Il
mestiere di bambino è certamente uno dei più difficili che si siano mai
visti sulla terra, ci sono sempre un sacco di cose che non si possono
fare e un sacchissimo di cose che invece si devono fare. Tutti hanno
sempre qualcosa da insegnarci e da dirci, come si fa a fare questo, come
a fare quell’altro e per questo è sempre molto complicato riuscire a
portare avanti qualcosa nella maniera in cui andrebbe veramente fatta e
cioè a modo nostro. Fra le migliaia e migliaia di cose importanti per
noi bambini, l’igiene e la cura del nostro corpo è una delle attività
che spesso e volentieri ci porta a battagliare con i genitori, i nostri
punti di vista e i loro sono sempre molto diversi. Quello che a noi
sembra una cosa normalissima, costringe loro a mettersi le mani nei
capelli e quello che per noi appare come un sacrilegio, tipo mangiare
con le posate invece che con le mani, per loro è la cosa più normale che
ci sia, tanto che a volte mi chiedo dove abbiano mai appreso tutte le
strane e imprevedibili trovate che mettono in atto ogni giorno, nel fare
le cose più semplici nella maniera più complicata possibile. Insomma
aver cura di sé, come tutte le occupazioni davvero importanti, è anche
esageratamente e incredibilmente noioso!
Per i primi mesi ci hanno pensato le amorevoli cure della mamma e
del babbo a coccolarci e a far si che noi si crescesse robusti e
preparati al mondo. E che fortuna! Ve l’immaginate se anche da
piccolissimi avessimo dovuto fare le cose da soli? Ma li avete visti i
grandi che cambiano un pannolino, se tutto va bene ci si annodano dentro
anche loro, figuriamoci se ce lo avessimo dovuto cambiare da soli,
saremmo rimasti chissà quanto nella cacca prima di riuscire
nell’impresa. Meno male che ci ha pensato la loro attenzione ed il loro
amore ad aver cura di noi e far sì che tutto funzionasse a meraviglia,
beh, almeno per i primi tempi. L’unico problema e che quando poi siamo
diventati grandi, tutto avrebbe dovuto cambiare, adesso siamo in grado
di fare da soli ma loro sembra proprio che non l’abbiano capito.
Bagnetti e pulizie accurate di tutto il corpo sono all’ordine del
giorno e come tutti voi sapete sono occupazioni tutt’altro che
attraenti. Cosa c’è di peggio che infilarsi in una vasca piena d’acqua,
che di solito è sempre o completamente fredda fredda, quasi gelata
oppure c’è da scottarsi i piedini quando la mamma cerca di infilarci
dentro per farci il bagno. Il lavaggio poi è disastroso, acqua che entra
da tutti i pertugi, dalle orecchie, dal naso, dalla bocca e i capelli
tutti bagnati ahhhh, che orrore. Il problema vero però non è tanto
lavarsi o farsi lavare ma aver cura di noi, come si fa a dar retta a
tutte quelle strane e illogiche regole che i grandi cercano ogni giorno
di farci imparare? Non fare questo, fai quest’altro, non raccattare le
carte da terra, non mettere tutto in bocca, lavati i denti, lavati i
piedi, non sudare, non correre, copriti bene, non mangiare le caramelle
con la minestra, non inzuppare le patatine nella panna, non bere troppo,
non mangiare poco, ohhh! Uffa! Ma come si fa a star dietro a tutto
questo! Io proprio non riesco a capire come fanno i grandi a ricordarsi
di fare tutte queste cose e ancor di più non capisco come fanno a farle!
Dico ma le avete mai mangiate le patatine con la panna?
Mmmmmmmmmmmhhhhhh! Per me sono proprio una delizia!
Certo però bisogna dire che però i grandi a volte hanno anche
ragione, l’altra sera mentre mi stavo per addormentare mi ha chiamato il
molare inferiore sinistro. So che questo è il suo nome perché ho
sentito il dentista che lo chiamava così ma non so proprio cosa voglia
dire, io credevo che si chiamasse dentone. Sì, quello grosso grosso in
fondo alla bocca, quello che serve per stappare i pennarelli e per
schiacciare le noccioline, sì ecco proprio quello, insomma ecco.. lui.
Quel pomeriggio eravamo stati dal dentista. Uno fra i più spaventosi
grandi che io abbia mai conosciuto, tutto camice dalla testa ai piedi,
con la visiera davanti agli occhi, i guanti di plastica e la pila sulla
testa, mi ha rovistato in bocca per un sacco di tempo e poi ho sentito
che diceva alla mamma che dovevo prendere l’abitudine di lavarmi i
denti, altrimenti presto l’avrei perso. Insomma hanno cercato di
mettermi paura ma io non avevo alcuna intenzione di cedere, mai e poi
mai mi sarei infilato in bocca uno spazzolino da denti, se gli stava
bene, al massimo me li sarei strusciati con la panna messa sopra una
patatina fritta altrimenti per me si potevano arrangiare. Proprio mentre
stavo per addormentarmi, il dentone mi ha invece raccontato una strana
storia che gli avevano confidato quei buffi bastoncini di metallo dal
sapore schifoso che i dentisti ti mettono sempre in bocca per guardarti i
denti da dietro, con lo specchietto o quell’altro fatto a uncino, che
fa tanta tanta paura. Quei due tremendi arnesi gli avevano riferito che…
L’ULTIMO DEI MOLARI
Gaetanone era un dente, anzi un dentone di quelli belli grossi,
che stava nella bocca di un bambino molto goloso, Albertino. Gaetanone
macinava di tutto da mattina a sera, caramelle, patatine, cilingomme,
panini, merendine, palline di vetro, tappi delle penne, ramoscelli,
animaletti di plastica della fattoria che gli era stata regalata per il
compleanno. Insomma dentro quella bocca passava di tutto e Gaetanone era
lì, sempre pronto a masticare quello che gli veniva messo sopra.
Albertino però non si lavava mai i denti. Finché la mamma o il babbo lo
avevano fatto per lui, i suoi denti erano sempre stati puliti,
luccicanti, belli sani e a posto ma da quando era diventato abbastanza
grande da andare in bagno da solo, i denti si erano completamente
scordati di cosa fosse uno spazzolino, figuriamoci poi un dentifricio.
