CARO DIARIO...
1° gennaio – entra ufficialmente in circolazione l’Euro, la moneta unica europea inizialmente adottata in Italia, Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Portogallo e Spagna che sostituisce le vecchie valute nazionali, portando a compimento il processo di unificazione economica-monetaria iniziato con il Trattato di Maastricht del 1993 che aveva fissato i parametri economici che ogni Stato doveva raggiungere per poter aderire alla moneta unica; il nome Ecu, European Currency Unit, della precedente valuta virtuale viene abbandonato per l’omonimia con termini delle lingue inglese e francese e per la curiosa confusione che avrebbe provocato in tedesco l’espressione ein ecu, cioè "un ecu", e eine kuh, ossia "una mucca", che avrebbero la stessa pronuncia, sarebbe stato imbarazzante portarsi dietro una mucca per pagare un caffe; si riprende pertanto il termine Euro, già adottato dal Consiglio europeo di Madrid del 1995, come forma abbreviata dell’Europa che andava a rappresentare; il simbolo della valuta viene stabilito da un sondaggio pubblico che sceglie "€", le due barre orizzontali riprendono quelle verticali del dollaro, che in realtà sarebbero le spagnole colonne d’Ercole e che la tastiera qwerty, forse per migliorarne la leggibilità, ha ridotto ad una sola $; il 2002 è l’anno dell’introduzione ufficiale, ma ci sono moltissime monete con date anche dal 1999, con l'emissione di otto monete metalliche da 1, 2, 5 centesimi in rame, da 10, 20 e 50 centesimi in metallo color oro e da 1 e 2 euro bimetalliche oltre alle banconote da 5 grigie, 10 rosse, 20 blu, 50 arancio, i verdoni da 100, le introvabili da 200 gialle e le mitiche viola da 500 euro; le monete hanno un lato comune e l’altro che ritrae personalità illustri, monumenti e opere d’arte dei rispettivi paesi che le hanno battute, le banconote sono uguali per tutti gli stati e raffigurano l’architettura europea in vari periodi storici con finestre o passaggi sul recto e ponti che simboleggiano i collegamenti tra gli Stati dell’Unione sul verso, le banconote non sono di carta ma di puro cotone, per renderle più resistenti e difficili da falsificare; in Italia la Lira arriverà al definitivo pensionamento il 28 febbraio 2002, da questa data non possono più essere utilizzate per i pagamenti, ma solo cambiate alla Banca d’Italia fino al 29 febbraio 2012; il problema maggiore nell’adozione della nuova moneta furono i tassi di cambio tra l’euro e le vecchie monete determinati in base al valore al 31 dicembre 1998, che, soprattutto per l’Italia, furono in alcuni casi particolarmente sfavorevoli, a questo vanno sommate le estrose anomalie nella conversione dei prezzi che provocarono forti in quasi tutti i settori diminuendo di fatto il potere d'acquisto dei consumatori; sul mercato internazionale la nuova valuta viene favorevolmente apprezzata arrivando addirittura nel 2008 a stravolgere il cambio con il Dollaro con 1,60 dollari per 1 euro; successivamente la moneta viene adottata anche in altri paesi dell’Unione Europea con l'ingresso di Slovenia, Cipro, Malta, Slovacchia, Estonia, Lettonia e Lituania. “Con l’Euro lavoreremo un giorno di meno, guadagnando come se lavorassimo un giorno in più” è con questa subdola frase che Romano Prodi ha rovinato la vita a milioni di Italiani, abbiamo adottato una moneta che non viene coniata dallo Stato e nemmeno dall’Unione Europea, ma che viene prestata da una fantomatica Banca Centrale Europea che emette a suo piacimento, la beffa è che gli stati pagano anche gli interessi, non si sa bene a chi, per il prestito ricevuto.
31 ottobre – una scossa sismica del sesto grado della scala richter colpisce il Molise e le zone limitrofe, nonostante l’intensità i danni sono contenuti e le vittime sarebbero solo due ma a San Giuliano di Puglia c’è la scuola elementare Francesco Jovine, costruita con il massimo degrado della corruzione e dell’abuso edilizio e alle 11,30 di quel giovedì ci sono cinquantasette bambini oltre al personale scolastico, la scossa fa crollare il solaio sulle loro teste e provoca una vera strage, perdono la vita 27 bambini e una maestra, i sopravvissuti vengono estratti da sotto le macerie di una struttura, che si scoprirà in seguito non essere a norma con i più elementari standard di sicurezza; non è il terremoto ad averli uccisi ma l'avidità umana, i colpevoli saranno individuati nel costruttore, il progettista, il tecnico comunale e il sindaco che saranno condannati in via definitiva nel 2010; il clamore dell'evento incentiverà sul territorio nazionale un'attività di mappatura di tutte le strutture pubbliche a rischio. La quasi totalità degli istituti risulterà fuori norma ma ovviamente non sarà fatto un bel niente.
2002
Io prendo te
e tu accogli me
tu luce di verde smeraldo
io oro dei sorrisi
tu dama della villa
io cortigiano appariscente.
Le senti queste parole
le vivi
le scrivi
sul giornale che nessuno leggerà
su bigliettini gialli
a tappezzare la tua casa
luccica la tua mano
abbacinante abbaglio
che ti stregò
portandoti alla vita
donandoti coraggio
lasci il certo
per il forse
per dare futuro
alla tua nuova famiglia
e sei felice
anche se in tasca non hai più una Lira.
13 FEBBRAIO2002
LE STORIE DI STEO
LE STORIE DEL TEMPO
Un mattino le sei si alzarono tutte pimpanti e riposate e decisero che avrebbero passato una lunghissima giornata di divertimento e di spasso. Ma non fecero a tempo a mettere i piedi a terra e a lavarsi i denti che già si erano fatte le otto e poco dopo colazione erano già le dieci. Il tempo di vestirsi che suonò mezzogiorno. La fame si fece sentire e giusto un momento per uno spuntino, si erano fatte le due. Ebbero appena il tempo di aprire la porta per andar fuori a correre all’aria aperta che già erano le quattro e venne loro voglia di fare un’allegra merenda. Appena ebbero finito rintoccarono le sei e il sole aveva già preso a calare. Bisognava darsi una mossa, il tempo di pensarci e arrivarono le otto di sera, era tempo di preparare la cena. Dopo mangiato si fecero sentire le dieci e fra un pisolino e uno sbadiglio suonò mezzanotte. Subito si animarono, com’era volato quel giorno, bisognava darsi una mossa, ma ebbero appena il tempo di pensare che giunsero sonnacchiose le due del mattino. Ormai era troppo tardi il sonno si era impadronito di loro e alle quattro già dormivano profondamente, era meglio riposarsi bene prima che arrivassero di nuovo le sei.
Settimino era un gran lavoratore e non poteva certo stare con le mani in mano. Tanta era la voglia di far qualcosa ma non sapeva proprio come passare il tempo, così trascorse tutto il Lunedì a sognare e a pensare e alla fine gli venne un idea davvero geniale. Aveva deciso, avrebbe costruito un motore nuovo per la sua auto. Settimino però non era un ingegnere e passò tutto il Martedì a progettare. Scrivi le formule, traccia le righe, copia, cancella. In un battibaleno trasformò il suo studio in un cestino di rifiuti, tante erano le cartacce che aveva appallottolato. Ma alla fine il disegno era finalmente pronto. Mercoledì girò per tutta la città alla ricerca di quello che gli serviva, andò dal carpentiere per i ferri, dal ferramenta per le viti e dal salumiere per comprare un panino per quando gli fosse venuta fame. Portò tutto nel suo studio, che era già così pieno che non ci sarebbe entrata più neppure una spilla. Giovedì cominciò a costruire il motore. Avvita, svita, allarga, stringi, incastra e ogni tanto un morso al panino, perché la fatica era tanta e la fame si faceva sentire. Venerdì il motore era pronto e lo montò sulla sua auto, una superspider tutta rossa con davanti due fanali enormi che sembravano gli occhi di un gatto. Alla fine era così sporco di grasso che dovette farsi la doccia e lavare camicia e pantaloni. Sabato si alzò di buon ora e andò a provare l’auto con il motore nuovo fiammante, girò girò girò per tutto il giorno, tra colline e vallate e ogni tanto si fermava a cogliere un fiore, a guardare le pecore brucare o ad ascoltare il canto degli uccellini. A sera tornò a casa soddisfatto della bella girata e del motore nuovo che aveva costruito. Domenica si riposò tutto il giorno e quando venne buio era proprio annoiato, non ne poteva davvero più di stare con le mani in mano, domani avrebbe inventato qualcosa di nuovo.
Tanto tanto tempo fa i mesi non stavano in ordine come adesso. Si presentavano vispi e pronti ogni primo dell’anno e facevano una bella gara per vedere chi avrebbe cominciato l’anno, chi l’avrebbe concluso e tutti quelli che ci sarebbero stati nel mezzo. Una volta fecero una corsa a ostacoli e vinse marzo il più scattante di tutti, un’altra fecero la conta e ottobre il più sfortunato venne fuori per ultimo, una volta giocarono alle tabelline e vinse settembre che per quella volta fu il primo mese dell’anno. Era sempre una gran festa, i mesi si divertivano un sacco, anche se alla fine di ogni gara non mancava mai chi si lamentasse, soprattutto gennaio che arrivava quasi sempre ultimo. I mesi si divertivano ma per gli uomini era proprio un gran caos, non sapevano quando seminare, quando andare al mare o quando cogliere una margherita per la loro innamorata. Stanchi delle sorprese del calendario andarono a protestare dal padrone del tempo il quale li ascoltò molto attentamente e decise che avrebbe messo ordine a tutta quella sarabanda cercando di accontentare anche i mesi. Così Gennaio divenne il primo dell’anno, visto che non gli era mai riuscito, poi febbraio con gli scherzi e le maschere, dopo marzo a cui piacevano tanto i fiori e amava vederli sbocciare, poi ancora aprile piovoso, maggio radioso, giugno caloroso, luglio afoso e finalmente agosto a cui piaceva un sacco andare al mare e a fare allegre gite in montagna, dopo venne settembre a cui piaceva il vino, ottobre frescolino, novembre tenebroso e per finire dicembre che non poteva fare a meno delle feste e a cui furono regalate quelle più belle di tutte, Natale e San Silvestro.
Nel paese di Perditempo nessuno aveva l’orologio, non esistevano calendari e non si festeggiavano i compleanni. Era un posto davvero tranquillo perché nessuno andava mai di fretta, c’era sempre il tempo per fare tutto e non si faceva mai festa perché non c’erano le domeniche. Per fare colazione ci mettevano anche sei ore, tanto non se ne accorgevano e a volte dormivano cinque giorni di fila perché non c’erano sveglie che trillavano. Non c’erano nemmeno feste e ricorrenze, perché non c’erano calendari su cui segnarle. Insomma Perditempo era un posto fatto apposta per chi faceva le cose con calma ma i bambini si annoiavano tantissimo. La sera non volevano mai andare a dormire ma non c’era il tempo per giocare, non potevano mai vedere i fuochi d’artificio perché non c’era niente da festeggiare e non potevano mangiare torte e pasticcini perché non avevano mai una scusa buona per farlo. Nessuno ci aveva mai fatto caso perché erano tutti intenti a far le loro cose con calma ma un bel giorno, che non si sa quale fosse perché non era segnato da nessuna parte, il sindaco vide dei bambini seduti su un prato senza margherite, perché non avevano avuto il tempo di sbocciare e chiese loro come mai fossero tutti tristi. I bambini illustrarono così bene la loro melanconia al sindaco che questi riunì tutta la cittadinanza senza perdere tempo e in un battibaleno fu creato un calendario pieno zeppo di domeniche, di feste, ricorrenze e onomastici. Adesso i bambini si ritrovano ogni giorno per festeggiare il compleanno di uno di loro e tutti insieme grandi e piccoli fanno gite ogni domenica e d’estate corrono tutti al mare sereni e spensierati. Ah già, dimenticavo, durante l’assemblea fu cambiato anche il nome della cittadina che da allora si chiama Paese di Tempofelice.
Un bel giorno l’Estate disse alle altre stagioni:
<Io sono la stagione più calda, tutti aspettano sempre che arrivi io per prendersi un po’ di meritato riposo e sonnecchiare sotto il sole, con i piedi a mollo nell’acqua del mare. Eh sì bisogna dire che io sono la stagione più importante dell’anno e credo proprio che voi altre mi dovreste portare rispetto>
<Non credo proprio> ribatté l’Inverno <Si certo, sei davvero una bella stagione ma non ci sono confronti da fare con me. Quando arrivo io sono tutti contenti perché possono andarsene in montagna a sciare e poi cosa c’è di meglio delle feste di Natale, gente allegra, gente buona, regali, pranzi e cenoni. Lasciatemi pur dire che se c’è una stagione importante durante l’anno credo proprio di essere io ed è a me che voi altre dovreste portare rispetto>
<Ma cosa state dicendo> controbattè la Primavera <Sì ecco, la più calda, la più festosa, bla bla bla. Ascoltatemi bene perché la stagione più importante dell’anno sono io. E’ grazie a me che sbocciano i fiori, che nascono gli amori e che si sciolgono i ghiacciai, se non ci fossi io gli uomini si annoierebbero a tal punto da non svegliarsi neppure, facesse caldo o facesse freddo, per questo sono io quella che deve essere rispettata>
<Non ne voglio sentire più!> intervenne l’Autunno <Certo voi siete calde, fresche, frizzanti, festose, riposanti ma se non ci fossi io con il rientro a scuola, con il ritorno al lavoro, chi si ricorderebbe mai di voi. Se non ci fossi io con la mia calma e con il tempo grigio nessuno starebbe lì ad aspettare voi. Se fosse sempre estate la gente si stuferebbe del caldo, se fosse sempre Inverno verrebbero a noia anche le feste e se fosse sempre Primavera nessuno avrebbe mai il tempo di riposarsi. Sarà meglio che ognuna di noi rispetti l’altra> concluse il saggio autunno <perché è proprio grazie al fatto che ci siamo tutte che ogni anno è così bello da essere vissuto>
Gino andava sempre di corsa. Al mattino la sveglia aveva appena il tempo di fare uno squillo che già si era lavato le orecchie e i piedi ed era sceso in cucina a fare colazione. Nel tempo che ci vuole per dire vai o stai si presentava vestito di tutto punto rasato e con il cappello in testa sul posto di lavoro. Gino non aveva tempo da perdere, aveva sempre un sacco di cose da fare, il suo lavoro era molto importante e non gli permetteva certo di spargere minuti a manciate e nemmeno qualche pizzico di secondi. Gino aveva sei orologi, dodici agende e nel suo ufficio erano appesi quarantasette calendari, tanti glie ne servivano per segnare i suoi impegni, appuntare gli appuntamenti e scadenzare le scadenze. Gino non alzava mai gli occhi dai cronometri e dal suo lavoro e non si sarebbe accorto nemmeno se gli avessero cambiato i colori della sua poltrona. Ma un bruttissimo giorno avvenne una cosa tremenda al nostro indaffarato corridore. Tanto era preso a controllare i suoi orologi che camminando lesto lesto, non poté fare a meno di scivolare su di una cacca che un cane perditempo aveva lasciato a giro sul suo percorso. Lo scivolone fu memorabile ma ciò che accadde dopo restò indimenticabile anche per Gino. Dopo esser finito a gambe all’aria si spatasciò su di una piccola aiuola e il suo naso fini a due centimetri da una margherita. Gino non ne aveva mai vista una, era sempre stato troppo indaffarato per accorgersi di ciò che aveva intorno, e rimase così incantato da tanta semplice bellezza che restò li a rimirarla per sei ore. Gino va a lavorare a piedi ogni giorno e parte molto presto da casa adesso, perché per strada trova sempre qualcuno con cui fare due parole o qualcosa da ammirare per cui fermarsi almeno dieci minuti e ogni settimana cambia l’arredamento del suo ufficio. Alle pareti adesso ci sono quadri con prati e tramonti e in un vaso colorato e gigantesco cresce, curata e accudita, una piccola semplice margherita.
<Perché sei triste?> chiese il calendario all’orologio.
<Sai> disse <le persone contano molto su di me, devo essere sempre in orario, guai se sbagliassi, devo essere puntuale, non posso fermarmi un attimo. E dopo tutto questo mi degnano appena di uno sguardo ogni tanto e il più delle volte ce l’hanno con me perché hanno fatto tardi ma cosa ci posso fare io? Uffa, mi vogliono puntuale e poi mi vorrebbero in ritardo! Tu invece te ne stai li tranquillo, appeso tutto il giorno al tuo chiodo, ti guardano, ti riguardano, segnano su di te i loro appuntamenti, cerchiano le giornate più importanti, quelle più belle e poi tu conti per un anno intero, io solo per un giorno>
<Guarda che ti sbagli> rispose il calendario <tu sei importante per le persone, loro ti portano con se tutto il giorno, ti mostrano agli amici e se ti fermi ti portano dal dottore degli orologi per accomodare i tuoi guasti, io invece me ne starò qui per un anno a farmi sfogliare, pizzicare, ammirare e poi arriverà un tipetto con dei giorni nuovi e con delle foto più belle e io finirò dritto dritto nel cestino, proprio come è accaduto a quello che c’era qui prima di me! Tu invece rimarrai al tuo posto per un sacco di tempo, beh almeno fino a quando continuerai a correre dietro alle tue ore.>
Orologio e Calendario divennero buonissimi amici e passarono insieme un anno davvero felice e divertente. Orologio non scordò mai il suo grande amico.
Pio Pio bucò il suo ovetto in un caldo e soleggiato mattino di primavaera, prima ancora di vedere il becco rosso della sua mamma Galli Nella Pio Pio vide il sole. Un grande e luminoso disco dorato pieno di luce e di calore. A pio Pio piacque subito il sole gli rimaneva simpatico. Ogni volta che alzava i suoi occhietti di pulcino verso il cielo aveva un sussulto di spavento il sole, quel birbante nonera mia dove lo aveva visto la vcolta prima. Pio pio comnciò a sgambettare nell'aia, beccava granturco e sassolini e ogni tanto tirava su il becco e cercava il sole nel cielo. Quando si fece sera Po Pio fu attratto dalla bellezza di quel disco arancione così vicino alla terra che se fosse statopiù vicino l'avrebbe potuto beccare ma subito dopo lo spavento lo assalì il sole era scomparso e tutto intorno si era fatto buio. Pio Pio si rifugiò sotto le caldi ali della mamma e prego per tutta la notte che il sole tornasse. Tremante e impaurito Péio Pio fu assalito dalla stanchezza e infine si addormentò. Al mattino fu svegliato dal canto del suo papà Gaallo galletto. Aprì i suoi occhietti e con sua enorme gioia vide alto nel cielo il caldo e luminoso sole che gli sorrideva tra le bianche e soffici nuvole. Anche Il sole era contento perché per tutta la notte non era più riuscito a vedere Pio Pio ma adesso che era finalmente riapparso sotto di lui era felice di aver ritrovato il suo amico. Pio Pio e il sole non si separarono mai più tranne la notte per andare a dormire ognuno nel suo caldo letto.
La Luna aveva sempre invidiato la luce calda e brillante che emetteva il Sole e tante ma poi tante volte aveva sognato di essere altrettanto luminosa. Un bel mattino lucente e tiepido di primavera la Luna chiese aiuto alla sua amica Beta la Cometa.
<Vorrei proprio fare uno scherzo al mio amico Sole> mentì la bugiarda, la quale tramava invece di combinargli un bel guaio <Tu dovresti darmi una mano, uno di questi giorni mentre te ne vaghi per l’universo, fai finta di niente e poi ti getti addosso a lui con tutto il tuo ghiaccio, così lo raffreddiamo un po’> continuava a mentire la spudorata sperando invece che in quel modo il sole si potesse spengere.
<Aiutare te è sempre un piacere> rispose l’ingenua Beta la Cometa e detto fatto partì per un lungo giro al termine del quale si sarebbe gettata tra le calde braccia del sole.
Combinarono un patatrac. Beta la Cometa rimbalzò sull’enorme pancione del sole e finì dritta dritta in faccia alla luna che si buscò un grossissimo raffreddore. Ancora adesso la povera luna è costretta a scaldarsi al tepore del sole tanto è il freddo che gli è rimasto addosso e la sera le vedi lassù pallida e fredda mentre fa capolino sopra la terra per scaldarsi un poco ai lucenti raggi del sole.
Se c’era una cosa che Gigi amava sopra ogni altra questa era il sole. A Gigi piaceva un sacco starsene sdraiato su di un prato o sulla calda sabbia in riva al mare e farsi baciare e riscaldare dai raggi del sole. C’era però qualcosa che gli rendeva difficile soddisfare questo suo desiderio. Viveva in una piccola casetta in mezzo a tanti palazzoni i quali gli impedivano per tutto il giorno di godersi la luce diretta del sole. Gigi era molto triste per questo e ogni mattino si alzava molto presto perché dalle sei alle sei e cinque poteva godere della luce del sole tra gli spigoli di due palazzoni alti alti. Erano gli unici minuti di felicità che poteva godersi in casa sua. Quell’anno per Natale pensò di scrivere anche lui una lettera a babbo Natale, come aveva fatto quando era piccolo, per chiedere che i palazzi intorno a lui sparissero ma rinunciò credendolo impossibile. Il suo desiderio invece era stato ascoltato dal folletto delle piante, il quale si trovava a passare per caso vicino a casa di Gigi e lo aveva sentito piangere e singhiozzare la sua tristezza. La mattina di Natale Gigi si svegliò alle cinque e mezza e meraviglia delle meraviglie, il sole illuminava la sua faccia. Corse incredulo alla finestra della sua camera e vide che i palazzoni intorno a lui erano scomparsi, anzi no, erano finiti tutti più in basso della casa. Un enorme quercia era cresciuta sotto i suoi piedi durante la notte e lo aveva portato così in alto che niente poteva separare più Gigi dalla vista del sole. Se c’è una cosa che Gigi ama sopra ogni altra questa è il sole e con gli amici adesso festeggia ogni alba ed ogni tramonto dalle finestre della casa più buffa del mondo.
Paolino era un bambino molto ma molto ma moltissimo freddoloso. La mattina non si voleva mai alzare dal letto, perché ormai aveva sotto le sue coperte un gran bel tepore, il calduccio in cui si era rigirato tutta la notte. La mamma doveva faticare sette camicie per riuscire a tirarlo fuori dalla sua tana e fargli lavare denti e orecchie con quell’acqua che a Paolino sembrava sempre freddissima. Uscire di casa era un dramma, quando tirava vento, quando era nuvoloso, quando era talmente umido che sembrava piovesse direttamente nelle ossa. Appena era fuori non vedeva l’ora di rientrare in casa ma quando era a casa non voleva mai andare a dormire, perché prima di entrarci il letto era sempre ghiaccio, come una di quelle lastre che galleggiano nell’oceano antartico. Fargli il bagno poi era un impresa eroica perché non c’era mai acqua abbastanza calda per la sua pelle delicata. Un bel giorno Paolino stufo del gran freddo che sentiva, decise di costruire un astronave che lo avrebbe portato dritto dritto nel sole. Con gli arnesi del padre mise insieme quello che a lui parve un bel razzo e partì diretto al centro del sole. Quando fu arrivato raccolse un po’ di calore con un cucchiaino e lo inghiotti in un sol boccone poi non soddisfatto, ne prese altre tre o quattro cucchiaiate tanto per essere sicuro di non sentire più freddo. In realtà non ce n’era bisogno perché il calore del sole è così concentrato che glie ne sarebbe bastato appena un pizzico. Tanta però fu l’abbondanza che Paolino tornò sulla terra con la forza di un solo starnuto e da allora l’immensa gioia di non aver più freddo gli fa distribuire calore a tutti quelli che gli vogliono bene e anche a quelli che non lo conoscono ma che lo incontrano per strada ridente e felice.
