Rumore
rumore
finalmente rumore
dopo dodici anni di silenzio
finalmente fu rumore
dopo il buio
la luce
non importa come
non importa quando
non importa perché
l’importante è che sia
e finalmente sia
se ne va Diana
se ne va Gianni
se ne va Teresa
crolla
anche la volta celeste di Francesco
e finalmente arrivi tu.
Non sono gli altri
che ti hanno imprigionato
non sono gli altri
che ti hanno liberato
non sono gli altri
che ti avranno
sarai tu
che finalmente
indiscutibilmente
sarai.
Uguale a prima
ma finalmente diverso
uguale a prima
ma finalmente unico
uguale a prima
ma finalmente aperto
uguale a prima
con gli stessi errori
con le stesse paure
con gli stessi problemi
ma finalmente
indiscutibilmente
indissolubilmente
vivo.
17 DICEMBRE 1997
SCHICCOLINA
C’era
una volta, tanto tanto tempo fa in un paese lontano lontano, una
bellissima fanciulla di nome Schiccolina. La graziosa bambina viveva
sola con il non più giovane padre, poiché la sua dolce mamma Aurora
l’aveva oramai lasciata da tempo, volando in cielo con gli angeli. Con
il passare degli anni il padre Fulmine solo, disperato e incapace di
aver cura della piccola, si era risposato con una donna di nome Zamarra,
anch’essa vedova, rivelatasi poi avida, prepotente e cattiva, la quale
aveva portato con se le sei figlie Aranilda, Barbagianna, Carnalacchia,
Dirigolda, Ermenilla e Florestana.
Le due famiglie, forzatamente riunite, vivevano nella grande casa
di Fulmine ma, con l’andar del tempo, le vere padrone erano divenute la
cattiva matrigna e le sei perfide sorelle. Tanto era stato il loro
sopravvento che il pover’uomo, pentitosi amaramente della sventurata
decisione di riprender moglie, si era dapprima isolato nella buia
soffitta e poi, invecchiando e non riuscendo più a sopportare le
angherie delle figliastre, si era rifugiato in una piccola casetta nel
bosco più remoto delle sue proprietà, dove, già da tempo, si recava di
buon mattino a pregare per la defunta moglie Aurora e ad invocare il di
lei perdono per aver abboccato alle lusinghe della megera Zamarra e per
le cattiverie che Schiccolina era costretta a sopportare ogni giorno
dalle sei cornacchie.
Più e più volte Schiccolina ed il padre tentarono invano di
ricongiungersi ma, dopo mille e mille angherie e soprusi, per impedirlo,
la cattiveria delle sorellastre arrivò al punto di far credere alla
piccina che anche il padre fosse morto, caduto in un crepaccio in un
mattino di tempesta, mentre si recava al paese dalla casetta nel bosco.
Schiccolina disperata, triste e sconfortata si sottomise così agli
ordini della perfida Zamarra ed alle assurde frenesie delle sei
bisbetiche sorelle. Fu in questo modo che, da padrona che era, si
ritrovò ad essere serva, sballottata e maltrattata.
Ogni giorno Schiccolina si recava in paese per le compere;
verdure, polli, cacciagione e quanto le poteva servire per preparare i
pasti della numerosa famiglia di Zamarra. Visto che si era dovuta
improvvisare anche cuoca, aveva cercato nella sua umiltà e nella sua
melanconia, di trovare i lati migliori nelle cose che faceva ed il
mercato era divenuto per lei il suo unico luogo di letizia. Qui aveva
potuto far amicizia con servitori, contadini e con i bottegai del posto,
i quali nutrivano per lei il più alto rispetto e con lei soffrivano per
la scomparsa prima della madre Aurora e poi dello sventurato padre
Fulmine, il tempo dicevano avrebbe sanato ogni tristezza. Il tempo era
passato anche per Schiccolina e con il tempo era cambiata assai
nell’aspetto e nella grazia, la bambina così amata da Aurora e Fulmine
era diventata una bellissima donna in età da marito e in paese si
mormorava che, solo con un buon partito, sarebbe riuscita a togliersi
dalle grinfie della matrigna Zamarra e che, con l’aspetto e la
gentilezza d’animo che Schiccolina aveva, un bravo e coraggioso giovane
l’avrebbe sicuramente incontrato. Ma in fondo queste altro non erano che
le speranze della gente del paese, la quale avrebbe voluto in qualche
modo potersi liberare della perfidia e della cattiveria di Zamarra. In
realtà, nessun giovane sarebbe stato così coraggioso da sfidare Zamarra e
la magia che si credeva celata tra le sue mani e in quelle delle
figlie, temute e riverite da tutti e a cui nessuno, per timore della
loro vendetta, avrebbe fatto un torto, forse neppure il Re in persona.