Il tempo passava inesorabile e Gaetanone continuava a macinare di tutto,
per tutto il giorno, colazione, scuola, pranzo, compiti a casa,
merenda, giochi, cena, tivù e infine l’ultima caramella prima di andare a
letto. La mamma ogni sera chiedeva al bambino se i denti fossero stati
lavati e Albertino rispondeva di aver fatto tutto tutto e se ne correva
di filato a rifugiarsi nel letto fra balocchi e peluches e intanto il
tempo passava, inesorabile. Dopo un po’ però Gaetanone cominciò a
sentire un leggero dolore alla testa. Certo, la sbatteva tutto il giorno
contro un po’ di tutto e anche contro l’altro dente, Pierone, quello
che se ne stava appeso sopra di lui e più passava il tempo più gli
faceva male la testa, tanto che alla fine anche il bambino cominciò a
piangere dal dolore e a non riuscire più a dormire. Appena però fu
scoperto il malanno, la mamma lo portò prontamente dal dentista, il
quale lo stese sul lettino e cominciò a scrutarlo con la sua luce sulla
fronte e con tutti i ferretti che aveva a disposizione, infilandoglieli
in bocca e picchiettando e tastando su tutta la smagliante dentatura del
bambino, dentone compreso. Appena trovata la magagna sulla testa
dolente di Gaetanone, il dentista infilò nella bocca di Albertino un
trapano gigantesco, quasi come quello che serve al babbo per fare i
buchi in casa e far arrabbiare le mamma e trapanò ben bene la testa di
Gaetanone, poi con del cemento speciale, come quello che il babbo deve
mettere nei buchi che ha fatto nel muro per riparare i danni, tappò la
testa del povero Gaetanone il quale, dopo tutta quella sofferenza, si
sentì finalmente riavere. Aveva pagato caro il fatto di non esser stato
lavato e spazzolato ogni sera ed ogni mattina ma adesso era di nuovo
tutto a posto e mamma e bambino se ne ritornarono mesti mesti a casa con
una sfilza infinita di cure e spazzolature per la salvaguardia del
povero dentone. Da quel giorno il bambino si lava sempre i denti prima
di andare a letto ed anche dopo pranzo ed i suoi denti sono tutti sani e
anche Gaetanone adesso è felice, perché sa che il buco sulla sua testa è
stato riparato e non sentirà più alcun male. Ogni volta poi che il
bambino si lava i denti Gaetanone si mette in posa gioioso e tranquillo a
farsi portar via tutti i batteri cattivi che altrimenti se lo
rosicchierebbero piano piano e gongola beato mentre sta lì a farsi
strusciare e carezzare dallo spazzolino che lo pulisce a modo e lo
lustra bene bene, ora sì che è davvero pronto a masticare e schiacciare
di tutto.
Eh sì! Sarà anche noioso, però mi par proprio che aver cura dei
denti sia una cosa molto importante. I primi denti che mettiamo, sono
detti denti da latte, chissà poi perché, io non ho mai visto nessuno che
morde il latte con i denti. Forse sarà perché sono bianchi come il
latte o forse perché è con quei denti che abbiamo morso i seni delle
nostre mamme e i biberon quando eravamo piccoli piccoli e l’unica cosa
che mangiavamo era il latte. Insomma quei denti lì, comunque si
chiamino, dopo un po’ se ne cascano via e non è poi così dannoso se non
li riempiamo di tutte le nostre attenzioni ma quelli che ricrescono
dopo, più grandi e più robusti, devono durare per tutta la vita, quindi è
meglio spazzolarli ben bene oggi e ritrovarsi i denti anche domani che
andare a giro con dentiere o denti finti come quelli di Dracula che ci
mettiamo a carnevale per far gli scherzi alle nonne paurose. In fondo le
noccioline sono troppo buone per rinunciare a mangiarle e senza denti
sarebbe davvero un grosso problema. I denti però non sono l’unica cosa
di cui dovremmo aver cura. Certo però che l’igiene è proprio una cosa
barbosa, non siamo mica gatti che stanno lì tutto il giorno senza fare
nulla e così possono stare ore e ore a lisciarsi e lavarsi e poi
dormire, lavarsi e lisciarsi. Noi bambini abbiamo un sacco di cose da
fare, saltare giocare, guardare la tivù, correre, leggere e invece
dovremmo stare tutto il giorno a prendersi cura di ogni parte del nostro
corpo ma dove lo troviamo il tempo e poi parliamoci chiaro e più
divertente giocare con le costruzioni che lavarsi le orecchie. Devo dire
però che anche a questo proposito ho sentito un racconto interessante a
seguito del quale ho avuto molto da pensare in proposito e alla fine mi
sono convinto che darmi una bella lavata alle orecchie, almeno una
volta al giorno, è non solo importante ma anche utile. L’altro giorno mi
ero messo le cuffie in testa per ascoltare le mie canzoncine preferite
alla radio, durante un programma fatto apposta per noi bambini in cui
parlano di giochi, di giocattoli, di carte e figurine e fanno ascoltare
tante belle musichette e sigle di cartoni animati. Così bardato come un
pilota d’astronave, potevo ascoltare la musica senza dar fastidio alla
mamma, lei stava guardando il suo barboso teleromanzo alla tivù ed io
non volevo certo disturbarla. Mamma mia che strani i grandi, guardano
certa robaccia in tivù, tutti baci, abbracci e lacrime a me invece
piacciono di più i robot, i mostri, gli animali che si trasformano e
anche i cartoni con le streghe, i topi, e le ragazze. Mi sbaglierò ma a
me sembrano molto più divertenti e reali i miei cartoni, di tanti film
che guardano i grandi. Insomma, me ne stavo lì, tranquillo tranquillo a
canticchiare la sigla di non mi ricordo più quale cartone, quando tutto
ad un tratto le cuffie mi hanno chiesto se avevo sentito quella storia
strana di quel bambino buffo che gli era accaduto quel fatto assurdo. Io
ho risposto che non ne sapevo niente e allora mi hanno raccontato che
la radio aveva detto loro, che aveva sentito dire dall’antenna, che
aveva captato una notizia arrivata direttamente dalla trasmittente di
un’ambulanza, dove si era sentito dire che un dottore aveva raccontato
che…
FACCIAMO SALTARE IL TAPPO
Gino e Pino erano un bel paio di orecchi rosa rosa e leggermente a
sventola attaccati alla testa di Filippo, un bambino abbastanza grande
da provvedere da solo a lavarsi almeno la faccia, la sera prima di
andare a letto e al mattino per riuscire a svegliarsi per bene. Filippo
era davvero un bravo bambino in fondo e ogni mattino ed ogni sera si
insaponava ben bene le mani e si strusciava il viso con forza, per
lavarlo da tutta la cioccolata che era riuscito a spalmarci sopra e
dall’unto delle patatine che gli era rimasto ancora tutto intorno alla
bocca e non solo. Si lavava dappertutto molto diligentemente ma non
osava nemmeno avvicinarsi alle due orecchie. Ci girava intorno, lavava,
strusciava ma non infilava mai le dita fra le pieghe dei suoi
orecchioni, lo riteneva una cosa davvero molto molto fastidiosa, l’acqua
negli orecchi era per lui una vera e propria tortura. Quando la mamma
gli faceva il bagnetto cercava sempre di avvicinarsi ai suoi rosei
padiglioni ma il bambino cominciava subito ad urlare e sbraitare dicendo
che ci avrebbe pensato da solo, tanto se li lavava tutti i giorni,
aggiungeva addirittura mentendo spudoratamente, la mamma ci credeva e
Gino e Pino se ne rimanevano sporchi ma sporchi sporchi, nelle pieghe,
tutto intorno e dentro, là in fondo, quasi ad entrare dentro la testa.
