Un
mattino le sei si alzarono tutte pimpanti e riposate e decisero che
avrebbero passato una lunghissima giornata di divertimento e di spasso.
Ma non fecero in tempo a mettere i piedi a terra e a lavarsi i denti che
già si erano fatte le otto e poco dopo colazione erano già le dieci. Il
tempo di vestirsi che suonò mezzogiorno. La fame si fece sentire e
giusto un momento per uno spuntino, si erano fatte le due. Ebbero appena
il tempo di aprire la porta per andar fuori a correre all’aria aperta
che già erano le quattro e venne loro voglia di fare un’allegra merenda.
Appena ebbero finito rintoccarono le sei e il sole aveva già preso a
calare. Bisognava darsi una mossa, il tempo di pensarci e arrivarono le
otto di sera, era tempo di preparare la cena. Dopo mangiato si fecero
sentire le dieci e fra un pisolino e uno sbadiglio suonò mezzanotte.
Subito si animarono, com’era volato quel giorno, bisognava darsi una
mossa, ma ebbero appena il tempo di pensare che giunsero sonnacchiose le
due del mattino. Ormai era troppo tardi il sonno si era impadronito di
loro e alle quattro già dormivano profondamente, era meglio riposarsi
bene prima che arrivassero di nuovo le sei.
Settimino era un gran lavoratore e non poteva certo stare con le
mani in mano. Tanta era la voglia di far qualcosa ma non sapeva proprio
come passare il tempo, così trascorse tutto il Lunedì a sognare e a
pensare e alla fine gli venne un idea davvero geniale. Aveva deciso,
avrebbe costruito un motore nuovo per la sua auto. Settimino però non
era un ingegnere e passò tutto il Martedì a progettare. Scrivi le
formule, traccia le righe, copia, cancella. In un battibaleno trasformò
il suo studio in un cestino di rifiuti, tante erano le cartacce che
aveva appallottolato. Ma alla fine il disegno era finalmente pronto.
Mercoledì girò per tutta la città alla ricerca di quello che gli
serviva, andò dal carpentiere per i ferri, dal ferramenta per le viti e
dal salumiere per comprare un panino per quando gli fosse venuta fame.
Portò tutto nel suo studio, che era già così pieno che non ci sarebbe
entrata più neppure una spilla. Giovedì cominciò a costruire il motore.
Avvita, svita, allarga, stringi, incastra e ogni tanto un morso al
panino, perché la fatica era tanta e la fame si faceva sentire. Venerdì
il motore era pronto e lo montò sulla sua auto, una superspider tutta
rossa con davanti due fanali enormi che sembravano gli occhi di un
gatto. Alla fine era così sporco di grasso che dovette farsi la doccia e
lavare camicia e pantaloni. Sabato si alzò di buon ora e andò a provare
l’auto con il motore nuovo fiammante, girò girò girò per tutto il
giorno, tra colline e vallate e ogni tanto si fermava a cogliere un
fiore, a guardare le pecore brucare o ad ascoltare il canto degli
uccellini. A sera tornò a casa soddisfatto della bella girata e del
motore nuovo che aveva costruito. Domenica si riposò tutto il giorno e
quando venne buio era proprio annoiato, non ne poteva davvero più di
stare con le mani in mano, domani avrebbe inventato qualcosa di nuovo.
Tanto tanto tempo fa i mesi non stavano in ordine come adesso. Si
presentavano vispi e pronti ogni primo dell’anno e facevano una bella
gara per vedere chi avrebbe cominciato l’anno, chi l’avrebbe concluso e
tutti quelli che ci sarebbero stati nel mezzo. Una volta fecero una
corsa a ostacoli e vinse marzo il più scattante di tutti, un’altra
fecero la conta e ottobre il più sfortunato venne fuori per ultimo, una
volta giocarono alle tabelline e vinse settembre che per quella volta fu
il primo mese dell’anno. Era sempre una gran festa, i mesi si
divertivano un sacco, anche se alla fine di ogni gara non mancava mai
chi si lamentasse, soprattutto gennaio che arrivava quasi sempre ultimo.
I mesi si divertivano ma per gli uomini era proprio un gran caos, non
sapevano quando seminare, quando andare al mare o quando cogliere una
margherita per la loro innamorata. Stanchi delle sorprese del calendario
andarono a protestare dal padrone del tempo il quale li ascoltò molto
attentamente e decise che avrebbe messo ordine a tutta quella sarabanda
cercando di accontentare anche i mesi. Così Gennaio divenne il primo
dell’anno, visto che non gli era mai riuscito, poi febbraio con gli
scherzi e le maschere, dopo marzo a cui piacevano tanto i fiori e amava
vederli sbocciare, poi ancora aprile piovoso, maggio radioso, giugno
caloroso, luglio afoso e finalmente agosto a cui piaceva un sacco andare
al mare e a fare allegre gite in montagna, dopo venne settembre a cui
piaceva il vino, ottobre frescolino, novembre tenebroso e per finire
dicembre che non poteva fare a meno delle feste e a cui furono regalate
quelle più belle di tutte, Natale e San Silvestro.
Nel paese di Perditempo nessuno aveva l’orologio, non esistevano
calendari e non si festeggiavano i compleanni. Era un posto davvero
tranquillo perché nessuno andava mai di fretta, c’era sempre il tempo
per fare tutto e non si faceva mai festa perché non c’erano le
domeniche. Per fare colazione ci mettevano anche sei ore, tanto non se
ne accorgevano e a volte dormivano cinque giorni di fila perché non
c’erano sveglie che trillavano. Non c’erano nemmeno feste e ricorrenze,
perché non c’erano calendari su cui segnarle. Insomma Perditempo era un
posto fatto apposta per chi faceva le cose con calma ma i bambini si
annoiavano tantissimo. La sera non volevano mai andare a dormire ma non
c’era il tempo per giocare, non potevano mai vedere i fuochi d’artificio
perché non c’era niente da festeggiare e non potevano mangiare torte e
pasticcini perché non avevano mai una scusa buona per farlo. Nessuno ci
aveva mai fatto caso perché erano tutti intenti a far le loro cose con
calma ma un bel giorno, che non si sa quale fosse perché non era segnato
da nessuna parte, il sindaco vide dei bambini seduti su un prato senza
margherite, perché non avevano avuto il tempo di sbocciare e chiese loro
come mai fossero tutti tristi. I bambini illustrarono così bene la loro
melanconia al sindaco che questi riunì tutta la cittadinanza senza
perdere tempo e in un battibaleno fu creato un calendario pieno zeppo di
domeniche, di feste, ricorrenze e onomastici. Adesso i bambini si
ritrovano ogni giorno per festeggiare il compleanno di uno di loro e
tutti insieme grandi e piccoli fanno gite ogni domenica e d’estate
corrono tutti al mare sereni e spensierati. Ah già, dimenticavo, durante
l’assemblea fu cambiato anche il nome della cittadina che da allora si
chiama Paese di Tempofelice.
Un bel giorno l’Estate disse alle altre stagioni:
<Io sono la stagione più calda, tutti aspettano sempre che
arrivi io per prendersi un po’ di meritato riposo e sonnecchiare sotto
il sole, con i piedi a mollo nell’acqua del mare. Eh sì bisogna dire che
io sono la stagione più importante dell’anno e credo proprio che voi
altre mi dovreste portare rispetto>
<Non credo proprio> ribatté l’Inverno <Si certo, sei
davvero una bella stagione ma non ci sono confronti da fare con me.
