cavalli di tutti i
tempi e non sentì che gli si stava avvicinando un cavallo fino a che non
percepì il calore del suo fiato proprio sul collo. La sorpresa e
l’essere colto in flagrante a sbirciare nella Vallata erano cause
sufficienti a fargli fare un bel balzo di paura ma la vista di
quell’orribile essere lo congelò con gli zoccoli piantati per terra.
<Ciao, tu devi essere Aiko?> gli domandò quell’incredibile
stallone nero e peloso, completamente ricoperto di cicatrici, con un
occhio quasi del tutto chiuso e senza un orecchio.
<Ss….s….sss….ssss….sì> riuscì a rispondere il puledro
<Eeeee t…tt…tu cccc….ccc…..cccchhhiii sss….ssss….sseiiii?> cercò
di chiedergli.
<Io sono colui che non puoi vedere, sono l’errore della
Mandria, sono colui che sa, colui che potrebbe liberare la mandria
intera dall’insulso potere del Consigli dei Dieci, colui che ne avrebbe
il diritto> terminò quasi ringhiando e Aiko ebbe un fremito di paura
ma poi scovò il coraggio che viveva libero nel suo sangue e dopo i primi
tremiti cominciò a parlare tranquillo.
<E qual è il tuo nome?> chiese.
<Il mio nome te lo posso dire certo, come ho potuto farmi
vedere da te, ma tu devi promettermi che non rivelerai a nessuno di me e
del nostro incontro>
<Prometto> esclamò subito Aiko.
<Ma si e io dovrei credere ad una promessa così impulsiva, così
immediata di un piccolo puledrino bugiardo che non vede l’ora di andare
a raccontare tutto ai propri amici per farsi grande con loro e magari
anche ai propri genitori, magari a tuo padre Damon!>
<Ma… ma…tu come fai a sapere come mi chiamo e… e come fai a sapere come si chiama mio padre e come fai…>
<Io sono l’anima della Mandria, io so tutto di tutti> lo
interruppe <io seguo tutto vedo tutto e conosco la vita pubblica e
segreta di ogni abitante della pianura, conosco i nomi di tutti e i loro
guai. Allora prometti!>
<Si lo prometto, su Uin e… e sul Monte Sacro, prometto che non
rivelerò a nessuno di te e del nostro incontro> continuò quasi
lusingato il povero Aiko, ignaro del guaio in cui si stava cacciando
<prometto che non rivelerò il tuo nome e prometto… a proposito,
qual’è il tuo nome, ancora non me lo hai detto>
<Io sono Galan, Galan della Vetta> e galoppò via.
Galan non si fece più vedere da Aiko per un intero ciclo di
stagioni ma era sicuro di aver inciso in lui un profondo solco di
curiosità, Aiko non parlò mai a nessuno di quell’incontro, né ai
genitori né agli altri puledri, conservava geloso il suo segreto,
convinto che quello strano e disastrato stallone sarebbe tornato per
terminare quello che aveva cominciato, anche se il cavallino non aveva
la più pallida idea di cosa fosse ciò a cui Galan aveva dato inizio. Da
allora ascoltava con passione e con interesse tutte le leggende che
riguardavano il suo misterioso amico, Galan aveva fatto questo, Galan
aveva fatto quello, chi l’aveva veduto compiere salti inimmaginabili,
chi lo aveva sentito nitrire con voci inudibili ma nessuno mai parlava
di ciò che realmente era accaduto, nessuno osava ricordare cosa
veramente Galan aveva fatto, quale ignobile e dissacrabile atto avesse
mai compiuto, così Aiko trascorse le stagioni aspettando, crescendo e
attendendo il ritorno di Galan.
E Galan tornò. Il fiorile successivo Galan posò di nuovo i suoi
zoccoli sulla morbida terra della Grande Pianura, era venuto per
completare ciò che aveva cominciato. Aiko vide la sua ombra lontano
sull’orizzonte, poteva essere quella di qualunque altro cavallo ma lui
lo riconobbe immediatamente, lo riconobbero la sua passione e la sua
curiosità, adesso sapeva che avrebbe saputo, presto i segreti della
leggenda di Galan e del Monte Sacro gli sarebbero stati svelati. Sentiva
nel profondo del suo cuore che qualcosa non andava, che il suo silenzio
non avrebbe dovuto essere tale; le stagioni erano passate e lui aveva
costantemente sentito una flebile vocina, proveniente dal cuore, che gli
diceva di parlarne, almeno con suo padre Nadir, parlarne. Ma la sua
curiosità e la sua bizzarria di puledrino gli avevano fatto ogni volta
dimenticare quel consiglio che gli giungeva da dentro, adesso era più
che mai curioso e più che mai impaurito da quello che sarebbe potuto
accadere e ciò lo frenava e lo spronava allo stesso tempo.