Laggiù, proprio nel profondo, lo sporco si era accumulato giorno dopo
giorno fino a formare un’insuperabile barriera contro la quale, dopo un
po’ di tempo, anche un’energica lavata non sarebbe più servita a niente
ma fino a quel momento tutto era filato liscio e senza grane. Per
Filippo arrivò finalmente il momento di cominciare a frequentare
l’asilo, a lui piaceva tantissimo stare in mezzo agli altri amici,
giocavano, saltavano, disegnavano, correvano a perdifiato dalla mattina
alla sera e le maestre li lasciavano fare quasi tutto quello di cui
avevano voglia. La classe si stava preparando ad una piccola recita di
Natale ed i bambini dovevano imparare una breve e simpatica canzoncina,
da cantare sotto l’albero preparato dalle maestre ma per Filippo questo
fu solo l’inizio dei guai. Il bambino non sapeva leggere le parole e non
poteva imparare la canzone che ascoltandola ma Filippo non ci sentiva
nemmeno bene, poiché i suoi orecchi erano ormai così zeppi di sporco da
aver formato un tappo insuperabile che impediva ad alcuni suoni di
essere ascoltati. Sentiva la mamma e il babbo, sentiva le maestre e i
compagni ma non riusciva ad ascoltare la musica. Si ritrovò per questo a
fare il pesce di Natale sotto l’albero. Fra regali e lampadine, Filippo
fu costretto a muovere solo la bocca, senza produrre alcun suono,
proprio come fanno i pesci, dato che non era riuscito ad imparare la
canzoncina di Natale. A causa di questo contrattempo e per rimediare
alla situazione, il bambino si era lavato le orecchie tutte le sere e
tutte le mattine, sì che Gino e Pino si erano sentiti riavere dal
piacere di essere rinfrescati e sciacquati con tanta frequenza ma
all’interno delle orecchie lo sporco era ormai talmente solidificato che
nessun tipo di lavaggio sarebbe riuscito a toglierlo da laggiù. Ci
dovette infatti pensare un dottore, il quale si accorse di tutto durante
una visita di controllo. Il povero bambino fu disteso su di un lettino,
fu tenuto ben fermo dalle amorevoli mani della mamma e il dottore, con
uno strano aggeggio appuntito, riuscì a lavare Gino e Pino come mai era
stato loro fatto. Il piccolo fu sorpreso dei rumori e dei suoni che
riusciva finalmente a udire e dopo lo spaventoso incontro con il dottore
che sì lo aveva liberato dal tappo nelle orecchie ma gli aveva anche
fatto tanta tanta paura, pensò bene di continuare a lavarsi le orecchie
ogni giorno, con immensa gioia di Gino e Pino che adesso ci sentono
benissimo e sono sempre freschi e puliti. Filippo ha poi imparato tutte
le canzoncine dell’asilo e le canta beato e a squarciagola tanto che
tutti sono costretti a tapparsi le orecchie per non sentirlo stonare.
Beh! Credo proprio che per noi bambini e anche per i grandi sia
davvero importante aver cura di se stessi. Lavarsi e pulirsi ben bene da
tutte le parti per mandar via lo sporco che è sempre lì pronto ad
attaccarsi ovunque e metter su casa velocemente che nemmeno te ne
accorgi, ti lavi al mattino e alla sera hai di nuovo tutto il collo
sporco, per non parlare delle dita dei piedi e delle mani sempre piene
di cioccolata, patatine fritte, macchie di pennarelli, erba, terra e
così via. Per noi bambini è davvero difficile però farci caso, perché
certamente abbiamo ben altre e più importanti cose da fare che non
controllare se e quanto possiamo esser sporchi ma possiamo esser certi
che quando il babbo o la mamma ci dicono che è meglio darsi una lavatina
sicuramente ne abbiamo bisogno. Eh sì! I genitori hanno quasi sempre
ragione, d’altra parte loro non hanno da fare cose così interessanti
come noi, non giocano, non disegnano, non corrono, non imbrattano, non
rompono, insomma fanno una vita talmente noiosa che andare a cercare lo
sporco o le cose che fanno male deve essere diventato il loro modo di
passare il tempo. In fin dei conti bisogna dargli ragione, ci sono
infatti un sacchissimo di cose che fanno male ai grandi ed anche ai
bambini e a volte non basta lavarsi o cambiarsi la maglietta sporca di
erba, cioccolata, tempere, sugo e terra per stare al sicuro ed esser
tranquilli di non ammalarsi o farsi male da qualche parte. Tra le cose
più noiose che i genitori riservano a noi bambini certamente ci possiamo
mettere proprio il fatto di cambiarsi i vestiti. Dico ma li avete visti
i grandi? Hanno il vestito per il lunedì, quello per il giovedì, un
altro per il sabato e un altro ancora per la domenica a seconda che si
vada a pranzo dai nonni o che si vada al mare. Io credevo che i vestiti
servissero per coprirsi quando faceva freddo ma invece è tutto un leva e
metti, la mattina ti alzi, ti spogliano e ti mettono un vestito
diverso, poi quando torni dall’asilo ti cambiano di nuovo. La domenica
ti mettono sempre dei vestiti ridicoli, tutti pieni di gale se sei una
femminuccia o che ti fanno stare tutto inteccherito se sei un
maschietto, poi ogni volta che un po’ di pastasciutta va a finirci sopra
sbraitano e te ne infilano un altro che sicuramente si macchierà con il
dolce. Allora sì che si infuriano e poi ti dicono che te lo devi
tenere, così li guardi per fargli capire che tu mica te lo volevi levare
il vestito, in fondo hai freddo e con quella camicia con la panna nel
taschino stai proprio bene. Ah i grandi, a volte io non li capisco,
anche se devo continuare a dire che spesso hanno davvero ragione.
L’altra sera, mentre mi infilavo il pigiamino, quello bellino celeste
che mi piace tanto con le barchette, il mare e il sole rosso rosso che
sorride e manda tanti raggi, insomma stavo per entrare nel letto quando
proprio il pigiama mi ha raccontato una storia fantastica che aveva
sentito mentre se ne stava disteso ad asciugare, dopo che la mamma,
tanto per cambiare, lo aveva lavato. Era lì tranquillo a prendersi il
sole addosso, quello vero di sole non quello disegnato, quando dal
terrazzo vicino lo ha chiamato la camicia da notte della bambina del
piano di sopra, una molto molto carina con le lentiggini, i capelli
rossi e l’apparecchio per i denti e gli ha raccontato una storia che
aveva sentito non mi ricordo più se da un lenzuolo del palazzo di fronte
o dai jeans del piano terreno ma che diceva più o meno a questo modo…
BUTTA VIA QUELLA MAGLIETTA!