Quando arrivo io sono tutti contenti perché possono andarsene in
montagna a sciare e poi cosa c’è di meglio delle feste di Natale, gente
allegra, gente buona, regali, pranzi e cenoni. Lasciatemi pur dire che
se c’è una stagione importante durante l’anno credo proprio di essere io
ed è a me che voi altre dovreste portare rispetto>
<Ma cosa state dicendo> controbattè la Primavera <Sì
ecco, la più calda, la più festosa, bla bla bla. Ascoltatemi bene perché
la stagione più importante dell’anno sono io. E’ grazie a me che
sbocciano i fiori, che nascono gli amori e che si sciolgono i ghiacciai,
se non ci fossi io gli uomini si annoierebbero a tal punto da non
svegliarsi neppure, facesse caldo o facesse freddo, per questo sono io
quella che deve essere rispettata>
<Non ne voglio sentire più!> intervenne l’Autunno <Certo
voi siete calde, fresche, frizzanti, festose, riposanti ma se non ci
fossi io con il rientro a scuola, con il ritorno al lavoro, chi si
ricorderebbe mai di voi. Se non ci fossi io con la mia calma e con il
tempo grigio nessuno starebbe lì ad aspettare voi. Se fosse sempre
estate la gente si stuferebbe del caldo, se fosse sempre Inverno
verrebbero a noia anche le feste e se fosse sempre Primavera nessuno
avrebbe mai il tempo di riposarsi. Sarà meglio che ognuna di noi
rispetti l’altra> concluse il saggio autunno <perché è proprio
grazie al fatto che ci siamo tutte che ogni anno è così bello da essere
vissuto>
Gino andava sempre di corsa. Al mattino la sveglia aveva appena il
tempo di fare uno squillo che già si era lavato le orecchie e i piedi
ed era sceso in cucina a fare colazione. Nel tempo che ci vuole per dire
vai o stai si presentava vestito di tutto punto rasato e con il
cappello in testa sul posto di lavoro. Gino non aveva tempo da perdere,
aveva sempre un sacco di cose da fare, il suo lavoro era molto
importante e non gli permetteva certo di spargere minuti a manciate e
nemmeno qualche pizzico di secondi. Gino aveva sei orologi, dodici
agende e nel suo ufficio erano appesi quarantasette calendari, tanti
glie ne servivano per segnare i suoi impegni, appuntare gli appuntamenti
e scadenzare le scadenze. Gino non alzava mai gli occhi dai cronometri e
dal suo lavoro e non si sarebbe accorto nemmeno se gli avessero
cambiato i colori della sua poltrona. Ma un bruttissimo giorno avvenne
una cosa tremenda al nostro indaffarato corridore. Tanto era preso a
controllare i suoi orologi che camminando lesto lesto, non poté fare a
meno di scivolare su di una cacca che un cane perditempo aveva lasciato a
giro sul suo percorso. Lo scivolone fu memorabile ma ciò che accadde
dopo restò indimenticabile anche per Gino. Dopo esser finito a gambe
all’aria si spatasciò su di una piccola aiuola e il suo naso fini a due
centimetri da una margherita. Gino non ne aveva mai vista una, era
sempre stato troppo indaffarato per accorgersi di ciò che aveva intorno,
e rimase così incantato da tanta semplice bellezza che restò li a
rimirarla per sei ore. Gino va a lavorare a piedi ogni giorno e parte
molto presto da casa adesso, perché per strada trova sempre qualcuno con
cui fare due parole o qualcosa da ammirare per cui fermarsi almeno
dieci minuti e ogni settimana cambia l’arredamento del suo ufficio. Alle
pareti adesso ci sono quadri con prati e tramonti e in un vaso colorato
e gigantesco cresce, curata e accudita, una piccola semplice
margherita.
<Perché sei triste?> chiese il calendario all’orologio.
<Sai> disse <le persone contano molto su di me, devo
essere sempre in orario, guai se sbagliassi, devo essere puntuale, non
posso fermarmi un attimo. E dopo tutto questo mi degnano appena di uno
sguardo ogni tanto e il più delle volte ce l’hanno con me perché hanno
fatto tardi ma cosa ci posso fare io? Uffa, mi vogliono puntuale e poi
mi vorrebbero in ritardo! Tu invece te ne stai li tranquillo, appeso
tutto il giorno al tuo chiodo, ti guardano, ti riguardano, segnano su di
te i loro appuntamenti, cerchiano le giornate più importanti, quelle
più belle e poi tu conti per un anno intero, io solo per un giorno>
<Guarda che ti sbagli> rispose il calendario <tu sei
importante per le persone, loro ti portano con se tutto il giorno, ti
mostrano agli amici e se ti fermi ti portano dal dottore degli orologi
per accomodare i tuoi guasti, io invece me ne starò qui per un anno a
farmi sfogliare, pizzicare, ammirare e poi arriverà un tipetto con dei
giorni nuovi e con delle foto più belle e io finirò dritto dritto nel
cestino, proprio come è accaduto a quello che c’era qui prima di me! Tu
invece rimarrai al tuo posto per un sacco di tempo, beh almeno fino a
quando continuerai a correre dietro alle tue ore.>
Orologio e Calendario divennero buonissimi amici e passarono
insieme un anno davvero felice e divertente. Orologio non scordò mai il
suo grande amico.
LE STORIE DEL SOLE
Pio Pio bucò il suo ovetto in un caldo e soleggiato mattino di
primavaera, prima ancora di vedere il becco rosso della sua mamma Galli
Nella Pio Pio vide il sole. Un grande e luminoso disco dorato pieno di
luce e di calore. A pio Pio piacque subito il sole gli rimaneva
simpatico. Ogni volta che alzava i suoi occhietti di pulcino verso il
cielo aveva un sussulto di spavento il sole, quel birbante nonera mia
dove lo aveva visto la vcolta prima. Pio pio comnciò a sgambettare
nell'aia, beccava granturco e sassolini e ogni tanto tirava su il becco e
cercava il sole nel cielo. Quando si fece sera Po Pio fu attratto dalla
bellezza di quel disco arancione così vicino alla terra che se fosse
statopiù vicino l'avrebbe potuto beccare ma subito dopo lo spavento lo
assalì il sole era scomparso e tutto intorno si era fatto buio. Pio Pio
si rifugiò sotto le caldi ali della mamma e prego per tutta la notte che
il sole tornasse. Tremante e impaurito Péio Pio fu assalito dalla
stanchezza e infine si addormentò. Al mattino fu svegliato dal canto del
suo papà Gaallo galletto. Aprì i suoi occhietti e con sua enorme gioia
vide alto nel cielo il caldo e luminoso sole che gli sorrideva tra le
bianche e soffici nuvole. Anche Il sole era contento perché per tutta la
notte non era più riuscito a vedere Pio Pio ma adesso che era
finalmente riapparso sotto di lui era felice di aver ritrovato il suo
amico. Pio Pio e il sole non si separarono mai più tranne la notte per
andare a dormire ognuno nel suo caldo letto.
La Luna aveva sempre invidiato la luce calda e brillante che
emetteva il Sole e tante ma poi tante volte aveva sognato di essere
altrettanto luminosa. Un bel mattino lucente e tiepido di primavera la
Luna chiese aiuto alla sua amica Beta la Cometa.
<Vorrei proprio fare uno scherzo al mio amico Sole> mentì la
bugiarda, la quale tramava invece di combinargli un bel guaio <Tu
dovresti darmi una mano, uno di questi giorni mentre te ne vaghi per
l’universo, fai finta di niente e poi ti getti addosso a lui con tutto
il tuo ghiaccio, così lo raffreddiamo un po’> continuava a mentire la
spudorata sperando invece che in quel modo il sole si potesse spengere.
<Aiutare te è sempre un piacere> rispose l’ingenua Beta la
Cometa e detto fatto partì per un lungo giro al termine del quale si
sarebbe gettata tra le calde braccia del sole.
Combinarono un patatrac. Beta la Cometa rimbalzò sull’enorme
pancione del sole e finì dritta dritta in faccia alla luna che si buscò
un grossissimo raffreddore. Ancora adesso la povera luna è costretta a
scaldarsi al tepore del sole tanto è il freddo che gli è rimasto addosso
e la sera le vedi lassù pallida e fredda mentre fa capolino sopra la
terra per scaldarsi un poco ai lucenti raggi del sole.
Se c’era una cosa che Gigi amava sopra ogni altra questa era il
sole. A Gigi piaceva un sacco starsene sdraiato su di un prato o sulla
calda sabbia in riva al mare e farsi baciare e riscaldare dai raggi del
sole. C’era però qualcosa che gli rendeva difficile soddisfare questo
suo desiderio. Viveva in una piccola casetta in mezzo a tanti palazzoni i
quali gli impedivano per tutto il giorno di godersi la luce diretta del
sole. Gigi era molto triste per questo e ogni mattino si alzava molto
presto perché dalle sei alle sei e cinque poteva godere della luce del
sole tra gli spigoli di due palazzoni alti alti. Erano gli unici minuti
di felicità che poteva godersi in casa sua. Quell’anno per Natale pensò
di scrivere anche lui una lettera a babbo Natale, come aveva fatto
quando era piccolo, per chiedere che i palazzi intorno a lui sparissero
ma rinunciò credendolo impossibile. Il suo desiderio invece era stato
ascoltato dal folletto delle piante, il quale si trovava a passare per
caso vicino a casa di Gigi e lo aveva sentito piangere e singhiozzare la
sua tristezza. La mattina di Natale Gigi si svegliò alle cinque e mezza
e meraviglia delle meraviglie, il sole illuminava la sua faccia. Corse
incredulo alla finestra della sua camera e vide che i palazzoni intorno a
lui erano scomparsi, anzi no, erano finiti tutti più in basso della
casa. Un enorme quercia era cresciuta sotto i suoi piedi durante la
notte e lo aveva portato così in alto che niente poteva separare più
Gigi dalla vista del sole. Se c’è una cosa che Gigi ama sopra ogni altra
questa è il sole e con gli amici adesso festeggia ogni alba ed ogni
tramonto dalle finestre della casa più buffa del mondo.