Galan sparì ed il giorno successivo mostrò di nuovo la sua ombra,
stagliata contro il sole sorgente, lontano oltre i margini della
pianura, oltre la Valle dei Fiori, oltre la Vallata. Scomparve di nuovo e
di nuovo riapparve il mattino dopo e così fece per i giorni successivi,
certo che quel suo mostrarsi e nascondersi avrebbe, ancor di più e
definitivamente, attratto Aiko nella trappola che gli stava tendendo.
Poi un mattino, mentre stava trotterellando lungo il confine della
Vallata, Aiko se lo ritrovò davanti, silenzioso come un fantasma, gli si
era avvicinato come un serpente che, invece che camminare sugli
zoccoli, striscia sul proprio ventre e questo lo fece attraversare da un
brivido di terrore.
<Salve a te Aiko>
<Sa…sa…salve, Galan… Galan della Vetta> lo salutò il puledro.
<Sento con piacere che ti ricordi il mio nome> prese a dire
subdolo il vecchio stallone. <Non tutti si ricorderebbero il nome di
un cavallo conosciuto chissà quante stagioni prima, è denso di onore
questo tuo saluto>
<Sai, ho pensato molto a te in tutto questo tempo e…>
<Anch’io ho pensato a te, ti ho pensato moltissimo> lo
interruppe Galan <Ho pensato e alla fine ho deciso che era giusto che
tu sapessi tutto di me, della mia leggenda e della mia storia ed io
tutto ti racconterò, tutto il male che mi è stato fatto, tutto ciò che
mi è stato tolto, tutto ciò che tuo padre mi ha portato via. Vieni
piccolo Aiko, vieni con me, saliamo in cima al Sacro Monte del dio Uin,
saliamo insieme sulla vetta di questa montagna così piena di misteri e
di segreti da svelare e mentre percorreremo il Sacro Sentiero ti
racconterò come sono andate veramente le cose>
Galan ed Aiko, si incamminarono non visti verso l’inizio del
sentiero che li avrebbe portati sulla cima, qualcuno da lontano forse
notò l’incontro ma nessuno avrebbe potuto capire cosa stava accadendo e
nessuno poteva immaginarsi chi e cosa stavano facendo così vicini
all’imbocco del Sentiero Sacro. I due cavalli si addentrarono per lo
stretto passaggio e presero a salire verso la vetta della montagna e
Galan cominciò a raccontare la sua storia, mentiva ed inventava
spudoratamente, mantenendo quel suo non rispetto verso la Mandria e
verso la grande Pianura. Riuscì a ricostruire tutta la storia invertendo
le parti, come se fosse stato Damon ad uccidere il padre Nadir. Aiko
ascoltava incredulo ed il suo senso giovanile di ribellione verso i
genitori ed il padre in particolare, si cibava delle menzogne che Galan
gli porgeva come del cibo prelibato, ad ogni falsa cattiveria
raccontata, l’orgoglio di Aiko si gonfiava e lo faceva ripensare ad ogni
volta che suo padre gli aveva proibito qualcosa, al fatto che vista la
sua importante carica all’interno del branco, anche lui come figlio
doveva comportarsi in un modo opportuno, non andare di là, vieni qua,
non fare questo, fai quello, facile comandare un puledrino ignaro quando
si sono compiute cose orribili come quelle che Galan gli stava
raccontando.
<È tutto vero, di me ti puoi fidare piccolo Aiko> concluse
Galan <Mi dispiace che tu lo abbia saputo in questo modo ma visto che
tuo padre non ti raccontava niente, ho creduto meglio per te che
qualcuno ti facesse sapere come erano andate veramente le cose, adesso
continua pure da solo per il sentiero, trotta fino alla fine e attendimi
sullo spiazzo che troverai sulla cima, io adesso torno indietro, ti
preparerò una sorpresa, una gradita sorpresa, tu aspettami sulla vetta
ed io ti mostrerò le prove di tutto ciò che ti ho raccontato>
<Devo proseguire da solo?> chiese intimorito Aiko.