A Giacomino piaceva un sacco giocare a pallone, quell’aggeggio
rotondo che andava dovunque tu lo calciassi o lo buttassi con le mani
era proprio un gioco divertente. Lo lanciava lontano con le mani e poi
lo rincorreva e quando lo aveva raggiunto o gli tirava un gran calcio e
lo spediva di nuovo lontanissimo per poi andarlo a prendere correndo o
lo lanciava via ancora con le mani magari facendolo rimbalzare per terra
per poi dargli un calcione e farlo volare in aria alto alto e ammirarlo
mentre se ne volava sopra tutti e sopra tutto. A volte si immaginava di
essere lui stesso una palla per poter volare sopra i bambini, sopra i
prati, i giardini e sopra le strade, poi prendere un altro bel calcio e
volare in alto nel cielo fino al sole e ridiscendere fino a terra e
rimbalzare ancora e poi ancora. Dopo gli piaceva ritornar bambino e
correre da solo o insieme ai suoi amichetti dietro a quella palla,
scappare tenendola tra le mani o calciandola lontano da tutti. Ah sì che
bello! Il pallone era proprio una gran bella invenzione, almeno quanto
le astronavi e la televisione e correre era piacevole e divertente come
sognare di andare su marte o volarci, dentro un cartone animato.
Giacomino giocava a palla tutti i giorni, correva correva e la mamma gli
correva sempre dietro dicendogli di coprirsi, di non sudare tanto
dietro a quell’aggeggio infernale, di tornare a casa presto, darsi una
bella lavata e cambiarsi la maglietta, insomma le cose che tutte le
mamme dicono a tutti i bambini e che chiaramente nessun bambino ascolta.
Giacomino ogni giorno tornava a casa sudato fradicio, dopo aver
rincorso la palla e gli altri bambini per tutta la mattina e tutto il
pomeriggio, correva di filato nella sua cameretta e si metteva a leggere
un giornalino o un libro di favole, aspettando che la mamma preparasse
la cena. La mamma invece, dopo un po’, andava a trovarlo nella sua
camerina e prima lo brontolava bene bene, poi lo spogliava tutto, lo
lavava e gli metteva i vestiti puliti e asciutti. Giacomino brontolava e
il giorno dopo ricominciava tutto da capo. Capitò una volta che quel
sabato ci sarebbe stata la festa di compleanno del suo migliore amico,
Luigino e Giacomino non se la sarebbe fatta scappare per niente al
mondo. Quella sera invece tornò a casa più sudato che mai e più stanco
di quanto non fosse mai rincasato, si infilò bagnato e sporco nel letto e
si addormentò in un battibaleno. La mamma appena lo trovò si preoccupò
subito di quello che poteva esser successo al povero Giacomino, lo
spogliò con delicatezza, lo lavò piano piano mentre il bambino ancora
dormiva, lo rivestì con un pigiamino caldo e asciutto, lo rimise a letto
e dopo avergli misurato la febbre ed aver visto il termometro salire
fino a trentotto, chiamò il dottore e lasciò che Giacomino dormisse
tranquillo. Quel sabato non andò alla festa, rimase chiuso in casa
ammalato e fu costretto a rimanerci anche tutta la settimana successiva,
senza amici e senza pallone. Quando finalmente rivide la luce del sole
ed i suoi compagni di mille giochi, ricominciò subito a correre e
saltare con loro o dietro a qualche pallone ma da allora, quando la sera
ritorna a casa, si lava per benino, si asciuga e si cambia la maglietta
sudata prima di mettersi a leggere o a sfogliare un giornalino,
aspettando che la cena sia pronta. Da quella volta non si è più ammalato
per colpa del pallone. Qualche giorno dopo poi, anche se in ritardo, ha
festeggiato il compleanno di Luigino con patatine e salatini, nel mezzo
ai giardinetti tra una corsa, un salto e una pallonata.
Uffa! Come si fa a dar torto ai genitori, ne sanno sempre una più
di quelle che noi possiamo ribattere, a volte sembra proprio che
sappiano addirittura quello che vanno dicendo. A volte però, perché mica
sempre hanno ragione, prendiamo per esempio il mangiare, la frutta
ecco, certo che la frutta è proprio una delle cose più buone e gustose
da mangiare, niente a che vedere con la verdura! Puah! Ravanelli,
fagiolini, insalata, carotine, brrrrrr mi vengono i brividi soltanto a
parlarne figuriamoci poi se riuscirei mai a mangiarne. I genitori invece
non fanno altro che star lì a dirti, mangia la verdurina che diventi
grande, mangia le carotine che cresci forte ma insomma, non hanno ancora
capito che noi non vogliamo crescere, che vogliamo rimaner bambini! La
frutta invece è così gustosa, polposa, succosa, ti puoi sbrodolare
tranquillamente mentre ti gusti una pesca e la metà del suo succo se ne
cola giù lungo la gola, per poi finire immancabilmente su vestiti,
tovaglia e tovaglioli. Per non parlare poi di tutta quella che ti cola
lungo il braccio fino al gomito per poi riversarsi, goccia dopo goccia,
sul pavimento della cucina. E per questo i grandi si arrabbiano, uffa a
un certo punto si perde proprio il gusto di fare le cose, cosa ci sarà
mai di male a mangiare una susina o una pera e perderne la metà per la
strada, se proprio ci va ne mangiamo un’altra. Ma questo i grandi non lo
capiscono e allora siamo costretti a mangiare tutti imbacuccati con
bavagli, bavaglini e tovaglioli, sennò ci sporchiamo il vestitino nuovo e
magari la frutta ce la sbucciano pure e ce la tagliano anche a fettine,
per non rischiare una macchia sul vestito buono. Ma così, dove finisce
il gusto dello sbrodolamento? Ad ogni modo la frutta più buona è
certamente quella colta direttamente dagli alberi e magari mangiata
stando penzoloni su di un ramo. Beh, lo so anch’io che in città non si
trovano più ormai tanti alberi da frutto e che la campagna e sempre
molto lontana da raggiungere per noi bambini ma state sicuri che c’è
sempre un nonno, uno zio o anche qualche papà con la passione del
giardinaggio, che nel proprio orto o giardino ha anche qualche
alberello, magari un susino o un albicocco o, fortuna delle fortune,
magari addirittura un ciliegio. Allora alla carica e chi più ne trova
più ne mangi. Arrampichiamoci sopra e gustiamoci la frutta, come dicono i
grandi, dal produttore, l’albero al consumatore, noi bambini. Beh, lo
so, lo so che mi ripeto ma pure in questo caso devo dire che i grandi a
volte hanno proprio ragione, sì perché l’altro giorno, mentre giocavo
alla Formula 1 nell’automobile di papà, questa mi ha raccontato che
mentre era ferma al semaforo rosso, perché quando il semaforo, sì il
marziano, quel coso lungo e verde con tre occhi colorati, verde avanti,
giallo attenti, rosso fermi, insomma appunto quando il semaforo ha
l’occhio rosso acceso bisogna fermarsi e mentre era ferma al semaforo
rosso, le si è affiancata un ambulanza che stava ritornando
dall’ospedale e le ha raccontato l’avventura di cui era stata partecipe,
era successo che…
COME PERE COTTE
Nonno Ademaro si stava preparando ad affrontare una nuova estate,
il caldo si faceva sentire sempre più opprimente, la scuola era già
finita e i bambini, quei cosi scorrazzanti e schiamazzanti, non erano
contenti di uscire a giocare e urlare tutto il giorno, no, adesso
volevano uscire anche la sera, a far danni per le strade e soprattutto
nel suo orto. Nell’orticello di nonno Ademaro un pesco, un pero e un
ciliegio se ne stavano stracarichi di frutti, per il momento ancora
piccoli e acerbi, in attesa che qualcuno li liberasse da quell’enorme
peso e Ademaro pretendeva che questo onore toccasse soltanto a lui, lui
solo doveva essere quello che avrebbe goduto, meritatamente si deve
dire, dei frutti dei propri alberi, quelle bellissime piante che aveva
curato, concimato e accudito con tanto amore da tantissimo tempo. Ma
l’estate arrivava, il caldo maturava i frutti e faceva uscire i bambini
la sera e queste piccole pesti, per rinfrescarsi del gran calore, non
avevano di meglio da fare che infilarsi di nascosto nel suo orto e
mangiarsi le sue susine, le sue pere e mmmhhmmm le sue buonissime
ciliegie. Così facevano infatti Giacomo, Michele e Guido, tre
inseparabili amici che, quando arrivava la bella stagione, non contenti
di quanto avevano giocato e scorrazzato per tutto il giorno, uscivano
anche la sera e fra le tante cose che piaceva loro fare nel buio afoso
dell’estate, la più succosa era certamente la mangiata di frutta. Si
infilavano nell’orto di Ademaro, che a loro vedere era proprio un
vecchietto uggioso e brontolone, che però aveva della buonissima frutta
nell’orto e arrampicatisi sugli alberi, uno per uno, per ognuno di loro,
uno diverso per ogni sera e si facevano delle gustose scorpacciate di
frutta, comodamente seduti sui rami del susino, del pero e del ciliegio.