Paolino era un bambino molto ma molto ma moltissimo freddoloso. La
mattina non si voleva mai alzare dal letto, perché ormai aveva sotto le
sue coperte un gran bel tepore, il calduccio in cui si era rigirato
tutta la notte. La mamma doveva faticare sette camicie per riuscire a
tirarlo fuori dalla sua tana e fargli lavare denti e orecchie con
quell’acqua che a Paolino sembrava sempre freddissima. Uscire di casa
era un dramma, quando tirava vento, quando era nuvoloso, quando era
talmente umido che sembrava piovesse direttamente nelle ossa. Appena era
fuori non vedeva l’ora di rientrare in casa ma quando era a casa non
voleva mai andare a dormire, perché prima di entrarci il letto era
sempre ghiaccio, come una di quelle lastre che galleggiano nell’oceano
antartico. Fargli il bagno poi era un impresa eroica perché non c’era
mai acqua abbastanza calda per la sua pelle delicata. Un bel giorno
Paolino stufo del gran freddo che sentiva, decise di costruire un
astronave che lo avrebbe portato dritto dritto nel sole. Con gli arnesi
del padre mise insieme quello che a lui parve un bel razzo e partì
diretto al centro del sole. Quando fu arrivato raccolse un po’ di calore
con un cucchiaino e lo inghiotti in un sol boccone poi non soddisfatto,
ne prese altre tre o quattro cucchiaiate tanto per essere sicuro di non
sentire più freddo. In realtà non ce n’era bisogno perché il calore del
sole è così concentrato che glie ne sarebbe bastato appena un pizzico.
Tanta però fu l’abbondanza che Paolino tornò sulla terra con la forza di
un solo starnuto e da allora l’immensa gioia di non aver più freddo gli
fa distribuire calore a tutti quelli che gli vogliono bene e anche a
quelli che non lo conoscono ma che lo incontrano per strada ridente e
felice.
Clementina è una bambina davvero gioiosa e solare, a lei piacciono
tantissimo le piante e in maniera particolare i loro fiori. Clementina
ha una pianta che è la sua preferita, è un piccolo cespuglio di rose che
ha piantato per lei suo padre, quando la piccola Clementina è venuta al
mondo. Ogni mattina annaffia la piantina che tiene con se nella propria
cameretta e la mette sul balcone dove può godere della luce e nutrirsi
del calore di cui ha bisogno. Nel pomeriggio sposta la piantina alla
finestra della cucina, in modo che possa seguire il moto del sole e non
perderne neanche un solo raggio. La sera riporta il vaso nella sua
camera e dopo aver cantato canzonette allegre per la sua mamma e per la
piantina dà a tutti la buona notte, spenge la luce e nel buio della sua
cameretta ancora parla con il piccolo roso fino a che il sonno non
abbraccia Clementina ed la pianta per cullarli l’intera nottata. Al
mattino la piantina ricomincia il suo giro della casa e sembra essere
proprio felice della compagnia di Clementina e del suo allegro vivere in
quella casa così solare, che ogni giorno regala alla bambina, alla sua
mamma ed al suo papà, un nuovo bocciolo che li accompagna per tutto il
giorno con il suo profumo e con svariati bellissimi colori. Alla sera ne
richiude i petali, prima di addormentarsi tenendo con le sue foglie le
mani calde di Clementina.
Sfido chiunque a dire il contrario ma io credo proprio che non ci
sia niente di meglio di un’allegra giornata di sole. Quando sei triste
basta affacciarsi alla finestra e se ti accoglie quel caldo disco
dorato, subito ti torna il buonumore. Bambini che corrono per i prati,
uccelli che svolazzano, animali che si rincorrono. Quando il sole brilla
nel cielo puoi sprigionare la tua gioia passeggiando in mezzo alla
gente e anche se cammini in una città grigia e piena di palazzoni,
riesci sempre a vedere i colori. Fiori su un balcone, panni tesi ad
asciugare, i vestiti della gente che incontri, l’azzurro del cielo, le
bianche scie di aerei che solcano il loro mare infinito. Con il sole
trovi sempre un po’ di tepore a cui scaldarti, da solo o insieme agli
amici e alle persone care. Grazie al sole dimentichiamo tutte quelle
piccolezze che avevamo creduto così importanti e dense di tristezza ma
che si sono sciolte al primo raggio di un allegro solicello di primavera
o a un tremulo sole che si affaccia impavido tra scure nubi di tempesta
in una giornata autunnale. Il sole, che gran coraggio, lottare ogni dì
per portarci la sua luce e il suo calore. E noi possiamo tenere un po’
di quel calore in ognuno di noi, conservare quei doni che ci arrivano
dal lontano sole e in questo modo, anche quando le nubi ci nascondono la
luce, possiamo lasciar uscire il sole che abbiamo dentro, per regalarlo
agli altri e anche a noi stessi.
A Chiara piaceva tantissimo stare al sole, camminare per le strade
e per le piazze sotto i suoi caldi raggi e cercarli anche nelle
giornate di pioggia, quando anche un piccolissimo occhio di sole mette
sempre buonumore. A Bruno il sole non piaceva per niente, non amava la
luce e non gli piaceva nemmeno il gran caldo, che a suo dire era sempre
troppo anche nelle più fredde giornate d’inverno. A Chiara piaceva
Bruno, era un tipo un po’ ombroso ma lei lo trovava molto simpatico ed
era piacevole passare il tempo a parlare con lui. A Bruno piaceva molto
Alice, era molto solare ed era l’unico modo per lui di poter accettare
quella parola, visto che almeno fino ad allora il sole non lo aveva mai
visto di buon occhio. Chiara chiedeva spesso a Bruno di uscire con lei,
per fare un gita o una passeggiata ma Bruno faceva di tutto per rimanere
a casa o per ritrovarsi un in posto riparato. Chiara accettava sempre
però stava lentamente perdendo la sua solarità e il chiuso in cui si
nascondeva per stare vicino a Bruno, piano piano la stava spegnendo. Il
primo ad accorgersi di questo fu proprio Bruno che grazie al grande
amore che provava per l’amica, decise di sacrificarsi e passeggiare con
lei sotto il sole. Dopo poco tempo Chiara era tornata la ragazza allegra
e serena di prima ma anche Bruno era cambiato, il suo muso solitamente
lungo e imbronciato aveva finalmente conosciuto il sorriso. Anche lui
era stato conquistato dalla gioia del sole. Ah quante passeggiate fanno
adesso Chiara e Bruno e com’è felice il sole di vederli insieme mano
nella mano.
LE STORIE DELLA SAVANA
Gedeone era un leone davvero molto sfortunato. Lui si impegnava
nella caccia proprio come gli era stato insegnato da cucciolo. Si
appostava silenzioso, nascosto dalle lunghe e fulve erbe della savana
che si confondevano con il colore del suo pelo. Attendeva paziente che
una gazzella, un facocero o uno zebù si trovassero a passare da quelle
parti e poi, con balzo felino, come lui era, gli piombava addosso in un
lampo. Quando la preda era ormai alla sua mercè, tremante ad un pelo dai
suoi artigli, Gedeone veniva colto da una crisi leonina. Quelle povere
bestioline lo guardavano con occhi supplichevoli, in attesa che venisse
compiuto il loro destino ma a quel punto il nostro leone non era capace
di completare la sua opera e allentando appena la presa, lasciava che la
preda se ne fuggisse via in fretta e furia. Gedeone spilluzzicava un
po’ di cibo qua e là ma l’erba non era il suo piatto forte e la frutta
non era mai a portata delle sue zampe. Il suo buon cuore però non era
passato inosservato agli altri abitanti che per ringraziarlo delle sue
buone azioni, decisero di eleggerlo re della Vallata. Così Gedeone non
dovette più preoccuparsi di cacciare il cibo che non voleva o di cercare
quello che non riusciva a trovare, ogni giorno gli animali fanno la
fila per portare al loro re i frutti della savana di cui Gedeone va
matto e per ricambiarli il giovane leone protegge i suoi amici animali,
tenendo alla larga chiunque volesse venire a caccia nella sua Vallata.