Clementina è una bambina davvero gioiosa e solare, a lei piacciono tantissimo le piante e in maniera particolare i loro fiori. Clementina ha una pianta che è la sua preferita, è un piccolo cespuglio di rose che ha piantato per lei suo padre, quando la piccola Clementina è venuta al mondo. Ogni mattina annaffia la piantina che tiene con se nella propria cameretta e la mette sul balcone dove può godere della luce e nutrirsi del calore di cui ha bisogno. Nel pomeriggio sposta la piantina alla finestra della cucina, in modo che possa seguire il moto del sole e non perderne neanche un solo raggio. La sera riporta il vaso nella sua camera e dopo aver cantato canzonette allegre per la sua mamma e per la piantina dà a tutti la buona notte, spenge la luce e nel buio della sua cameretta ancora parla con il piccolo roso fino a che il sonno non abbraccia Clementina ed la pianta per cullarli l’intera nottata. Al mattino la piantina ricomincia il suo giro della casa e sembra essere proprio felice della compagnia di Clementina e del suo allegro vivere in quella casa così solare, che ogni giorno regala alla bambina, alla sua mamma ed al suo papà, un nuovo bocciolo che li accompagna per tutto il giorno con il suo profumo e con svariati bellissimi colori. Alla sera ne richiude i petali, prima di addormentarsi tenendo con le sue foglie le mani calde di Clementina.
Sfido chiunque a dire il contrario ma io credo proprio che non ci sia niente di meglio di un’allegra giornata di sole. Quando sei triste basta affacciarsi alla finestra e se ti accoglie quel caldo disco dorato, subito ti torna il buonumore. Bambini che corrono per i prati, uccelli che svolazzano, animali che si rincorrono. Quando il sole brilla nel cielo puoi sprigionare la tua gioia passeggiando in mezzo alla gente e anche se cammini in una città grigia e piena di palazzoni, riesci sempre a vedere i colori. Fiori su un balcone, panni tesi ad asciugare, i vestiti della gente che incontri, l’azzurro del cielo, le bianche scie di aerei che solcano il loro mare infinito. Con il sole trovi sempre un po’ di tepore a cui scaldarti, da solo o insieme agli amici e alle persone care. Grazie al sole dimentichiamo tutte quelle piccolezze che avevamo creduto così importanti e dense di tristezza ma che si sono sciolte al primo raggio di un allegro solicello di primavera o a un tremulo sole che si affaccia impavido tra scure nubi di tempesta in una giornata autunnale. Il sole, che gran coraggio, lottare ogni dì per portarci la sua luce e il suo calore. E noi possiamo tenere un po’ di quel calore in ognuno di noi, conservare quei doni che ci arrivano dal lontano sole e in questo modo, anche quando le nubi ci nascondono la luce, possiamo lasciar uscire il sole che abbiamo dentro, per regalarlo agli altri e anche a noi stessi.
A Chiara piaceva tantissimo stare al sole, camminare per le strade e per le piazze sotto i suoi caldi raggi e cercarli anche nelle giornate di pioggia, quando anche un piccolissimo occhio di sole mette sempre buonumore. A Bruno il sole non piaceva per niente, non amava la luce e non gli piaceva nemmeno il gran caldo, che a suo dire era sempre troppo anche nelle più fredde giornate d’inverno. A Chiara piaceva Bruno, era un tipo un po’ ombroso ma lei lo trovava molto simpatico ed era piacevole passare il tempo a parlare con lui. A Bruno piaceva molto Alice, era molto solare ed era l’unico modo per lui di poter accettare quella parola, visto che almeno fino ad allora il sole non lo aveva mai visto di buon occhio. Chiara chiedeva spesso a Bruno di uscire con lei, per fare un gita o una passeggiata ma Bruno faceva di tutto per rimanere a casa o per ritrovarsi un in posto riparato. Chiara accettava sempre però stava lentamente perdendo la sua solarità e il chiuso in cui si nascondeva per stare vicino a Bruno, piano piano la stava spegnendo. Il primo ad accorgersi di questo fu proprio Bruno che grazie al grande amore che provava per l’amica, decise di sacrificarsi e passeggiare con lei sotto il sole. Dopo poco tempo Chiara era tornata la ragazza allegra e serena di prima ma anche Bruno era cambiato, il suo muso solitamente lungo e imbronciato aveva finalmente conosciuto il sorriso. Anche lui era stato conquistato dalla gioia del sole. Ah quante passeggiate fanno adesso Chiara e Bruno e com’è felice il sole di vederli insieme mano nella mano.
LE STORIE DELLA SAVANA
Gedeone era un leone davimpegnava nella caccia proprio come gli era stato insegnato da cucciolovero molto sfortunato. Lui si . Si appostava silenzioso, nascosto dalle lunghe e fulve erbe della savana che si confondevano con il colore del suo pelo. Attendeva paziente che una gazzella, un facocero o uno zebù si trovassero a passare da quelle parti e poi, con balzo felino, come lui era, gli piombava addosso in un lampo. Quando la preda era ormai alla sua mercè, tremante ad un pelo dai suoi artigli, Gedeone veniva colto da una crisi leonina. Quelle povere bestioline lo guardavano con occhi supplichevoli, in attesa che venisse compiuto il loro destino ma a quel punto il nostro leone non era capace di completare la sua opera e allentando appena la presa, lasciava che la preda se ne fuggisse via in fretta e furia. Gedeone spilluzzicava un po’ di cibo qua e là ma l’erba non era il suo piatto forte e la frutta non era mai a portata delle sue zampe. Il suo buon cuore però non era passato inosservato agli altri abitanti che per ringraziarlo delle sue buone azioni, decisero di eleggerlo re della Vallata. Così Gedeone non dovette più preoccuparsi di cacciare il cibo che non voleva o di cercare quello che non riusciva a trovare, ogni giorno gli animali fanno la fila per portare al loro re i frutti della savana di cui Gedeone va matto e per ricambiarli il giovane leone protegge i suoi amici animali, tenendo alla larga chiunque volesse venire a caccia nella sua Vallata.
Allegra era una zebra un po’ stramba. Era davvero stufa delle strisce che si portava disegnate addosso, non che non le piacessero, anzi c’erano delle mattine in cui le adorava ma c’erano pure altri giorni in cui non le sopportava per niente. Ad allegra piaceva cambiare, d’altra parte non tutti i giorni erano uguali e a lei sarebbe piaciuto tantissimo adattare il pelo al suo umore ballerino. Insomma, dai e dai, tanto fece e tanto pensò che una bella mattina si svegliò con addosso un nuovo manto, bianco con delle macchie rotonde, invece delle solite strisce. Tutta felice se ne andò in giro con il suo nuovo vestito tra lo stupore e la sorpresa delle sorelle zebre. Il mattino successivo erano tornate le strisce ma in compenso il manto era diventato di colore rosa e Allegra era proprio felice. Dopo qualche giorno anche altre zebre cominciarono ad andare in giro pitturate di vari colori. L’umore nel branco era divenuto decisamente buono da quando i colori erano venuti a far parte delle loro giornate e questa novità contagiò anche gli altri abitanti della pianura, gazzelle, ghepardi, gnu e aironi. Se non ci credete andate nella savana e cercate una valle piccola nascosta tra alte montagne, se sarete fortunati potrete ammirarli e sarà uno spettacolo davvero affascinante. Lì anche gli animali hanno la loro moda.
Un tempo Raffa la giraffa e le sue sorelle erano animali simili ad una zebra. Distinguere le une dalle altre era naturalmente molto facile, le zebre erano bianche con le righe nere e le giraffe erano gialle con le macchie marroni. Tutti insieme pascolavano nella grande pianura e accanto a loro si cibavano della poca erba che si trovava in giro anche gnu, gazzelle, zebù, uccelli, roditori e tutti gli animali che popolavano quella immensa e spesso arida vallata. Due volte l’anno il branco era costretto a lunghe e pericolose migrazioni in cerca di nuovo cibo e questo li portava a trovarsi alla mercé di leoni, ghepardi e coccodrilli che non aspettavano altro! Raffa era stufa di questo andirivieni e pensò che ci doveva pur essere un’altra fonte di nutrimento nella loro vallata ma dove trovarla, forse sotto terra no, forse in aria, no, anzi forse, ma sì certo, c’erano così tante foglie verdi e succulenti penzoloni agli alberi e certo non aspettavano altro che di essere mangiate. Raffa convinse le altre giraffe a cibarsi delle foglie e insieme escogitarono mille modi per raggiungere le vette degli alberi. Chi saltava, chi montava su un’altra giraffa, chi si allungava. E allunga allunga, si allungarono anche il collo e le gambe di tutte le giraffe così tanto che non hanno più bisogno di saltare o di arrampicarsi per mangiare le soffici foglioline che sono in cima agli alberi più alti della savana e per gli altri animali c’è tutta l’erba della pianura a disposizione. Raffa però preferisce i germogli teneri che stanno lassù in alto.
Se c’è in tutta la savana un animale veramente grande questo è certamente l’elefante. E se fra tutti gli elefanti della savana ce n’è uno davvero grande, il più grande di tutti, questo non può essere che Berto! Berto è un elefante grande, ma grande, ma aiutatemi a dire grande, da quanto è enorme. E’ alto almeno quanto tre elefanti messi uno sopra l’altro ed è peso una cosa inimmaginabile, perché nessuno è riuscito a prenderlo e metterlo su di una bilancia. Quando cammina le zebre e gli gnu rimbalzano in aria dal gran contraccolpo che fanno i suoi passi, le poche volte che ha corso sono cadute due montagne e tutti i datteri delle palme. Quando entra nel lago per lavarsi l’acqua sale di dieci metri e tutti gli animali hanno dovuto imparare a nuotare. Quando beve, prosciuga il lago, sì che tutti i pesci hanno dovuto imparare a camminare. Berto è l’elefante più buono che ci sia, nelle sua proboscide lunga dodici metri hanno trovato rifugio sei famiglie di topi, due di facoceri e un vecchio gnu malato, che sennò se lo mangiavano i ghepardi. Al mattino quando barrisce sveglia tutta la savana e ormai tutti hanno fatto l’abitudine al convivere con questo enorme e pacioccoso animatone, i piccoli abitanti della pianura trovano sempre rifugio vicino a lui. Quando arriverete nella pianura lo riconoscerete subito, no, non è una collina quello con tutti quegli animali sopra e intorno, quello lì è proprio Berto, avvicinatevi pure, non vede l’ora di fare amicizia con voi.
Nella savana non mancano certo le bestie feroci! Leoni, ghepardi, leopardi, gattopardi, tigri… Tigri? Ma cosa c’entrano le tigri, quelle stanno in India non nella savana africana. A sì, allora andatelo a dire a Beatrice la tigre della savana. Effettivamente non è nata in Africa, faceva parte di un circo, un enorme circo con tutti i tipi di animali, struzzi, ippopotami, lemuri, tigri e chissà quanti altri. Quando la grande nave su cui viaggiavano si è fermata sulle coste dello Zimbabwe, Beatrice non ha trovato niente di meglio da fare che darsela a zampe levate. L’hanno cercata per ogni dove, per giorni e per notti, poi la nave ha dovuto ripartire e così è stato deciso di lasciarla lì. All’inizio però Beatrice era spaesata, non sapeva come fare a trovare da mangiare e soprattutto non aveva dove rifugiarsi, dove andare. Per fortuna incontrò un leone girellone che si trovava a passare vicino alla costa e dopo essersi fatto delle matte risate, non aveva mai visto un leone a strisce, decise che avrebbe portato Beatrice con sé nella pianura della savana. Adesso è là ed è diventata una leggenda, sì perché c’è chi dice di averla vista e chi non ci crede e risponde che non ci sono le tigri in Africa. Beatrice invece ha trovato una nuova casa, sogna l’india e le foreste che attraversava da cuccioletta ma è felice nella savana e poi qui ridono sempre tutti e nessuno ha paura di lei. Chi avrebbe paura di un leone a strisce?
Luisella la gazzella saltellava serena per la pianura ventosa della savana. Intorno a lei pascolavano più o meno tranquille le sue sorelle, tutte intente a brucare l’erba, cercando con un occhio gli steli più prelibati, quelli più teneri e gustosi e con l’altro occhio osservavano invece quello che accadeva loro intorno. Gli orecchi tesi ad ascoltare il benché minimo rumore e il naso ad odorare in continuazione, attento a percepire ogni profumo, ogni odore, ogni maleodorante vicinanza. Luisella stava gustandosi i suoi germogli preferiti quando nel suo naso si insinuò un odore tutt’altro che piacevole, in un attimo le sue orecchie captarono un fruscio sospetto e subito dopo vide muoversi dietro di lei l’enorme e minacciosa forma di un leone. Luisella partì di scatto e la bestia feroce saettò dietro di lei. La gazzella correva a più non posso, sentiva il suo cuore battere all’impazzata e il respiro farsi sempre più corto. Il leone sembrava attaccato a lei e un paio di volte sentì la grande zampa artigliata appoggiarsi sulla pelle. Luisella corse quanto potè e poi sfinita si fermò rassegnata. Il leone era lontanissimo da lei, per primo aveva rinunciato a quella estenuante corsa e adesso riposava sfinito in mezzo a un branco di gnu. Luisella ritrovò le forze per tornare dalle sue sorelle e riprese a pascolare tranquilla per quanto la savana le permetteva. Per quel giorno ce l’aveva fatta ma c’era ancora domani!
Lo gnu stava passeggiando lungo la costa del grande lago della savana, cercava un posto sicuro per avvicinarsi all’acqua e finalmente bere. Ugo lo gnu era molto giovane e la sua spensierata età lo aveva portato ad allontanarsi un po’ troppo dal branco che si stava abbeverando dall’altra parte dello specchio d’acqua. Sicuramente se avesse girato intorno per raggiungere i suoi simili avrebbe trovato un luogo dove abbeverarsi in pace ma la sete era tanta e il sole stava per tramontare, doveva prima bere e poi ricongiungersi con la sua famiglia. Davanti a lui nuotava Gerardo il coccodrillo, seminascosto sul pelo dell’acqua, che lo invitò a bere tranquillamente, ci avrebbe pensato lui a controllare che nessuno si avvicinasse. Ugo, all’inizio molto diffidente, fu vinto dalla sete e si infilò nell’acqua pronto a placare l’arsura ma avvicinandosi un po’ troppo al coccodrillo. Appena lo gnu immerse il muso nell’acqua, Gerardo si mosse in modo fulmineo, con un lesto colpo di coda fu sotto allo gnu, con le fauci spalancate e l’acquolina in bocca, pronto ad ingoiarselo in un sol boccone. Gerolamo l’ippopotamo aveva assistito a tutta la scena in silenzio, a poca distanza dai due e avvedutosi della trappola che il coccodrillo stava tendendo al giovane e credulone gnu, si era avvicinato in silenzio e all’ultimo momento, era sbucato fuori proprio tra Gerardo e il piccolo Ugo. Fu la salvezza dello gnu che immediatamente prese a scappare alla ricerca della sua mamma senza più pensare a dissetarsi. Gerardo intanto si era dileguato, temendo di essere sopraffatto dalla mole dell’ingombrante animale. Ugo invece fuggiva ringraziando a gran voce il provvidenziale Gerolamo che riprese a sonnecchiare tranquillo sul pelo dell’acqua. Ma da sotto, si poteva vedere benissimo un sorriso soddisfatto di felicità.
LE STORIE DI FAMIGLIA
La mamma è quella cosa morbida profumata e accogliente che si prende cura di noi. Ci ha portati dentro di se per nove mesi, chiusi al sicuro e al calduccio dentro il suo pancione. Era lei che soffriva quando noi non stavamo bene ed è ancora lei a soffrire più di tutti, quando abbiamo un piccolo raffreddore o quando ci ritroviamo con un febbrone da cavallo. La mamma ha cura di noi, ci lava il viso la mattina, ci prepara la merenda e ci accompagna dovunque noi vogliamo andare. A volte la mamma ci fa arrabbiare perché non soddisfa tutte le nostre voglie e tutti i nostri capricci, ma altrimenti non sarebbe la mamma, perché la mamma ci deve insegnare che non possiamo avere tutto. Quando ci dice che fa qualcosa per il nostro bene, anche se a noi non sembra proprio, invece è la verità e quando cresceremo ci accorgeremo che, la stragrande maggioranza delle volte aveva ragione. La mamma è una bravissima cuoca, sia quando passa ore in cucina a prepararci deliziosi manicaretti e dolci squisitissimi, sia quando in cinque minuti ci cucina qualche pranzo surgelato, come scongela la mamma non lo sa fare nessuno. La mamma ci porta a letto la sera, anche quando noi non vorremmo andarci, ci rimbocca le coperte e ci da il bacio della buonanotte, qualche volta se non è stanca ci racconta una storia, quando invece è stanca si addormenta mentre lo fa. La mamma è una grande invenzione è per questo che le voglio molto bene.
Il papà, comunemente conosciuto come babbo, è quella cosa ruvida, seria e impacciata che cerca di prendersi cura di noi. Per nove mesi ci ha parlato attraverso la pancia della mamma e adesso finalmente può guardarci negli occhi mentre lo fa. Il papà ha la barba, a differenza della mamma e ha la voce più forte, per questo tocca sempre a lui quando dobbiamo essere brontolati per le marachelle più gravi. Il papà ci accompagna al cinema e ci compra sempre un sacco di schifezze da ciucciare e da sgranocchiare e poi ci dice di non mangiarle perché fanno male ai denti. Il papà cucina solo la domenica, perché il riso di mare non lo fa nessuno come lo fa lui, così dice, e dopo aver messo a soqquadro tutta la casa con pentole, pentolini e chissà che altro, finalmente si mangia, bisogna però dire che di solito il pranzo è buono davvero. Il papà vuole sempre vedere il telegiornale, è per questo che ogni giorno a tavola dobbiamo sempre discutere sui programmi da guardare, brontola perché guardiamo i cartoni animati e poi ci racconta che lui non faceva altro da mattina a sera quando era piccolo. Il papà guida la macchina quando usciamo per una gita la domenica o quando è festa, e per strada parla molto con gli altri papà, che stanno chiusi dentro le altre automobili. Hanno sempre un sacco di cose da dirsi e chissà perché, lo fanno sempre gridando, forse il rumore delle auto è troppo forte? Il papà fa finta di volerci meno bene della mamma e poi è quello che si preoccupa di più se abbiamo il morbillo e se dobbiamo andare a lezione di calcio o di ballo. Il papà è un’invenzione ganzissima, per questo gli voglio molto bene.
I nonni sono quella cosa tenera e dolce, con i capelli bianchi, che tanto tanto tempo fa erano la mamma e il papà dei nostri papà e delle nostre mamme. I nonni però sono così vecchi, che ormai non si ricordano più come si fa a fare i genitori e quindi tornano a essere dei bambini a cui bisogna insegnare tutto. I nonni ci accompagnano ai giardini tutti i pomeriggi, dopo che la mamma ha raccomandato loro tutte le cose che devono e che non devono fare. I nonni ci lasciano fare tutto, perché anche loro sono stati bambini e anche a loro piaceva correre in bicicletta, giocare e schiamazzare con gli altri bambini. I nonni hanno sempre una caramella per noi nelle loro tasche e quando combiniamo qualche disastro ce ne danno una e poi ci difendono quando i nostri genitori ci danno una sonora e giusta brontolata. I nonni spesso combinano più guai di noi e allora li dobbiamo aiutare e difendere e qualche volta ci prendiamo noi la colpa se fanno qualche pasticcio grave. I nonni leggono molto e ci raccontano sempre un sacco di cose nuove che hanno trovato sui libri o nei giornali, hanno sempre tante avventure da narrarci, a volte vere a volte un po’ meno, di quando erano giovani, ci parlano di cose che non ci sono più e raccontano di giochi che facevano senza la tivù e senza il computer. Difficilmente riusciamo a capire com’era mai possibile, adesso non potrebbe succedere di certo! I nonni hanno tanta vitalità e la regalano a noi ogni giorno, per questo voglio loro molto bene, che invenzione stratosferica!
I fratelli e le sorelle sono quelle cose antipatiche che usano i nostri pennarelli preferiti e li lasciano aperti sotto il lettone di mamma e papà, così quando vengono ritrovati non solo non funzionano più ma quelli sgridati va a finire che siamo noi. I fratelli e le sorelle maggiori sono proprio dispettosi, non vogliono mai giocare con noi perché dicono di essere troppo grandi e i balocchi con cui noi ci trastulliamo sono aggeggi da lattanti. Si arrabbiano se la mamma li costringe a portarci con loro al cinema e durante il film ci prendono tutti i dolcetti. I fratelli e le sorelle minori invece sono una vera e propria piaga, vogliono sempre stare con noi e non capiscono che sono troppo piccoli per giocare con i nostri apparecchi elettronici, smanaccano dappertutto e sono capaci di rompere una radiocomando anche solo guardandolo. Ci chiedono di giocare con i loro animaletti e le loro costruzioni, senza capire che per noi sono ormai aggeggi da lattanti. I fratelli e le sorelle sono gelosissimi dei loro vestiti, per questo ci piace un sacco nasconderglieli o peggio ancora disegnarci sopra un bel sole sorridente, gli abiti che non sono più di loro gradimento invece li mettono da parte per quando saremo grandi, senza nemmeno chiederci se ci piacciono oppure no, quei trefoli che si sono messi addosso loro non li vogliamo davvero. I nostri invece, quando non ci staranno più, li lasceremo in eredità ai fratelli e alle sorelle minori, che bambini fortunati! I fratelli e le sorelle ci vogliono un sacco di bene anche se gli facciamo i dispetti, per questo io voglio loro un sacco e mezzo di bene, che invenzione stramba!
Gli zii e i cugini, sono quella cosa che appare all’improvviso la domenica a pranzo o per Natale, con una bottiglia di spumante in una mano e un gustosissimo dolce nell’altra. Gli zii sono quasi dei nonni. Cioè, non nel senso della parentela, perché sono i fratelli e le sorelle delle nostre mamme e dei nostri papà, quindi figli anche loro dei nostri nonni. Ma perché come loro sono sempre bonaccioni e disponibili, ci portano un sacco di regali e giocano con noi. Con loro facciamo sempre festa e poi non ci brontolano mai. Certo non sono così amorevoli e grandiosi come i nostri genitori, però quando ci stringono forte forte, si sente che ci vogliono una montagna di bene anche loro. I cugini invece sono quasi peggio dei fratelli, loro hanno sempre fatto qualcosa meglio di noi o hanno qualcosa di più grande o di più veloce. Io li metterei insieme con i fratelli e le sorelle e li darei ai miei zii che se li portino a casa tutti insieme, chissà come mai tra di loro si trovano sempre d’accordo a fare a me qualche dispetto, uno scherzo o a far fuori tutta la mia scorta di cioccolatini. Ogni volta sono costretto a cambiargli nascondiglio, perché a loro non li darei mai, uffa! Per fortuna i miei zii mi portano sempre qualche dolcetto, da sgranocchiare di nascosto in tutta tranquillità. I cugini e le cuginette però, sono come i fratelli e le sorelle, sempre disponibili se hai bisogno, sempre pronti a difenderti e a giocare con te, sono proprio una forza! Gli zii e i cugini sono un invenzione davvero simpatica e io voglio loro una montagna di bene, per fortuna che ci sono!
La famiglia è quella cosa a volte numerosa a volte meno, che ti gira intorno e di cui anche tu fai parte. Con la famiglia ti ritrovi assieme nelle feste più importanti, per Natale, per Pasqua e per i compleanni; con giochi, baldoria, scherzi, risate e dolci. Nella famiglia ci sono il papà e la mamma, che si prendono cura di te e che ti vogliono un gran bene, come tu a loro, caldi da abbracciare e teneri con i loro baci. Ci sono i nonni, che a volte non ci sentono bene, che spesso dimenticano le cose e che hanno sempre una carezza per te. I fratelli e le sorelle, con cui scambi i segreti, giuri di non dirlo a nessuno e poi corri dalla mamma a spifferare tutto, così dopo sono dolori! Gli zii, i cugini e tutti quegli altri parenti che hanno un bis davanti alla loro qualifica: bisnonni, biscugini, bis bis bisqualcosa! Sulla famiglia puoi sempre contare, quando hai bisogno puoi esser sicuro che ci sia qualcuno della tua famiglia pronto a darti aiuto, quanto fa tre per quattro, cos'è un triangolo e una bicicletta per andare a comprare un bel gelato quando fa caldo e la tua bici è dal gommaio perché hai bucato quando sei andato allo stagno a caccia di ranocchi. La famiglia conta su di te e tu puoi sempre far qualcosa per la tua famiglia, anzi lo fai ogni giorno senza nemmeno accorgertene. Telefoni alla zia, dai un bacio alla nonna, leggi il giornale al nonno che non ci vede più tanto bene e fai mangiare il tuo gelato a quella cugina che credevi non ti volesse poi tanto bene e invece ti adora. La famiglia è una cosa favolosa, io voglio bene a tutti e tutti vogliono bene a me. Grandioso!
