Il pesce surgelato
L’inverno allo stagno era sempre molto tranquillo. Quando infatti
la stagione fredda faceva il suo imperioso ingresso sparivano, dalle
rive del laghetto, le frotte di gitanti che le avevano tappezzate per
tutta l’estate. Un orda barbara armata di tavolini, asciugamani e
abbronzanti, sempre con i piedi nell’acqua a loro frescura ma a danno di
chi sotto, nell’acqua, doveva destreggiarsi fra quella selva in
movimento, spesso e volentieri, accompagnata da maleodoranti esalazioni.
Non c’erano più nemmeno i bambini a rincorrere pesci, rane e cavallette
ed erano spariti, per fortuna, anche i rifiuti che avevano galleggiato
untuosi o che erano sprofondati ingombranti sul fondo dello stagno.
D’inverno però era freddo. Gli insetti se ne stavano rintanati al
calduccio delle proprie tane, avvolti in bozzoli di tela ruvida che si
erano cuciti intorno, dopo essersi infilati nella piega di un ramo,
sotto una corteccia o in un piccolo foro. Gli animali più piccoli
raramente mettevano il naso fuori dal tepore dei loro rifugi e solo i
soliti ritardatari correvano ancora un po’ intorno all’acquitrino, alla
ricerca frenetica delle ultime riserve di cibo da stipare nella tana e
da consumare con calma e con parsimonia, durante il rigido inverno che,
di li a poco, sarebbe arrivato prepotente a sospendere la frenetica vita
dello stagno fino alla prossima primavera. Rane salamandre e
serpentelli se ne stavano al riparo dalle gelide correnti invernali e
tutti si prendevano particolare cura dei piccoli e delle larve
preparandole a passare comode e sicure la lunga notte dell’inverno.
Nello stagno la tranquillità l’avrebbe fatta da padrona per tutto
l’inverno e poi sarebbe sbocciata nel vigore e nel calore della
primavera. Beh per lo meno avrebbe dovuto, perché quell’inverno ci
pensarono i pesci a movimentare lo stagno, anzi il pesce, il pesce
Gustavo.
Gustavo la Reina era un pesce a dir poco vanitoso, anche se si
deve ammettere, che in fondo ne aveva tutte le ragioni perché era
proprio un bell’esemplare. Grosso, robusto, con i suoi bei labbroni
carnosi le squame luccicanti ed uno sguardo languido e ammiccante da
pesce lesso. Gustavo passava intere giornate a rimirarsi nei sassi più
brillanti o nei cocci di vetro e se in quel momento non c’era una
superficie su cui specchiarsi, non si riguardava certo dal fermare trote
o cavedani e chiedere loro quanto fosse bello e se non fosse
addirittura il pesce più bello dello stagno. Se poi proprio non c’era
nessuno si affacciava addirittura fuori dall’acqua, alla ricerca di una
rana, di una lucertola, di una cavalletta o di chiunque dovesse passare
in quel momento, per interrogare il malcapitato sulla propria bellezza e
magari chiedere osservazioni o consigli su come mantenere le squame
lucide o la pinna caudale più dritta. Gustavo era ancora giovane ma alla
prossima primavera avrebbe finalmente raggiunto la maturità ed
anch’egli si sarebbe potuto accoppiare con una bella pescia, per
fruttificare poi l’unione con una sfilata di avannotti, magari tutti
belli come lui. Per coronare i suoi desideri e soddisfare la sua
indiscussa e preponderante vanità, aveva perciò deciso di farsi vedere
in tutta la sua bellezza, potenza e grazia dalle signorine pesce dello
stagno, le quali sicuramente si sarebbero tutte innamorate di lui che
poi, con calma durante l’inverno, avrebbe potuto scegliere fra queste la
sua fortunata, a suo pensare, compagna per la prossima primavera. Gli
altri abitanti del lago sopportarono a mala pena tutto ciò! Nuotava
avanti e indietro freneticamente tutto il giorno, in su, in giù, a
pancia sotto, a bocca aperta, con le pinne ben distese e in mostra in
tutto il loro splendore e poi salti a non finire, un potente balzo fuori
dall’acqua e poi grandi tuffi nello stagno e spruzzi da tutte le parti e
non si può certo negare che fosse davvero bravo oltre che davvero
bello. Ma l’inverno si faceva ogni giorno più rigido e una bella, non
per Gustavo, mattina il laghetto gelò e lo fece proprio mentre il
vanitoso tuffatore stava facendo un salto lunghissimo, con avvitamento e
capriola. Ebbe appena il tempo di infilare la testa nell’acqua che il
ghiaccio lo congelò, così mezzo dentro e mezzo fuori a conservare
immobile la sua azione incompiuta, come fosse una fotografia. Gustavo
rimase in quella posizione per l’intero inverno, nel vano tentativo di
dibattersi e liberarsi, con la pinna fuori dal ghiaccio quasi come una
freccia ad indicare la sua posizione nell’immacolata distesa bianca che
aveva surgelato lo stagno. Da quello sfortunato momento fu costretto a
trascorrere l’inverno in una posa scomoda e alquanto ridicola, sì che
tutti poterono notare quanto fosse bello ma anche quanto fosse sciocco.
Senza contare che riuscì a nutrirsi solo di quel poco che, per caso,
passava davanti alla sua affamatissima e sempre più insoddisfatta bocca.
A primavera, con i primi giorni di tepore, la lastra di ghiaccio che
ricopriva lo stagno cominciò a sciogliersi e Gustavo, ormai ridotto alla
lisca, riuscì finalmente a liberarsi. Da vero vanitoso incallito
qual’era, la prima cosa che fece fu cercare un vetro per specchiarvisi
dentro ma quando si vide rimase sconcertato, il pesce grosso e in forma
che era rimasto incastrato nel ghiaccio qualche mese prima era diventato
uno scorfano secco e brutto mentre gli altri pesci, riposati e ben
nutriti, apparivano tutti sani e belli, lucenti e robusti. Il povero
Gustavo cercava di entrare nelle grazie di qualche signorina pesce ma
queste, appena lo vedevano con le squame penzoloni e le pinne mosce
mosce, scappavano via impaurite o si spanciavano dalle risate. Così a
Gustavo la Reina non più bello e non più imponente, non rimase altro che
nuotarsene mesto, solo e pensieroso tra la melma del fondale mentre gli
altri pesci saltavano e sguazzavano in coppie allegre e serene per
tutto lo stagno.