Allegra era una zebra un po’ stramba. Era davvero stufa delle
strisce che si portava disegnate addosso, non che non le piacessero,
anzi c’erano delle mattine in cui le adorava ma c’erano pure altri
giorni in cui non le sopportava per niente. Ad allegra piaceva cambiare,
d’altra parte non tutti i giorni erano uguali e a lei sarebbe piaciuto
tantissimo adattare il pelo al suo umore ballerino. Insomma, dai e dai,
tanto fece e tanto pensò che una bella mattina si svegliò con addosso un
nuovo manto, bianco con delle macchie rotonde, invece delle solite
strisce. Tutta felice se ne andò in giro con il suo nuovo vestito tra lo
stupore e la sorpresa delle sorelle zebre. Il mattino successivo erano
tornate le strisce ma in compenso il manto era diventato di colore rosa e
Allegra era proprio felice. Dopo qualche giorno anche altre zebre
cominciarono ad andare in giro pitturate di vari colori. L’umore nel
branco era divenuto decisamente buono da quando i colori erano venuti a
far parte delle loro giornate e questa novità contagiò anche gli altri
abitanti della pianura, gazzelle, ghepardi, gnu e aironi. Se non ci
credete andate nella savana e cercate una valle piccola nascosta tra
alte montagne, se sarete fortunati potrete ammirarli e sarà uno
spettacolo davvero affascinante. Lì anche gli animali hanno la loro
moda.
Un tempo Raffa la giraffa e le sue sorelle erano animali simili ad
una zebra. Distinguere le une dalle altre era naturalmente molto
facile, le zebre erano bianche con le righe nere e le giraffe erano
gialle con le macchie marroni. Tutti insieme pascolavano nella grande
pianura e accanto a loro si cibavano della poca erba che si trovava in
giro anche gnu, gazzelle, zebù, uccelli, roditori e tutti gli animali
che popolavano quella immensa e spesso arida vallata. Due volte l’anno
il branco era costretto a lunghe e pericolose migrazioni in cerca di
nuovo cibo e questo li portava a trovarsi alla mercé di leoni, ghepardi e
coccodrilli che non aspettavano altro! Raffa era stufa di questo
andirivieni e pensò che ci doveva pur essere un’altra fonte di
nutrimento nella loro vallata ma dove trovarla, forse sotto terra no,
forse in aria, no, anzi forse, ma sì certo, c’erano così tante foglie
verdi e succulenti penzoloni agli alberi e certo non aspettavano altro
che di essere mangiate. Raffa convinse le altre giraffe a cibarsi delle
foglie e insieme escogitarono mille modi per raggiungere le vette degli
alberi. Chi saltava, chi montava su un’altra giraffa, chi si allungava. E
allunga allunga, si allungarono anche il collo e le gambe di tutte le
giraffe così tanto che non hanno più bisogno di saltare o di
arrampicarsi per mangiare le soffici foglioline che sono in cima agli
alberi più alti della savana e per gli altri animali c’è tutta l’erba
della pianura a disposizione. Raffa però preferisce i germogli teneri
che stanno lassù in alto.
Se c’è in tutta la savana un animale veramente grande questo è
certamente l’elefante. E se fra tutti gli elefanti della savana ce n’è
uno davvero grande, il più grande di tutti, questo non può essere che
Berto! Berto è un elefante grande, ma grande, ma aiutatemi a dire
grande, da quanto è enorme. E’ alto almeno quanto tre elefanti messi uno
sopra l’altro ed è peso una cosa inimmaginabile, perché nessuno è
riuscito a prenderlo e metterlo su di una bilancia. Quando cammina le
zebre e gli gnu rimbalzano in aria dal gran contraccolpo che fanno i
suoi passi, le poche volte che ha corso sono cadute due montagne e tutti
i datteri delle palme. Quando entra nel lago per lavarsi l’acqua sale
di dieci metri e tutti gli animali hanno dovuto imparare a nuotare.
Quando beve, prosciuga il lago, sì che tutti i pesci hanno dovuto
imparare a camminare. Berto è l’elefante più buono che ci sia, nelle sua
proboscide lunga dodici metri hanno trovato rifugio sei famiglie di
topi, due di facoceri e un vecchio gnu malato, che sennò se lo
mangiavano i ghepardi. Al mattino quando barrisce sveglia tutta la
savana e ormai tutti hanno fatto l’abitudine al convivere con questo
enorme e pacioccoso animatone, i piccoli abitanti della pianura trovano
sempre rifugio vicino a lui. Quando arriverete nella pianura lo
riconoscerete subito, no, non è una collina quello con tutti quegli
animali sopra e intorno, quello lì è proprio Berto, avvicinatevi pure,
non vede l’ora di fare amicizia con voi.
Nella savana non mancano certo le bestie feroci! Leoni, ghepardi,
leopardi, gattopardi, tigri… Tigri? Ma cosa c’entrano le tigri, quelle
stanno in India non nella savana africana. A sì, allora andatelo a dire a
Beatrice la tigre della savana. Effettivamente non è nata in Africa,
faceva parte di un circo, un enorme circo con tutti i tipi di animali,
struzzi, ippopotami, lemuri, tigri e chissà quanti altri. Quando la
grande nave su cui viaggiavano si è fermata sulle coste dello Zimbabwe,
Beatrice non ha trovato niente di meglio da fare che darsela a zampe
levate. L’hanno cercata per ogni dove, per giorni e per notti, poi la
nave ha dovuto ripartire e così è stato deciso di lasciarla lì.
All’inizio però Beatrice era spaesata, non sapeva come fare a trovare da
mangiare e soprattutto non aveva dove rifugiarsi, dove andare. Per
fortuna incontrò un leone girellone che si trovava a passare vicino alla
costa e dopo essersi fatto delle matte risate, non aveva mai visto un
leone a strisce, decise che avrebbe portato Beatrice con sé nella
pianura della savana. Adesso è là ed è diventata una leggenda, sì perché
c’è chi dice di averla vista e chi non ci crede e risponde che non ci
sono le tigri in Africa. Beatrice invece ha trovato una nuova casa,
sogna l’india e le foreste che attraversava da cuccioletta ma è felice
nella savana e poi qui ridono sempre tutti e nessuno ha paura di lei.
Chi avrebbe paura di un leone a strisce?
Luisella la gazzella saltellava serena per la pianura ventosa
della savana. Intorno a lei pascolavano più o meno tranquille le sue
sorelle, tutte intente a brucare l’erba, cercando con un occhio gli
steli più prelibati, quelli più teneri e gustosi e con l’altro occhio
osservavano invece quello che accadeva loro intorno. Gli orecchi tesi ad
ascoltare il benché minimo rumore e il naso ad odorare in
continuazione, attento a percepire ogni profumo, ogni odore, ogni
maleodorante vicinanza. Luisella stava gustandosi i suoi germogli
preferiti quando nel suo naso si insinuò un odore tutt’altro che
piacevole, in un attimo le sue orecchie captarono un fruscio sospetto e
subito dopo vide muoversi dietro di lei l’enorme e minacciosa forma di
un leone. Luisella partì di scatto e la bestia feroce saettò dietro di
lei. La gazzella correva a più non posso, sentiva il suo cuore battere
all’impazzata e il respiro farsi sempre più corto. Il leone sembrava
attaccato a lei e un paio di volte sentì la grande zampa artigliata
appoggiarsi sulla pelle. Luisella corse quanto potè e poi sfinita si
fermò rassegnata. Il leone era lontanissimo da lei, per primo aveva
rinunciato a quella estenuante corsa e adesso riposava sfinito in mezzo a
un branco di gnu. Luisella ritrovò le forze per tornare dalle sue
sorelle e riprese a pascolare tranquilla per quanto la savana le
permetteva. Per quel giorno ce l’aveva fatta ma c’era ancora domani!