Il Re Garlando, dal canto suo, aveva ben altri crucci a cui
pensare, ormai vecchio, lento nell’agire e stanco di governare, non
vedeva l’ora che il suo unico figlio Romualdo si decidesse a prender
moglie. Il suo intento era di lasciargli il trono ed il paese, da
amministrare con la saggezza e la bontà con cui la famiglia reale si era
sempre contraddistinta e godersi la vecchiaia nei giardini di corte con
il maggior numero possibile di nipotini. Fu così che il Re cominciò a
dare ricevimenti ad ogni ora del giorno e della notte ed il
disinteressato Principe era costretto a far conoscenza con ogni donna
del reame e di quelli vicini, non riuscendo però a decidersi. Era un
rutilare di vestiti luciccanti, di chiffon e di organza, di sete,
broccati e damaschi e poi acconciature arricciate, lisciate, incrociate,
trecce, crocchie e tutto un batter di ciglia a tempo di musica nel
frastuono delle feste a palazzo, mentre il povero Romualdo, stanco e
affranto si negava ad ognuna di esse e si giustificava con il vecchio
padre dicendogli quel che spesso soleva ripetere di ambasciatori e
dignitari stranieri, non riusciva a vedere l’animo negli occhi di quelle
donne, così interessate alla corona più che a lui ed il Re, ansioso di
ritirarsi e di godersi una nuova famiglia, era proprio disperato ed
escogitava ogni volta un nuovo modo per presentare la dama di turno al
figlio Romualdo. Dapprima Principesse, nobildonne, alta borghesia, donne
dei ceti abbienti, poi sempre più a calare nel rango e nella
disponibilità, finché il Re decise che tutte le donne del regno potevano
recarsi a corte a sollecitare l’interesse del principe, anche quelle
non nobili, anche le contadine e le serve purché il suo amato figlio
potesse trovare gli occhi che stava cercando. Fu così, che anche
Zamarra, Aranilda, Barbagianna, Carnalacchia, Dirigolda, Ermenilla e
Florestana, nella speranza di essere scelte e diventare regine, decisero
di presentarsi al giudizio del Principe, anche Schiccolina.
Quando Zamarra venne a sapere dalle figlie che anche Schiccolina
aveva intenzione di presentarsi al cospetto del principe, la sua ira
verso l’odiata ragazza si centuplicò. Consapevole della brutezza della
sua numerosa prole e altresì della grazia e della bellezza di
Schiccolina, per impedire che il Principe si invaghisse di lei e per far
sì che la prescelta fosse una delle sue figlie, si vide costretta a
metter mano alla sua magia ed a rivelarsi a tutti per la strega che in
realtà era. Fu così che messi insieme gli ingredienti adatti in una
mistura putrida e maleodorante, preparò in fretta e furia due pozioni
una avrebbe reso le sue figlie belle, aggraziate nei movimenti ed
ipnotiche, sì che, chi le avesse guardate negli occhi ne sarebbe rimasto
irrimediabilmente innamorato, l’altra pozione avrebbe concentrato a tal
punto la bellezza di Schiccolina da rimpicciolire la fanciulla fino
quasi a non poterla vedere più e di lei sarebbe rimasta una minuscola
bambolina incapace di poter nuocere alla strega Zamarra e alle mire
delle sorellastre. Come ben sappiamo però la fretta non è certo compagna
delle cose ben fatte e la foglia di Barbaresco nano e quella di
Triceropo gigante in fondo in fondo si assomigliano molto, le due
pozioni poi erano così vicine l’una a l’altra ed invertire la dose di
foglie fu più semplice che soffiare una piuma e fu un errore di cui al
momento nessuno avrebbe potuto giudicarne la vera gravità o la grande
utilità. Quando le pozioni furono infine pronte, la strega Zamarra le
travasò in due appositi recipienti, quella ipnotica in un ampolla nera
come la pece e quella concentrante in una bianca come l’innocenza, riunì
poi Schiccolina e le figlie nel salone di ricevimento della casa e con
il suo malefico soffio vaporizzò il contenuto di quella nera sulle sei
sorelle e di quella bianca sulla povera Schiccolina. Aranilda,
Barbagianna, Carnalacchia, Dirigolda, Ermenilla e Florestana si
trasformarono in un batter d’occhio in sei meravigliose e
aggraziatissime fanciulle e tutte si accalcarono davanti al grande
specchio del salone e facevano a spintoni, schaffi e botte per potersi
vedere, ammirare e rimirare; ebbene sì la pozione aveva funzionato ed
anche se non aveva instillato in loro le buone maniere, le aveva
trasformate in sei leggiadre fanciulle. Schiccolina si ritrovò invece
improvvisamente a rimpicciolire, vedeva le cose intorno a lei diventare
sempre più grandi e resasi conto del maleficio che le era stato fatto
fuggì nel bosco, correndo per quanto le piccolissime gambette le
permettevano, a cercar rifugio nella casetta che era stata l’ultima
dimora di suo padre Fulmine.