Nonno Ademaro insospettito come al solito dal gran trambusto, si era
affacciato anche quella sera alla finestra che dava sull’orto pronto a
brontolare e inveire contro le solite tre birbe che gli avevano ormai
quasi del tutto svuotato la scorta di frutta, vide i mascalzoncelli
appollaiati sugli alberi pronti a spiccare un salto da un ramo all’altro
e stava per gridare loro di andarsene, altrimenti sarebbe sceso lui. La
gioia, la compagnia, la tranquillità e l’abitudine a volte però fanno
brutti scherzi e quella sera mentre se ne stavano pacificamente a
ingozzarsi di frutta balzellando da un albero all’altro, si ritrovarono
tutti e tre a saltare nello stesso momento, scontrandosi a mezz’aria fra
il susino, il pero e il ciliegio. L’improvvisa distrazione aveva fatto
sì che Giacomo, Michele e Guido cadessero tutti di sotto dagli alberi,
proprio come pere cotte. I tre, da beati e tranquilli della loro
scorribanda, perfettamente a conoscenza del fatto che nonno Ademaro era
un gran brontolone ma anche un cuore d’oro e non avrebbe mai fatto loro
niente di più che una sonora brontolata, si ritrovarono a belare tra la
terra e i noccioli del loro ultimo pasto. Nonno Ademaro dopo un
brevissimo attimo di soddisfazione si vide invece costretto a correre in
soccorso dei tre, non prima di aver avvisato subito il dottore del
piano di sopra. L’ambulanza se li portò via tutti quanti. Giacomo si era
fatto male ad una spalla, Michele aveva un gran dolore ad un piede e
Guido aveva battuto forte il sedere per terra, insomma nessuno dei tre
fu in grado di scappare e dovettero ricorrere alle armi della tenerezza
per essere curati e accuditi senza buscarsi una sonora risciaquata per
la marachella che avevano combinato al povero Ademaro e per il pericolo
in cui si erano andati a cacciare con la loro golosità e la loro
spavalderia. Dopo una nottata di cure furono finalmente riportati a casa
dai rispettivi genitori, arrabbiati e preoccupati nello stesso momento
ma teneri e amorosi verso i propri figli e il mattino successivo tutti e
tre si videro recapitare un enorme cesto di frutta per colazione.
Susine, pere e ciliegie direttamente dall’orto di nonno Ademaro, con
l’augurio di una pronta guarigione così che potessero presto tornare a
fargli compagnia nelle calde sere d’estate, altrimenti chi avrebbe
potuto brontolare se loro non fossero tornati a banchettare su suoi
alberi.
Eh sì, i genitori a volte hanno proprio ragione a dirci di stare
attenti. Ma non sarà perché sono caduti anche loro dagli alberi? E poi,
anche i grandi più brontoloni alla fine sono sempre buoni e generosi con
noi bambini e ci perdonano sempre tutto. D’altra parte come sarebbe mai
possibile resistere a due belle ciliegie penzolanti da un albero in
un’afosa notte d’estate. A proposito di scorpacciate, mangiare non è
mica sempre pericoloso, non è certo necessario arrampicarsi sugli alberi
per mangiare, basta sedersi a tavola e vedere quello che c’è nel
piatto, scansare tutto ciò che non ci piace, anche se i grandi ci dicono
che ci farebbe così tanto bene e mettersi in bocca tutto ciò che
rimane, magari non necessariamente nell’ordine in cui ci viene proposto
ogni giorno. Prima le paste condite con il pomodoro, penne, tortiglioni o
spaghetti oppure la minestrina di dado liscia liscia o quella in brodo,
con tutti quei pezzi di non so cosa che galleggiano fra palline gialle
di olio o di chissà che altro. Dopo immancabilmente carne, braciolina,
petto di pollo o di tacchino o se siamo particolarmente fortunati
qualche surgelato che abbiamo già visto in tivù, dentro il quale non
sappiamo nemmeno cosa ci sia ma non ci interessa, se lo dice la tivù
allora va bene ed è buono, anche se dopo lo prima volta non lo vorremmo
mangiare più. Sì è buono, sì ma oggi non ci va in modo particolare e
così non siamo più costretti a mangiarlo anche se la mamma ne ha
comprate dieci scatole e non sa più per chi cucinarlo. Qualche scusa si
trova sempre, pur di non tradire le nostre pubblicità preferite.
Chiaramente accanto ad ognuno di questi noiosi piatti c’è sempre un
contorno e per noi bambini il contorno è solo ed unicamente uno, le
patatine fritte, quelle vanno bene con tutto, su tutto e dappertutto.