Lo gnu stava passeggiando lungo la costa del grande lago della
savana, cercava un posto sicuro per avvicinarsi all’acqua e finalmente
bere. Ugo lo gnu era molto giovane e la sua spensierata età lo aveva
portato ad allontanarsi un po’ troppo dal branco che si stava
abbeverando dall’altra parte dello specchio d’acqua. Sicuramente se
avesse girato intorno per raggiungere i suoi simili avrebbe trovato un
luogo dove abbeverarsi in pace ma la sete era tanta e il sole stava per
tramontare, doveva prima bere e poi ricongiungersi con la sua famiglia.
Davanti a lui nuotava Gerardo il coccodrillo, seminascosto sul pelo
dell’acqua, che lo invitò a bere tranquillamente, ci avrebbe pensato lui
a controllare che nessuno si avvicinasse. Ugo, all’inizio molto
diffidente, fu vinto dalla sete e si infilò nell’acqua pronto a placare
l’arsura ma avvicinandosi un po’ troppo al coccodrillo. Appena lo gnu
immerse il muso nell’acqua, Gerardo si mosse in modo fulmineo, con un
lesto colpo di coda fu sotto allo gnu, con le fauci spalancate e
l’acquolina in bocca, pronto ad ingoiarselo in un sol boccone. Gerolamo
l’ippopotamo aveva assistito a tutta la scena in silenzio, a poca
distanza dai due e avvedutosi della trappola che il coccodrillo stava
tendendo al giovane e credulone gnu, si era avvicinato in silenzio e
all’ultimo momento, era sbucato fuori proprio tra Gerardo e il piccolo
Ugo. Fu la salvezza dello gnu che immediatamente prese a scappare alla
ricerca della sua mamma senza più pensare a dissetarsi. Gerardo intanto
si era dileguato, temendo di essere sopraffatto dalla mole
dell’ingombrante animale. Ugo invece fuggiva ringraziando a gran voce il
provvidenziale Gerolamo che riprese a sonnecchiare tranquillo sul pelo
dell’acqua. Ma da sotto, si poteva vedere benissimo un sorriso
soddisfatto di felicità.
LE STORIE DI FAMIGLIA
La mamma è quella cosa morbida profumata e accogliente che si
prende cura di noi. Ci ha portati dentro di se per nove mesi, chiusi al
sicuro e al calduccio dentro il suo pancione. Era lei che soffriva
quando noi non stavamo bene ed è ancora lei a soffrire più di tutti,
quando abbiamo un piccolo raffreddore o quando ci ritroviamo con un
febbrone da cavallo. La mamma ha cura di noi, ci lava il viso la
mattina, ci prepara la merenda e ci accompagna dovunque noi vogliamo
andare. A volte la mamma ci fa arrabbiare perché non soddisfa tutte le
nostre voglie e tutti i nostri capricci, ma altrimenti non sarebbe la
mamma, perché la mamma ci deve insegnare che non possiamo avere tutto.
Quando ci dice che fa qualcosa per il nostro bene, anche se a noi non
sembra proprio, invece è la verità e quando cresceremo ci accorgeremo
che, la stragrande maggioranza delle volte aveva ragione. La mamma è una
bravissima cuoca, sia quando passa ore in cucina a prepararci deliziosi
manicaretti e dolci squisitissimi, sia quando in cinque minuti ci
cucina qualche pranzo surgelato, come scongela la mamma non lo sa fare
nessuno. La mamma ci porta a letto la sera, anche quando noi non
vorremmo andarci, ci rimbocca le coperte e ci da il bacio della
buonanotte, qualche volta se non è stanca ci racconta una storia, quando
invece è stanca si addormenta mentre lo fa. La mamma è una grande
invenzione è per questo che le voglio molto bene.
Il papà, comunemente conosciuto come babbo, è quella cosa ruvida,
seria e impacciata che cerca di prendersi cura di noi. Per nove mesi ci
ha parlato attraverso la pancia della mamma e adesso finalmente può
guardarci negli occhi mentre lo fa. Il papà ha la barba, a differenza
della mamma e ha la voce più forte, per questo tocca sempre a lui quando
dobbiamo essere brontolati per le marachelle più gravi. Il papà ci
accompagna al cinema e ci compra sempre un sacco di schifezze da
ciucciare e da sgranocchiare e poi ci dice di non mangiarle perché fanno
male ai denti. Il papà cucina solo la domenica, perché il riso di mare
non lo fa nessuno come lo fa lui, così dice, e dopo aver messo a
soqquadro tutta la casa con pentole, pentolini e chissà che altro,
finalmente si mangia, bisogna però dire che di solito il pranzo è buono
davvero. Il papà vuole sempre vedere il telegiornale, è per questo che
ogni giorno a tavola dobbiamo sempre discutere sui programmi da
guardare, brontola perché guardiamo i cartoni animati e poi ci racconta
che lui non faceva altro da mattina a sera quando era piccolo. Il papà
guida la macchina quando usciamo per una gita la domenica o quando è
festa, e per strada parla molto con gli altri papà, che stanno chiusi
dentro le altre automobili. Hanno sempre un sacco di cose da dirsi e
chissà perché, lo fanno sempre gridando, forse il rumore delle auto è
troppo forte? Il papà fa finta di volerci meno bene della mamma e poi è
quello che si preoccupa di più se abbiamo il morbillo e se dobbiamo
andare a lezione di calcio o di ballo. Il papà è un’invenzione
ganzissima, per questo gli voglio molto bene.
I nonni sono quella cosa tenera e dolce, con i capelli bianchi,
che tanto tanto tempo fa erano la mamma e il papà dei nostri papà e
delle nostre mamme. I nonni però sono così vecchi, che ormai non si
ricordano più come si fa a fare i genitori e quindi tornano a essere dei
bambini a cui bisogna insegnare tutto. I nonni ci accompagnano ai
giardini tutti i pomeriggi, dopo che la mamma ha raccomandato loro tutte
le cose che devono e che non devono fare. I nonni ci lasciano fare
tutto, perché anche loro sono stati bambini e anche a loro piaceva
correre in bicicletta, giocare e schiamazzare con gli altri bambini. I
nonni hanno sempre una caramella per noi nelle loro tasche e quando
combiniamo qualche disastro ce ne danno una e poi ci difendono quando i
nostri genitori ci danno una sonora e giusta brontolata. I nonni spesso
combinano più guai di noi e allora li dobbiamo aiutare e difendere e
qualche volta ci prendiamo noi la colpa se fanno qualche pasticcio
grave. I nonni leggono molto e ci raccontano sempre un sacco di cose
nuove che hanno trovato sui libri o nei giornali, hanno sempre tante
avventure da narrarci, a volte vere a volte un po’ meno, di quando erano
giovani, ci parlano di cose che non ci sono più e raccontano di giochi
che facevano senza la tivù e senza il computer. Difficilmente riusciamo a
capire com’era mai possibile, adesso non potrebbe succedere di certo! I
nonni hanno tanta vitalità e la regalano a noi ogni giorno, per questo
voglio loro molto bene, che invenzione stratosferica!
I fratelli e le sorelle sono quelle cose antipatiche che usano i
nostri pennarelli preferiti e li lasciano aperti sotto il lettone di
mamma e papà, così quando vengono ritrovati non solo non funzionano più
ma quelli sgridati va a finire che siamo noi. I fratelli e le sorelle
maggiori sono proprio dispettosi, non vogliono mai giocare con noi
perché dicono di essere troppo grandi e i balocchi con cui noi ci
trastulliamo sono aggeggi da lattanti. Si arrabbiano se la mamma li
costringe a portarci con loro al cinema e durante il film ci prendono
tutti i dolcetti. I fratelli e le sorelle minori invece sono una vera e
propria piaga, vogliono sempre stare con noi e non capiscono che sono
troppo piccoli per giocare con i nostri apparecchi elettronici,
smanaccano dappertutto e sono capaci di rompere una radiocomando anche
solo guardandolo. Ci chiedono di giocare con i loro animaletti e le loro
costruzioni, senza capire che per noi sono ormai aggeggi da lattanti. I
fratelli e le sorelle sono gelosissimi dei loro vestiti, per questo ci
piace un sacco nasconderglieli o peggio ancora disegnarci sopra un bel
sole sorridente, gli abiti che non sono più di loro gradimento invece li
mettono da parte per quando saremo grandi, senza nemmeno chiederci se
ci piacciono oppure no, quei trefoli che si sono messi addosso loro non
li vogliamo davvero. I nostri invece, quando non ci staranno più, li
lasceremo in eredità ai fratelli e alle sorelle minori, che bambini
fortunati! I fratelli e le sorelle ci vogliono un sacco di bene anche se
gli facciamo i dispetti, per questo io voglio loro un sacco e mezzo di
bene, che invenzione stramba!