Gli amici sono quella cosa che contrariamente a tante, sei tu che puoi scegliere. È bellissimo poter fare nuove amicizie e conoscere sempre altri bambini e bambine con cui giocare, studiare, correre e parlare della tuia squadra preferita, delle gare di nuoto, e di quanto è buffa la maestra con gli occhialoni da sole e le trecce da bambina. Gli amici a volte devono andare via perché cambiano casa o perché vanno ad un'altra scuola e non li vediamo più ma anche se il tempo cancellerà i loro volti, non li dimenticheremo mai, perché ricorderemo sempre quanto siamo stati bene insieme a loro. Gli amici sono la cosa migliore per fare le marachelle, meglio dei fratelli, delle sorelle e di tutti i cugini. Salire su un albero e mangiarsi le ciliegie di nascosto dal padrone dell'albero, è una cosa troppo divertente e farla con gli amici la rende davvero elettrizzante. Tra tutti gli amici ce n'è sempre qualcuno speciale, un amico o un amica su cui puoi contare come su una sorella, quell'amica con cui scambi i tuoi segreti e che non va a spifferarli a nessuno, nemmeno sotto tortura, nemmeno se le prendono tutte le gommine rosa e le penne con i brillantini. I veri amici sono come qualcuno di famiglia, cercano te se hanno bisogno di un consiglio e sono pronti a dartene uno se lo chiedi a loro. Cosa mi metto con le scarpette madreperla? Ti piace il cappello dei Chicago Bulls? Non c'è niente da fare, gli amici sono una cosa davvero preziosa. I miei mi vogliono un bene dell'anima e si divertono un sacco con me e io voglio bene a loro, tantissimo. Che invenzione l'amicizia, sono proprio contento che ci sia!
LE STORIE DI SCUOLA
Il primo giorno di scuola è sempre un po’ strano. Lo viviamo come un in misto fra tristezza e felicità. Le vacanze sono finite e i primi giorni di pioggia ci hanno già fatto capire che l’arrivo dell’autunno è imminente, e si sa con l’autunno arriva anche la scuola. Eh sì, il brutto tempo e l’inizio dell’anno scolastico ci mettono tristezza, perché dentro di noi ancora abbiamo vivo il ricordo di tuffi nel mare, di corse sulla spiaggia e di giochi con tanti nuovi e divertenti amici. Davanti a noi riusciamo solo a vedere serate buie, passate a studiare su libri che a volte ci sembrano così barbosi e pesanti. Il primo giorno di scuola tanti sono i pensieri che ci vengono a trovare ma appena voltiamo l’angolo e rivediamo quell’edificio austero ma pieno di chiasso e di risate, la tristezza vola subito via. I nostri compagni di classe ci stanno aspettando e quelle serate buie che avevamo tra i nostri pensieri, si trasformano subito in allegre compagnie. Tutti insieme a ripetere poesie e prendersi in giro, a calcolare somme e divisioni mentre qualcuno prepara gustose merende, a leggere e studiare la grammatica con già in testa i progetti per il Natale che verrà, se non addirittura per le prossime vacanze al mare. Il primo giorno di scuola è proprio una gran festa, annuncia un altro anno di amici e lezioni, di studi, conoscenza e allegria, un altro anno tutti insieme. Evviva!
La sistemazione nei banchi è un rito che deve essere eseguito con calma e con razionalità, non si può prendere e sedersi nel primo banco che ci capita vicino, ne sconteremmo le pene per tutto l’anno scolastico. Scherzi a parte, che ci si pensi oppure no, va sempre a finire che ognuno si siede proprio nel posto che a lui è più congeniale, che sia qualcosa scritto nel codice genetico? Mah, i misteri della scuola sono inimmaginabili. Nella mia classe è andata a finire che ci siamo sistemati in questo modo: le più brave e i più secchioni sono capitati tutti nei primi banchi, da li potranno seguire meglio la lezione e sicuramente si potranno udire bene i loro suggerimenti durante le interrogazioni. Le altre bambine e i sognatori, tra cui ci sono anch’io, sono capitati nei banchi vicino alle finestre. Ogni tanto un’occhiata alle fronde degli alberi o al cielo azzurro, dà quel senso di scuola di cui non si potrebbe mai fare a meno. I confusionari e i copioni invece stanno sempre dalla parte opposta alle finestre, in fondo, nel buio si possono condurre a termine ottime battaglie navali e si vedono meglio i compiti dei più bravi che chiaramente sono seduti davanti. La mia è proprio una bella classe, e la vostra come l’avete sistemata?
E poi, quando meno te lo aspetti, mentre sei lì, concentrato a studiare, a fare esercizi, tre per due, un: articolo indeterminativo maschile singolare, insomma proprio quando sei concentrato e preso dallo studio, eccolo che arriva! È Natale! A me Natale mi piace tantissimo, sì lo so piace a tutti ma per me è bello il Natale a scuola. Prima di tutto si costruisce un enorme albero di Natale, che alto in quel modo nessuno ce lo ha a casa, poi lo si riempie di palline colorate e striscioni, ognuno ne porta qualcuno da casa e la mamma poi si chiederà dov’è finita quella preziosa palla di vetro che ha comprato tanti anni fa a Venezia e che è la sua preferita, ma questo non c’entra niente. Tutti portano festoni e palle ma nessuno porta mai la punta così ogni anno la devono fare di carta le maestre e secondo me consono molto brave a fare la stella, non viene mai come quella che c’è sul mio albero. In classe faremo anche il presepe di carta, con i personaggi ritagliati e colorati da noi, a me tocca sempre una pecorella e non sono mai riuscito a fare Gesù Bambino. La maestra ci farà scrivere i pensierini per i regali ai genitori e i temi sul Natale con i proponimenti per un nuovo anno ubbidiente e senza capricci, anche se nessuno i riesce a mantenerle quelle promesse. L’ultimo giorno prima delle vacanze invernali si fa una gran veglione tutti insieme, anche con i bambini di altre religioni, sì perché quando siamo piccoli basta far festa tutti assieme e siamo contenti. Quando siamo stanchi e sfiniti ritorniamo a casa e li ricominciamo a far festa con i nonni con gli zii e con i nostri meravigliosi papà e mamma. Ah già, scordavo. Buon Natale anche a voi!
Durante l’anno scolastico l’avvenimento più divertente in assoluto è di sicuro il Carnevale. Sia perché colonna portante di questa festa sono scherzi, divertimenti, risate, maschere e feste mascherate, sia perché diversamente da tutte le altre feste non dura un giorno o due ma ci accompagna per un mese intero e durante tutto questo periodo a scuola è uno spasso continuo. A volte diventa difficile persino seguire le lezioni. Fare la lettura o la grammatica, studiare la storia o le capitali d’Europa con la polverina pizzichina nel naso o masticando le gomme al sapore di aglio non è davvero per niente facile. Coriandoli, stelle filanti, stelle spruzzanti, inchiostri simpatici e qualche colpo con il solito manganello di pulcinella, sono all’ordine del giorno. Tornare a casa puliti e in ordine non è di sicuro una cosa facile. Il lunedì poi lo passiamo a raccontarci le avventure dei corsi mascherati a cui abbiamo assistito o partecipato il giorno prima e tanto per non perdere l’abitudine una manciata di coriandoli nella cartella del compagno non guasta mai. Il giorno più divertente però è sicuramente l’ultimo, quello durante il quale, dalla mattina alla sera, non si fa altro che scherzare, vestiti con le più fantasiose e fantastiche maschere, superman, damigella, poliziotto, infermiera, pokemon, cavaliere, mostro e chi più ne ha più si travesta! Fra feste, scherzi e scorpacciate capita sempre di infilarsi in bocca un bel pezzo di torta con i coriandoli o un bignè avvolto da stelle filanti, ma si sa sono gli inconvenienti del festeggiare e a Carnevale ogni scherzo vale!
C’è sempre un momento di vero e proprio panico che atterrisce tutti gli alunni di ogni classe, che siano maschi o femmine che siano secchioni o spalle tonde, che siano stati attenti o che siano perennemente distratti. È il momento prima dell’inizio delle interrogazioni. Il terrore serpeggia fra i banchi, ognuno in quell’attimo si domanda se capiterà proprio a lui lo sventurato compito di rimanere muto e silenzioso davanti alla maestra la quale insisterà con domande sempre più complicate, nella speranza di ottenere almeno una risposta o se anche per quella giornata la buona sorte lo accompagnerà. Altri continuano a ripassare la lezione mentalmente, sperando che i quesiti non siano poi così difficili e confidando comunque nei primi della classe, sempre pronti a suggerire senza farsi vedere. Nelle giornate particolarmente fortunate, può capitare che ci sia un volontario o due ma è molto più facile che mentre il dito della maestra scorre su e giù per il registro di classe, tutti facciano più o meno finta di niente, fischiettando nervosamente e ammirando in maniera particolarmente interessata le crepe sul soffitto o le finestre, che guarda caso oggi sono più sporche del solito. All’improvviso saltano fuori i nomi dei due o tre sfortunati che dovranno sottostare alla tortura dell’interrogazione i quali come condannati al patibolo lasciano il loro posto per portare a termine il colossale sacrificio, il resto della classe è salvo e si ricorderà di loro almeno fino alla prossima interrogazione. Per oggi è andata bene ci vediamo alla prossima, incrociate le dita!
Tra i compagni di classe di solito si nascondono delle vere star. Ognuno a modo proprio è un personaggio caratteristico e di solito, quando siamo a scuola e quando siamo bambini, queste particolarità danno il via a prese in giro stratosferiche da parte di tutti. Oggi tocca a me e domani qualcun altro sarà il bersaglio delle beffe di giornata. Gli elementi che più di tutti spiccano in maniera particolare sono: il giocherellone, che immancabilmente ha una battuta per tutti e su tutto quello che accade ogni giorno in classe, prende in giro le maestre, il preside e i bidelli e per gli altri è un vero e proprio spasso ascoltare i suoi dileggi. Non manca mai nemmeno il capoclasse, cioè quello che studia di più, che si applica più a lungo e che di solito è un po' restio a suggerire durante le interrogazioni, per non passare male davanti alla maestra. Poi c'è quello che siccome è un po' più grande degli altri fa il gradasso, mangia le merende degli altri, fa sparire i pennarelli delle bambine e copia i compiti ma durante le interrogazioni nessuno gli suggerisce mai, chissà come mai? C'è poi la svampita, quella che qualunque cosa venga detto non ha mai capito, vuoi perché era troppo attratta dagli uccellini che cinguettano sul ramo davanti alla finestra, vuoi perché stava sognando il suo attore preferito, sì quello di cui ha la collezione di fotografie nascosta nel diario, è una tipa veramente buffa ma a lei vogliono tutti bene. A scuola ognuno si distingue dagli altri e a modo suo lascia un indelebile impronta nella vita della classe, nemmeno i bidelli riusciranno a cancellarla. Ed è proprio questa incredibile varietà che rende lo stare in classe così piacevole, anche se c'è da studiare. In compagnia le cose sono sempre meno dure da affrontare!
Non esiste un anno scolastico senza la recita finale. Passiamo gli ultimi mesi di scuola a far prove di tutti i tipi. Prima si deve scegliere la storia, chi vuole Cappuccetto rosso, chi Biancaneve, chi qualcosa di più moderno tipo Superman o i Pokemon, chi prova ad inventare una storia nuova ma poi va sempre a finire che recitiamo La carica dei cento e uno. Dopo che è stata decisa la storia e quando tutti credono di aver ormai passato i momenti peggiori, incomincia la bufera. Tutti ma dico tutti, vogliono interpretare Rolly. Ogni bambino conosce già la sua battuta: Mamma io ho fame! E sicuramente è il cucciolo più famoso e amato di tutta la carica. Io non sono mai riuscito a farlo, a me tocca sempre Orazio o Gaspare! A seguire vengono scelti Rudy, Anita, Pongo, Peggy e naturalmente Crudelia Demon e tutti gli altri cuccioli. Dopo l'assegnazione delle parti cominciano le prove, una faticata sovrumana, mesi e mesi di declamazioni di fronte allo specchio o davanti ai nonni, che tanto loro applaudono qualsiasi cosa si dica e infine arriva il gran giorno. Palco addobbato, folla oceanica, si apre il sipario e, chissà come mai, c'è sempre qualcuno a cui si congelano le parole in gola ma per fortuna, dopo un attimo di panico finalmente la storia parte e si dipana piano piano, senza particolari intoppi. Alla fine naturalmente grande cagnara, in fondo siamo cuccioli di dalmata, tutti sul palco a guaire e abbaiare, rincorrendo Crudelia Demon, interpretata normalmente da un maschietto, poiché nessuna ragazzina farebbe mai un personaggio così cattivo. Calato il sipario fra scrosci di applausi e richiest di bis, tutti a mangiare! Patatine, bignè, gelato e cioccolatini, è festa. La scuola è finita, le vacanze ci aspettano a braccia aperte e già voliamo sulle ali della nostra infinita fantasia.
LE STORIE IN MOVIMENTO
Tonino aveva sempre desiderato una bicicletta. Se la immaginava rossa con le scritte blu, le ruote grandi, forse più grandi di lui, più in alto di quanto gli avrebbe reso possibile poggiare i piedi per terra. Ma tanto era un sogno e allora poteva pensarla anche gigantesca la bicicletta che desiderava tanto. A Tonino piaceva da matti quando arrivava la primavera, in giro si incominciavano a vedere gruppi di ciclisti che scorrazzavano in lungo e in largo per tutte le strade e alla prossima stagione avrebbe tanto voluto esserci anche lui tra quegli allegri corridori che osservavano i paesaggi e che respiravano l’aria leggera della campagna, mista a quella puzzolente e sgradevole delle auto. Tonino aveva già scritto decine di lettere per quel Natale e tutte contenevano immancabilmente la solita richiesta. Una bicicletta Mountan Bike rossa con il cambio a sedici velocità, la maglia del suo campione preferito e il casco giallo. Tonino aveva gia una bici, anche quella era stata un regalo di Natale ma di almeno tre anni prima e adesso ogni volta che ci si sedeva sopra la bici scompariva sotto Tonino che nel frattempo era cresciuto ed era ormai grande il doppio. I pomeriggi di sole li trascorreva affacciato alla finestra, a guardare le frotte di biciclette che con quel loro fischio caratteristico, sembrava quasi che lo chiamassero. Le domeniche si sbracciava dal finestrino dell’auto per salutare e per incoraggiare e si divertiva sognando se stesso in mezzo a tutti quei ciclisti. La mattina di Natale finalmente giunse e sotto l’albero aspettavano alloro prima corsa quattro luccicanti biciclette, le lettere avevano funzionato! Due Mountan Bike rosse, forse una l’avrebbe prestata al fratellino Mimmo e due bici ancora troppo grandi per lui, una blu metallizzata e una rosa confetto. Quel pomeriggio uscirono tutti insieme ma non con l’auto, il papà montò sulla bici blu, la mamma su quella rosa, Tonino e Mimmo sulle fiammanti Mountan Bike rosse con le maglie dei campioni ed i loro caschi gialli. Fu davvero un Natale meraviglioso!
Andrea non era mai salito su di un aeroplano e non aveva nessuna intenzione di farlo. Certo gli aerei gli piacevano, eccome! Ma di salirci sopra nemmeno l’idea! Staccarsi dal suolo era un concetto non realizzabile, persino saltare gli andava poco a genio, a lui piaceva stare con i piedi ben piantati per terra. Quell’estate i suoi genitori avevano deciso di fare un bel viaggio, prima di recarsi al mare dai nonni, desideravano visitare una delle capitali più belle e famose d’Europa, avrebbero portato il piccolo Andrea a visitare Londra in Inghilterra. Andrea era felicissimo, non era mai stato fuori dall’Italia e il pensiero di andare a visitare un luogo così lontano gli mise subito una gran carica addosso. Cercò l’Inghilterra sul suo atlante, poi cercò Londra e alla fine si chiese come avrebbero fatto mai ad arrivare fino laggiù, dato che nel mezzo c’era il mare! La soluzione era lampante, anche se per Andrea fu una notizia da film del terrore, avrebbero viaggiato in aereo. Dopo numerose bizze e musi imbronciati, arrivò infine il giorno della partenza e fra strilli e smanaccamenti, Andrea fu portato a bordo dell’aeroplano. Come fu sopra si calmò immediatamente, in fondo non era poi così diverso da un autobus, forse un po’ più grande, sì ma soprattutto con le ali! L’aereo decollò mentre Andrea sonnecchiava appoggiato alla mamma, che era riuscito a calmarlo e rincuorarlo. Quando si svegliò apparve ai suoi occhi uno dei panorami più affascinanti che avesse mai visto, sotto di lui una distesa infinita di montagne con i picchi innevati, piccoli laghi sparsi qua e là, case piccine piccine e treni che serpeggiavano come lombrichi d’argento nella terra. Accipicchia! Lassù c’era un mondo tutto nuovo e diverso, e lui che non ci voleva salire! L’atterraggio che seguì fu entusiasmante e il viaggio di ritorno un vero divertimento, ore e ore appiccicato al finestrino a guardare il mondo che scorreva sotto i piedi. Per fortuna non aveva perso quell’occasione, adesso però doveva aggiungere una voce ai suoi desideri, da grande non avrebbe fatto soltanto il poliziotto, il pompiere e il supereroe, era proprio il caso di annotarsi anche questa nuova professione, non avrebbe certo rinunciato a fare il pilota.
Fausto era un bravissimo pilota di Formula 1. Con la sua auto rossa fiammante scattava lungo i circuiti ed arrivava sempre tra i primi. Quando era sul podio si divertiva un sacco a schizzare con lo champagne gli altri concorrenti e tutto il pubblico accorso ad acclamarlo. Ogni gara era una festa! Tutto cominciava con le prove e la messa a punto della monoposto. Alettoni, freni, sospensioni, volante ogni cosa doveva essere in perfetto stato e per questo bisognava provare, provare e modificare continuamente ogni singola parte a seconda che fosse brutto tempo, piovesse o che ci fosse il sole allegro a splendere nel cielo. Se il percorso era pieno di curve ci volevano dei pneumatici adatti se invece era straveloce tipo Indianapolis le gomme dovevano asimmetriche. Fausto era un pilota molto pignolo e pretendeva la perfezione anche dai suoi meccanici che poveretti, spesso passavano anche tutta la notte a lavorare per far trovare la macchina approntata per la gara. Fausto era un ottimo pilota e durante le prove conquistava quasi sempre la “Pole Position” e questo gli permetteva di partire davanti a tutti gli altri. Ogni gara era una lotta durissima, ottenere le prime posizioni era difficile e riuscire a mantenerle lo era ancor di più ma Fausto era un gran lottatore e nessuno era in grado di sorpassarlo. Scattare alla partenza e poi infilare ogni curva senza perdere mai il controllo del mezzo, fermarsi per fare il pieno e cambiare le gomme senza perdere più di dieci secondi, ringraziare i meccanici per esser stati così rapidi, ripartire veloci per trionfare in ogni gara e a fine campionato vincere il titolo di campione del mondo. Che sogno ragazzi! Poi la voce della mamma che chiama, uffa, è già ora di alzarsi per andare a scuola, il sogno si infrange proprio sul più bello, il traguardo era vicinissimo ma anche gli altri concorrenti erano agguerritissimi, chissà come sarebbe andata a finire! Stasera a letto presto, fino a che non sarà grande ed avrà imparato a guidare Fausto continuerà a sognarsi le sue avvincenti gare, dopo chissà, vedremo!
La prima volta le aveva viste in una pubblicità alla televisione. Sì certo le pubblicità fanno sempre sembrare le cose più belle, più grandi, più indispensabili ma quelle scarpe da ginnastica, tutte colorate, con la suola fatta strana, con le bolle d’aria che ti fanno saltare più in alto e tutto quanto il resto, erano veramente il massimo. Non come quelle che aveva ai piedi che, anche se erano nuove, non erano certo l’ultimo grido. Da quel momento Giulio cominciò a vederle dappertutto, non solo in tivù ma sui giornali, al cinema, attaccate ai muri per la strada, sembrava quasi che lo perseguitassero. La scarpe “Good Boys”, quelle per i ragazzi a posto, per i ragazzi in gamba per i ragazzi importanti. Era diventato impossibile sfuggire alle “Good Boys”, Giulio le vedeva ai piedi di tutti, pareva proprio che non se ne potesse fare a meno e la mamma non ne voleva proprio sapere di comprargli un altro paio di scarpe da ginnastica, ne aveva uno scaffale pieno ed erano tutte uguali, cambiava soltanto la marca! Giulio si decise, fece fuori il suo maialino e con i sudati risparmi di una vita, corse a comprarsi le “Good Boys”. Le avrebbe portate a casa di nascosto e confuse con le altre, così la mamma non si sarebbe accorta di niente. Ma sulla via di ritorno successe qualcosa che gli fece cambiare idea, c’era un bambino, piccolo come lui ma vestito tutto di stracci e con la faccia e le mani sporche. Ai piedi non aveva che un paio di calzini bucati da cui si intravedevano i ditini che avrebbero dovuto essere rosa ma in realtà erano sporchi quanto la faccia e le mani se non di più. Camminava verso di lui e chiedeva se avesse qualcosa da dargli. Lasciò a lui le scarpe e gli sembrò la cosa più naturale da fare. Adesso si sentiva davvero un “Good Boys”, un “Bravo Ragazzo”, aveva le sue vecchie scarpe, non erano l’ultimo grido ma a Giulio piacevano e non aveva certo bisogno di un paio di scarpe per sapere di essere un ragazzo a posto, l’altro bambino ne aveva certamente più bisogno di lui. Giulio continuò la sua passeggiata con un sorriso che gli illuminava il visetto. Strano, quel giorno si sentiva particolarmente felice.
Pino vive in un sommergibile. È marinaio da più di dieci anni ed ha sempre svolto i suoi compiti sotto il mare. Il suo primo sommergibile era piccolo e tutto nero e Pino lo lustrava dalla mattina alla sera. Durante l’immersione lo puliva dentro, cabine, ponte di comando, mensa e sala siluri. Doveva stare molto attento, perché bastava spingere il bottone sbagliato ed erano guai! Quando invece attraccavano in qualche porto, allora lo doveva pulire di fuori, togliere le incrostazioni e gli animaletti che ci si erano accasati durante i lunghi viaggi immersi nel mare. Con il tempo Pino era cresciuto di grado e adesso era comandante. Aveva un sottomarino azzurro lungo trenta metri, con dei motori potentissimi che lo portavano a spasso per i sette mari in un battibaleno e l’equipaggio lo salutava sull’attenti portandosi una mano alla fronte in segno di rispetto. Pino era proprio un buon capitano e a bordo tutti gli volevano molto bene. Pino però era molto triste perché non aveva una finestra a cui affacciarsi per poter vedere un panorama, il sole, un monte, delle mucche che pascolano, un po’ di verde oltre tutto l’azzurro che amava ma che conosceva ormai fin troppo bene. Una bella finestra come quella che aveva nella sua casa, quella finestra a cui si affacciava con la sua fidanzata a guardare la luna e le stelle. Quando arrivò il giorno del suo compleanno i suoi uomini gli fecero allora un bellissimo regalo. Costruirono una finta finestra che sistemarono vicino alla branda del comandante, con un proiettore che riproduceva immagini sulla parete della cabina. Il comandante Pino ne fu veramente entusiasta. Adesso quando va a riposare, si distende sul letto e ammira fantasiosi panorami dalla sua personalissima finestra, oggi una spiaggia, domani monti innevati, poi prati e città e pensa alla sua bella fidanzata affacciata alla finestra. E poi scorrazza per i mari nel bel mezzo del profondo blu.