<Certo, non avrai mica paura, un bel puledrino forte e grande
come te non avrà mica paura delle leggende, non hai niente da temere da
questo sentiero, vedrai cose orribili ma non ti potranno fare alcun
male, continua pure coraggioso Aiko, continua> lo esortò ironico
Galan <Va attendimi sulla vetta ed io ti porterò colui che sa la
verità quanto me> e galoppò via.
Aiko riprese la salita verso la vetta del Monte Sacro e quello che
potè vedere era veramente orribile, come aveva fatto suo padre prima di
lui stava percorrendo quella strada in un età troppo acerba per capire e
per comprendere con esattezza ciò che vedeva, i corpi dei poveri
cavalli che stremati nelle forze si erano abbandonati ai lati del
sentiero lo atterrivano e mescolandosi con le fandonie che Galan gli
aveva raccontato provocavano in lui incubi ad occhi aperti, vedeva suo
padre scalpitare, scalciare, mordere ed uccidere tutti quei poveri
cavalli innocenti, uno ad uno li aveva trascinati lì con l’inganno e li
aveva uccisi per ottenere onori, gloria e potere che altrimenti non
avrebbe mai avuto. Trotterellava tutt’altro che sereno e preso dai sui
sconvolgenti pensieri arrivò al largo da cui si dominava la Vallata,
l’altro misterioso arcano del popolo della Grande Pianura, da lassù si
vedevano ancora meglio i luccichii delle anime dei cavalli, anche se si
capiva ancor meno cosa fossero. Il terreno era molto pericoloso, lo
slargo era colmo di corpi di cavalli e di ossa ancora salde fra di loro o
sparpagliate informi e sbriciolate. Lo spiazzo era leggermente
degradante verso lo strapiombo e tutto ciò che veniva colpito dai suoi
zoccoli rotolava via oltre il precipizio. Aiko pensava e pensava e
lentamente si stava ripulendo di tutte le oscenità che Galan gli aveva
propinato, perché mai suo padre avrebbe dovuto fare ciò che
quell’orripilante cavallo gli aveva raccontato, suo padre non era cosi ,
suo padre era buono e solo cose buone aveva insegnato a lui e più volte
si era reso conto da solo che ciò che suo padre gli proibiva o gli
ordinava, era perché lui crescesse sano e coscienzioso, non per
cattiveria o per malvagità. Poi aveva sentito dire più di una volta che
Damon accompagnava i vecchi cavalli per il sentiero e che lo faceva per
aiutarli, per aiutare il loro spirito ad arrivare fino lassù per poi
poter morire in tranquillità e spiccare quel salto che li avrebbe
portati nel regno di Uin. Certo le ossa che vedeva erano quelle degli
anziani cavalli che venivano sulla vetta a morire e poi, si certo poi i
poveri resti scivolavano lentamente e poi, si poi cadevano di sotto, si
certo spiccavano il grande salto e poi, si poi le ossa cadevano giù
nella vallata e si accatastavano le une sulle altre, montagne intere di
ossa che si rompevano, che si sbriciolavano e che luccicavano poi sotto
il sole come se fossero le anime degli stalloni morti. Quella era la
verità, quella verità che suo padre conosceva, che ogni Capobranco
conosceva, che ogni Ministro conosceva che la Mandria ignorava, perché
la verità vera era che se anche le cose stavano come lui aveva capito,
la verità vera era che il grande salto si compiva davvero e che nel
regno di Uin tutti avrebbero galoppato felici e le loro anime sarebbero
discese nella vallata a scaldarsi al dolce calore di solare e nelle
tiepide mattine di nevaio. Quello che lui poteva vedere era vero ma era
solo la rappresentazione materiale della vera verità. Ormai non aveva
più bisogno di discorsi di prove o di racconti di vecchi cavalli
frastornati e folli, voleva solo tornare indietro e raccontare tutto a
suo padre Damon e a sua madre Savannah. Cominciò così a ridiscendere il
sentiero ma si perse tra le gole della montagna proprio mentre suo padre
passava galoppando a più non posso e nitrendo il suo nome. Aiko lo udì e
ne seguì il suono e in quel momento capì cosa era veramente accaduto.