Carne, pizza, aranciata, pastasciutta, minestrina e anche come antipasto
ma figuriamoci se i grandi lo capiscono. No, giammai, oggi pisellini,
domani fagiolini, il giorno dopo brrrrrrr carotine, insalata e via
dicendo, le peggiori torture culinarie. E loro, lì a dire che è per il
tuo bene, che fanno bene a questo, fanno bene a quest’altro, fanno
crescere, fanno dormire, fanno stare svegli. Uffa ma mangiare qualcosa
che piace, mai eh! E poi, se ci fanno mancare quello che ci piace, va a
finire che quando magari c’è in tavola qualcosa di veramente buono, ci
abbuffiamo a strippapelle e ci riempiamo le guance come criceti. Allora
di nuovo tutti a dire, mangia piano, mastica bene, se fai così poi ti fa
male. Uffa ma perché se loro hanno perso il gusto del mangiare, noi non
possiamo gustarci le cose buone. Anche se devo dire che ogni tanto,
come al solito, capita che abbiano davvero ragione. È successo a tutti
prima o poi di fare una bella indigestione, certo senza stare davvero
male ma quando la pancia strilla, anche se non è grave, fa male tanto
tanto. Pensate, mi ha raccontato la forchetta, che gli aveva detto la
tovaglia, che mentre era stesa al sole ha sentito dire una cosa davvero
buffa da un tovagliolo steso nel prato accanto, era successo che...
UNA MISCELA ESPLOSIVA
Matteo non era un bambino mangione, anzi la mamma lo doveva sempre
pregare di mettere qualcosa sotto i denti, una carota, un poco di
sogliola, un morso di mela, un po’ di calda minestrina in brodo. Matteo
invece, quando ci riusciva, non mangiava quasi niente. Questo perché
aspettava sempre che arrivasse il momento delle patatine o del dolce,
quello con la panna che a lui piaceva tanto tanto. Certo per lui
riuscire a mettere insieme le due cose sarebbe stato il massimo ma
sembrava che gli altri non gradissero poi così tanto l’abbinamento delle
due pietanze. Non le sue due sorelline, due gemelline tutto pepe sempre
a parlare e sparlare di tutto e di tutti ma ordinate e composte a
tavola quanto ordinate e composte nel mangiare; primo, secondo,
contorno, frutta e se c’è il dolce, blah che pasti insulsi. Tantomeno
erano d’accordo i suoi genitori o i nonni, figuriamoci! Come in
tantissime altre famiglie, anche in quella di Matteo la domenica è da
sempre il giorno in cui viene dedicato più tempo alla preparazione del
pranzo, mamma e papà non vanno al lavoro e allora si ingegnano nel
preparare deliziosi manicaretti per la famiglia, almeno questo è quello
che pensano loro, perché Matteo non è mai stato per niente d’accordo.
Pranzi elaboratissimi con tutta quella roba piena di formaggi strani,
filanti, sugosi e appiccicosi non era cosa di cui ti potevi fidare. Ma
una felice e fortunata domenica, così almeno apparve al momento, Matteo
trovò nascosto nel frigo dietro i fagiolini lessi, un meraviglioso e
gustosissimo dolce alla panna, proprio di quelli che piacevano a lui,
anzi che lo facevano letteralmente impazzire, fortuna ancora volle, si
fa per dire penserete voi tra poco, che la mamma avesse preparato e
tenesse in caldo dentro il forno, anche un gigantesco vassoio di
deliziose patatine appena fritte, pronte ad andare in tavola di lì a
pochi minuti. Matteo chiaramente non si lasciò sfuggire l’occasione,
prese il dolce dal frigo e le patatine dal forno e con il gustoso e
preziosissimo bottino si rifugiò silenzioso nella sua cameretta a
divorarsi tutto in un sol colpo. Quando all’ora di pranzo papà e mamma
lo cercarono per farlo sedere a tavola, lo trovarono disteso sul suo
tappeto di peluche a forma di orso, con una patatina nella mano e la
panna nell’altra mentre borbottava parole senza senso. Aveva proprio
combinato un bel guaio! Fu portato di filato all’ospedale più vicino e
dopo una bella lavanda gastrica e qualche giorno di letto a pollo lesso e
mele cotte, Matteo poté alzarsi di nuovo e ricominciare a mangiare
normalmente ma da allora ha pensato bene di assaggiare un po’ di tutto,
come i suoi genitori, come i nonni e come le sue due antipatiche
sorelline, magari non in quantità industriali. Quando ci sono le patate
però quelle in più toccano sicuramente a Matteo e quando arriva il dolce
è sua la fetta più grossa ma certamente non si lancerà mai più in
esperimenti culinari, provando a mescolare i cibi, senza chiedere prima
consiglio alla mamma o al papà e di sicuro non ne mangerà più così
tanto.
Ehi! Ma è mai possibile che va sempre a finire che i grandi hanno
ragione, anche quando si parla di roba gustosa da mangiare, sarà forse
perché anche loro si sono fatti qualche scorpacciata di troppo quando
erano piccoli, tanto tanto tempo fa e adesso cercano di non far compiere
a noi gli stessi errori. Mah! Sarà, ma a me fare le cose strane e
bizzarre che mi passano per la testa piace davvero un sacco e non riesco
proprio a non farle neanche se i miei genitori me lo ripetono mille e
mille volte. A proposito di mangiare ma voi siete mai riusciti a stare
composti a tavola? Seduti, impettiti, con i polsi sul bordo, le gambe
ben dritte, la schiena così eretta, che dopo un po’ che sei in quella
posizione incomincia a farti male dappertutto e così ti smonti sulla
tavola, mandando un braccio qua, la testa là, le gambe incrociate sotto
il sedere e allora i genitori prendono a dirti cose tipo stai composto,
tieni la schiena diritta, se stai in questa posizione poi dopo non ti
addirizzi più, quando sarai vecchio te ne pentirai e mille altre strane e
uggiose frasi che si ripetono ogni volta. Certo che i papà e le mamme a
volte sono davvero noiosi e ossessivi, sempre a dirti cosa e meglio
fare, cosa non fare, come stare, dove andare ma come si fa a stare
composti a tavola, non è proprio possibile e poi ci sono delle
situazioni in cui non si può davvero restare seduti impettiti. Avete mai
provato a guardare la tivù stando fermi e composti? Eh no, non è
proprio una cosa realizzabile, quando in tivù c’è un cartone o un film
di avventura non si può davvero restare fermi, a me piace sdraiarmi
tutto torto, magari mezzo sulla mia poltrona preferita e mezzo per
terra, sul tappeto e quando poi l’azione si fa interessante cavalco,
corro, salto, grido con i mie personaggi preferiti e alla fine mi
ritrovo in posizioni davvero strambe; a capo all’ingiù, di traverso
sulla poltrona, con le gambe annodate, con le braccia strampalate ed è
una cosa superdivertente. La mamma invece non fa altro che dirmi di star
composto, altrimenti mi sporco tutto, rompo la poltrona e soprattutto
se non sto seduto per bene poi crescerò tutto torto. Questa più che un
avvertimento sembra veramente una minaccia, come fanno a dire queste
cose i grandi io non lo so proprio. Prendiamo ad esempio le piante,
quelle mica stanno scomposte, se ne rimangono lì tranquille tranquille,
piantate in terra, ben diritte e dopo un po’ cominciano a stortarsi
tutte, eppure non ho mai visto una pianta seduta scomposta davanti alla
tivù o a tavola. Come sempre però forse un po’ di ragione le mamme e i
papà ce l’hanno. Sì perché proprio alcuni giorni fa sono venuto a sapere
dalla mia poltrona preferita, che era stata a farsi ritappezzare dato
che l’avevo consumata tutta, che un divano, che era con lei dal
tappezziere, aveva sentito dire da una sedia impagliata una storia
davvero strana che un po’ di ragione ai nostri genitori la concede
veramente, circolava voce in giro che…
LA COLONNA PORTANTE