Ettore aveva sempre avuto la passione dei treni. Fin da piccolo aveva giocato con i trenini di legno e di plastica, che tutti i neonati hanno tra i loro balocchi. Quando poi era cresciuto ed aveva preso a fare le prime domande, aveva chiesto di avere un trenino e suoi genitori glie ne avevano regalato uno bellissimo. Una locomotiva a vapore, con le luci che si accendevano, i rumori dello sferragliamento e il vapore che usciva davvero dal camino, Ettore l’aveva chiamata Marisa la locomotiva e quello sarebbe stato il nome di tutti i treni che avrebbe avuto. Infatti a quel primo treno ne seguirono altri, mano a mano che Ettore cresceva, crescevano con lui la passione per i trenini giocattolo e quella per i treni veri. Quasi ogni giorno andava alla stazione del suo paesino a vederli passare e salutava felice le persone affacciate ai finestrini che partivano per chissà dove. Tornava a casa e giocava con i suoi trenini che nel frattempo erano aumentati di numero e di lunghezza e correvano rumorosi su una ferrovia che, con l’aiuto del papà, Ettore aveva costruito nella soffitta di casa sua, dalla cui finestra naturalmente, vedeva passare in lontananza i treni sui binari veri. Tanto fece e tanto accadde che da grande Ettore entrò in ferrovia, soddisfece un suo grande desiderio imparando a guidare un grazioso trenino a vapore e diventando uno dei più bravi ma poi con il tempo e con il progresso questi locomotori furono messi definitivamente in soffitta, proprio come quelli di Ettore e non se ne videro più in giro per un bel po’. Adesso però le cose sono cambiate. Ettore, che è il macchinista più esperto per la guida di treni a vapore e la sbuffante locomotiva a vapore sono tornati di moda! Un giorno c’è da girare un film dell’epoca dei treni a vapore, un giorno c’è un personaggio importante da scorrazzare in maniera stramba, un’altra volta c’è una scuola intera di bambini da far divertire all’aria aperta, fatto sta che non è più possibile fare a meno di Ettore. Un giorno qua, un giorno là, il treno a vapore va a giro per tutto il paese sulla strada ferrata, con gente allegra e festante a bordo e con Ettore felice, alla guida della sua sbuffante Marisa.
Ale e la sua moto sono conosciuti in tutta la città. Ale sembra un po’ spericolato ma si ferma sempre quando il semaforo è rosso. Lo senti, fermo con quel bollino rosso che frena la sua moto, una 2000 con il serbatoio nero come la notte con un pipistrello bianco disegnato sopra, le cromature che luccicano anche quando non c’è il sole, tanto sono lustre e lucide, il faro sempre acceso che lo puoi riconoscere anche da lontano e il rombo potente che ti entre nelle orecchie. Quando scatta il verde Ale fa un gran fracasso con la sua rombante moto e poi parte di scatto fino all’incrocio successivo. Arriva, si ferma, guarda a destra, guarda a sinistra e se non passa nessuno riparte, fino a che non arriva davanti alle strisce pedonali. Qui si ferma di nuovo e se c’è qualche vecchietta che deve attraversare scende dalla moto e la prende per mano, tutto vestito di pelle con la tuta aderente, nera come la moto e con il casco color argento, che sembra proprio un marziano buono, sceso sulla terra per far attraversare le strisce alle signore anziane. Di notte lo si sente anche quando passa da lontano, tanto è forte il rumore della sua supermoto nel silenzio notturno. Nel paese tutti gli vogliono bene ma nessuno sopporta il fracasso che fa la sua potente motocicletta, così quelli del quartiere si sono riuniti, qualcuno era arrabbiato, qualcuno aveva sonno perché la notte stava sveglio a sentire Ale rombare per le vie ma nessuno se l’è sentita di brontolare Ale perché è sempre così buono e gentile con i bambini e con i grandi, allora è stato deciso di fargli una bella sorpresa, un regalo per lui e per tutti. Adesso la moto di Ale ha un silenziatore tutto nuovo cromato e luccicante, Ale scorrazza per il paese tutta la notte e nel quartiere tutti dormono finalmente sonni tranquilli e silenziosi.
LE STORIE DELLO SPAZIO
L’omino verde era tutt’altro che amichevole, veniva da molto lontano e la sua missione era ben precisa. Faceva parte del Servizio Intergalattico di Pulizia. No, non era venuto sulla terra a spazzare o a portar via i rifiuti puzzolenti, magari! No, l’omino verde era arrivato per controllare, indagare, verificare e decidere qui su quattro piedi. Eh sì, perché l’omino che aveva quattro lunghissime braccia snodabili, le quali risulterebbero molto utili a tanti anche sulla terra e di troppo a tutti gli altri, se ne stava in piedi su quattro corte gambettine, che finivano ognuna con il suo bel piedino. Sì, ma cosa doveva decidere così in tutta fretta? Ebbene, iIl suo compito era tutt’altro che facile, doveva giudicare l’utilità o meno dell’intero pianeta e se a lui non fosse sembrato così importante o se addirittura lo avesse ritenuto del tutto inutile, lo avrebbe spazzato via in un sol colpo della sua pistola a raggi chissàcosa! Appena fu sceso dalla sua astronave si imbattè in una coppia assai particolare, una chiocciola ed una tartaruga passavano proprio di lì vicino, intente nella loro quotidiana ricerca di cibo. L’omino verde, che di solito era burbero, indisponente e perfino un po’ prepotente, quando vide quel placido duo di quieti animaletti, rimase sbigottito. Il suo pianeta di origine era un luogo dove tutti andavano di fretta, dove non c’era mai tempo per gli amici o per andare dalla zia, dove tutti viaggiavano con l’orologio ben in vista davanti agli occhi. La calma e la pace della chiocciola e della tartaruga, gli fece pensare che quello era un pianeta da salvare, un posto dove ci si poteva anche fermare a guardare un tramonto. Decise così che la Terra era mondo da conservare, lo segnò nell’apposito modulo, rimontò sull’astronave e volò via. Quel giorno siamo stati davvero fortunati. Fermiamoci anche noi a guardare un tramonto e ogni tanto camminiamo come le tartarughe o come le chiocciole, sicuramente vederemmo un mondo nuovo e meraviglioso.
Tanto tanto tempo fa, quando l’universo era infinito e buio, c’erano in giro soltanto due enormi pianetoni, Capoccione e Testadura. Soli soletti in questa immensità, non erano riusciti ad inventare niente di meglio che passare il loro tempo a litigare. Io sono più grosso di te! Io sono più bello di te! Io sono più potente di te! E così andando avanti senza fine. Queste erano le sole affermazioni che a turno, ognuno dei due sentenziava, per sentirsi più importante dell’altro. Passarono lenti i secoli e Capoccione e Testadura erano sempre lì, imperterriti, a pavoneggiarsi e scontrarsi e il tono del loro litigio continuava a farsi sempre più animato e stridente. Infine, dopo tanto tribolare, i due di comune accordo, per la prima volta nella loro lunga convivenza, stabilirono che uno scontro finale avrebbe deciso chi aveva ragione, chi fra loro veramente contava in quel buio e solitario universo. Presero una bella rincorsa, allungando quanto poterono la loro orbita e girando vorticosamente su loro stessi, si lanciarono a tutta velocità l’uno contro l’altro. Il botto fu di quelli indimenticabili, tanto che ancora oggi tutti ne parlano. Scintille, schianti e turbini e dei due pianeti non ne rimase più alcuna traccia. L’universo però non è rimasto disabitato, perché dai frammenti di questo ciclopico scontro sono nati milioni e milioni di stelle, di pianeti, grandi e piccoli, di comete, costellazioni e galassie che ancora oggi rendono luminoso e variopinto il cielo, che ci circonda con il luccichio del suo infinito manto puntellato di stelle, illuminandoci di giorno e tenendoci compagnia la notte.
La luna arrivò all'improvviso nel sistema solare, era in cerca da tempo di un posto accogliente in cui sistemare la sua orbita. Veniva da molto lontano e dopo aver attraversato l'intera Via Lattea, era stata attratta dal caldo bagliore del sole. Più si avvicinava e più si convinceva che quello appena trovato, fosse ciò che stava cercando da non sapeva più nemmeno lei quanto tempo. Luce, calore e un sacco di pianeti con cui avrebbe potuto girare intorno al Sole in allegra compagnia. Decise così di trovare un orbita tutta sua e di stabilirsi definitivamente nel sistema solare. Prese allora a studiare la situazione per trovarsi una collocazione da cui avrebbe potuto godere di un meraviglioso panorama. Proprio vicino al sole c'era Mercurio, piccolo e caldissimo, poi Venere piena di gas, poi ancora un bel pianetino azzurro e verde, la Terra, dopodiché Marte tutto rosso, più in la un pianetone enorme Giove e ancora oltre uno davvero buffo con gli anelli intorno, Saturno, infine Urano, Nettuno e Plutone, piccoli, lontani dal sole e freddi. Eh no! Così però non poteva proprio andare, il primo posto libero era in decima posizione, al freddo e al buio. In questo modo niente sarebbe cambiato per la povera Luna che da tempo vagava al freddo e tra le tenebre. Pensò allora di chiedere ai pianeti se tra di loro, ce ne fosse stato uno che le avesse ceduto il proprio posto ma nessuno accettò. Ormai erano millenni che giravano tranquilli nella loro orbita, non avrebbero mai rinunciato al loro posto al sole. Soltanto la terra fece un offerta alla Luna, le chiese se le sarebbe piaciuto girare intorno a lei e insieme a lei intorno al sole. La Luna avrebbe avuto la luce e il calore che cercava e insieme si sarebbero fatte compagnia nelle lunghe orbite annuali. La terra dal canto suo avrebbe avuto un faro notturno che la avrebbe illuminata con la sua faccina argentea, facendo sparire il buio dal suo cielo. Ed eccole ancora là, girano insieme Terra e Luna, si fanno scherzi, eclissi, muovono il mare e ispirano gli innamorati. Unite da un attrazione magnetica che non le farà mai separare, la Luna riflette i raggi del Sole e la Terra la allieta con i suoi colori unici in tutto l'universo.
La cometa arrivò un bel giorno d’estate e prese a girare allegra fra i pianeti. Vide Urano, sfiorò Saturno, tentata di infilarsi tra i suoi anelli, passò Marte e in quel momento, rimase come folgorata. Una cosa come questa non l’aveva mai vista, un pianeta azzurro con strani disegni verdi e blu e un contorno di nuvolette bianche. Era tutta emozionata per quell’incontro inaspettato, mise a posto la sua coda, dette una sistemata agli asteroidi, lisciò la scia luminosa e si presentò al pianeta azzurro. Lei si chiamava Hally e il pianetino contraccambiò il saluto della bella cometa presentandosi, lui si chiamava Terra naturalmente. La cometa arrestò il suo infinito vagare e prese a conversare con il pianeta Terra. Voleva sapere tutto di lui, che pianeta fosse mai, da quanto girava nella sua orbita, se i suoi compagni pianeti erano simpatici e così via. Poi la cometa si mise a parlare di se, di quanti mondi avesse visto, di quante stelle ci fossero nel cielo e che non aveva mai visto niente di così bello come il pianeta Terra. A questo punto gli chiese se avesse voluto vagare per l’infinito insieme a lei, avrebbero visitato nuove e meravigliose galassie, lontane anni luce, mondi mai visti e stelle luminose. Ma il pianeta Terra le disse di no. Erano ormai anni e anni che girava intorno al sole e lui in quel girotondo ci stava proprio bene, anche se trovava la cometa davvero bella, non avrebbe mai lasciato il calore del Sole forse lei poteva rimanere a girare nel sistema solare. La bella cometa però era una girovaga incallita e non poteva davvero rinunciare al suo eterno vagare, salutò così il pianeta Terra, che le rimase però nei ricordi e nel cuore, e partì, sconsolata e rassegnata con la coda tra le gambe. La cometa Hally passa ogni cent’anni per la nostra galassia, ancora viene ad ammirare da lontano il pianeta Terra, con la speranza un giorno chissà, di portarlo via con se.
X3-2 veniva da un pianeta molto lontano, erano anni e anni luce che viaggiava con la sua astronave tutta luccicante. A dire il vero dopo tutto il tempo che aveva trascorso vagando nello spazio, la nave spaziale, che portava il nome di Adamus I, era ridotta ad un catorcio ed aveva esaurito quasi tutto il carburante. Decise per questo di atterrare sul pianeta più vicino, che tra l’altro sembrava proprio simile a quello da cui lui proveniva. X3-2 era un esploratore spaziale. Il suo lavoro consisteva nello scoprire nuovi mondi disabitati da colonizzare, dato che sul suo pianeta non c’era più posto per costruire nuove case e quelle vecchie erano tutte piene. Quello che aveva trovato era un davvero un paradiso, alberi, piante, frutti, animali di tutti i tipi e poi laghi, montagne, fiumi e mari celesti e incontaminati. Era stato davvero fortunato, non avrebbe potuto atterrare su un pianeta più bello. Si accorse però di non essere solo, trovò infatti un’altra astronave che proveniva proprio dal suo pianeta, portava il nome di Eve I, tutta pulita e splendente che sembrava fosse uscita dalla fabbrica in quel momento. Ne incontrò anche il pilota, anzi la pilota, esploratrice di prima classe K4-8, una tipa veramente affascinante con cui fece immediatamente amicizia. Decisero che avrebbero comunicato insieme la scoperta di quel luogo fantastico, prima però se lo sarebbero goduto un po’. Scalarono insieme le montagne, fecero lunghissimi bagni nei mari, mangiarono buonissimi frutti e fecero amicizia con tutti gli animali. Si consultarono su come chiamare il pianeta e dopo aver scartato nomi come QRT78 o 90GTY-K, insieme lo battezzarono Terra! Quel giorno si dimenticarono di comunicare la scoperta alla loro base spaziale e il giorno dopo pure. Forse li potete incontrare anche voi, perché dopo un sacco di anni luce non hanno ancora chiamato.
La piccola navetta spaziale sfrecciava alla velocità della luce fra stelle pianeti e galassie. Passò la cintura di asteroidi e le bretelle di comete, saettò fra gli anelli di Saturno e atterrò atterrita nel bel mezzo del ciclone di gas di Giove, che quando è bel tempo si può vedere anche a occhio nudo, sempre che si abbia la vista di un Balaziano. La navetta cercò un anfratto fra le aspre rocce e infine, tra due enormi spuntoni di roccia, rossa come il suo rivestimento, trovò ciò che stava cercando e ci si infilò dentro. Nessuno sarebbe mai riuscito a scoprirla in quel perfetto nascondiglio. All’enorme astronave che la stava inseguendo non era però sfuggita la manovra zigzagante che la piccola aeronave aveva compiuto tra satelliti e stelle. Si infilò nell’orbita di Giove e si gettò anch’essa a capofitto nell’enorme ciclone nero. La visibilità era pressoché nulla, non sarebbe mai riuscito a trovare ciò che stava cercando e sicuramente quelle rocce rossicce non avrebbero certo reso il suo lavoro meno difficile. Ma ad un tratto la navetta fu scoperta, se ne avvide e cominciò a tremare, un raggio di sole si era aperto un varco nell’enorme ciclone illuminandola, ormai non aveva più scampo. L’astronave inseguitrice aprì il portellone che aveva sulla pancia e ne uscì fuori un enorme cannone a forma di tromba da cui non uscì nessun razzo tonante ne alcun raggio accecante ma un flebile vocina di bambina che disse: Bomba Mario. E se ne scappò via.
Quando Lillo e Lalla raccontarono a tutti di avere un amico che veniva da un altro pianeta nessuno ci credette. Non ci credette la mamma che fece loro un gran bel sorriso e si rimise a rimestare nella pentola. Non ci credette il papà che stava avvitando una lampadina e non ci credette nemmeno la nonna che stava guardando il suo programma preferito in tivù. Lillo e Lalla dicevano di avere un amico altro tre metri, con delle braccia lunghissime che arrivavano fino a terra e un naso fosforescente che lo vedevi perfino di notte. Ma non ci credette nemmeno la maestra che continuò a spiegare le tabelline. Non ci credette Gino e sì che lui credeva sempre a tutto tanto che gli altri lo prendevano sempre in giro. Figuriamoci poi se ci poteva credere Elisa, non credeva mai a niente che non si fosse inventato da sola. Lillo e Lalla dicevano che questo amico proveniente dalle stelle più lontane, raccontava loro un sacco di storie, dei posti visitati, dei pianeti che aveva sorvolato con la sua veloce astronave, di quanti bimbi strani aveva visto per l'universo. Con quattro gambe con due nasi, con le orecchie a punta e con due occhi anche sulla schiena, però di bimbi rosei e paffuti come loro non ne aveva davvero mai visti. Ma nessuno ci credeva, nemmeno il bidello che invece era uno che stava sempre ad origliare alla porte chiuse e nemmeno la signora Adalgisa, la portiera del palazzo in cui abitavano, credeva a quello che andavano raccontando in giro. E dire che lei ascoltava proprio tutto di tutti e poi non si lasciava mai scappare l'occasione per raccontarlo a chi non ne sapeva niente. Lillo e Lalla dicevano che aveva un astronave luminosa su cui erano saliti per fare un giro intorno alla terra, avevano visto Marte da vicino, erano planati sugli anelli di Saturno e una volta avevano perfino rincorso una cometa, le avevano acchiappato la coda e si erano fatti trascinare per un bel pezzo prima di tornare sulla terra. Ma a tutto questo nessuno credeva, nemmeno Bibo, il loro cagnolino, finché una sera si ritrovò davanti il naso fosforescente dell'extraterrestre. Dapprima gli ringhiò contro, poi gli dette una annusatina e quando sentì odore di bontà cominciò a sbattere la coda, felice di aver incontrato un nuovo amico. Dopodiché corse ad abbaiarlo a tutti ma nessuno lo stette ad ascoltare, così tornò a giocare con Lillo, Lalla e quel buffo amico con il naso luminoso.
9 - 16 MARZO 2002
1° EDIZIONE SERATE LETTERARIE - SIGNA (FI)
PARTECIPAZIONE CON LA FAVOLA "LA STORIA DEL SEME LUIGINO CHE NON VOLEVA GERMOGLIARE" DALLA RACCOLTA "GIGI PER IL MONDO"
30 APRILE 2002
Dell'amre
Amareè vivere una tentazione infinita.
In amorechi conquistaè il conquistato.
In amoreè più facile ferireche curare.
La prima cosa che vedo in una donnasono gli occhila prima cosa che guardoè il sedere.
Io non ho bisognoho te.
L’amorenon è sempre una colomba biancaa volte diventa un aquila grigiaa volte un avvoltoio nero.
Si può ammirare una donnasenza amarlama non si può amarlasenza ammirarla.
L’amoreè sapereche posso contare su di te.
Sei bellabravaintelligentee non necessariamente in quest’ordine.
La tua gioiaè la mia gioiala tua tristezzaè la mia infelicità.
Essere amati da teè la certezza dell’esistenzadella mia vita.
Io sonouna barca alla derivae tu la mia velaspiegata verso il sole.
Non c’è donna più preziosadella donna amatanon c’è donna più viziosadell’innamorata.
La differenzafra amore e sessoé quella che passafra l’appetito e il ruttino.
Sarai la mia mela proibitaed io ti coglieròrischiando la mia vita.
L’amoreè un sonno lieveche ci disegnaun sorriso beato sul volto.
L’amorea volte ci porta così oltreda non pentirsene.
La scintillanel motore dell’amoreè condividere l’entusiasmo con te.
Non credo proprioche si possa farese non c’èquello che io provo in te.
Non siamo mai stai felicicome lo siamo adessoabbiamo fatto l’amoreabbiamo ballatoe abbiamo fatto sesso.
Più mi stanco per averepiù scopro che la paceè riposare accanto a te.
L’amoreè una fragola rossase non è conditanon sa di niente.
Ogni tuo sorrisoè un mio respiro di vita.
In amoresaper aspettare contaquanto ciò che si aspetta.
Il segreto dell’amoreè sapersi accontentare.
Se non fossi mevorrei essere un tuo pensiero.
Un bacioè un soffio di vento frescoche ti accarezza il viso.
Ti bacio ogni mattinoper portarti con me sulle labbraper tutto il giorno.
Mille rifiuti d’amorenon fanno malequanto un no di rabbia.
Amoreè aver riempito la solitudinedi una bambina che guarda il mare.
L’amoreè un onda che sbatte pigra sulla rivae schizza impertinente i tuoi piedi.
Regalarti un fioreè come spargere petalisu di un prato luminoso e colorato.
L’amore che ci uniscesi nasconde a voltedietro paroleche non vengono mai dette.
Amoreè lasciare che bastiquel poco che dà.
Sono i tuoi occhiche mi fanno vedere il mondopieno di colori che non conoscevo.
Abbiamo così paura d’amareda non dare modo agli altri di amarci.
La lontananzaè un rapporto silenziosodi amicizia ed amore.
Tu seila mia fantasiaed i miei piedi per terra.
Conta quello che ho scrittoma più di tuttoconta ciò che ho scritto in te.
Sono gli occhi tuoiil mare placidoin cui nulla v’è di meglioche affogare.
Ogni tua lacrimail doloreogni tuo sorrisola gioia.
L’amoreè fuggire con leinon da lei.
Spero di essere per tequello che sonoe nonquello che tu avresti voluto che io fossi.
Non chiedermi a cosa sto pensandosto pensando a te.
La mia casa è dove sonola mia casa è dove sei tu.
Un uomonon ha la minima ideadi ciò che può provocarenell’animo di una donna.
Una donnanon ha la minima ideadi ciò che può provocarenella mente di un uomo.
Il sesso è chimical’amore è filosofia.
Spudorata è la donnache riesce a far guardare il suo corposenza farlo vedere.
Spudorata è la donnache mette in mostra il proprio corposenza farlo vedere.
A voltemi chiedo perché lo facciopoi ti guardoe non mi pongo più domande.
Posso vivere senza la mia artema non posso vivere senza di te.
Cancellerò ogni ormaperché nessunoraggiunga la nostra felicità.
Respiroperché il tuo alitoporta la vita in me.
È la tua esistenzache mi dona la serenitàdi vivere la mia.
Respiro ogni tuo alitoe mi nutro di teè la vitalità tuache mi rende vivo d'amore.
Amorenon è rimanere accantoma starci.
Non ritroverò l'amore che ho perdutoma non perderò quello che ho trovato.
Quando non brucerò di passionemi scioglierò in teper fondere i nostri cuori.
È la tua voce che mi guidanei dubbi che attraversano la mia vita.
L'amore èpoter dire mi dispiace.
Non potròesserti più vicinoche essere in te.
Sono i tuoi occhiche mi rapisconoe mi fanno travolgere dal tuo corpo.
Nullaè più carico d'amoreche uno sguardo.
Ogni voltache il tempo cercherà di acciuffarcinoi voleremo ancora più in alto.
Amoreil mio viziola mia virtù.
Non cercaredi capire una donnaamala.
La libertàrende l'amorelibero d'amare.
Ho avuto frettadi sapere che c'erie tutto il tempo per amarti.
Una donnanon vuol essere capitavuol solo essere amata.
È come seiche ti rende unicacome sei.
Sarà la mia gioiaa renderti felicesarà la tua felicitàa darmi gioia.
Quando non ci sono parolebasta un sorriso.
Il sorrisoche accompagna le tue ore lieteè la gioiache rende viva la mia vita.
Vorrei averti visto negli occhivorrei esser stato nel tuo cuore.
Non si è amati perché lo si meritasi è amati e basta.
Quando non potrò far nienterimarrò ad attendere che sia tu a farloe nel frattempo ti amerò.
Buonanotteriposa il tuo corpocullato da lieti ricordi.
Non è ciò che scrivoma perché lo sentoquanto sento te.
Tu sei la mia poesiatu il mio dolce riposo.
Che la tua stanchezzapossa trovare il mio vigoree la mia paceper dar vitaad un attimo di serenità.
È il contatto con teche rende la vitaun piacere da vivere.
Sono le tue carezzeche allungano la mia vitae rendono quella passatadegna di esser stata vissuta.
Quandonon ti raggiungeranno le mie maniche ti possa far compagniail mio dolce pensiero.
Dove andrei maisenza le tue forti tenere manistrette tra le mie.
Non ho bisogno di additivila mia energia sei tu.
Non è ciò che faccioma quanto tu ne hai bisogno.
Chi non crede nell'amoreè perché non l'ha provato.
Sarò pronto a condividere le tue risatee a consolare le tue lacrime.
Non ti dirò amore perché t'amoma perché tu sei amor.
Non sono le azioni che soddisfanosono i desideri tuoi ad esser soddisfatti.
La felicitàè piangere con tedella gioia del nostro amore.
Perdonaminon per ciò che fecima di quello che credestiio avessi fatto.
Ogni tua carezzaun raggio di soleogni lacrimarugiada da asciugare.
Non è ciò che faima come mi fai sentire.
Narciso sonoche soffro dei tuoi silenzie dei tuoi sguardi assenti.
Nullapotrò mai avereche possa darmitanto quanto esser tuo.
Non ha visto il marechi non ha guardatodentro agli occhi tuoi.
È con amoreche si costruisceè senza amoreche si distrugge.
Non si impara ad amaresi ama.
L'amorenon lo si può perdereperché non lo si è mai avuto.
Mi perderò in tee saprò finalmente cos'è amore.
Ti amoma non chiedermi perché.
La poesia non è finitala mia poesia sei tu.