Gli zii e i cugini, sono quella cosa che appare all’improvviso la
domenica a pranzo o per Natale, con una bottiglia di spumante in una
mano e un gustosissimo dolce nell’altra. Gli zii sono quasi dei nonni.
Cioè, non nel senso della parentela, perché sono i fratelli e le sorelle
delle nostre mamme e dei nostri papà, quindi figli anche loro dei
nostri nonni. Ma perché come loro sono sempre bonaccioni e disponibili,
ci portano un sacco di regali e giocano con noi. Con loro facciamo
sempre festa e poi non ci brontolano mai. Certo non sono così amorevoli e
grandiosi come i nostri genitori, però quando ci stringono forte forte,
si sente che ci vogliono una montagna di bene anche loro. I cugini
invece sono quasi peggio dei fratelli, loro hanno sempre fatto qualcosa
meglio di noi o hanno qualcosa di più grande o di più veloce. Io li
metterei insieme con i fratelli e le sorelle e li darei ai miei zii che
se li portino a casa tutti insieme, chissà come mai tra di loro si
trovano sempre d’accordo a fare a me qualche dispetto, uno scherzo o a
far fuori tutta la mia scorta di cioccolatini. Ogni volta sono costretto
a cambiargli nascondiglio, perché a loro non li darei mai, uffa! Per
fortuna i miei zii mi portano sempre qualche dolcetto, da sgranocchiare
di nascosto in tutta tranquillità. I cugini e le cuginette però, sono
come i fratelli e le sorelle, sempre disponibili se hai bisogno, sempre
pronti a difenderti e a giocare con te, sono proprio una forza! Gli zii e
i cugini sono un invenzione davvero simpatica e io voglio loro una
montagna di bene, per fortuna che ci sono!
La famiglia è quella cosa a volte numerosa a volte meno, che ti
gira intorno e di cui anche tu fai parte. Con la famiglia ti ritrovi
assieme nelle feste più importanti, per Natale, per Pasqua e per i
compleanni; con giochi, baldoria, scherzi, risate e dolci. Nella
famiglia ci sono il papà e la mamma, che si prendono cura di te e che ti
vogliono un gran bene, come tu a loro, caldi da abbracciare e teneri
con i loro baci. Ci sono i nonni, che a volte non ci sentono bene, che
spesso dimenticano le cose e che hanno sempre una carezza per te. I
fratelli e le sorelle, con cui scambi i segreti, giuri di non dirlo a
nessuno e poi corri dalla mamma a spifferare tutto, così dopo sono
dolori! Gli zii, i cugini e tutti quegli altri parenti che hanno un bis
davanti alla loro qualifica: bisnonni, biscugini, bis bis bisqualcosa!
Sulla famiglia puoi sempre contare, quando hai bisogno puoi esser sicuro
che ci sia qualcuno della tua famiglia pronto a darti aiuto, quanto fa
tre per quattro, cos'è un triangolo e una bicicletta per andare a
comprare un bel gelato quando fa caldo e la tua bici è dal gommaio
perché hai bucato quando sei andato allo stagno a caccia di ranocchi. La
famiglia conta su di te e tu puoi sempre far qualcosa per la tua
famiglia, anzi lo fai ogni giorno senza nemmeno accorgertene. Telefoni
alla zia, dai un bacio alla nonna, leggi il giornale al nonno che non ci
vede più tanto bene e fai mangiare il tuo gelato a quella cugina che
credevi non ti volesse poi tanto bene e invece ti adora. La famiglia è
una cosa favolosa, io voglio bene a tutti e tutti vogliono bene a me.
Grandioso!
Gli amici sono quella cosa che contrariamente a tante, sei tu che
puoi scegliere. È bellissimo poter fare nuove amicizie e conoscere
sempre altri bambini e bambine con cui giocare, studiare, correre e
parlare della tuia squadra preferita, delle gare di nuoto, e di quanto è
buffa la maestra con gli occhialoni da sole e le trecce da bambina. Gli
amici a volte devono andare via perché cambiano casa o perché vanno ad
un'altra scuola e non li vediamo più ma anche se il tempo cancellerà i
loro volti, non li dimenticheremo mai, perché ricorderemo sempre quanto
siamo stati bene insieme a loro. Gli amici sono la cosa migliore per
fare le marachelle, meglio dei fratelli, delle sorelle e di tutti i
cugini. Salire su un albero e mangiarsi le ciliegie di nascosto dal
padrone dell'albero, è una cosa troppo divertente e farla con gli amici
la rende davvero elettrizzante. Tra tutti gli amici ce n'è sempre
qualcuno speciale, un amico o un amica su cui puoi contare come su una
sorella, quell'amica con cui scambi i tuoi segreti e che non va a
spifferarli a nessuno, nemmeno sotto tortura, nemmeno se le prendono
tutte le gommine rosa e le penne con i brillantini. I veri amici sono
come qualcuno di famiglia, cercano te se hanno bisogno di un consiglio e
sono pronti a dartene uno se lo chiedi a loro. Cosa mi metto con le
scarpette madreperla? Ti piace il cappello dei Chicago Bulls? Non c'è
niente da fare, gli amici sono una cosa davvero preziosa. I miei mi
vogliono un bene dell'anima e si divertono un sacco con me e io voglio
bene a loro, tantissimo. Che invenzione l'amicizia, sono proprio
contento che ci sia!
LE STORIE DI SCUOLA
Il primo giorno di scuola è sempre un po’ strano. Lo viviamo come
un in misto fra tristezza e felicità. Le vacanze sono finite e i primi
giorni di pioggia ci hanno già fatto capire che l’arrivo dell’autunno è
imminente, e si sa con l’autunno arriva anche la scuola. Eh sì, il
brutto tempo e l’inizio dell’anno scolastico ci mettono tristezza,
perché dentro di noi ancora abbiamo vivo il ricordo di tuffi nel mare,
di corse sulla spiaggia e di giochi con tanti nuovi e divertenti amici.
Davanti a noi riusciamo solo a vedere serate buie, passate a studiare su
libri che a volte ci sembrano così barbosi e pesanti. Il primo giorno
di scuola tanti sono i pensieri che ci vengono a trovare ma appena
voltiamo l’angolo e rivediamo quell’edificio austero ma pieno di chiasso
e di risate, la tristezza vola subito via. I nostri compagni di classe
ci stanno aspettando e quelle serate buie che avevamo tra i nostri
pensieri, si trasformano subito in allegre compagnie. Tutti insieme a
ripetere poesie e prendersi in giro, a calcolare somme e divisioni
mentre qualcuno prepara gustose merende, a leggere e studiare la
grammatica con già in testa i progetti per il Natale che verrà, se non
addirittura per le prossime vacanze al mare. Il primo giorno di scuola è
proprio una gran festa, annuncia un altro anno di amici e lezioni, di
studi, conoscenza e allegria, un altro anno tutti insieme. Evviva!
La sistemazione nei banchi è un rito che deve essere eseguito con
calma e con razionalità, non si può prendere e sedersi nel primo banco
che ci capita vicino, ne sconteremmo le pene per tutto l’anno
scolastico. Scherzi a parte, che ci si pensi oppure no, va sempre a
finire che ognuno si siede proprio nel posto che a lui è più congeniale,
che sia qualcosa scritto nel codice genetico? Mah, i misteri della
scuola sono inimmaginabili. Nella mia classe è andata a finire che ci
siamo sistemati in questo modo: le più brave e i più secchioni sono
capitati tutti nei primi banchi, da li potranno seguire meglio la
lezione e sicuramente si potranno udire bene i loro suggerimenti durante
le interrogazioni. Le altre bambine e i sognatori, tra cui ci sono
anch’io, sono capitati nei banchi vicino alle finestre. Ogni tanto
un’occhiata alle fronde degli alberi o al cielo azzurro, dà quel senso
di scuola di cui non si potrebbe mai fare a meno. I confusionari e i
copioni invece stanno sempre dalla parte opposta alle finestre, in
fondo, nel buio si possono condurre a termine ottime battaglie navali e
si vedono meglio i compiti dei più bravi che chiaramente sono seduti
davanti. La mia è proprio una bella classe, e la vostra come l’avete
sistemata?