Tommaso era un bambino come ce ne sono tanti, gli piaceva saltare,
gli piaceva correre, gli piaceva giocare, proprio come a tutti quanti i
bambini. Tommaso aveva una particolarità che lo accomunava a tutti i
suoi amici e a tutti gli altri bambini, era molto ma molto molto
scomposto. Non si può raccontare quello che combinava nel letto perché
neanche lui era in grado di ricostruire quello che succedeva la notte,
fatto sta che al mattino la mamma lo trovava quasi sempre dall’altra
parte del letto, con la testa al posto dei piedi e magari anche con le
coperte tirate su come se si fosse infilato dentro ad un sacco ma spesso
e volentieri lo trovava con le gambe penzoloni o addirittura con il
corpo mezzo fuori dal letto e mezzo dentro. Questa però non era certo la
peggiore particolarità che contraddistingueva il piccolo Tommaso, il
modo in cui riusciva a trovare posizioni strampalate al suo corpo era
davvero strabiliante. Quando era il momento di mangiare, che facesse
colazione, pranzo o cena, riusciva a distendersi quasi completamente
sopra la tavola, in una maniera che nemmeno un contorsionista esperto
sarebbe riuscito a fare. Mantenendo le gambe incrociate ma divaricate
sotto il sedere e appoggiando la testa sul braccio da un lato del suo
posto e con il resto del corpo dalla parte opposta, in modo che la sua
colonna vertebrale faceva quasi un giro su se stessa, oltre che
divincolarsi come un serpente in fuga. Lo stesso faceva davanti alla
tivù, mentre si divertiva seguendo un cartone animato o un telefilm
avvincente, riusciva a girare tutta la stanza e a distendersi infine fra
la poltrona e il pavimento, in una delle sua solite pose artistiche da
quadro astratto. Sì, come quelli di Picasso, quelli che piacciono tanto
ai grandi, quelli che sembrano dipinti da un bambino di cinque anni a
cui non piace per niente disegnare. E la sua posa astratta e
incomprensibile la si ritrovava ovunque, anche a scuola, tra il banco e
la sedia o nei momenti di gioco con gli altri bambini. Non che i
genitori o le maestre stessero lì a guardarlo senza dire niente, anzi
tutti più o meno cercavano, con le buone o con le meno buone, di
persuaderlo a tenere una posizione meno complicata ma Tommaso non si
faceva convincere da nessuno, continuava imperterrito a distribuirsi su
tavoli, letti e poltrone, in modo artistico e complicato. E così
continuò a fare fino a che, durante un normalissimo controllo dal suo
pediatra, questi notò che, se il piccolo Tommaso avesse continuato ad
utilizzare quelle pose fantasiose, avrebbe sicuramente avuto da
lamentarsi quando sarebbe diventato più grande. Era il momento di
rimediare ai danni già fatti e di impedire che se ne facessero di nuovi e
più rilevanti. Per questo motivo e con gran disperazione di papà e di
mamma ma soprattutto di Tommaso, il dottore fu costretto ad imbrigliarlo
in un busto rigido che gli avrebbe impedito ogni movimento non corretto
ed ogni posa non adatta alla sua delicata colonna da bambino. Così gli
importantissimi ossicini che formavano la sua spina dorsale, avrebbero
avuto il tempo ed il modo di formarsi e di impilarsi nella maniera più
corretta, cosicché poi Tommaso avrebbe potuto ricominciare a saltare
come e più di prima. Dopo tre mesi di torture Tommaso venne infine
liberato e, scampato ogni pericolo per il futuro della sua schiena, da
allora in poi pensò bene di comportarsi diversamente, anche perché a
forza di portare quel rigido busto si era ormai abituato a pose più
semplici e meno pericolose anche se meno artistiche di quelle in cui si
era ritrovato in passato. Chi lo osserva oggi vede il solito bambino
scomposto che guarda la tivù, seduto e arrotolato come tutti i bambini
del mondo. Sì ma avreste dovuto vederlo prima.
Accipicchia mi sa proprio che gira gira, per ogni cosa che vado a
pensare, scopro sempre che forse non è proprio come credevo io. Ecco
perché mia nonna, quando mi vede seduto scomposto, mi dice sempre che
quando avrò la sua età me ne ricorderò di come mi arrotolavo e per colpa
di quei rotoli non potrò più fare tanti dei movimenti che mi piacciono
tanto. Sì, va be’, forse ha ragione ma comunque, sarà tra cento milioni
di anni, allora si vedrà. E poi uno non può mica stare sempre a pensare a
tutto quello che sta facendo. Ci sono delle cose che si fanno con
impegno, tipo che so; un disegno con mille colori, tutti mischiati
insieme o le costruzioni, palazzi enormi, altissimi con tanti tanti
piani di mattoncini colorati, messi uno sopra l’altro, poi ci sono le
cose che vengono da sole e facendo le quali non sempre si può esser
sicuri di quello che si sta facendo. Per esempio guardare un cartone
animato con un gelato in mano, a volte la storia in tivù è talmente
avvincente e spericolata che mica si può sapere che fine farà quel
gelato, se lo riusciremo a leccare tutto o se finirà spiaccicato sulla
poltrona o in terra o se se lo leccherà di tutto gusto il barboncino
della nonna. Oppure magari quando siamo a giocare a palla, non si può
certo stare attenti a non insudiciarsi o a non sporcare i vestiti. Se
l’avversario fugge con la palla bisogna fare di tutto per fermarlo e a
volte va a finire che, sia noi che l’altro, finiamo a gambe all’aria fra
le risate, l’erba e la terra che ci macchia dappertutto. No, no, la
testa è una cosa che va utilizzata con giudizio. Quando facciamo i
castelli di sabbia in riva al mare per esempio, bisogna stare
concentrati, attenti e vispi, sia perché gli altri bambini non vedono
l’ora di venire a spiaccicare la nostra opera d’arte, dato che sono
invidiosi di quanto è bella e d’altra parte noi glie lo distruggiamo
sempre, ogni volta che cercano di costruire qualcosa. Poi c’è da stare
attenti anche perché potrebbe arrivare un onda più grande delle altre e
spazzare via tutto il nostro sudato lavoro. Quando invece facciamo le
passeggiate sulla spiaggia è impossibile stare attenti e seguire i
nostri genitori, ci sono così tante meraviglie sul bagnasciuga che non
esserne attratti è praticamente impossibile. Gente che va, gente che
viene, bambini che strillano che non vogliono entrare in acqua perché
hanno troppa paura, bambini che strillano che non vogliono uscire
dall’acqua perché si divertono troppo. Poi c’è l’omino dei palloncini,
quello che vende chincaglierie e quello che vende bomboloni
untuosissimi, che nessuno mangerebbe mai ma che sulla spiaggia appaiono
così buoni che li comprano tutti. E i genitori a dire; stai attento,
guarda dove metti i piedi, attenzione c’è una pista con dei bambini che
stanno giocando, non mettere i piedi in acqua che ti raffreddi, metti i
piedi in acqua che la sabbia è troppo calda, insomma come sempre hanno
un sacco di cose uggiose con cui tempestarci mentre noi invece sembra
quasi che camminiamo volando, con la testa fra le nuvole e lo sguardo
perso ad osservare tutte quelle stramberie. Ma come al solito va a
finire che i papà e le mamme del mondo un po’ di ragione ce l’hanno e a
convincermi di questo è stato un racconto sorprendente che ho sentito
alcuni giorni fa mentre costruivo un fortino di sabbia sulla riva del
mare, il secchiello stava dicendo che aveva sentito dire dalla paletta
della bambina con il costumino rosa con le trine, che un ombrellone
aveva raccontato di una storia che gli era stata narrata dal patino di
salvataggio, il quale diceva che…
MA DOVE HAI MESSO LA TESTA?