Non ho fretta di crescerese la bambina accanto a mesei tu.
Amore saràanche quando sarò così deboleda non mantenere tutte queste promesse.
20 MAGGIO 2002
GIGIPER IL MONDO
NONNO GIGI E LA MOSCA
Se cerchi nonno Gigi dopo pranzo lo puoi di certo trovare comodamente seduto sulla sua poltrona, vicino alla finestra che estate o inverno, giorno o notte ha sempre le veneziane aperte ed i vetri chiusi. Nonno Gigi come tutte le persone di una certa età ha sempre freddo e ci vede poco. Per questo anche quando è caldo tiene la finestra chiusa, crogiolandosi come una piccola lucertola sotto il sole che riesce a far passare il proprio calore attraverso i vetri e anche quando è buio tiene le veneziane spalancate, lasciando filtrare il fioco chiarore dei lampioni che dopo aver illuminato bene bene la strada, riescono a dare un po’ di luce anche ai suoi deboli occhi.
8 GIUGNO 2002
4° CONCORSO NAZIONALE DI POESIA E NARRATIVA "TRE VILLE" - TREVIGLIO (BG)
DIPLOMA DI MERITO 3° PREMIO SEZIONE NARRATIVA PER RAGAZZI PER LE FAVOLE "VITA DI UN FRANCOBOLLO" E "LA TRISTE STORIA DEL MOSTRO BABALU'" DALLA RACCOLTA "GIGI PER IL MONDO"
6 LUGLIO 2002
LA GAZZETTA DI SIGNA
SIGNA, 6 LUGLIO 2002
SI SPOSANO !!!
Patrizia e Stefano
finalmente diranno: SI!
E' OGGI IL GRAN GIORNO!
La notizia è trapelata da fonti più che attendibili. Ormai è certo e non ci sono più dubbi sulla questione. Oggi sarà il gran giorno! La popolazione Signese incredula sta a guardare a bocca aperta dalle finestre, dai portoni e dietro agli angoli. Qualcuno li aveva già visti assieme, li avevano notati camminare mano nella mano, sotto i portici, a guardare le vetrine o al Caffè a fare scorpacciate di croissant alla mela e bomboloni alla nutella ma nessuno avrebbe mai creduto che l'epilogo di una storia così colma di passione, potesse davvero essere questo! Oggi è infine il gran giorno! Da fonti di certa attendibilità, siamo venuti a sapere che questo pomeriggio, alle ore 17,00, sarà celebrato il matrimonio di Patrizia e Stefano, conosciuti ai più come Tricha e Steo! La cerimonia, in forma civile, sarà celebrata presso la Sala Giunta del Municipio di Singa in Piazza della Repubblica, 1. L'onore di ufficializzare un unione così importante verrà accordato all'Ufficiale di Stato Civile Sig. Mario Baldinotti. Si prevede che nella Sala che ospiterà la cerimonia e nell'intero complesso comunale, non si troverà un solo posto a sedere e che certamente anche quelli in piedi scarseggeranno. Si sono avute conferme dalle più illustri autorità della zona e anche da volti noti, sia della tivù che del cinema. Si attende infatti la partecipazione di Mel Gibson, Brad Pitt, Michael Jackson, Luciano Pavarotti, Maurizio Costanzo, Leonardo Pieraccioni e Antonio Banderas. Non è stato invitato Elton Jhon. Fra le vip del gentil sesso ci terranno compagnia Penelope Cruz, Alanis Morisset, Anastacia, Martina Colombari, Shakira, Platinette e l'intramontabile Mina. Insomma un evento a cui sarà impossibile mancare. Troupe televisive di tutto il mondo, si sono già accampate da giorni nella piccolo parco antistante il Municipio di Signa, giornalisti di ogni testata girano disperati per tutto il paese alla ricerca di indiscrezioni sulla coppia, anticipazioni sull'abito di Patrizia e sulla sua acconciatura, sul vestito di Stefano e sui nomi dei testimoni. Il paese è in fermento, ormai non è più possibile attendere oltre. Siamo allo stremo della curiosità e del gossip. Non è possibile attendere oltre. L'evento deve accadere!!!
E LA SPOSA IMPAZZISCE !!!
L'hanno vista! Ieri sera durante una riunione non autorizzata. Insieme ad una decina di altre gentili Signore e Signorine di svariate età la Sposa ha dato di matto durante una festa che è stata organizzata in suo onore da uno duo che non prometteva niente di buono già dall'inizio. La P.R. milanese Roberta e la barwoman Mascia reduci entrambe dalle follie e dalle telecamere del Grande Fratello, hanno dato il loro meglio, anzi pardon potremo benissimo dire il loro peggio, dando vita ad una festa notturna in onore della futura sposa, che nulla ha avuto da invidiare ai bagordi che tenevano compagnia agli antichi Imperatori romani. Uomini in perizoma ma anche senza si aggiravano tra fiaccole e piscine in una rinomata villa dei colli fiorentini. Testimoni oculari, binocolari e con lo zoom hanno raccolto una serie di prove fotografiche che faranno parte di un inserto speciale che uscirà in edizione straordinaria la prossima settimana. Da non perdere! Lo scandalo che accompagnerà questo evento e di cui tutti parleranno ancora per generazioni e generazioni. Non perdetelo!!!
SARA' COME IN CINA !!!
Qualcuno aveva sussurrato nei giorni scorsi che il matrimonio dell'anno, sarebbe stato celebrato secondo un antico rito cinese. Lo sposo sarebbe arrivato volando di fronda in fronda attraverso gli alberi che circondano la piazza antistante il Municipio di Signa, impugnando una spada due volte più grande di lui e lanciando incomprensibili suoni gutturali avrebbe pronunciato una formula che avrebbe poi fatto apparire la sposa. Questa sarebbe comparsa all'improvviso sbucando dal niente, circondata da una nuvola di vapore fuoriuscito roventi narici di un vero Drago Cinese. La folla attende impaziente il verificarsi di questa incredibile ma proprio per questo attesa, eventualità.
E SE LUI ARRIVASSE IN KILT?
Che fosse stravagante ce ne eravamo già accorti tutti. Nessuno avrebbe mai pensato che potesse arrivare a tanto. Pare infatti secondo una fonte molto vicina allo sposo che questo arriverà accompagnato da un intera brigata dell'esercito scozzese, ognuno nel propio kilt. In sottana insomma. Sembra che ci siano degli antichi avi di provenienza scozzese della famiglia Mc Cucc e che per questo il rito verrà celebrato secondo gli usi che mille anni fa univano in matrimonio i progenitori dello sposo. La sposa dal canto suo ha fatto sapere che giungerà a cavallo con una gonna pantalone rifinita con due strascichi, che verranno tenuti da cavallerizzi del Don mentre si produrranno nelle loro famose e rinomate acrobazie da equitazione.
PIU' CHE CERIMONIA UN VERO E PROPRIO RITO???
Nottetempo sono giunte in redazione ulteriori aggiornamenti sul “Si dice” che circonda misteriosamente la cerimonia che si svolgerà oggi. Pare infatti secondo alcune fonti vicine ai due Promessi Sposi, (Questo matrimonio s’ha da fare! Eccome! Si, ma come? Potrebbe parodiare qualcuno fra i più curiosi.) il rito si dovrebbe svolgere nottetempo o alle prime ombre della sera, secondo un antica usanza che perde le sue radici nella notte dei tempi ma che a recentemente ritrovato seguaci in alcune sette dell’America Latina in special modo nelle calienti e tenebrose notti cubane. I due a cavalcioni di una scopa uniranno i loro spiriti per l’eternità. Come d'altronde non poteva che essere e così sarà, qualunque sia il rito, magico, civile o religioso, Patrizia e Stefano sono fatti per essere una sola cosa e per loro desiderio e volontà saranno uniti in una cosa eterna. Impossibile mancare !!!
INVECE SARA' A RITMO DI SITAR!
Le voci che sono state messe in giro non si contano più. Ma qualcuno è proprio sicuro che la cerimonia di oggi sarà celebrata in classico stile indiano. Come un Marajà con la sua favorita, al suono mistico e ascetico del sitar, chitarra orientale dai suoni vibranti e ipnotici. Le vesti sono pronte ormai da lungo tempo un completo bianco candido per lui, che avrà in testa un turbante arancione che richiama le profondità dell'India, lei con un coloratissimo sahri tempestato di petali di fiore che rinforzeranno la freschezza delle promesse. Collane di fiori li cingeranno in un abbraccio che diverrà il più eterno possibile grazie ai riti magici che circonderanno e avvolgeranno ancora di più, se possibile, di mistero sia la cerimonia che tutta la loro meravigliosa, mistica, melodiosa unione. Di quella melodia attraente e incancellabile che accompagnerà questo momento indimenticabile per loro ma anche per noi tutti, orgogliosi cittadini di Signa che potremo avere l'indiscusso privilegio di assistere e per i più fortunati prendere parte, ad un vero e proprio evento mediatico che ci invidia tutto il mondo, dalle terre antartiche, alle steppe russe.
ARRIVERANNO CON GLI OCCHI A MANDORLA!
A far ulteriore scalpore e se ce ne fosse stato bisogno, a creare ulteriore caos nell'odierna vicenda della cerimonia, che unirà in matrimonio Patrizia e Stefano, sono giunte dall'estremo oriente nuove e sorprendenti notizie. Si dà per certo l'arrivo di un monaco thaoista che, secondo un antico rito della pratica del sol levante, legherà i due felici sposi per il resto dei loro giorni e oltre proprio come recitano i dettami di questa leggendaria e misteriosa fede. Il sushi e il velenosissimo ma "si dice" ottimo pesce palla, saranno le portate principali di una cena che verrà servita su tavoli bassi in puro stile giapponese. Proibite dunque le sedie ma anche le scarpe, le calze e i calzini. Per fortuna farà caldo. La folla festante potrà accomodarsi su morbidi cuscini e gustarsi la cerimonia e la cena comodamente seduta gambe incrociate. Che dire! Buon appetito!
LO SPOSO, VERRA' DA SOLO O LO DOVRANNO PORTARE!!!
Lo hanno visto sicuro, fermo, certo delle proprie decisioni. Lo hanno sentito decantare le gioie della convivenza e del matrimonio che avrebbe presto contratto con la nostra bellissima e famosa concittadina Patrizia. Tutti sono certi dei buoni propositi dello sposo e perfino al Signa più maligna aveva ormai tirato i remi in barca. Questa volta non ci sarebbe stato proprio niente di cui sparlare. Anche i più testardi non avevano più alcun appiglio su cui basare le proprie malelingue. La sposa è convinta, lo sposo pure e felici siamo tutti. Fine. Invece no! Proprio la scorsa notte sono arrivate, dallo zoccolo duro del più sfrenato Gossip Signese, nuove e raccapriccianti notizie sullo sposo. È sparito! A Signa nessuno lo ha più visto da almeno ventiquattr'ore! La scomparsa dello sposo ha dato di nuovo fiato e vigore ai tanti avvoltoi che attendevano il minimo appiglio per gettarsi sull'argomento come su di una preda indifesa. Qualcuno giura di aver visto lo sposo prendere un aereo per le Isole vergini, alla ricerca di nuove emozioni e sensazioni forti. Altri parlano di un volo diretto alle Maldive ma c'è anche chi lo ha visto salire sull'autobus diretto all'eremo di Camaldoli, dove sarebbe andato a cercare quell'essenza di se che solo il silenzio e la solitudine fanno trovare. Proprio per questo qualcuno ha aggiunto che il volo su cui Stefano sarebbe salito era diretto nel nepal dove avrebbe incontrato il Dalai Lama, con cui avrebbe intenzione di porre le fondamenta di un nuovo credo mistico alla cui base ci sarebbe comunque la ricerca solitaria ed interiore della verità. Qui a Signa, tutti si stanno preparando per la cerimonia. Confidiamo nell'arrivo degli sposi. La cena è comunque a disposizione degli invitati che in mancanza della cerimonia, potranno consolarsi con le prelibatezze preparate per loro a Villa Castelletti! Gli amici lo stanno cercando ovunque. Riusciranno a trovarlo in tempo, per dare inizio alla cerimonia?
GIORNI FELICI E AUGURI PER PATRIZIA E STEFANO !
Ci sono voci in giro, ci sono cerimonie pronte per essere celebrate e una meravigliosa coppia da festeggiare, tante sono ancora le cose misteriosamente celate, pronte a svanire come bolle di sapone o a trasformarsi in piacevoli sorprese. Tante sono le cose che sono state dette e contraddette sul matrimonio che si celebrerà oggi fra Patrizia e Stefano. Ormai mancano davvero poche ore e tutti i misteri saranno svelati: vestiti, riti, menù e ballo d'onore. Ancora un poco di pazienza e presto avremo tutti le risposte che tanto attendevamo. Ci vediamo questo pomeriggio, venite e saprete.
IN GIRO PER IL MONDO!
Fra le infinite voci che circolano intorno a questo matrimonio, non poche sono quelle che riguardano il viaggio di nozze che, i due novelli sposi si troveranno ad intraprendere di qui a pochi giorni. I più faceti hanno pensato bene di far trapelare la notizia che la luna di miele, si svolgerà a bordo di una mongolfiera per mezzo della quale sorvoleranno per l’intera sua circonferenza il nostro pianeta. Le fonti di questa notizia, hanno chiaramente aggiunto, con poca fantasia, dobbiamo sottolineare, che il viaggio durerà ottanta giorni! Molto più facile che questo avvenga a bordo di un più comodo e sicuro aereo. Voi che ne dite ???
CHI NON CI SARA’ SI MORDERA’ LE MANI!!!
LACRIME E LACRIMONI!!!
Da questo evento fuori dal comune non possiamo certo tenere fuori i parenti e gli amici! Calde lacrime scorreranno come fiumi dal colle del Municipio per andare a riversarsi nei capienti laghi dei Renai, dove ignari bagnanti si sorprenderanno di sentire il sapore salmastro del mare, nelle calme acque signesi. La madre dello sposo non si risparmierà certo nella commozione, l’unico figlio maschio che finalmente, se ne ignora l’età ma pare che sia avanti negli anni, ha deciso di compiere tale impegnativo passo. I genitori di lei, da focosi mediterranei quali sono, ce li immaginiamo già, una lacrima fluente per la madre e uno sguardo da duro per il padre, che invece sotto sotto, sarà forse il più commosso di tutti. Vuoi vedere che ci scappa lo scoop, con il padre in preda ad una crisi di commozione? Fotografi e paparazzi sono in agguato, voi siete pronti??
E VOI CI SARETE?
Saranno presenti tutti gli amici della coppia. Patrizia e Stefano hanno intrecciato numerose amicizie comuni, negli anni trascorsi insieme qui a Signa. Gli amici più cari saranno vicini ai due promessi sposi, in questo momento di felicità ma pur sempre denso di tensione. Si temono forti crisi di disperazione tra le spasimanti dello sposo e i pretendenti della promessa sposa. E voi?
C’E' CHI RIMARRA' “A BOCCA ASCIUTTA” E CHI “CON L'AMARO IN BOCCA”!!!
Eh sì! È proprio così! Oggi ci sarà gran festa per il fantasmagorico matrimonio che unirà le vite di Patrizia e Stefano in un'unica girandola di emozioni e di sensazioni, ma non tutti sono d’accordo. La Polizia, i Carabinieri, i Vigili del Fuoco, la Guardia di Finanza, i Marines e i famosissimi Caschi Blu Pakistani, sono già stati mobilitati. Il coordinamento delle forze sarà affidato direttamente al ministro degli interni coadiuvato personalmente dal Presidente del Consiglio. Quali sono i timori? Ma che domanda, quello delle numerosissime e mai dome pseudofidanzate dell’affascinante Stefano, che nel corso degli anni ha mietuto inconsapevole, fasci di belle e meno belle donzelle che ancora sperano di poter prendere, all’ultimo momento, il posto della sposa. Senza considerare i non rassegnati fidanzatini di Patrizia, che a frotte si vedono girare per il paese, in attesa di poter far cadere il malcapitato sposo, in un agguato che lo tolga di mezzo per lasciare a loro la possibilità di contendersi la bellissima Patrizia. Le forze dell’ordine avranno il loro bel daffare contro quest’orda di “No Sposal”. Si invita la cittadinanza non direttamente interessata alla cerimonia a rimanere nelle proprie abitazioni ed evitare ogni coinvolgimento con i dimostranti.
DIRETTA TV
IN MONDOVISIONE !!!
Saranno collegate, in diretta ed in mondovisione, le televisioni di ogni paese della terra. Chi non potrà assistere di persona all’evento del millennio non avrà che da scegliere fra le migliaia di proposte via cavo, via etere e via satellite. Oltre a tutte le testate giornalistiche delle televisioni italiane saranno presenti rappresentanti di ogni nazione, perfino dal lontanissimo oceano Pacifico Tele Tonga e TV Fiji, non si lasceranno scappare l’occasione. I settantadue abbonati alle due televisioni oceaniche hanno diritto, come tutti gli altri abitanti della terra, a gustarsi in santa pace seduti sui loro cuscini di paglia con la papaya in una mano ed il ventaglio nell’altra. Proprio come faranno Cileni, Giapponesi, Tedeschi, Congolesi, Canadesi, Indiani, Sudafricani, Nigeriani, Turchi, Portoghesi, Tailandesi e così via e così via! Chi mai si perderebbe una eccezionale cerimonia come quella del matrimonio fra Patrizia e Stefano. Nelle città del mondo ogni cinema ogni bar ogni ritrovo si è attrezzato con megaschermo digitale per soddisfare i propri clienti e gli sfortunati che non hanno la possibilità di godersi lo spettacolo dal salotto o dalla cucina di casa propria. A Woodstock un maximegaschermo sovrasta la già famosa spianata, reduce da sesso, droga e rock’n’roll degli anni sessanta, dove si sono raccolte almeno tre milioni di persone, a stento intrattenute da spettacoli e concerti delle più famose rock star mondiali, le quali a mala pena, sono riuscite a trattenere la tumultuosa folla trepidante nell’attesa di poter finalmente assistere all’evento che darà un significato alla loro vita. Ne parleranno tutti per i prossimi dieci secoli e noi ci saremo stati! Gente scolpite questa giornata nella pietra perché il ricordo di questo evento durerà più della pietra.
CROCIERA NELL'EGEO
RODI
AGOSTO 2002
U.S.A.
Coast to Coast
NEW YORK
"ALTO", GIOVANNI E GIACOMO
GROUND ZERO
EMPIRE STATE BUILDING
NIAGARA FALLS
WASHINGTON
GRAND CANYON
CALIFORNIA
MAMMOTH LAKES
SAN FRANCISCO
LOS ANGELES
8 SETTEMBRE 2002
Quello che passa…
Scrivere per soldi
è mettere il commercio nell’arte
o l’arte nel commercio?
La verità
viene di notte
perché non ha paura del buio.
Se regali
avrai sorrisi da spendere
in Paradiso.
La politica non interessa
perché la gente non desidera discorsi
vuole sapere perché?
Non è sentirsi più degli altri
è non sentirsi meno.
Un consiglio
è una richiesta di riflessione
non l’imposizione di un autorità.
Si dona
per comprare il perdono
per il rimorso dell’avere
e a volte
per la gioia di chi riceve.
non ci regala mai quello che vogliamo
ma ciò che non ci saremmo mai aspettati.
Che l’opera mia
non sia lustro dei miei occhi
ma pace per chi ne ha bisogno.
Passo la vita
ha restituire
ciò che ogni giorno mi regala.
È difficile
parlare bene di una cosa
senza parlare male di un’altra.
Hanno scritto
scemo chi legge
ma non ce n’era bisogno.
È più facile
morire per testardaggine
che per un ideale.
Gli uomini
sono una strada
silenziosa e buia.
La vita
è un libro già scritto
di cui non vogliamo leggere la fine.
Non è scrivere
ma essere letti.
Siamo i dinosauri di domani
e l’evoluzione travolgerà i nostri corpi.
Credevo mi avessero dato
fino a che non scoprii
che avevano solo preso.
La vita non la devo e non la voglio
ma la posso.
Posso dispensar saggezza
e non essere saggio io
nel mio agire.
La pace
è il silenzio
che ti romba dentro.
Uomini
date loro un pallone
e dimenticheranno il mondo.
Non è
quanto ci valutano gli altri
ma quanto sentiamo di valere per loro.
Non fece la cattiveria
quanto potè la stoltezza.
La saggezza
viene dall’esperienza
non dalla cultura.
L’ignoranza
è la stoltezza
ma il sapere
non è saggezza.
Dopo un fallimento
non c’è peggior cosa
che sentirsi dire
te l’avevo detto.
Il corpo
ci mantiene vivi
finché la mente
lo desidera.
Più il martello colpisce
più il chiodo si infila testardo.
La miglior vendetta
è saper attendere
che ci sia chiesto perdono.
Un consiglio
è una richiesta di riflessione
non l’imposizione di un autorità.
La frenesia
porta aridità di pensiero
la pace
porta dolci sogni e speranze.
Io sarò la vostra maledizione
ma chi sarà la mia.
Per quanto possiamo crescere
non saremo mai grandi.
Corriamo corriamo
fino a quando
non ci rendiamo conto
di quanto è inutile correre.
È solo
quando non abbiamo più gambe
che scopriamo
quanto è inutile correre.
Ognuno
munge felice la sua mucca
credendo di non esser munto.
Sarò io la mia maledizione
per il male che farò a voi.
Non esistono prati
dove non sono passati prima i cani.
Non c’è peggior ritardatario
di colui che non avreste voluto incontrare.
L’allegria
è una ridente fila di persone
che attendono di pagare.
Il rifiuto
è una carezza
che può diventare un pugno.
Credevo di avere dato
fino a che non ho capito
che avevo solo preteso.
Non sempre
quella che appare una buona notizia
ci lascia con il sorriso sulle lebbra.
I consigli
si danno per far riflettere
non per comandare.
Un consiglio
non comincia mai con dovresti
ma con potresti.
Non c’è peggior adulatore
che noi stessi.
La malizia
è figlia dell’inferiorità.
Non c’è peggior denigratore
di chi si sente superiore.
Se non meritassi
quello di cui godo
non sentirei il piacere.
Non c’è peggior adulatore di se stesso
di quello che ci crede.
Non c’è peggior denigratore
della nostra incapacità.
Non saprei chi scegliere
fra chi denigra con malizia
e chi lo fa con superbia.
Chi non ha bisogni
non ha pretese.
È meglio
donare la vita
o donare una vita migliore.
Non è scrivere
ma saper leggere.
Piansi
per ogni schiaffo che ricevetti
non per il dolore
ma per la tristezza.
Chi donò di sé
preferì vivere insieme
che vivere meglio.
Amo
la mia vita
ma ciò non mi impedisce
di sognarne altre cento.
Il fatto
che non abbia niente da dire di te
non è un problema mio ma tuo.
È meraviglioso
scoprire di aver dimenticato
ciò che non ci interessava.
La colpa
è nel non voler comprendere.
I passi
si compiono uno alla volta
lasciamo che anche gli altri
lo possano fare.
La meraviglia della vita
è fare tutto
e fare tutto fino in fondo.
Certo che lotto per avere
anche se mi basta essere.
Il desiderio e la speranza
sono il nettare della vita.
Il dolore
va pianto
perché ciò che non esce fuori
rimane dentro di noi.
È triste
quando dimentichi le cose
a cui credevi di tenere.
I rimpianti
sono la consolazione
dei nostri ricordi.
La bellezza a volte
deve lasciare il posto alla praticità.
È quando ti senti più sicuro
che è arrivato il momento
di stare attento.
Non seguiamo i consigli degli altri
solo perché li riteniamo più stupidi di noi.
Si regala
a chi vogliamo far avere
un po’ di noi.
Non potrò mai essere
quello che tu volevi che io fossi.
La solitudine
è un prato fiorito
che non vogliamo condividere
con gli altri.
Chi perdonerà i nostri errori
se non lasciamo
che si presentino a noi
in tuta la loro orribile inutilità.
A volte
basterebbe un amico
per riuscire a conoscersi meglio.
La ragione
non ti dà il diritto
di usare la violenza.
Tutto il piacere
che non sospiri fuori
è desiderio non soddisfatto.
Non c’è bisogno di fare
più di quanto ti dia piacere.
Dove finisce il piacere
prende vita la rabbia
o la misericordia.
È con la pace nel cuore
che con gioia
si può resistere ad una tentazione
senza sentirla una rinuncia.
Fai oggi
quello che potresti benissimo
fare domani.