E poi, quando meno te lo aspetti, mentre sei lì, concentrato a
studiare, a fare esercizi, tre per due, un: articolo indeterminativo
maschile singolare, insomma proprio quando sei concentrato e preso dallo
studio, eccolo che arriva! È Natale! A me Natale mi piace tantissimo,
sì lo so piace a tutti ma per me è bello il Natale a scuola. Prima di
tutto si costruisce un enorme albero di Natale, che alto in quel modo
nessuno ce lo ha a casa, poi lo si riempie di palline colorate e
striscioni, ognuno ne porta qualcuno da casa e la mamma poi si chiederà
dov’è finita quella preziosa palla di vetro che ha comprato tanti anni
fa a Venezia e che è la sua preferita, ma questo non c’entra niente.
Tutti portano festoni e palle ma nessuno porta mai la punta così ogni
anno la devono fare di carta le maestre e secondo me consono molto brave
a fare la stella, non viene mai come quella che c’è sul mio albero. In
classe faremo anche il presepe di carta, con i personaggi ritagliati e
colorati da noi, a me tocca sempre una pecorella e non sono mai riuscito
a fare Gesù Bambino. La maestra ci farà scrivere i pensierini per i
regali ai genitori e i temi sul Natale con i proponimenti per un nuovo
anno ubbidiente e senza capricci, anche se nessuno i riesce a mantenerle
quelle promesse. L’ultimo giorno prima delle vacanze invernali si fa
una gran veglione tutti insieme, anche con i bambini di altre religioni,
sì perché quando siamo piccoli basta far festa tutti assieme e siamo
contenti. Quando siamo stanchi e sfiniti ritorniamo a casa e li
ricominciamo a far festa con i nonni con gli zii e con i nostri
meravigliosi papà e mamma. Ah già, scordavo. Buon Natale anche a voi!
Durante l’anno scolastico l’avvenimento più divertente in assoluto
è di sicuro il Carnevale. Sia perché colonna portante di questa festa
sono scherzi, divertimenti, risate, maschere e feste mascherate, sia
perché diversamente da tutte le altre feste non dura un giorno o due ma
ci accompagna per un mese intero e durante tutto questo periodo a scuola
è uno spasso continuo. A volte diventa difficile persino seguire le
lezioni. Fare la lettura o la grammatica, studiare la storia o le
capitali d’Europa con la polverina pizzichina nel naso o masticando le
gomme al sapore di aglio non è davvero per niente facile. Coriandoli,
stelle filanti, stelle spruzzanti, inchiostri simpatici e qualche colpo
con il solito manganello di pulcinella, sono all’ordine del giorno.
Tornare a casa puliti e in ordine non è di sicuro una cosa facile. Il
lunedì poi lo passiamo a raccontarci le avventure dei corsi mascherati a
cui abbiamo assistito o partecipato il giorno prima e tanto per non
perdere l’abitudine una manciata di coriandoli nella cartella del
compagno non guasta mai. Il giorno più divertente però è sicuramente
l’ultimo, quello durante il quale, dalla mattina alla sera, non si fa
altro che scherzare, vestiti con le più fantasiose e fantastiche
maschere, superman, damigella, poliziotto, infermiera, pokemon,
cavaliere, mostro e chi più ne ha più si travesta! Fra feste, scherzi e
scorpacciate capita sempre di infilarsi in bocca un bel pezzo di torta
con i coriandoli o un bignè avvolto da stelle filanti, ma si sa sono gli
inconvenienti del festeggiare e a Carnevale ogni scherzo vale!
C’è sempre un momento di vero e proprio panico che atterrisce
tutti gli alunni di ogni classe, che siano maschi o femmine che siano
secchioni o spalle tonde, che siano stati attenti o che siano
perennemente distratti. È il momento prima dell’inizio delle
interrogazioni. Il terrore serpeggia fra i banchi, ognuno in
quell’attimo si domanda se capiterà proprio a lui lo sventurato compito
di rimanere muto e silenzioso davanti alla maestra la quale insisterà
con domande sempre più complicate, nella speranza di ottenere almeno una
risposta o se anche per quella giornata la buona sorte lo accompagnerà.
Altri continuano a ripassare la lezione mentalmente, sperando che i
quesiti non siano poi così difficili e confidando comunque nei primi
della classe, sempre pronti a suggerire senza farsi vedere. Nelle
giornate particolarmente fortunate, può capitare che ci sia un
volontario o due ma è molto più facile che mentre il dito della maestra
scorre su e giù per il registro di classe, tutti facciano più o meno
finta di niente, fischiettando nervosamente e ammirando in maniera
particolarmente interessata le crepe sul soffitto o le finestre, che
guarda caso oggi sono più sporche del solito. All’improvviso saltano
fuori i nomi dei due o tre sfortunati che dovranno sottostare alla
tortura dell’interrogazione i quali come condannati al patibolo lasciano
il loro posto per portare a termine il colossale sacrificio, il resto
della classe è salvo e si ricorderà di loro almeno fino alla prossima
interrogazione. Per oggi è andata bene ci vediamo alla prossima,
incrociate le dita!
Tra i compagni di classe di solito si nascondono delle vere star.
Ognuno a modo proprio è un personaggio caratteristico e di solito,
quando siamo a scuola e quando siamo bambini, queste particolarità danno
il via a prese in giro stratosferiche da parte di tutti. Oggi tocca a
me e domani qualcun altro sarà il bersaglio delle beffe di giornata. Gli
elementi che più di tutti spiccano in maniera particolare sono: il
giocherellone, che immancabilmente ha una battuta per tutti e su tutto
quello che accade ogni giorno in classe, prende in giro le maestre, il
preside e i bidelli e per gli altri è un vero e proprio spasso ascoltare
i suoi dileggi. Non manca mai nemmeno il capoclasse, cioè quello che
studia di più, che si applica più a lungo e che di solito è un po'
restio a suggerire durante le interrogazioni, per non passare male
davanti alla maestra. Poi c'è quello che siccome è un po' più grande
degli altri fa il gradasso, mangia le merende degli altri, fa sparire i
pennarelli delle bambine e copia i compiti ma durante le interrogazioni
nessuno gli suggerisce mai, chissà come mai? C'è poi la svampita, quella
che qualunque cosa venga detto non ha mai capito, vuoi perché era
troppo attratta dagli uccellini che cinguettano sul ramo davanti alla
finestra, vuoi perché stava sognando il suo attore preferito, sì quello
di cui ha la collezione di fotografie nascosta nel diario, è una tipa
veramente buffa ma a lei vogliono tutti bene. A scuola ognuno si
distingue dagli altri e a modo suo lascia un indelebile impronta nella
vita della classe, nemmeno i bidelli riusciranno a cancellarla. Ed è
proprio questa incredibile varietà che rende lo stare in classe così
piacevole, anche se c'è da studiare. In compagnia le cose sono sempre
meno dure da affrontare!
Non esiste un anno scolastico senza la recita finale. Passiamo gli
ultimi mesi di scuola a far prove di tutti i tipi. Prima si deve
scegliere la storia, chi vuole Cappuccetto rosso, chi Biancaneve, chi
qualcosa di più moderno tipo Superman o i Pokemon, chi prova ad
inventare una storia nuova ma poi va sempre a finire che recitiamo La
carica dei cento e uno. Dopo che è stata decisa la storia e quando tutti
credono di aver ormai passato i momenti peggiori, incomincia la bufera.
Tutti ma dico tutti, vogliono interpretare Rolly. Ogni bambino conosce
già la sua battuta: Mamma io ho fame! E sicuramente è il cucciolo più
famoso e amato di tutta la carica. Io non sono mai riuscito a farlo, a
me tocca sempre Orazio o Gaspare! A seguire vengono scelti Rudy, Anita,
Pongo, Peggy e naturalmente Crudelia Demon e tutti gli altri cuccioli.
Dopo l'assegnazione delle parti cominciano le prove, una faticata
sovrumana, mesi e mesi di declamazioni di fronte allo specchio o davanti
ai nonni, che tanto loro applaudono qualsiasi cosa si dica e infine
arriva il gran giorno. Palco addobbato, folla oceanica, si apre il
sipario e, chissà come mai, c'è sempre qualcuno a cui si congelano le
parole in gola ma per fortuna, dopo un attimo di panico finalmente la
storia parte e si dipana piano piano, senza particolari intoppi. Alla
fine naturalmente grande cagnara, in fondo siamo cuccioli di dalmata,
tutti sul palco a guaire e abbaiare, rincorrendo Crudelia Demon,
interpretata normalmente da un maschietto, poiché nessuna ragazzina
farebbe mai un personaggio così cattivo. Calato il sipario fra scrosci
di applausi e richiest di bis, tutti a mangiare! Patatine, bignè, gelato
e cioccolatini, è festa. La scuola è finita, le vacanze ci aspettano a
braccia aperte e già voliamo sulle ali della nostra infinita fantasia.