Quando Damon se lo ritrovò davanti credette più di vedere un
fantasma che un cavallo vero e proprio. In fondo la sua esistenza era
stata segnata dalla presenza di Galan e Galan, ogni tanto, era già
venuto a trovarlo nei suoi sogni più agitati, nei suoi incubi; lo
rincorreva lungo il sentiero del monte sacro, lo raggiungeva sulla cima
per lottare ed ogni volta Damon precipitava sul fondo della Vallata
nitrendo e scalciando e scalciando si risvegliava con il corpo coperto
di sudore e la schiuma alla bocca. Quella volta però era vero e quando
Damon se ne rese conto ebbe un brivido di paura.
<Bentornato, beh dico almeno bentornato lo si può dire ad un
vecchio amico> cominciò sarcastico Galan <Cosa c’è ti sei morso la
lingua, oppure non hai più parole buone per il tuo caro vecchio amico
Galan, quello con cui galoppavi da puledrino, ricordi Damon ricordi il
passato?>
Damon era combattuto tra la rabbia e il timore, non capiva cosa volesse Galan e aveva paura di saperlo.
<Perché sei tornato…> chiese.
<No no no, non perché sei tornato ma… perché sei tornato Galan,
è forse questa la domanda che volevi porgermi? E’ così?>
<Cosa vuoi da me… Galan, cosa vuoi dalla Mandria, quello che ti
era stato dato tu lo hai rifiutato. Saresti stato un buon Capobranco,
avresti avuto il posto che adesso è mio ma a te non bastava non volevi
amministrare, tu… tu volevi comandare, volevi dominare, volevi dettare
legge, volevi farla tu la legge a tuo uso e consumo; quello che la
Mandria poteva offrirti non lo hai gradito, adesso… adesso cosa vuoi,
perché sei tornato, perché sei tornato Galan?>
<Tuo figlio….>
Al solo sentire quelle parole Damon non ebbe bisogno che fosse
aggiunto altro, le intenzioni di Galan gli apparvero chiare come se lo
avesse sempre saputo e se lo fosse tenuto nascosto e segreto in un
angolo della mente, in un angolo del cuore. Galan era tornato a
concludere ciò che aveva cominciato, quando uccise suo padre Nadir
avrebbe dovuto uccidere anche lui e adesso era tornato per farlo e
probabilmente si sarebbe servito di Aiko per questo o peggio ancora
avrebbe ucciso anche il giovane puledro. Ma lui era li per impedirglielo
ed in quel momento prego il dio Uin che Aiko fosse ancora vivo.
<Dov’è Aiko? Cosa hai fatto a mio figlio, dov’è Aiko,
dov’è?> chiese Damon fra l’imbizzarrito e l’angosciato per la sorte
del suo puledrino.
<Calma, calma vecchio mio> cercò di acquietarlo Galan
<Tuo figlio è sano e salvo, illuminato dalla mia verità, sano, salvo e
trotterellante sulla cima del Monte Sacro>
<Prega il dio Uin che mio figlio stia bene davvero, altrimenti
te ne avrai a pentire Galan. Così Aiko sarebbe sulla cima della
montagna, che insulso e diabolico scherzo vuoi giocarmi questa volta
Galan, quanto ancora vuoi continuare a mentire, quanto ancora a fare del
male a me, alla mia famiglia, alla Mandria> continuava disperato
Damon <Dov’è mio figlio Aiko, dov’è Galan rispondimi e fallo con la
verità>
Galan non rispose, lanciò un diabolico nitrito e si mise a
galoppare veloce verso il Monte Sacro e di lì prese a salire per il
sentiero e Damon lo seguì disperato, angosciato ma pronto a tutto e
soprattutto attento, aveva da tempo imparato a non fidarsi di Galan ma
adesso doveva seguirlo doveva vedere con i propri occhi, ne andava della
vita del suo cavallino, così prese a galoppare dietro Galan più veloce
che poteva e nitrendo a più non posso il nome di suo figlio Aiko.