La noia
è nemica del desiderio.
Fai oggi
quello che avresti potuto fare ieri
ma non hai fatto.
Il pensiero
è un attimo
che l’attimo dopo
se n’è andato via.
Dietro ad ogni sorriso
si nasconde un cuore
o un ghigno.
Ogni segreto che sveli
è una piuma leggerà
che ti fa volare il cuore.
È quello che c’è dentro
che fa sì che quello che c’è fuori
esista.
L’abitudine
è un cuscino comodo ma ingiallito
che si abbandona malvolentieri.
Ciò che ti sei guadagnato
lo perdi con dolore
ciò che hai rubato
lo perdi con rabbia.
Scegliere è un piacere
rinunciare una delizia.
Il bello dei sogni
è che a rincorrerli
prima o poi si lasciano acchiappare.
La melanconia
è un dolce ricordo
ed una serena speranza.
Glie eventi
sono il frutto di altri eventi
non hanno avuto inizio
e non avranno mai fine.
La scaramanzia
è un nemico peggiore della realtà.
La vita
è l’attimo
in cui si esala l’ultimo respiro.
Chiedi le risposte di cui hai bisogno
e se ti faranno male
saranno consigli da seguire.
La gioia
è la più dolce illusione della vita.
Ci sono mille modi
per raccontare la stessa storia
e alla fine
sono tutti uguali.
Quando vedete un uomo felice
o un derelitto in lacrime
abbiate pietà
non dite loro la verità.
È bello
perché sono
quello che avrei voluto essere.
Al ritorno
piangiamo per ciò che lasciamo
quanto per ciò che ritroviamo.
A volte perdersi è un sollievo
ma ritrovarsi è sempre la vita.
I miraggi
sono chimere che ci illudono di luce
e ci bruciano col fuoco.
La sentenza non è un rimprovero
ma un invito a riflettere
per noi
per la nostra stessa vita.
Porterò la Tua corona di spine o Signore
saprai Tu quando porla sopra la mia testa.
Stringo la tua mano
per vivere della tua pace
stringerò le mani degli altri
per diffonderla nel mondo.
La mia vita
è il Tuo dono
sia essa colma
di fatica che di letizia.
La gioia della preghiera
sta nel perdono e nella speranza.
Ci verrà a cercare ad uno ad uno
per donarci il Suo perdono
e portarci nella Sua casa.
C’è un Paradiso
perché c’è tanta gente
che merita di viverci.
Confondo la mia voce nel coro
sì che giunga a Te
un'unica invocazione di preghiera.
Non ci donerà Iddio
piaceri di avere
perché domani
il piacere più grande e ultimo
sarà infine essere.
La pazienza di Dio
è attendere
che Gli sia chiesto perdono.
Perdono
non si chiede con la bocca
ma con il cuore.
Solo con le preghiere
posso affrontare il dolore
accettarlo
e rinascere cresciuto.
Prego
perché in me ci sia la forza
di raggiungere ciò che chiedo.
Prendimi Signore
lascio che tu faccia di me ciò che vuoi
punisci i miei peccati
e infine monda la mia anima.
Rispondo con fervore alle Tue parole
non per sentire me
ma per lasciare che Tu entri dentro di me.
A che serve pregare
a che serve sapere a memoria
le Tue preghiere
se le parole vengono dalla mente
e non vengono dal cuore.
Prego
per diffondere il mio amore nel mondo
e lasciare che il tuo possa entrare in me.
La meraviglia del perdono divino
è che arriva
anche solo perché smetti
di fare del male.
Perdonami
non per ogni peccato compiuto
ma per ognuno di quelli pensati.
È quando la nostra vita
raggiunge l’apice dell’amore
che veniamo chiamati
a viverne una migliore.
Grazie
per averci dato la possibilità di scegliere
anche quando non siamo riusciti a vederla.
Ho bisogno di Te
proprio perché
credo di poter fare da solo.
Il perdono
è un regalo che arriva
anche solo per non aver commesso il fatto.
Perdona la mia ingenuità
e colpisci la mia rabbia.
Non può esservi redenzione
se alla fine della punizione
non c’è perdono.
Tutto il male
che rinuncerò di fare
sarà rivolto verso di me
a provarmi quanto ingiusto sarei stato.
La Tua parola
mi accompagna nel dolore
e solleva il mio cuore nella gioia.
Per quanto
possa coprirmi di vergogna
sarò sempre nudo davanti a Te.
Preghiamo per mano
perché la nostra
sia un invocazione di tutti
e non una richiesta di ognuno.
Chiesa
non è solo una fonte a cui attingere
ma anche un otre capiente
dentro cui versare.
Abbiamo creduto in Cristo
perché ci ha portato amore.
Più crederò
di essere degno e grande
più sarò misero e piccolo
al Tuo cospetto
C’è così tanto amore
che non posso fare a meno
di credere in Dio.
Tienimi la mano
e fammi camminare su di una strada
sassosa quanto Tu vorrai
ma che non mi impedisca
di giungere fino a Te.
C’è così tanto bisogno di amore
che solo con l’aiuto di Dio
possiamo donare al mondo
la briciola che c’è in noi.
Riporto la mia anima a Dio
sì che la renda di nuovo candida
con il suo perdono.
Puoi decidere di non credere
ma non puoi scegliere
di non essere amato da Dio.
Non posso cercare la verità
oltre la Tua parola
perché la fede è l’unica verità.
Chiedo perdono
per le grazie domandate
e ringrazio
per le piccole gioie a me donate.
Che la semplicità delle mie preghiere
possa addolcire
l’arroganza delle mie voglie.
Posso anche passare indenne
dalla giustizia dell’uomo
ma due sono le condanne
che non potrò evitare
la mia e quella di Dio.
La carità
è un gesto di umiltà
di fronte al bisogno altrui.
Chiederò perdono
per i miei peccati
anche se non sarò in grado
di perdonare quelli degli altri.
Prego per le vittime
e per i carnefici.
Che Dio ci perdoni tutti
perché noi
non siamo in grado di farlo.
Non avrò mai pregato abbastanza
per quello che ho ricevuto.
Ciò che non avrò in questa vita
mi sarà donato in quella eterna.
Prego
per avere la forza di non avere.
Prego
per non chiedere di salire
ma di essere tirato su.
Abbi pietà di noi
abbi pietà delle nostre debolezze
abbi pietà delle nostre paure.
Scuoti ancora i nostri corpi
perché i nostri cuori
possano ancora ritrovare Te.
Non meriterò mai
ciò che ho avuto
se non perché
ho avuto fede in Te.
Abbi pietà di me
perché qualsiasi cosa mi chiedessi
non sarei capace di farla.
Prego
perché la preghiera
esaudisca le mie richieste
o le renda insipide.
Mi presenterò davanti a Dio
col mio fardello di peccati
e solo allora
sentirò quanto sono stati inutili.
La mano che tendo
è una richiesta d'aiuto
e un offerta d'amore.
Credere
non è avere
ma attendere
ciò che ci verrà donato.
La gloria nei cieli
è figlia della nostra sofferenza terrena.
Una mano tesa
verso chi ha bisogno
è testimonianza di fede.
Siamo così deboli
per questo ogni giorno Ti preghiamo
di non indurci in tentazione.
Grazie
in ogni mia preghiera.
Non ci sono preghiere o voti
sufficienti a ringraziarTi
per questa immensa vita.
Perdonami
per quello che ho fatto
e per ciò che farò.
Ogni mio peccato
una Tua lacrima
ogni Tuo perdono
un mio sorriso.
La grazia di Dio
è indurci in tentazione.
Gesù è venuto a dirci che stiamo sbagliando
e noi sappiamo soltanto rispondere
che non è colpa nostra.
La mia gloria nei cieli
sarà tutto ciò che con fede
donerò agli altri.
La gioia del perdono
è meravigliarsi di averlo ricevuto.
La mia fede mi porterà davanti Dio
i peccati piegheranno le mie ginocchia
l'Amore Divino purificherà la mia anima.
La fede
è nella lotta al male
non nel godere
dei piaceri del bene.
Le preghiere
che non avranno doni per me
ne porteranno al mondo.
Vivo della grandiosità del mondo
portandomi dietro le miserie
e donando loro
con umile pentimento
la mia carità.
Non è nell'onestà della mia preghiera
ma nella disperazione e nel pentimento.
Avrò fede
finché avrò vita
dopo ne farò parte.
Non avrei bisogno
di fare buone azioni
se solo smettessi di rubare.
Perdono
misericordia
amore
Dio
quanti modi per dire la stessa cosa.
È la tua carne
che ancora soffre
è il tuo sangue
che ancora scorre
per le strade del mondo.
L'unica guerra
che ci porterà fino a Te
sarà quella
che non combatteremo.
Sarà una carezza a chiedermi perdono
non uno schiaffo.
La carità
si fa con il cuore
non con le mani.
Dopo la preghiera il perdono
dopo il perdono la resurrezione.
Smetterò di peccare
ma non potrò mai cancellare i miei peccati.
La gioia vera
è sapere
che troverò sempre la Tua mano
tesa verso di me.
È l'attimo in cui crederò
che mi renderà libero
di sentirmi parte di te.
La preghiera
nasce dalla disperazione
per dare vita alla speranza.
La speranza
prende vita dalla preghiera
per assopirsi nella quieta accettazione.
La forza della fede
è nel non credere
che debba per forza essere così.
La forza della fede
è
che è!
La fede non è un giogo
ma la liberazione dell'anima.
In ogni lettura
in ogni passo
puoi trovare le tue pene
e i tuoi rimedi.
L'ammirazione nella fede
è sbalordire
davanti alla realtà del perdono.
Siamo uguali nella fede
quanto desideriamo distinguerci
nella miseria umana.
La tua presenza
è in ogni evento della vita
la tua essenza
in ogni atto d'amore.
Credo
perché Ti vedo ogni giorno.
La preghiera
è un ringraziamento
per ciò che vorremmo
anche se non ci sarà necessario.
Ti ringrazio
per ogni gioia
confido in Te
per ogni dolore.
Resisto
perché ho fede
ho fede
perché resisto.
Il mio debito
non potrà essere sanato
se non con amore
e con l'Amore Cristiano.
Perdoniamo gli altri
e impariamo a perdonare
anche noi stessi.
Dio
è l'essenza della nostra esistenza
la ragione di vita
il nostro fine.
Siamo venuti per amare
ce ne andremo amati.
Non saranno le mie parole
a portarmi al Tuo cospetto
ma la Fede e la Carità.
La mia preghiera comincia
dove finiscono le mie possibilità
e continua per ringraziare di averle avute.
Non importa che preghi il Paradiso;
se solo riuscissi a smettere di peccare.
Il mio ultimo peccato
sarà quello di pregare
per avere un attimo ancora di vita.
Prego
perché sono così debole
da non vedere oltre questa vita.
Non ci saranno punizioni
grandi quanto lo sarà il tuo perdono.
Io :
Prima Persona Singolare
Questa è una storia vera. O meglio, poteva essere una storia vera. Anzi, avrebbe dovuto essere una storia vera ma poi ho incominciato a raccontare di me e la mia vita è tutta una bugia o meglio, anzi peggio, è costellata di menzogne, anzi… ma questa non è un’altra storia, è proprio la mia.
Sono nato l'anno in cui sono nati tutti, in quell'età di mezzo fra i favolosi anni Cinquanta, quelli della rinascita, della televisione nei cinema per vedere "Lascia o raddoppia", della cambiale, delle prime utilitarie e dei frigoriferi e gli anni di piombo, gli anni Settanta, con il terrorismo, le brigate rosse e le stragi di stato, la tivù dei ragazzi e finalmente la febbre del sabato sera che, ironicamente, avrebbe curato tutti i mali e portato il benessere nel mondo.
Sono nato l'anno in cui sono nati tutti, nella metà di quegli anni Sessanta che hanno dato la svolta al modo di vivere, un attimo prima negri e donne venivano calpestati come feci sul marciapiede, un attimo dopo erano afroamericani i primi e in carriera le altre, liberi finalmente dalle catene di ferro e del potere. Dalla storia siamo entrati direttamente nel futuro. Correndo all'impazzata verso traguardi che si fantasticavano solo pochi anni prima, traguardi che sono stati sorpassati alla velocità della luce, facendo sembrare preistoria la fantascienza di una manciata di anni fa! Il mondo ha cominciato a crescere a piccoli passi, tra chi lo vuol distruggere e chi prega per renderlo migliore.
Sono nato l’anno in cui sono nati tutti, tanto per non smentire già da subito la mia uniformità alla massa, quella standardizzazione che avrebbe accompagnato costantemente la mia esistenza in ogni singolo particolare, in ogni momento, saliente o ininfluente.
Certo che di momenti ininfluenti nella vita di ognuno ce ne sono a bizzeffe, attimi dopo attimi, una vita intera. E noi, stolti e disattenti, non troviamo di meglio da fare che insistere, caparbiamente, a considerarli tali. Paperone ha costruito il suo fantastramiliardario gruzzolo su di un piccolo, misero, insignificante primo cent e con fantastramiliardi di quei cent ha innalzato un impero. Noi piccoli Paperino della storia, continuiamo, ciechi e imperterriti, a costruire le nostre vite su fantastramiliardi di momenti ininfluenti, che in realtà altro non sono che la nostra stessa misera, unica vita.
Misera. In tutti i sensi, perché non ce ne sarà mai abbastanza di vita per fare tutto ciò che avremmo potuto, dovuto, voluto, ma in maniera particolare desiderato fare, una manciata di battiti del cuore tumultuoso dell'universo e poi più niente. Ce ne andremo prima che chiunque nello spazio infinito si sia mai potuto accorgere di noi. La fibrillazione di un Pulsar dura più a lungo della più lunga vita mai vissuta.
Misera, Soprattutto perché non ci darà mai abbastanza per quanto peneremo per viverla o meglio, mai ci accorgeremo di quanto la vita ci doni, non riusciremo a percepire a sentire e vedere i suoi regali. In ogni sussulto del nostro cuore, in ogni lacrima del nostro dolore, in ogni risata della nostra gioia. Non saremo lì ad accorgerci della vita che ci cola addosso, troppo impegnati ad attenderci chissà cosa, chissà come, chissà quando ma soprattutto chissà mai perché?
Unica. In tutti i sensi, perché non ce ne daranno mai un’altra dopo. A nulla varranno i puerili sogni di immortalità. Elisir, pietre filosofali e macchine del tempo rimarranno le nostre chimere, irraggiungibili miraggi a cui dedicheremo le nostre forze tralasciando mete più facili da conquistare ma non altrettanto allettanti per il nostro narcisistico ego. Illuso egoismo che da sempre ha sepolto in fondo alle priorità tutto ciò che si allontana dalle parole ma soprattutto dai fatti, potere, fama, ricchezza ed eternità. Questa ci è data di vivere, anche se desidereremo quella degli altri, anche se la riempiremo di rimorsi e di rancori, anche se la sprecheremo fingendo di non esser noi stessi ma la brutta copia di chissà chi altro.
Unica. Soprattutto perché solo noi abbiamo la fortuna di viverla, qualunque essa sia, per quanto ci abbia sbattuto, ovunque ci porti. Nessun altro potrà mai provare le nostre stesse emozioni, i nostri ricordi, le nostre sensazioni. Una carezza, un petalo di rosa, la ruvida corteccia di un pino, l'acqua che ci rilassa dentro e fuori, il vento, che fischia tra le montagne innevate, tra i palazzi con i panni stesi ad asciugare, nei vicoli stretti, con i vecchi a rincorrere i cappelli volati via brandendo il loro bastone e imprecando contro chi ha tolto loro dalle gambe, la forza di correr dietro al vento e vincerlo ancora una volta. Istanti. E nessun altro potrà mai averli, viverli, sentirli, come lo abbiamo fatto noi. I baci, la passione le notti trascorse rotolando su letti nostri o di qualcun altro, le preghiere gettate in quel vento impetuoso e quelle rivolte umilmente a Dio. Tutto ciò che abbiamo preso e tutto quello che ci è stato dato, avessimo a campar cent'anni e più o fossimo già morti nel grembo infame ma pur sempre innocente di nostra madre, che anch'ella di vita misera e unica ha vissuto.
Ma erano gli anni Sessanta, nessuno si sarebbe mai curato di tutto questo. A chi sarebbe mai importato nel frastuono dei juke box, abbagliato dalle luci di Broadway, abbandonato nella lettura di tascabili a buon prezzo, meravigliato dalla versatilità della plastica e dall'imperversare inutile ed indispensabile dell'elettricità. Chi avrebbe mai potuto udire un grido di aiuto nella convulsa lotta per la liberazione della donna, della marjuana e del Vietnam. Berta filava, la seicento rombava per le strade semideserte dell’Italietta, del Bel Paese, mentre i Beatles spopolavano in Inghilterra, negli Stati Uniti e in tutto il resto del mondo e da noi andavano di moda i film con Gianni Morandi e Al Bano che quarant'anni dopo saranno ancora lì, pietre miliari, consunte e più volte restaurate, a malincuore inchinate in invidiosa adorazione della pietra d'angolo, quel tipo biondo, con gli occhiali in mano e il suo veemente grido di esortazione: Allegria!
Ma erano gli anni Sessanta e questa è un'altra storia, la mia.
Come accade ad ogni figlio è difficile per me crederlo, sentirlo, provarlo, quel non so che di strano che ci possa mai esser stato tra loro, coloro i quali non potrei mai far a meno di vedere che come i miei normali e asessuati genitori. Come accade o come dovrebbe accadere ad ogni figlio ho potuto vedere il loro affetto, le loro litigate, il loro amore reciproco e verso noi figli. Ho potuto e forse ho anche un po' voluto vederlo, come non dovrebbe accadere ma che comunque così è. Mi son lasciato entusiasmare da qualche carezza scambiata sfuggevolmente, da un bacio, grossolano e pacchiano scambiato più con ironia che vera e propria passione, da una pacca sul sedere sempre con un sorriso tra i denti e l'aria scherzosa ad aleggiare dietro le spalle. Ho visto, vissuto, provato e creduto tutto questo ma non potrò, mai e poi mai sarà per me possibile, vederli nello stesso letto brucianti di passione, attanagliati in un amplesso al culmine del loro umano piacere. Solo a pensarci mi viene da ridere e allo stesso tempo provo un moto di repulsione verso l'immagine che vorrebbe crearsi nella mia mente ma che non riesce a materializzarsi, respinta dalla incredulità e dalla mia educazione a suo modo bigotta e intollerante. Come se fatto da loro quell'atto, in fondo anch'esso di amore, perdesse ogni dolcezza, ogni bramosia, ogni istinto animale. Genitori e sesso non stanno nello stesso vocabolario. Genitori sono e il mio umano limite e di poterli vedere solo come tali, non come uomo e donna vivi della loro propria, insostituibile, aberrante, meravigliosa vita. Babbo e mamma, miei, soltanto egoisticamente indissolubilmente miei e mai di loro stessi.
E cibarsi nutrirsi di questa mera illusione fin da piccoli, per crederci ancora dopo esser cresciuti. Crederlo ancor di più di tutto quanto avremo a desiderare, crederlo nostro solo perché lo vogliamo. Credere che veramente sia nostro tutto ciò di cui gradiremo circondarci e non accorgersi mai dell'infinità illusione in cui stiamo vivendo. Nostri non siamo nemmeno noi stessi, persi in balia degli eventi che ci circondano, come nel bel mezzo di una tempesta senza inizio e senza mai una fine.
Senza curarsi di quello che un giorno sarebbe stato per me difficile da credere, nonostante le prove emotive, spirituali e fisiche, leggi tre figli, l’amore sbocciò. Intessuto stretto fra trama e ordito, come ad un telaio, tra panni ottanta lana - venti poliestere, IGE e impermiabili. Forse lui la guardò negli occhi profondi e turbinosi e ci perse dentro la propria anima, forse lei guardo dentro ai suoi e si smarrì nell'immensità della beatitudine, sciogliendosi nella dolcezza mite di quelle enormi pozze scure. Forse erano di altri gli occhi per cui mi sto emozionando adesso, forse li ho già sentiti dentro, forse era un'altra storia questa, forse era la mia..
Lui Marcello, un modesto ma bravo ragioniere di campagna, ex seminarista, aveva diviso la sua giovane e spensierata vita tra le colline verdi di vigne e rosse di vino di Montespertoli e gli studi e le buone compagnie a Firenze. Vita semplice, vita piena di amici e di combriccole, di affetti, di stenti e di piaceri. Vita di piccolo paese, con i suoi sogni, i desideri e quei pochi piccoli semplici bisogni, mangiare, vivere, rimanere vivi. Altri tempi, altre usanze, altre vite, quasi irriconoscibili, quasi inconcepibili oggi più di cinquant’anni dopo il suo meraviglioso infinito quarantatré, nel ricordo del quale aveva invece continuato a vivere, nonostante tutto e tutti. Nonostante il mondo intorno cambiasse sempre più velocemente mentre i suoi figli crescevano chiedendo cose che lui non poteva capire o peggio, di cui non poteva capacitarsi. Ma lui li amava lo stesso e loro odiavano lui. Lui continuò ad amarli a educarli ed a far loro vedere la strada che dovevano seguire e loro continuarono ad odiarlo. E lui allora amava lei, come meglio poteva, anche se non era un granché.
Ha creduto lui stesso che tutto quello che pensava, che sentiva, quello in cui credeva potesse bastare. Ha dato quel poco niente che non ha ricevuto e se ne andato più amato di quanto potesse mai essersi meritato. Amato per quello che comunque era, era stato e avrebbe dovuto essere. Ma una vita già crudele con lui lo ha voluto punire lasciandolo consumarsi mangiato da dentro, costringendolo ad affidarsi agli altri, gli altri in cui lui non aveva mai avuto fiducia, quegli stessi altri che non avevano mai avuto fiducia in lui ma che alla fine lo amarono. Anche solo perché non c'è giustizia nella morte. Anche solo perché contro la morte siamo tutti strenui impotenti lottatori, inutilmente alleati.
Lei Marcella, altrettanto modesta, altrettanto semplice, altrettanto vissuta in un’epoca ed in una famiglia in cui vivere, anzi sopravvivere era la prima, unica e sola necessità. Non c’erano desideri, guai! Non c’erano sogni, solo incubi e brutti risvegli. Non c’erano speranze, quali se non di pensare l'impensabile, di odiare e poi rassegnarsi e allora non pensare più. Cucita stretta ad uno stile di vita dettato da altri. Come un tempo era ovunque, come oggi per fortuna da qualche parte non lo è più. Che sia meglio o peggio per il mondo non è dato a sapersi ma lo sarà di sicuro per chi non è costretto a vivere sotto un giogo. Qualsiasi esso sia. Ma lei no. Porta con la santità della rassegnazione tipica di una vittima designata questo fardello incredibilmente peso, come se fosse l'intero globo a gravare sulle sue decrepite e porose ginocchia. Ma lei amava lui e credette di non aver bisogno d'altro e lui glielo lasciò credere, fino a che lei non potè più tornare indietro. Ma lui sparì in una nuvola nera, acre di fumo e a lei per fortuna rimasero i figli Francesca Elisabetta e Stefano, a farla dannare ma a regalarle un po' di vita, cruda ma vera. Povera di speranze ma scevra, finalmente di illusioni e disillusioni.
Non c’erano desideri, non c’erano sogni, non c’erano speranze. Non c’era vita, dunque, mancando le tre essenzialità della vita stessa. Un manager di Wall Street vive perché desidera, sogna e spera di riuscire a fregare qualcuno ed arricchirsi alle sue spalle, un pigmeo dell’Africa vive perché desidera, sogna e spera di riuscire a mangiare anche l’indomani. E’ paradossalmente diverso quanto simile ma per ognuno di loro questa è vita, l'essenza della vita, la sostanza, il fulcro, il motivo ed il fine, la vita stessa insomma. Ma per lei la vita era proibita e ancora ne piange, facendo finta di non sentire le lacrime calde di tristezza che le solcano il viso. Tirando le somme di una vita spesa risparmiando, quali totali le potrà riservare quest'ultimo scorcio di luce? Per annebbiare questo subtotale a piè di lista le gireranno intorno come zanzare noiose i suoi tre figli, fastidiosi e impertinenti quanto basterà per non farle accorgere che il mondo sta per finire.
Ma questa è un'altra storia, non solo la mia.