A palazzo la situazione era disperata, il principe Romualdo ormai
stanco della situazione e sfiduciato di poter mai trovare una fanciulla
che gli intenerisse il cuore e che si lasciasse leggere negli occhi,
affranto nello spirito e distrutto nel corpo, si era rifugiato nella
torre maestra del castello, lontano e al sicuro dalla folla e certamente
non voleva più sentir parlare di feste, ricevimenti, donzelle e
soprattutto di matrimonio. Il Re Garlando era precipitato in uno stato
di immensa tristezza, aveva visto svanire i suoi propositi di ritirarsi a
godere delle gioie di essere un nonno Re e in più si sentiva in colpa
per la disperazione arrecata al figlio, che aveva costretto a sottoporsi
all’estenuante e invana ricerca di una moglie. Il misero Re vagava per
le stanze del palazzo chiedendo aiuto a destra e a manca, fermava tutti i
cortigiani, i servitori, i nobili o chiunque altro passasse vicino a
lui, per chiedere un consiglio, un rimedio, una soluzione alla tristezza
sua e del figlio Romualdo. Il Principe, solo nella buia stanza in cima
alla torre, ripensava ad ogni ragazza, ad ogni sguardo e si sentiva lui
in colpa verso il padre per non essere riuscito a trovare moglie tra le
tante donzelle conosciute e allora rivedeva ogni momento degli ultimi
giorni, ogni volto, rileggeva dentro agli occhi di ognuna di esse ma
continuava a non trovare quell’immensa profondità d’animo in cui lui
desiderava annegare. In questo modo cominciarono a passare i giorni e le
settimane, con il Re a chiedere aiuto, ed il Principe a perdersi nei
ripensamenti. Davanti al palazzo reale si era formata una lunghissima
coda, gente da tutto il reame era venuta per concedere al re il proprio
aiuto per risolvere il guaio, convincere il Principe ad uscire dalla
torre e trovargli una moglie, con tutti i mezzi possibili. Si
presentarono tipi assai strani, ciarlatani, quasi maghi, buffoni, gente
eccentrica e tutti trovarono ascolto presso il Re e tutti fallirono poi
dinanzi al Principe, non riuscirono pozioni, sortilegi e artefici vari,
il tristo Romualdo non si mosse dalla torre maestra. Nel frattempo a
palazzo era giunta la perfida Zamarra con le sue rinnovate figliole e
appena il Re le vide in fondo alla fila gli si illuminarono gli occhi,
certo tra quelle sei meravigliose dame sicuramente c’era quella che
avrebbe fatto innamorare suo figlio e che lo avrebbe liberato dalla
prigionia in cui si era costretto. Rivolgendosi al fidato ciambellano
gli chiese come poter far passare avanti a tutti quelle sei meraviglie
giunte da chissà dove, il povero consigliere avrebbe voluto risolvere la
questione ma già al momento si rischiavano tumulti con tutta quella
gente a palazzo e una ordinata fila di guardie accompagnava su ogni lato
la lunga coda che portava alla porticina della cella del Principe, se
si fosse fatto al popolo uno sgarbo del genere si sarebbe rischiata
addirittura la rivoluzione. Fu così che anche Zamarra, volente o nolente
dovette rimanere in fila come tutti gli altri.