Mattia era un gran sognatore. Lui non aveva la testa tra le
nuvole, la teneva ancora più su. Le stelle erano le sue compagne e
difficilmente si riusciva a fargli tenere i piedi per terra. Mattia era
un bravissimo bambino, era educato, ubbidiente, stava composto a tavola,
si lavava, gli piaceva andare all’asilo, dove giocava con tutti i suoi
compagni e difficilmente leticava con qualcuno. Era gentile, premuroso e
generoso, divideva sempre la merenda con gli altri compagni golosi e
cedeva sempre il posto alle bambine per farle salire sull’altalena o su
altri giochi e magari si fermava con loro a spingerle. Mattia era un
bravo bambino, si applicava su tutto quello che di impegnativo gli
veniva proposto, sia che fosse un semplice disegno, un gioco o un ordine
dei suoi genitori. Sì ma… quando gli saltava, non c’era proprio niente
da fare. Bastava una farfalla a far crollare tutta la sua attenzione,
lasciava merende, giochi e disegni, si sporcava come mai avrebbe fatto,
entrando magari dentro ad una pozza che aveva scansato un minuto prima e
della cui presenza aveva avvertito anche gli altri compagni. Era fatto
così e la mamma ed il papà dovevano stare sempre doppiamente attenti,
per loro stessi e per quanto non lo era Mattia. Ma si sa, anche i
genitori sono stati bambini e qualcosa di bambino è rimasto sicuramente
anche in loro e il patatrac è sempre pronto a capitare. Quell’estate
Mattia e i suoi genitori erano andati al mare, stavano in un bellissimo
albergo pieno di altre famiglie, con tantissimi bambini con cui Mattia
giocava dalla mattina alla sera, senza contare tutti quelli che aveva
conosciuto sulla spiaggia, con i quali si divertiva a dar noia al
bagnino, Mario che raccontava sempre un sacco di storie inventate e
voleva far credere loro che fossero fatti realmente accaduti. Mattia si
divertiva un sacco al mare; giocava, saltava faceva bagni di mare e
bagni di rena, costruiva castelli, piste, montagne e vulcani con i suoi
amici e ogni tanto, faceva delle passeggiate sul bagnasciuga con i
genitori. Ah, sì, quella era proprio una cosa fantastica, un momento
davvero emozionante, mille scoperte lo attendevano lungo la riva. Tanta
gente, tanti bambini che riuscivano a innalzare bellissime e stranissime
costruzioni di sabbia, giochi, mare, conchiglie, meduse arenate sulla
spiaggia e chissà quali altre meraviglie lo potevano attendere ogni
volta e lui in questo mondo meraviglioso ci si tuffava a capofitto,
tanto che in quelle occasioni i suoi genitori scherzavano con Mattia,
dicendogli che avrebbero dovuto mettergli un guinzaglio, come si fa con i
cagnolini, così, solo per sapere dove mai si fosse cacciato qualora
fosse sparito. Certo sarebbe stata una cosa davvero buffa ma quella
volta sarebbe stato meglio se il guinzaglio glie lo avessero messo
davvero. Era una bellissima mattina di sole e Mattia passeggiava con i
suoi genitori, chiacchierando e guardando di qua e di là. Si fermavano a
parlare con un amico del babbo, salutavano la zia della mamma che era
al bagno vicino al loro, guardavano i ragazzi fare i tuffi, e quelli che
giocavano a pallone, con le bocce o con i racchettoni. Fu proprio in
occasione di una di queste fermate ma nessuno riuscì mai a dire quale,
che Mattia e i genitori si divisero. Appena si resero conto di quanto
era accaduto il papà e la mamma si misero immediatamente a cercarlo
chiamando il suo nome a squarciagola e dopo poco non essendo riusciti a
cavare un ragno dal buco, avvisarono il bagnino che avvertisse con
l’altoparlante della scomparsa del piccolo Mattia, con il suo costumino
giallo a righe rosse. Mattia d’altro canto si era fermato a guardare un
ragazzo che stava costruendo un castello di sabbia altissimo e poi si
era rimesso a camminare, senza accorgersi dell’assenza dei genitori e
senza rendersi conto di aver cambiato direzione. Appena però si rese
conto di essere rimasto solo la paura lo attanagliò in un battibaleno,
cominciò prima a piangere, poi a disperarsi e infine ad urlare, fino a
che non attirò l’attenzione di tutti i bagnanti che si trovavano a
passare di là. Fu portato dal bagnino più vicino e con il passaparola,
la notizia fu sparsa per tutta la spiaggia. Finalmente arrivò fino ai
genitori, che accorsero immediatamente a ritrovare il loro piccolo
sperduto. Tanta era stata le paura e la disperazione che nessuno si
sognò mai di brontolare il povero Mattia ma da allora le cose sono
cambiate, eccome. Adesso Mattia non spenge più la testa, il suo cervello
è sempre sveglio e attento e non gli è più capitato di perdersi o di
distrarsi più di tanto, anche se, per fortuna, non può fare a meno di
rimanere a bocca aperta davanti a qualcosa di veramente meraviglioso. Ma
questa è tutta un’altra storia.
Eh, sì! Va a finire che, nonostante quanto sia bello e divertente
il mondo dei bambini, bisogna sempre ricordarsi che ce n’è uno che ci
aspetta domani che è quello complicato dei grandi. Allora, meglio
ascoltare i consigli dei genitori che spesso e volentieri hanno ragione,
diamogli retta e cerchiamo di adattarci a questo mondo anche se non ci
piace così tanto e che a nostro vedere, dovrebbe essere completamente
diverso. Beh, diamo tempo al tempo, quando saremo grandi ci penseremo
noi a cambiarlo!