Gli ormoni fecero comunque il loro bravo lavoro e nonostante tutto questo, lei si innamorò, eccome se si innamorò e altrettanto se non ancor di più fece lui. Così fra impermiabili, loden e montgomery, cucirono la loro vita insieme. Una vita semplice, lineare, chiusa nelle loro quattro mura di felicità, lui perennemente sbadato e arrabbiato con il mondo, lei insistentemente a pulire ed arrabbiata con lui, che spendeva i soldi in mattoni invece di metterceli sotto. Ma si amavano e si amano ancora, oltre tutto questo.
Sono passati gli anni e con il loro trascorrere è passata anche la rivoluzione dei giovani, il sessantotto e tutti i sessantottini, è finito il mondiale di Messico e nuvole, portandosi via le speranze di gloria e gli ultimi rimasugli del bel paese che, dopo un decennio di meraviglie, si andava ad infilare dritto dritto in un'epoca di piombo, di p38, di gambizzati e di rapiti, di disco music e decriminalize marijuana, l'anticamera di una Milano da bere, tutta opulenza ostentazione tangenti e vuoto dentro.
Ed io intanto crescevo. Ignaro di tutto quanto potesse accadermi intorno e in linea di massima, anche enormemente e normalmente indifferente a tutto. Eccezion fatta per ciò che coinvolgeva me di persona, prima persona, chiaramente. Crescevo fra i banchi del doposcuola dei Pii Padri Scolopi, che nonostante la loro immensa piitudine non si riguardavano certo dal menare le mani e quando l'occasione lo richiedeva, anche dall'usare impropriamente verghe e bacchette delle più svariate misure e dei più pregiati materiali dal pino fino addirittura al puro tek africano.
La malattia della nonna mi impediva di trascorrere i pomeriggi in casa, a giocare con quei pochi ma cari balocchi, gelosamente conservati proprio come conservo adesso ogni ricordo, ogni bacio, ogni frammento della mia vita. Ed io crescevo allora su quei pii banchi dove barattavo golosi ma appiccicosi pane, burro e zucchero, con semplici ma veloci e pulite banane. Affascinato e rapito da questo strano e per me inusuale, mezzo di contatto, lo scambio. Non era tanto l'oggetto del contendere ad attirarmi, quanto il contendere stesso. Io, uomo primitivo che socializzavo con altri esseri miei simili attraverso il primo e più semplice mezzo di comunicazione: il baratto. E quello che mi porto dentro ancora oggi, di quell'intesa nello sguardo e del veloce movimento delle mani; la preziosa merce ricevuta da quel gesto con cui ho arricchito il bagaglio della mia formazione culturale; è proprio e semplicemente la soddisfazione di aver compiuto quell'atto stesso, per il quale già allora e da allora, ho segretamente ed intimamente chiesto perdono a mia madre che ignara di tutto, continuava amorevolmente a spalmare il burro sul pane e ad impreziosirlo di grandi dolci di zucchero. Ma non invano ha schiacciato riccioli cremosi su fette di pane toscano, segretamente ed intimamente, questo è lampante, ancora oggi io la ringrazio per quel panino che non ho mangiato, di quella piccola, meravigliosa ed eterna gioia, che mi ha dato la possibilità di provare, compiendo quell'insospettabile gesto ancora vivo e presente in me dopo così tanti anni.
Mi vedo ancora sui piccoli banchi del doposcuola, voltarmi con quel sacchetto di carta marrone tra le mani e porgerlo al compagno che siede dietro di me, un paio di anni più grande ma non prepotente; meravigliato e piacevolmente sorpreso di questa mia offerta inattesa. Non nacque amicizia, non ci fu protezione, solo il mio immenso amore. Non per lui, no, per me e per quel gesto che chissà chi lo sa perché, mi faceva sentire vivo e vero.
San Francesco e il lupo
Non so cosa può aver spinto la mia incosciente incoscienza a formulare questa inebriante e attraente ideologia, non so quanto ancora in me fibrilli, nella speranza di prendere campo ancora, di nuovo. Quello che non ti viene dato prendilo. Che triste vita se solo questo e ciò che ho imparato, che triste vita lottare per non sentirmi ladro e bugiardo, quanto in realtà lo sono stato e ancora lo sono. Per ogni minuto, per ogni centesimo, per ogni torto comunque ed in ogni modo portato via a chi lo deteneva con ragione, almeno con ragione nei miei confronti. Sottrarre a chi ha sottratto non può diventare da delitto una virtù. Che triste vita, viverla con questo amaro precetto in fondo al mio unico, misero, doloroso e sorprendentemente colmo d'amore, piccolo cuore.
Cosa ti è mancato? Una mano tesa, un giocattolino, una carezza, un sorriso in famiglia, Brancaleone il giovedì sera o un semplice sì! Non è un rifiuto ad ucciderti, sono i mille inesorabili no! Tutto quello che cerchiamo oggi non è altro che ciò che non ci è stato dato? È così? È semplicemente, inesorabilmente così? Vendichiamo piccoli bimbi che non potranno mai più avere ciò che non è stato loro concesso, riempiendoci di frustrate soddisfazioni, incapaci di colmare quei vuoti che i bambini rinchiusi dentro di noi, ancora e per sempre, continueranno a farci sentire. Quanto sembra facile poter indicare agli altri ciò che va e ciò che non va, inconsapevoli, più o meno coscientemente, che non è di alcun interesse conoscere ciò che va e ciò che non va, ma essere, avere, dare, dire, fare, baciare, lettera e testamento. Perché devi dirmi di no? È forse meglio vivere di privazioni che morire delle nostre stesse semplici, meravigliose, appaganti soddisfazioni? E le privazioni a cos'altro potranno portarci se non a meditare, compiere e abusare prevaricazioni verso altri miseri, ignari, innocenti embrioni di vita.
È buffo come le convinzioni degli altri, soprattutto se gli altri sono i tuoi educatori, possano deviare la tua vita in meandri tortuosi e inaspettati. Chi ha voluto, chi ha pensato bene per me, che io non crescessi circondato da miei simili ma cullando piccoli bebè di plastica, così tanto e tanto bene da adeguarmene a tal punto che allora mi sembrò talmente normale da continuare allegramente a farlo.
Crescevo, crescevo fra i giochi mielosi delle bambine, ingenuamente e teneramente aperto, tanto da far entrare dentro di me tutta la loro dolcezza e la loro complicità mentre lasciavo morire di umiliazione le mie voglie, le occhiate e le mani che anche allora avrei allungato, sotto qualche gonna, durante una lotta o nel bel mezzo di una zuffa. Nessuno però mi aveva insegnato l'audacia e allora morivo, frustrato e incapace, di quella voglia che colpisce chi desidera correre ma non ha più le gambe, anzi non ce le ha mai avute.
Star lì con loro, a fare l'eunuco credendo d'essere il re, era appagante a tal punto, dal desiderarlo, dal cercarlo, dal farmelo sembrare normale. Tanto normale da indebolire la mia peculiarità genetica, non era meglio o peggio ciò che imparavo, era solo diverso, diverso da ciò che io realmente e materialmente ero, oltre che fisicamente e psichicamente, cavolo, un uomo!
Ho vissuto nel giardino dell'eden fino a che un bel mattino si sono complimentati con me per non aver creato danni, per non essere divenuto un mascalzone, per essere così amorevole e delicato ma che da quel momento ero indesiderato e potevo ritornare dall'altra parte della barricata, in quel mondo di belve, di sanguinari e di sporchi uomini. Nonna, ma se non c'era un altro modo per impedirmi di diventare cattivo come chi aveva fatto del male a te, perché non hai lasciato che lo diventassi ugualmente ma che almeno lo fossi nella maniera più giusta, tanto cattivo lo sono diventato lo stesso, come una donna. Anzi più cattivo, come l'uomo che sono e come la donna che è entrata in me. Tanto che a volte mi sembra che le donne si facciano male fra di loro e poi ne diano la colpa agli uomini. Le prime a gridar puttane sono le donne, gli uomini ci vanno a letto! La chiamavano Bocca di rosa…
Crescevo e quando le ho dovute tirar fuori non me le sono più sapute trovare. Perché c'erano ma le avevo messe da parte per sentirmi uguale a loro, a quelle bambine che mi riempivano di attenzioni e di carezze non perché ero io, come credevo ma perché c'ero solo io con loro. E con quelle due palle celate sarei cresciuto fino a capirlo, fino a poterlo sentire. Povero brodo mi scrissero dieci anni dopo e mi parve tanto ovvio e così narcisisticamente umiliante che non lo cancellai mai più. Così tanto per farmi un po' più male.
Nonna: persona dolce e affettuosa che vuole bene a…, lasciamo perdere il dolce e affettuosa e al posto di persona metterei termine astratto. E per quanto riguarda il voler bene, la mia di nonne, nonna Genny, di bene ne ha voluto a… a Betty, forse e a nessun altro tranne che a se stessa. Anche questa è la solita storia, chi non ha mai ricevuto non può donare amore, ma da qualche parete dovremo pur cominciare. In fondo ci può servire anche dare la colpa a qualcuno, per riuscire ad accettarci ad accettare i nostri errori, le nostre paure, la nostra stessa misera, unica vita. Ed io ho deciso! Darò la colpa di tutto a lei. Non l'ho mai carezzata e baciata quanto quel giorno che era distesa immobile, dentro la sua bara di legno. In piedi, accanto al suo feretro, lì, con il broncio triste a farmi vedere ed ammirare dai parenti, falso e bugiardo quanto non avrei mai potuto meglio dimostrare d'essere! Ci sarà pure stato un motivo, per mettere in scena questa ignobile dimostrazione d'affetto che non c'era? Possibile, che in fondo ne fossi realmente, orribilmente e tragicamente contento? Per le figurine che le ho dovuto stracciare sotto il naso, per farle credere che non avevo paura di lei? Per come maliziosamente riusciva a farmi credere di dare più attenzione a mia sorella che a me? Mentre in realtà l'interesse nei confronti di mia sorella, altro non era che oppressione, che Betty probabilmente ha anche mal sopportato in quegli anni fatidici, culla e fulcro della sua futura ribellione!
Intorno a me i vecchi morivano, i giovani scappavano di casa lasciando messaggi tremendi di disperazione e lasciando me con l'astio in gola, per non aver visto e mai più potuto vedere quel film nero di uccelli brutti e piccolini che tanto mi aveva tratto a se. Quanto la ho odiata d'aver scelto proprio quel giorno per levarsi di torno. Quanto non ho capito quello che mi stava accadendo intorno, non aver capito la fuga di Francesca e non aver sentito le lacrime di Betty, Io, che già allora avevo una maiuscola davanti al mio Ego, ad altro non potevo interessarmi quella sera, se non a godermi un film di Totò, farmi quattro risate e andarmene a letto, a sognare quelle donne che non avrei mai avuto.
D'altronde quella con le mie sorelle era una lotta impari, per tutti noi allo stesso modo, ad accaparrarsi un po' d'amore. E di quel poco che ce n'era, davvero ne sarebbe toccato una cucchiaiata appena per ciascuno. Ma ero un bambino, che altro potevo mai pensare e soprattutto, dove potevo mai trovare quel sentimento di tristezza nei confronti di una situazione così tragica e straziante, se non mi era stato insegnato l'amore? In fondo perché mai avrei dovuto rinunciare al mio per donarlo, rimanendo loro vicino, perché, se non sentivo che nessuna di loro rinunciasse al proprio per donarne a me, stolto e cieco ragazzino.
Ma di questo non ci sono e non ci sono stati colpevoli, il mio non è un atto d'accusa, solo una richiesta di perdono!
Ricordo solo due sabato della mia infanzia in famiglia, in uno abbiamo avuto un incidente con la vecchia ottoecinquanta caffellatte, l'altro ha avuto un tragico rientro, con Francesca ad aspettarci sdraiata tre metri più sotto da dove si era lanciata, stupida, impavida scivolatrice ribelle. Possibile che non ce ne siano stati altri, possibile che ci sia stato solo Montespertoli o soli a casa! Eppure, mi ricordo verdi pic nic a Montalbano e domeniche in piscina a Pietramarina. Perché non sono riuscito a strizzarci fuori un po' d'amore, eppure non è stata un’infanzia infelice la mia, non ci sono stati soprusi o privazioni vitali, qualche scapaccione di troppo e un bel po' di ceffoni ma niente che abbia mai potuto portarmi a vivere nel terrore, forse solo troppi miseri no! E forse urlati troppo forte! Ma quando, quando e perché il giocattolo si era già rotto? Forse prima, prima che io possa ricordare o immaginare. E' davvero nella culla che mi sono mancate le carezze di mio padre? E' forse nei perdoni cristiani non ricevuti da un cristiano di professione come mio padre. E quante coccole avrebbe dovuto farmi mia madre per farmi credere che in fondo l'amore da qualche parte c'era? No, non rivendico quello di cui potrei essere stato defraudato, troppo facile sparare a zero verso mille stremati colpevoli senza colpa. E lo scrivo mentre piango! Mi piacerebbe soltanto averlo provato. Così, tanto per sapere come poteva essere, per sorridere una volta di più, per imparare prima com'era amare, non farmelo prescrivere da un dottore!
A queste condizioni le mie sorelle non potevano certo rientrare nei miei interessi, erano un contorno, troppo piccolo per accorgermi di loro, se non per menarle. Non sento di aver mai desiderato veramente che non ci fossero o che non ci fossero state, c'erano e le ho amate, odiate, giocate, senza mai, purtroppo, lasciarle veramente entrare dentro di me e probabilmente senza essere mai riuscito a scalfire la loro corazza e penetrare nel loro unico, misero, doloroso e sorprendentemente colmo d'amore, piccolo cuore. Perché vi sembrerà strano ma ce lo avevano anche loro e io che non me ne ero accorto!
Perdonatemi che sto venendo a perdonare voi. Per riuscire insieme a perdonare lei che ci dia la forza di perdonare lui, che avrà bisogno di tutto l'amore del mondo per perdonare chi lo ha privato dell'amore di cui aveva immensamente bisogno.
Crescevo e menavo, perché non sapevo amare e rendevo alle mie care sorelle quello che il mio signore mi dava come pane quotidiano. Crescevo, pieno di quel nulla che credevo di non avere, ma che abbondava invece intorno a me, senza che me ne importasse un fico secco. Passavo le giornate a giocare da solo, sicuro d'essere il più forte e il più piaciuto, a esser preso in giro dai miei pari e ad essere coccolato come un peluche dalle mamme delle bambine che riempivano la mia vita. Ingenue madri che inconsapevoli del serpe che si sarebbero covate in seno, avrebbero voluto un bel bambino proprio come me ed io mi gongolavo d'essere il più desiderato. Allora però non riuscivo a formulare un più maturo pensiero, che ci avrebbero fatto mai con un castrato nel pollaio, buono a farsi mirare e rimirare, sarebbe finita poi che ne avrebbero fatto un covo di pavoni, con la voce stridula ma senza coglioni
Ma in quei momenti la mia felicità trovava la sua dissetante fonte proprio nell'amore ricevuto da quella mamma che non era la mia e da quella sorella che non era una della mie. In quei giorni in cui venivo dimenticato negli ingressi del doposcuola dei Pii Padri Scolopi a desinare con i bambini e a cenare con i bidelli, tu, cara Sandra, semplice e umile, sei stata il mio fratello maggiore, il mio faro, la mia guida. Semplicemente perché amavi un piccolo bambino che ti voleva bene e al quale mancava solo un po' d'amore. Quel fraterno amore che riceveva da te, grazie al fatto di essere lì a raccoglierne mentre lo donavi intorno. Con la semplicità tua naturale e con l'umiltà serena e candida che ti contraddistingueva, in quel mondo che già allora prometteva di diventare la fiera delle vanità che oggi viviamo. Sei oggi quella che sei ed io sono divenuto quello che ti descrive adesso, c'è chi non si cambierebbe con te ma non so se sia migliore una vita come la sua, la tua o forse la mia.
Ed anche quella è stata vita mia. Anzi, proprio quella è stata vita mia, vera, vissuta e soprattutto sentita, come un'alba, come una certezza da cui poter ripartire, anche se può esser rimasta abbandonata in una distesa immensa, deserta di dubbi. Mi vedo ancora, con la bocca socchiusa e la lingua a far capolino dalle mie labbra rosse, dipingere la bandiera degli USA insieme a Sandra, il nostro simbolo, quello della nostra squadra, io e te ai più straordinari "giochi senza frontiere" da strada che siano mai stati giocati. Che meravigliosa vita, viverla con questa immensa gioia nel mio unico, misero, doloroso e sorprendentemente colmo d'amore, piccolo cuore.
Crescevo, crescevo e guardavo mia madre lavare e stirare esattamente nel modo in cui era stata ammaestrata e come, non essendo riuscita ad insegnarlo alle sue figlie, aveva tramandato a me. La polverosa, tragica, sterile arte delle pulizie. Così tanto e naturale capitò bene, per loro chiaramente non per me, che io la imparassi da andare a finire che, quando non ce n'era d'altro, me ne serbavano un poco sotto forma di scale da strusciare. E il povero pollo, di pelle raggrinzita, continuava a piegar la testa e non sapeva far altro che gridare qualche chicchirichì di rabbia, piangere e dar beccate, quando nessuna ragione stava tra le sue zampe.
Povero sciocco potrei soltanto aggiungere oggidì, se non sapessi che quell'allocco altri non è se non tutto l'amore che adesso tengo in me, raggranellato con fatica lungo un'immensa, misera, unica vita, la mia.
Ma allora era più grande in me, la forza del martirio a cui mi volevo sottoporre di quanto riuscissi a vedere come io mi umiliassi, non davanti agli altri, bensì al maschio con le palle che se la rideva dentro di me. Lui la notte se la passava tra bagordi, donne e giochi, vittorie e spassi, creati ad hoc dentro ai miei sogni ad occhi aperti e a me lasciava la merda della vita che lui non era riuscito a far diventare vera. Bella forza a fare finta son bravi tutti. Io la vita però, misera e unica quanto vuoi però l'ho vissuta per davvero.
Crescevo, il tempo passava e i pianti di un bambino non erano più bene accetti nelle palestre e nelle aule, dove i primi amori nacquero così in fretta che finirono prima di essere mai cominciati. Quelli furono anni di speranza, di intensa attività e di frequentazione con la mia ristretta ma tosta cerchia di amici. Fabio, Marco, Dario, io, la più strampalata accozzaglia di orrori umani. Anni dopo solo un film dal titolo "La rivincita dei Nerds" avrebbe reso giustizia alla nostra bruttezza, grettezza e incapacità di rapporto con il sesso femminile. Però ce le spassavamo, erano gli ultimi momenti prima di incominciare a crescere davvero. Gli ultimi giochi prima di dover sembrare grandi a tutti i costi. Prima di cominciare a fumare sigarette, a fumare altre cose e prima di cominciare a perdersi. Lezioni, giochi e sedute spiritiche, gli ultimi sereni ricordi di una parentesi rosea che rinchiude in un soffio i tre anni più sereni dei miei primi trent'anni di vita. Forse perché a quell'età non avevamo più niente da chiedere di quello che ci era mancato e ancora non ci mancava quello che presto avremo cominciato a chiedere. In una vita di brutti ricordi, quei giorni apparsi insipidi di tranquillità, passano via veloci lasciandomi tre doni grandiosi: la non sofferenza, tre brutti ceffi e il dolce ricordo di Eleonora.
Crebbi ancora e dopo quel primo candido no, primo di una sconfinata serie, fui costretto a rinunciare alle lacrime pubbliche, arma ormai obsoleta per attirare l'attenzione a quell'età. Abbandonai questa umida pratica in modo da far credere d'esser uomo e ritrovarmi poi a profanarle abbondanti su mura dure di mattoni o su cuscini duri di rabbia. In quegli interminabili pomeriggi di stupida e ingenua solitudine trascorsi chiuso, maledettamente chiuso, in quella stanza. Quante nocche sbucciate, su quelle mani, impotenti e allo stesso tempo innocenti, davanti ad un mondo a cui non ero per niente pronto a fare fronte. Chissà cosa mi tenne lontano in quei giorni, dalle amicizie nate trai banchi a cui non detti vigore, dalle gite scolastiche a cui non partecipai. Chissà perché a un certo punto smisi di espandermi. Mi ritrovai a settorizzare la gente che era intorno a me. I vicini di casa, cresciuti come me, rimasero comunque per me dei bambini. Non riuscii che a continuare e ancora oggi per me lo sono, che a vederli troppo piccoli per essere frequentati, non ragazzi grandi con cui proseguire e ampliare una vita di amicizia. La scuola fu il mio mostro imbattibile e di conseguenza i compagni di scuola furono, malauguratamente, compagni di scuola e questo si rivelò un grosso handicap. Non solo non riuscii a farli diventare compagni di vita ma non fui all'altezza nemmeno di sentirli compagni di studi, se non gli ultimi spiccioli di giorni prima degli esami. Troppo chiuso, maledettamente chiuso in quella stanza che fu il mio regno, di cui ero il solo re, il solo guardiano e il solo prigioniero.
Crescevo e mi ritrovavo incapace di vivere. Quanto, proprio in quei momenti ho sentito la mancanza di aver fatto a cazzotti, di averle prese e date, di aver giocato a calcio o corso in bicicletta. Di aver fatto tutte quelle cose stupide e normali che fanno tutti e di essermele godute, senza che fosse ogni volta una gara, una competizione impari con quello stronzo che abita dentro di me. Quanto mi è mancato di aver spalmato un po' di muscoli sopra queste quattro luride ossa che poi solo nell'essere strano, hanno trovato la via per ottenere quello che di normale non avevano addosso per riuscire a farsi notare in mezzo alla massa. Quanto in un milione di quei momenti, ho sentito gravare su di me la mancanza di un bel paio di palle, capaci di farmi sentire l'homo horribilus che avrei desiderato essere, insensibile ma potente!
Ho cercato invano sostegni nel mio passato ma ad ogni ostacolo che mi si parava davanti, di qualunque tipo esso fosse, non potevo far a meno di sentirgli ancora, infinitamente, ennesimamente, inesorabilmente pronunciare quella frase che fu una mannaia da ghigliottina sul mio tenero collo di bambino.
Fischia.
Se ti prendono in giro, tu fischia. Se ti maltrattano, tu fischia. Se ti picchiano, tu fischia. Se la vita è una merda, tu fischia. Quante volte infinitamente, ennesimamente, inesorabilmente tu hai dovuto fischiare? Chi ti ha fatto fischiare? È stato tuo padre? È stata la nonna? O piuttosto la vita di campagna o la guerra, il millenovecentoquarantatre o la sindrome di Peter Pan. Chiuso, maledettamente chiuso in quell'epoca che fu il tuo regno, di cui eri il solo re, il solo guardiano e il solo prigioniero.
Il sabato sera era di febbre e se glie lo avessero insegnato… Ah se glie lo avessero insegnato, sarebbe stato maledetto, vigliacco e spudorato. Perché non gli mancava di certo la faccia ne il costato e un po' di muscoli ce li avrebbe potuti mettere sopra, piano piano, se non lo avessero mandato da Dio proprio mentre incominciava a rompere il fiato. Povero piccolo bambino, cresciuto e rimasto bambino, non capace di prendere ma ancora li a chiedere, con la manina tesa, come se si trattasse di caramelle, come se quelle zuccherose delizie da scartare fossero sicure prede celate nella borsa di zia Lina, con quel retrogusto di naftalina ma dolci al primo impatto. Niente miele ne orzo, per lui rimase solo la naftalina e con quell'etereo aroma nella testa, cominciò a brancolare nella jungla fitta della discoteca e a rimbalzare così tanto che alla fine gli sembrò normale. Quell'incapace, inetto, buono a nulla, candido amorevole, innocente babbeo che sono. Cotte, ricotte e prese a botte, uno smilzo bambino fuori moda, con i calzoni a campana quando tutti ce li avevano stretti alla caviglia e quando le bande erano una meraviglia a cui non fu capace di appartenere. Stare a guardar passare per casa la peggio feccia del paese, lui che avrebbe frignato al primo dito che gli fosse stato puntato addosso. Rimirare quei grandi, che poi in fondo altro non erano che un paio d'anni più vecchi di lui e desiderare ardentemente d'essere come credeva fossero loro. Menefreghista, stronzo e potente.