Schiccolina intanto era giunta alla casa nel bosco e quando fu
dinanzi al portone ebbe un pò di timore prima di entrare, sia per i
mille ricordi di melanconia che le si sarebbero aggiunti alla tristezza
che già recava con se, sia perché c’era davvero da aver paura, la
finestra della casetta era illuminata, qualcuno la abitava, ci si poteva
fidare? Erano briganti o soltanto poveretti? Dopo un attimo di
traballamento, la minuscola fanciulla decise infine di affrontare
quell’ultima prova ed entrare, rischiando ciò che c’era da rischiare.
Meraviglia delle meraviglie, appena messo piede nella casa vide seduto
davanti al camino il vecchio padre Fulmine, il quale la riconobbe
immediatamente, nonostante non fosse più alta dell’unghia del suo
mignolo. Lacrime, abbracci, baci e pianti si sprecarono in quel momento
di estrema commozione e felicità e dopo le emozioni incominciarono anche
le parole; il vecchio Fulmine era stato costretto dalla moglie strega a
fingersi morto e restare rinchiuso nella casetta nel bosco, lontano da
tutti ed in special modo da Schiccolina, se non lo avesse fatto i
sortilegi della strega si sarebbero rivolti sulla fanciulla facendo si
che ella andasse a raggiungere la buona madre, nel cielo degli angeli.
Fulmine non aveva trovato modo di opporsi alla malvagità di Zamarra e di
certo l’età e gli acciacchi non gli avevano permesso di sfidare la
magia nera della megera. La gioia di Schiccolina era tale da sormontare
qualunque rimpianto del passato, quel che contava era che loro si erano
alfine ritrovati e potevano adesso condurre insieme la loro vita di
fuggiaschi. Schiccolina raccontò al padre le vicende del reame,
mostrando anche la sua preoccupazione per ciò che sarebbe potuto
accadere se una delle sei bertucce fosse davvero divenuta Regina. Fu a
quel punto che il padre, deciso a riscattare i suoi errori e la sua
codardia, le chiese di fare qualcosa insieme, per salvare le loro
esistenze, il principe e l’intero reame dal potere della vecchia strega e
delle sei orribili figlie e così, dopo un breve conciliabolo, decisero
di precipitarsi anche loro a palazzo.
Giunti al castello si ritrovarono in fondo ad una lunghissima
coda, piena di gente strana e poco affidabile, che dette loro l’idea di
quale fosse la gravità della situazione, bisognava fare qualcosa al più
presto. Approfittando della sua minuscola statura Schiccolina si infilò
tra i piedi della folla e corse forte fortissimo verso la prigione del
principe. Davanti alla porticina della cella, c’erano alcune buffe
persone che, con strani armeggii, stavano cercando di far capire al
Principe l’opportunità che egli uscisse una buona volta e che si
decidesse a convolare a nozze. Rapida rapida, Schiccolina si destreggiò
fra quella selva di gambe e infilandosi sotto la porta riuscì ad
oltrepassare l’ultima barriera che la separava dal Principe. Entrò in
una stanza buia e umida, il Principe le voltava le spalle ma d’un
tratto, come se avesse avvertito la sua presenza si girò per cercarla e
lei ne rimase immediatamente incantata, arrivando a pensare che, se mai
la avesse chiesta in moglie, lo sarebbe diventata immediatamente, anche
se il Principe sicuramente non si sarebbe nemmeno accorto di un guscio
di noce come lei. Romualdo la vide e la lasciò salire sul palmo della
sua mano, ammirandone il coraggio per esser riuscita, così piccola, a
salire fino in cima alla torre per parlare con lui. Schiccolina riversò
sul giovane Principe tutto il suo amore per la vita, gli raccontò le sue
vicissitudini, le malefiche sorellastre, la strega ed il padre Fulmine
ritrovato e lui la ascoltava meravigliato e preso dalla gentilezza di
quel piccolo cuore. Osservandola sempre da più vicino, riuscì infine a
guardarla nei piccolissimi occhi e a sentirsi avvolgere dall’animo di
lei e navigare nella sua profondità. Finalmente l’amore era sbocciato,
adesso si dovevano risolvere i guai.