Damon arrivò per primo sulla cima della montagna schiumando di
sudore e di rabbia, nitriva disperato il nome di suo figlio e giunto
sullo slargo che si apriva sulla vetta, si rese conto che Aiko non era
sulla montagna, nel suo cuore sperò che fosse tutta una messa in scena,
che Galan e Aiko non si fossero mai incontrati e che il suo puledrino
non fosse mai salito sul Monte Sacro, mentre una vocina disperata gli
diceva che Aiko era precipitato sul fondo della Vallata e giaceva senza
vita fra le ossa degli antichi abitanti della Pianura. Non ebbe modo
però di piangere o disperarsi, perché l’arrivo precipitoso di Galan lo
riportò ad affrontare l’immediatezza della situazione, doveva tirarsi
fuori da quel guaio e farlo velocemente per dedicarsi quanto prima alla
ricerca di Aiko. Galan era sorpreso almeno quanto Damon di non trovare
il puledro ad attenderli, aveva veramente creduto di essere stato
convincente con lui, di averlo raggirato bene bene e di averlo portato
dalla sua parte, sarebbe stato meraviglioso uccidere Damon mentre suo
figlio gli dava del bugiardo ma a quel punto si sarebbe accontentato di
ucciderlo e basta, poi avrebbe pensato al maledetto figlio di Damon e
avrebbe sistemato per sempre anche lui, nessuno sarebbe scampato alla
sua vendetta.
<Cerca, cerca pure. Tuo figlio non è qui adesso ma c’è stato e
sicuramente è nei dintorni, a questo puoi credere davvero e…>
<Credere a te Galan è difficile veramente, anche se c’è stato
un tempo in cui io ti credevo, ti credevo amico, ti credevo parte della
Mandria e amico mio e degli altri puledrini che, come noi, avevano
voglia di crescere e diventare neri e forti stalloni ma a te non è
bastato …>
Galan si avvicinava minaccioso a Damon ed entrambi erano molto, troppo prossimi al precipizio.
<Finiscila Damon sei patetico, i puledrini, gli stalloni, il
dio Uin, bla, bla, bla, tuo padre era un ostacolo per me ed ha fatto la
fine che doveva fare, tu sei un ostacolo adesso, un ostacolo al mio
orgoglio ferito e farai la fine che avresti dovuto fare allora!>
Detto questo Galan si gettò addosso a Damon e i due cominciarono
furiosamente a lottare. Calci, morsi e spinte non si risparmiavano,
Damon cercava di difendersi dai colpi e allo stesso tempo di mettere
Galan a distanza per cercare una diversa via d’uscita a quell’immenso
guaio in cui erano precipitati. L’avversario invece si era gettato a
corpo morto nella lotta, non risparmiava niente di se, utilizzava tutte e
quattro le zampe per colpire il suo avversario, utilizzava il suo morso
per indebolirlo e la sua forte mole per avvicinarlo sempre di più al
burrone che li attendeva silenzioso a pochi zoccoli da loro.
Damon era ormai sull’orlo del precipizio e Galan si era drizzato
sulle zampe posteriori cercando di sferrargli un ultimo e decisivo
colpo. Fu in quel momento decisivo che Aiko, presente allo svolgimento
di tutta la scena si gettò al gran galoppo verso di loro, nitrendo il
nome di Galan. Il perfido cavallo si voltò sorpreso verso quel nitrito e
fece appena in tempo a vedere Aiko galoppargli contro, poi dritto in
tutta la sua opprimente mole, in precario equilibrio sulle zampe ormai
stanche, fece quel passo che non avrebbe mai dovuto compiere ed il suo
zoccolo mancò, quanto fu sufficiente, il bordo di roccia che lo separava
dal burrone.
Un nitrito folle accompagnò la caduta di Galan e un tonfo sordo ne
confermò l’arrivo sul fondo della Vallata. Padre e figlio si
ritrovarono l’uno accanto all’altro, sconvolti ma finalmente uniti, per
sempre.
<Padre, io… io avrei… avrei qualcosa…qualcosa da dire…>
<No Aiko, io, io avrei avuto qualcosa da dirti di cui tu ormai
sei già al corrente, vieni, avremo molto tempo per parlarne ancora,
adesso andiamo, tua madre ci starà sicuramente cercando e noi, noi
abbiamo qualcosa da raccontargli, a lei e a tutta la mandria; dobbiamo
dire loro come va a finire la leggenda, la leggenda del cattivo Galan,
quella che si è conclusa grazie al tuo cuore ed alla tua prontezza>
L’incubo era finito, la Grande Pianura era finalmente libera dal
tormento del malvagio cavallo. Il puledrino, ancora colmo di rabbia, si
affacciò allo strapiombo a cercare più in basso la macchia scura del
corpo ormai senza vita di Galan e contro di lui, nitrì con tutto il
fiato che aveva in gola:
<Io sono Aiko, Aiko della Pianura!>
FINE