LE STORIE IN MOVIMENTO
Tonino aveva sempre desiderato una bicicletta. Se la immaginava
rossa con le scritte blu, le ruote grandi, forse più grandi di lui, più
in alto di quanto gli avrebbe reso possibile poggiare i piedi per terra.
Ma tanto era un sogno e allora poteva pensarla anche gigantesca la
bicicletta che desiderava tanto. A Tonino piaceva da matti quando
arrivava la primavera, in giro si incominciavano a vedere gruppi di
ciclisti che scorrazzavano in lungo e in largo per tutte le strade e
alla prossima stagione avrebbe tanto voluto esserci anche lui tra quegli
allegri corridori che osservavano i paesaggi e che respiravano l’aria
leggera della campagna, mista a quella puzzolente e sgradevole delle
auto. Tonino aveva già scritto decine di lettere per quel Natale e tutte
contenevano immancabilmente la solita richiesta. Una bicicletta Mountan
Bike rossa con il cambio a sedici velocità, la maglia del suo campione
preferito e il casco giallo. Tonino aveva gia una bici, anche quella era
stata un regalo di Natale ma di almeno tre anni prima e adesso ogni
volta che ci si sedeva sopra la bici scompariva sotto Tonino che nel
frattempo era cresciuto ed era ormai grande il doppio. I pomeriggi di
sole li trascorreva affacciato alla finestra, a guardare le frotte di
biciclette che con quel loro fischio caratteristico, sembrava quasi che
lo chiamassero. Le domeniche si sbracciava dal finestrino dell’auto per
salutare e per incoraggiare e si divertiva sognando se stesso in mezzo a
tutti quei ciclisti. La mattina di Natale finalmente giunse e sotto
l’albero aspettavano alloro prima corsa quattro luccicanti biciclette,
le lettere avevano funzionato! Due Mountan Bike rosse, forse una
l’avrebbe prestata al fratellino Mimmo e due bici ancora troppo grandi
per lui, una blu metallizzata e una rosa confetto. Quel pomeriggio
uscirono tutti insieme ma non con l’auto, il papà montò sulla bici blu,
la mamma su quella rosa, Tonino e Mimmo sulle fiammanti Mountan Bike
rosse con le maglie dei campioni ed i loro caschi gialli. Fu davvero un
Natale meraviglioso!
Andrea non era mai salito su di un aeroplano e non aveva nessuna
intenzione di farlo. Certo gli aerei gli piacevano, eccome! Ma di
salirci sopra nemmeno l’idea! Staccarsi dal suolo era un concetto non
realizzabile, persino saltare gli andava poco a genio, a lui piaceva
stare con i piedi ben piantati per terra. Quell’estate i suoi genitori
avevano deciso di fare un bel viaggio, prima di recarsi al mare dai
nonni, desideravano visitare una delle capitali più belle e famose
d’Europa, avrebbero portato il piccolo Andrea a visitare Londra in
Inghilterra. Andrea era felicissimo, non era mai stato fuori dall’Italia
e il pensiero di andare a visitare un luogo così lontano gli mise
subito una gran carica addosso. Cercò l’Inghilterra sul suo atlante, poi
cercò Londra e alla fine si chiese come avrebbero fatto mai ad arrivare
fino laggiù, dato che nel mezzo c’era il mare! La soluzione era
lampante, anche se per Andrea fu una notizia da film del terrore,
avrebbero viaggiato in aereo. Dopo numerose bizze e musi imbronciati,
arrivò infine il giorno della partenza e fra strilli e smanaccamenti,
Andrea fu portato a bordo dell’aeroplano. Come fu sopra si calmò
immediatamente, in fondo non era poi così diverso da un autobus, forse
un po’ più grande, sì ma soprattutto con le ali! L’aereo decollò mentre
Andrea sonnecchiava appoggiato alla mamma, che era riuscito a calmarlo e
rincuorarlo. Quando si svegliò apparve ai suoi occhi uno dei panorami
più affascinanti che avesse mai visto, sotto di lui una distesa infinita
di montagne con i picchi innevati, piccoli laghi sparsi qua e là, case
piccine piccine e treni che serpeggiavano come lombrichi d’argento nella
terra. Accipicchia! Lassù c’era un mondo tutto nuovo e diverso, e lui
che non ci voleva salire! L’atterraggio che seguì fu entusiasmante e il
viaggio di ritorno un vero divertimento, ore e ore appiccicato al
finestrino a guardare il mondo che scorreva sotto i piedi. Per fortuna
non aveva perso quell’occasione, adesso però doveva aggiungere una voce
ai suoi desideri, da grande non avrebbe fatto soltanto il poliziotto, il
pompiere e il supereroe, era proprio il caso di annotarsi anche questa
nuova professione, non avrebbe certo rinunciato a fare il pilota.
Fausto era un bravissimo pilota di Formula 1. Con la sua auto
rossa fiammante scattava lungo i circuiti ed arrivava sempre tra i
primi. Quando era sul podio si divertiva un sacco a schizzare con lo
champagne gli altri concorrenti e tutto il pubblico accorso ad
acclamarlo. Ogni gara era una festa! Tutto cominciava con le prove e la
messa a punto della monoposto. Alettoni, freni, sospensioni, volante
ogni cosa doveva essere in perfetto stato e per questo bisognava
provare, provare e modificare continuamente ogni singola parte a seconda
che fosse brutto tempo, piovesse o che ci fosse il sole allegro a
splendere nel cielo. Se il percorso era pieno di curve ci volevano dei
pneumatici adatti se invece era straveloce tipo Indianapolis le gomme
dovevano asimmetriche. Fausto era un pilota molto pignolo e pretendeva
la perfezione anche dai suoi meccanici che poveretti, spesso passavano
anche tutta la notte a lavorare per far trovare la macchina approntata
per la gara. Fausto era un ottimo pilota e durante le prove conquistava
quasi sempre la “Pole Position” e questo gli permetteva di partire
davanti a tutti gli altri. Ogni gara era una lotta durissima, ottenere
le prime posizioni era difficile e riuscire a mantenerle lo era ancor di
più ma Fausto era un gran lottatore e nessuno era in grado di
sorpassarlo. Scattare alla partenza e poi infilare ogni curva senza
perdere mai il controllo del mezzo, fermarsi per fare il pieno e
cambiare le gomme senza perdere più di dieci secondi, ringraziare i
meccanici per esser stati così rapidi, ripartire veloci per trionfare in
ogni gara e a fine campionato vincere il titolo di campione del mondo.
Che sogno ragazzi! Poi la voce della mamma che chiama, uffa, è già ora
di alzarsi per andare a scuola, il sogno si infrange proprio sul più
bello, il traguardo era vicinissimo ma anche gli altri concorrenti erano
agguerritissimi, chissà come sarebbe andata a finire! Stasera a letto
presto, fino a che non sarà grande ed avrà imparato a guidare Fausto
continuerà a sognarsi le sue avvincenti gare, dopo chissà, vedremo!
La prima volta le aveva viste in una pubblicità alla televisione.
Sì certo le pubblicità fanno sempre sembrare le cose più belle, più
grandi, più indispensabili ma quelle scarpe da ginnastica, tutte
colorate, con la suola fatta strana, con le bolle d’aria che ti fanno
saltare più in alto e tutto quanto il resto, erano veramente il massimo.
Non come quelle che aveva ai piedi che, anche se erano nuove, non erano
certo l’ultimo grido. Da quel momento Giulio cominciò a vederle
dappertutto, non solo in tivù ma sui giornali, al cinema, attaccate ai
muri per la strada, sembrava quasi che lo perseguitassero. La scarpe
“Good Boys”, quelle per i ragazzi a posto, per i ragazzi in gamba per i
ragazzi importanti. Era diventato impossibile sfuggire alle “Good Boys”,
Giulio le vedeva ai piedi di tutti, pareva proprio che non se ne
potesse fare a meno e la mamma non ne voleva proprio sapere di
comprargli un altro paio di scarpe da ginnastica, ne aveva uno scaffale
pieno ed erano tutte uguali, cambiava soltanto la marca! Giulio si