Tra la folla intanto si era sparsa la voce che qualcuno era
entrato nella cella del Principe ma la porta era rimasta chiusa, forse
un folletto, forse una magia, chi mai poteva aver fatto ciò, chi poteva
esser entrato senza farsi vedere e senza aprire alcuna porta. La perfida
Zamarra lo sapeva, capì all’istante che altri non poteva essere stato
se non Schiccolina e rivolgendosi alle figlie ordinò loro di lasciar
perdere la fila ancora davanti a loro e di correre fino alla porta della
torre, nel frattempo lei si sarebbe arrampicata fuori dalla torre ed
entrata dalla finestra avrebbe ucciso la malcapitata Schiccolina e
spalancato la porta della cella, dando loro la possibilità di entrare e
di costringere il Principe ad innamorarsi. Le sei sorelle si
precipitarono verso la torre maestra e la strega Zamarra si innalzo
quasi volando e cominciò a scalare le ruvide pietre del castello.
La chiave della cella era andata perduta ed il Principe non sapeva
come poter alfine uscir fuori dalla prigione in cui si era rinchiuso ma
l’acume di Schiccolina e le sue dimensioni, fecero sì che la brillante
idea passatale per la testa si potesse realizzare. Tenendosi stretta
alla punta del dito del principe, lo fece avvicinare alla porta sì da
poter entrare dentro alla serratura. Appena si trovò in all’interno di
quel luogo rugginoso e angusto anche per lei così piccina, cominciò a
premere sui meccanismi, con tutte le sue forze, spingendo e spingendo
nel tentativo di aprire la porta, le sue mani scivolavano sul robusto
cilindro, si graffiavano e poi ancora ritornavano a premere sul perno di
ottone e le braccia spingevano e le gambe forzavano mentre il suo
piccolo cuoricino batteva batteva e minuscole lacrime bagnavano i suoi
occhi ormai pieni dell’amore del giovane principe. Finalmente la
serratura cedette la porta si aprì e da quel momento nessuno seppe poi
più raccontare cosa successe prima e cosa successe dopo, perché tutto
sembrò succedere insieme, nello stesso momento.
Nella stanza dinanzi alla cella si erano misteriosamente ritrovati
il Re Garlando, il vecchio Fulmine, Aranilda, Barbagianna,
Carnalacchia, Dirigolda, Ermenilla e Florestana, Schiccolina era uscita
dalla serratura ed era ancora sul palmo del gioioso Principe Romualdo,
la strega Zamarra arrampicatasi fino in cima alla torre era giunta alla
finestra della prigione e stava per lanciare il suo maleficio, quando
d’un tratto un fulmine, preannunciando l’arrivo di un temporale si andò a
schiantare proprio sul tetto della torre maestra. Zamarra, colpita in
pieno, si incendiò ed in un battibaleno si ridusse in cenere e venne
soffiata via dal vento. La foglia di Barbaresco nano e quella di
Triceropo gigante ebbero finalmente il loro effetto negativo sulle
pozioni preparate, lo scambio non aveva influito sulla riuscita degli
intrugli, ma aveva dato loro un termine e quel termine era infine
arrivato. Le sei sorelle si ritrovarono in una nuvola di fumo che,
diradatosi, le rivelò per le brutte e sgraziate che erano e per la
vergogna scapparono via lontano e ancora oggi si dice stiano correndo
per reami e terre lontanissime. La bellissima Schiccolina, contornata da
un alone rosa ed azzurro ritrovò la sua forma di donna, con il fascino e
la grazia da sempre avute e potè così finalmente abbracciare il
Principe Romualdo ed anche il padre Fulmine ed il Re Garlando, prossimi
nonni di bellissimi nipotini Reali.
La festa a corte ebbe subito inizio ed il matrimonio tra Romualdo e
Schiccolina fu celebrato tra canti, balli e attrazioni di ogni genere
che durarono per giorni e mesi, fino alla nascita dell’erede per il
trono del regno e così ricominciarono daccapo. Ogni volta poi che le
feste si stavano acquietando un nuovo nipote per Garlando e Fulmine
veniva al mondo per allietare i due nonni, il reame intero e per la
gioia infinita del Re Romualdo e della Regina Schiccolina, custodi unici
per un reame felice, meravigliosi genitori di una prole senza fine e
innamorati per sempre.
LIETO FINE
25 DICEMBRE 1997