Venivo su, storto e zoppicante, tremante in un mondo troppo più grande di me. Fischia mi dicevano, se ti prendono in giro e se continuano non ci giocare più. Ma tu grande signore mio che m'hai educato a questa vita, perché non hai voluto insegnare a me quel coraggio che tu non hai avuto? Perché è inutile che tu menta, l'hai fatta vedere a tutti la tua paura, la tua paura di morire che altro non era e non è stata, che la tua paura di vivere. Nemmeno noi, tuoi figli siamo riusciti dove già avevano fallito tutti, persino lei. Nemmeno io sono riuscito a farti amare la vita senza paura, senza vergognartene. Senza le tue dure ansie non eri capace di vivere. Così a me rimane almeno la triste gioia di averti fatto amare la tua temuta, santa e disperata morte. Un bambino inerme nelle mie mani, diligente ed ubbidiente ad ogni mio ordine, nella innocente speranza che questo gli donasse un altro po' di quella meravigliosa vita, che senza dire niente a nessuno e grazie alla mamma, a Francesca, a Betty e a me, alla fine aveva capito d'amare.
L'eremita mi avevano insegnato a fare ed io d'ogni compagnia sono rimasto poi solo. E non avrei davvero saputo che farci con loro, perché sarei riuscito sicuramente a prendere finché me ne avessero dato ma non sarei mai stato capace di dare per quanto me ne avessero chiesto. E dentro di me, triste e sconsolato, cantavo piangendo di rabbia e di voglia di tornare indietro, perché il più fico amico è chi resisterà, chi di noi, chi di noi resisterà! E il più fico amico sarebbe stato chi insieme a me avesse resistito. Solo dopo, stoltamente incazzato con gli altri, mi sono accorto che ero proprio io invece quello che se n'era andato. Tranne uno tutti li persi, elementari, medi e superiori e poi anche a quello gli lasciai prendere una strada, assicurandomi che fosse diversa dalla mia, lui nebbia di nome ed io che solo e da solo mi ci sono ficcato. Troppo semplice, troppo tranquillo e bene amato, troppo sereno e contento di stare in questo mondo, perdonami Alessandro se non son stato in grado di rimanerti accanto. Tu no, ma io avevo troppo bisogno di "una vita spericolata" e ci siamo persi di vista così, semplicemente come accade ovunque ogni giorno, ci vediamo! E poi più niente. Almeno con Enrico ci siamo lasciati ufficialmente, chiamami quando non ti servo gli ho detto e lui non mi ha chiamato più. O forse era a me che non serviva più.
Intorno tutto diventò ricco all'improvviso. Appariscente, scintillante, sembrare più che essere. Uno stralcio di tempo dove, più ancora di altri, l'apparenza la faceva da padrone e il look era la nuova unica e sola fede riconosciuta. Con quel poco che mi rimaneva in tasca mi ci buttai anch'io nella ricchezza di quegli anni, di Full Time, di rockoteca, donne poche e tizzoni ardenti assai, che per un po' lasciai fumare soli davanti a me, prima di agguantarli insieme ai colli di bottiglia, per perdermici dentro e dissolvermi in quel fumo agre di erba arrostita. Per non vedermi, se non nei fondi opachi di calici amari in cui roba scura c'era ma non era caffè. Bensì il mio penoso essere o non essere che, nonostante tutto il mio mascherarmi; a carnevale, in casa e a scuola, con gli amici e con le donne, con gli altri e con me stesso, alla fine mi ritornava addosso e mi seppelliva nella melma del mio odio e dell'invidia.
Mare a non finire, motori, ravioli in scatola e sacchi a pelo, nelle pinete e sulle spiagge, senza una meta e senza soldi, solo divertimento, egoistico sano puro divertimento adolescenziale. Anni finalmente goduti, assaporati fino in fondo, fino a quel fondo raggiungibile fino a quel fondo conosciuto ma almeno goduti. Con l'incoscienza del menefreghismo e dell'egoismo. Shhh, c'è Bruno! Spiagge affollate intorno a noi ma, forse riuniti in un gruppo più unico che raro di sfigati, noi soli in mezzo al nulla, noi soli senza che ce ne importasse, noi soli ad ascoltare il boato di gioia sulla spiaggia. La Fiorentina ha perso, è in serie B. Noi alla capannina a Cecina a guardare le olimpiadi. Noi alla Mazzanta a leggere le imprese di Azzurra! Noi a Rimini, 69 e 96. Noi in Spagna senza nemmeno vederla. Noi ad Istanbul, "From Empoli the Revolution". Noi in Grecia tra i campi di maria. Noi, che finchè non ci siam persi dietro alle sottane siamo rimasti uniti, incollati, saldati. Poi è arrivata la vita maledetta, a portarci via le cene ubriache di vomito e pazzie, di macchine sfasciate e Pironì, a portarci via le feste dell'unità, i mondiali dell'82 e i morti di Bruxell, a portarci via gli incidenti, le moto distrutte e i punti in testa, a portarci via i’ peloso, le Vespe e i pic-nic a Castiglioncello a portarci via la vita!
Noi, sempre alla ricerca di quella valle morbida e scura che doveva dar gioia ma che portava solo rabbia se non c'era, perché di solito non c'era. E quando c'era, ce n'era poca e da lontano e quando ci fu mi portò più rabbia ancora. Sul limitare di quell'attimo che doveva donare i colori della vita e i sapori dell'esistenza. Quando dopo la scuola si comincia ad assaggiare quell'indipendenza agognata per anni, tra le sottane madri e i padri scappellotti, come l'ultimo degli ovini che pecoroni si guardano intorno e si adeguano al fare del branco, che era allora quello di timbrare il cartellino comunque fosse quella buca che l'inghiotte, come tutti mi lasciai trascinare in una storia principiata troppo presto e finita troppo tardi della quale, alla fine, non c'è altro da dire purtroppo.
Se non di quel piccolo pensiero che non fu fatto in tempo ad esser formulato che qualcuno pensò bene di disfarsene. E io rimasi lurido con le mie mani in mano senza difenderlo.
Dopo la ribellione, la coppa dei campioni, le belle cosce materne guardate da sotto in su, in una sera di troppo vino, di troppa birra e di troppo tutto come troppo spesso capitava. Dopo la miserrima riscossa del bambino che punta i piedi imbronciato contro il mondo intero, mi rinchiusi svelto in una cella buia e fredda, che m'avevano fatto credere la suite di un grande albergo, tanto che dentro ci sono rimasto un decennio. Prima a cercare di capire come c'ero finito e poi a come avrei mai potuto uscirne fuori.
Arrivò il lavoro a cavarmi d'impaccio. Almeno qualcosa c'era a darmi l'illusione di quella soddisfazione che non riuscivo a trovare in un abbraccio che non volevo ma da cui non sapevo estraneo allontanarmi con grazia, finché non mi allontanai con sgarbo. Stanco dello spergiurare a destra e a manca che sarei stato capace d'aspettare quello che era ormai trent'anni di cui facevo a meno ma del quale, in realtà, bramavo conoscere al più presto ogni tipo, ogni forma, ogni possibilità di dimostrazione, di quello sconosciuto per me sentimento che era l'amore. Eppure, me ne era girato intorno ma impaurito da ciò che non mi era stato presentato, non me ne accorsi e lo lasciai sciogliere via in sorrisi di madre e carezze di padre che non seppi riconoscere e non volli vedere intorno a me, pur di poter domani, che è poi oggi, dire che non m'avevate amato. Come siamo inconsciamente stupidi e capaci di rovinarci l'esistenza. Maledetti, orgogliosi e permalosi. Incapaci di dare, se prima non abbiamo perlomeno ricevuto il doppio di quello che potremmo mai sganciare dalle nostre aride, vuote tasche, spoglie di sentimenti colmi di interesse.
Conti e contanti mi sollevarono quel che credevo l'animo ma era solo l'alibi che si formava lentamente in me, per tenermi sempre più in quelle catene in cui mi rinchiudevo, trovandovi la sicurezza del non dover dire ho sbagliato, del non dovermi dare alla vita col rischio che la vita mi desse del fallito mentre con te fallivo ogni giorno di più.
T'amai forse, di quel sentimento giovane che nasce dal non aver avuto, come un bimbo piccolo a cui per la prima volta donano una palla. Solo dopo, col tempo e con l'aiuto di chi non teneva a me per parentela ma per soldi, capii che potevo sceglierne il colore, la grandezza, il gusto e il tatto. Fino a che non capii che dentro ad una palla piena d'aria, tolto l'aria non c'era più niente. Fuggii così credendo ancora di scappare, ritrovandomi invece a vivere, a provare, a sentire e finalmente a conoscere amore.
Non cercai più palloni ma trovai una donna, che a dire il vero trovò me, nel fondo di un cassetto di conti fatti ritto su di un piedistallo in faccia al sole e che finalmente mi fece scendere, umile, a bearmi della immensa grandezza di non esser niente, se non me stesso insieme a lei.
Piansi tra le tue mani Patrizia e t'amai della passione, della ribellione, della frustrazione, della libertà che mi regalavi incatenandomi a te. T'amai del vento che correva tra i tuoi capelli, dell'acqua che ti bagnava impertinente e prima ancora dell'attesa che lessi in fondo a quei due mari scuri in cui ancora mi bagno quotidiano e mi rispecchio. Per me sei importante ma non voglio farti del male, mormorai sperando di abbracciarti e tu prendesti la mia testa fra le mani e donasti il risveglio ad uno stupido addormentato nel folto della foresta di carte bollate, decreti e leggi, dietro a cui non potevo più nascondermi.
E m'abbandonai a te prima, a me e infine a noi.
Nato tra panni, cresciuto nella carta, non avvezzo a carezze, mi ci volle tutto il tuo amore a saziarmi dell'aridità di quel deserto che mi aveva fatto crescere rachitico, come una pianticella che ha bisogno dell'acqua che le scorre vicina ma non la bagna mai.
La meraviglia di essere in te Patrizia e nel viverti giorno per giorno, dell'amarti e del declamarti eterea e candida in versi e sognarti, desiderarti e ancora amarti, spudorata e tigre con me. Non sono i mille bigliettini, né le parole che ci trovi dentro, sono le carezze che adesso riesco con tanta naturalezza a farti, solleticandoti il cuore con i miei versi, con le mie mani, con quello che con te sono riuscito a fare, a costruire, a sentire, provare, credere. Fino a far vacillare le tue paure e portarti a credere che anche tu stessa, meravigliosa ennesima Candy Candy, puoi essere amata, indiscutibilmente, indissolubilmente, inaspettatamente e realizzare i tuoi bisogni, i desideri e infine anche i tuoi sogni. Fino a quello che anche se non lo realizzassimo insieme, ne lasceremo comunque dietro di noi in eredità a questo stupido mondo, che ci voleva far credere d'essere inospitale ma che proprio nelle sue miserie, nelle morti di fame e nei cancri che sparge al vento, vive la meraviglia dell'assoluta verità. Proprio perché c'è chi ha bisogno e bisogno di noi, noi lo possiamo amare. E amiamoli allora, i padri, le madri, i parenti tutti, i nemici, gli ex mariti e quelli che non riusciamo a lasciare, gli ex amici e quelli che non riusciamo a trovare. Amiamo, e lasceremo noi qui ad amare, anche quando non ci saremo più.
Adesso, dopo la fame, la sete e i bisogni tutti, satollo infine dell'aver dato e dell'aver ripreso, mi gusto il quotidiano averti, il quotidiano esserti e il quotidiano starti che dona a me la felicità serena di sentirmi e d'esser io, non del narciso ego d'apparire ma del sapere che io sono e che tu sei con me.
Son morto e poi risorto, finalmente, tra le braccia di un angiolin bellin bellino, sceso a scuotermi dal mio torpore, colmo di sogni illusori ma senza carne da toccare. Salvato dall'incoscienza di una vita colma di niente, piena del silenzio dell'inesistenza, reame dell'indifferenza, strappato dalle grinfie di un narcotico oppiaceo che ti fa credere di non sentir dolore, solo perché non riesci più a percepire nemmeno le più piccole umili gioie. Non posso parlare di un tempo in cui non ci sono stato, un tempo che non ho sentito scorrere sulla mia pelle, in cui non ho pianto, non ho gridato, non ho sbattuto i pugni nel muro. Non mi sono ribellato! Inorridisco ancora al solo pensarci e se lo paragono alla mia fantotragica infanzia, quest'ultima mi pare la vita spensierata nel paese delle meraviglie. Lottato. Rassegnato. Ibernato dalla morte e infine dalla morte risvegliato. Come ho imparato l'amore "Siamo uomini ho innamorati" ve lo ha di già narrato.
Perdonatemi l'egoismo, perdonatemi per questa vita.
Come tanti sono arrivato troppo tardi a vedere e sentire.
Dopo avervi fatto tutto il male di cui sono stato capace, chiedo ancora una volta il vostro amore ed il perdono.
Piango ancora sulle mie ferite, non più gocce d'odio ma lacrime d'amore.
E infine amo.
Amo la vita e amo voi.
E in conclusione non posso far altro che contraddirmi e confermarmi allo stesso tempo, rassicurando tutti sulla cosa più essenziale che, nonostante tutto quanto possa esser stato o sia sembrato, rimane unica, misera e vera: oltre ad amare voi, io amo me!!!
Sì, amo me, amo la vita e amo anche voi.
Voi che non avete trovato posto tra le righe ma che volente o nolente, con al gioia la rabbia, la tristezza e la felicità, porto comunque serenamente dentro di me, voi la mia vita: il tronco d'albero vicino alla vite accanto al quale mi sono sdraiato durante la mia prima crisi d'asma, i carciofi fritti all'asilo, la bambina che mi faceva la corte all'asilo, la mela con la buccia buttata nel cestino mentre facevo il girotondo ancora all'asilo, Abano a bangare i banghi, quella volta che di ritorno da Abano babbo mi portò in regalo la fattoria con tutti gli animali, le cose sconce sotto i garagi, Walter e Marchino, Fabio, quella volta con l'ottoecinquanta che abbiamo avuto un incidente su una strada sterrata, il campino, il vialino delle streghe, l'omino pazzo, nascondino, Stefano, Federico, Albertone, Giancarlo e Giancarlo, Rivazzurra, la mitica grande immensa Juve, il minibasket, l'Azione Cattolica Ragazzi, Padre panchetti, Adele, tutte le volte che ho rubato alla coop, i soldatini, le figurine, rischiatutto, quella volta che sono tornato a casa alle otto e che fuori c'erano almeno venti o trenta persone a cercarmi e io ero da Riccardo a giocare al gioco del risparmio, la chitarra di plastica, Goldrake e Gundam, la Ciclopasseggiata Empolese, tre volte in gita scolastica alle cinque terre, Pasqua Maria, la lente a contatto, il cinema alla coop, le amiche di Francesca delle quali ero sempre innamorato specialmente Marinella, le amiche di Betty che non riuscivo proprio a sopportare, i miei amici, quelli con cui stavo bene insieme e quelli che mi prendevano puntualmente in giro, tutti i miei compagni di scuola, la maestra Viviana Ricci, il professor Caponi e le sue avventure in giro per il mondo, la professoressa Nunziati e l'ombelico di Gesù bambino, la professoressa Giudizi e gli elastichini, il triangolo e la rotonda, le ripetizioni di tedesco a Livorno e i treni per arrivarci, quella volta che abbiamo vinto la finale di pallavolo, il caro povero Daniele, Villeneuve, Platini e Boniek, tutte le ragazze a cui sono stato dietro, tutte le ragazze che mi sono state dietro, tutti i concerti che ho visto, quella volta che ho visto il viso di Gesù su di un muro e la volta che lo ho letto nelle stelle, la curva imprendibile all'isola d'Elba, il Cagiva e il Ciao, l'eschimo, il PX, le Bude, la Panda e la 127, Diddi e Gori pescioloni, il PG93, il Tenax, il grande, immenso, unico, speciale, maledetto e amatissimo Angolo dal quale non potrò mai portare via quel pezzetto di cuore che c'è murato dentro, madre e padre delle mie più scellerate azioni, che alla fin fine sono state le più belle proprio per quando, come e perché son state fatte, le birre, le canne, le scorribande della giusta giovinezza e dopo la folle, illusa felicità i fari nella nebbia, Silvia Volpi, Fabio Coli, Otello Lotti, la seconda, urlata, rabbiosa coppa dei campioni vinta dalla Juve, Andrea Taddei, Pasquale di Bologna, Luca Paoli e più importante di tutti la mia seconda vita, l'indescrivibile, smisurato, cresciuto, coccolato, colmato di tutto ciò che non avevo avuto, di tutti i trenini che avevo desiderato, di tutti i lego che non avevo montato, di tutte le meraviglie che avevo sognato, santo, dolce, bambino, insegnato, educato, amato Mattia, che solo e unico è riuscito a traghettarmi indenne fino alla mia sublime, pazzesca, armoniosa, gridata, serena, gioiosa, colma di sì, pacifica, elettrizzante, unica vera vita: Patrizia!
Il
Mirto
e
la
Fede
2002
La promessa sposa
Leggo con calma i tuoi sorrisi
scritti su di un volto di sole
ascolto il fremere dell’anima
e ti vedo formichina
mentre raccogli i minuzzoli dei tuoi sogni
e come in un enorme puzzle
di sentimenti, gioie, dolori e speranze
costruisci quell’esperienza strana e nuova
anche se rivissuta
di momenti che non ti hanno dato niente
se non riempirti di speranze tarpate
di domani che vedevi troppo lontani
nascosti dietro a montagne di incomprensione e di doveri.
Formichina, formichina
un semino dopo l’altro
hai colmato i cunicoli che portano fino a te
riempiendoli di te finalmente
e di quello che desideri portare nella tua nuova vita
a volte credi di aver quasi raggiunto una meta
e non ti accorgi che i tuoi sogni
per fortuna
spingono sempre più lontano il tuo traguardo.
E tu godi inconsapevole
perché non ci sono mete da raggiungere
ma solo giorni da vivere
lasciandoseli scorrere sulla faccia come acqua fresca
e berli
come i succhi della frutta dell’albero della vita
la tua
e
non infine ma durante
anche la nostra.
2002
Donne
Una l'ho amata
perché mi ha donato a questo mondo
che mi ha accolto a braccia conserte.
Una l'ho amata
perché mi ha difeso da questo mondo
in cui volevo entrare a tutti i costi.
Una l'ho amata
perché mi ha gettato in questo mondo
da cui avrei voluto fuggire.
Poi finalmente ho amato
te
che mi hai lasciato libero
di vivere.
2002
Dulcis in fundum
Non avevi la forza per un mondo diverso da te.
Ci hai insegnato cose che non immagini
odio, invidia, ingordigia.
Ancora sono qui a scrivere di te
con amore, con tristezza,
per noi cocci rotti e riparati
con le crepe in bella mostra
e la vita fuori
che intanto scorre
veloce e inesorabile.
E mentre penso alla forza che mi hai dato
al carattere mite ma iracondo
e spesso generoso
che mi porto dentro
ancora sono qui
con la mia manina
tesa a chiederti di comprarmi un giocattolo
non per quanto di materiale
mi sia potuto mancare
ma per confermarmi
quanto di spirituale c'era in te
quanta voglia c'era
di riempire di miele quei cocci rotti
e sentire che in fondo
eri un uomo normale
come lo sono anche io.
2002
Sull'arenile
Sassi sull'arenile
in attesa
cotti dal sole
bruciati dal sale.
Sassi
presi e gettati lontano
beccati, smossi, scavati.
Sassi
presi e portati
dalla furia del mare
da una mano che li stringe
e li infila in una tasca vuota
dove saranno dimenticati dal tempo.
Sassi
in attesa che un'onda benigna li copra
e dia loro la fresca pace di quell'attimo
prima di tornare ad essere sassi.
Sassi sull'arenile
in attesa di una carezza d'amore.
2002
Prendo te
Io ti prendo
perché tu sia me.
Prendo te
perché tu sia la madre che cerco
quando ne ho bisogno
la mano che mi trattiene bambinetto
mentre corro per le strade affollate di pericoli.
Prendo te
perché tu sia la sorella che mi aiuta
quando sono solo
il consiglio che mi raggiunge silenzioso
nel caos assordante della folla che mi ignora.
Prendo te
perché tu sia mio fratello
come mai ne ho potuti avere
il giudizio disinteressato che scolpisca me e in me
delle parole uniche di amore per la vita.
Prendo te
perché tu sia un padre
che mi ammonisce severo per i miei errori
il dito indice della via da percorrere da solo
ma in una folla immensa di pensieri amici.
Prendo te
perché tu sei la vita mia
l'alba e il tramonto delle mie giornate
l'acqua e il pane dei miei bisogni
la pace serena dei miei desideri
la fonte immacolata delle mie voglie
la foce unica e sola della mia esistenza nella grazia divina.
Prendo te
perché tu sia me
prendo te
perché tu sei me
prendo te
perché tu
sei tu
solo e soltanto unica e insostituibile
te.
2002
Il guardiano del cimitero
Dividete la vostra gioia anche con chi non è più con noi.
Il guardiano del cimitero oggi è a spasso con la vita,
se avete bisogno chiedete al padre.
Lo troverete serafico e disteso
su di un verde campo al tramonto,
con il suo cappello in testa e un filo d'erba in bocca.
Parlate con il suo sereno sorriso
e lasciate che non vi risponda.
2002
Unsaid
Ci sono parole
che appena dette
perdono il loro eterno valore.
Ci sono parole
che scritte
non hanno più nessun significato.
Ci sono parole
che svaniscono rapide in un soffio di vento.
Ci sono parole.
Io
sono qui per te.
2002
Il tuo il mio desiderio
Il desiderio
è che tu possa avere
tutto ciò che ti è mancato
tutto quello di cui hai dovuto fare a meno
tutte quelle cose
delle quali sei stata costretta a fare senza.
Desidero
che tu possa sentire
finalmente sazi i tuoi bisogni
tanto
da poter infine cominciare a desiderare
tanto
da desiderare lo stesso per me
che invece sono così sazio
che già lo desidero per te.
2002
Oltre l'ideale
Pelle come velluto
come buccia di pesca
occhi di cerbiatta
profondi come mari
languidi come lune dentro ai pozzi
unghie da gatta
bocca come bocciolo di rosa
orecchie come ricami certosini
incisi nei marmi perlati di Carrara
piedi come geishe
come bimba appena nata
gambe flessuose
corpo sinuoso
cosce come colonne dei templi greci
sguardo da dea
voluttuosa
turgida
languida
afrodisiaca
seni come coppe di champagne
come piramidi
come dolci colline nel riposo del tramonto
nella frenesia dell'alba
tigre
dittatore
padrona
comodo fondoschiena
curve piene
minuto didietro
sedere cesellato nel caldo legno
capelli castani
biondi
ramati
corvini
multicolori
nei riflessi della luce ingannevole
casta
puritana
puttana
schiava
e donna.
Quanti aggettivi
stantii, retorici e inutili
se non si può stringerti fra le braccia
e amarti.
2002
Il tempo che manca
I giorni passano
e si contano sulle dita ormai.
Ci lasciano in bocca
quello strano sapore di non vissuto
pur avendoli riempiti di noi.
Correndoli e rincorrendoli
abbiamo dato loro vita
e alla fine
ce la renderanno
in un giorno
che ci sfuggirà dalle dita
come polvere soffiata nel vento
ma che rimarrà impresso in noi
per sempre.
2002
Vita
Che Stupidi!
Continuiamo a costruire le nostre vite
su un cumulo di momenti ininfluenti,
che in realtà altro non sono
che la nostra stessa unica vita,
senza sentirla nostra,
senza sentirla vita
e soprattutto senza sentirla unica.
Unica in tutti i sensi,
anche perché
non ce ne daranno mai un’altra dopo
ma unica, più di ogni altra cosa,
perché solo noi abbiamo la fortuna di viverla,
qualunque essa sia, ovunque ci porti,
che ci lasci esalare solo qualche respiro,
che ci uccida in pancia o che ci faccia morire decrepiti,
senza più vista, senza più udito, senza più voglie.
Sono i silenzi,
le notti insonni,
le urla nello stadio o di fronte al mare in tempesta,
che formano la nostra esistenza,
il sorriso ignaro di un bambino
che corre i suoi primi passi,
il sorriso sdentato di un vecchio
che non ricorda più cosa
ma che avrebbe comunque voluto un'altra occasione
per non commettere i soliti errori,
mentre l'errore,
l'errore di tutti,
é solo guardarsi alle spalle e rimpiangersi addosso.
Ehi dico!
C'eravate anche voi,
la vita è stata la vostra,
siete voi che l'avete vissuta,
decisa, gettata, rimpianta.
Adesso amatela!
Perché è stata meravigliosa,
perché è stata vita.
2002
Immutevole
È meraviglioso
percepire la concreta sensazione
di quanto le stagioni mutano
attorno a te.
Si alternano
le mode, i vestiti
cambiano le idee, le tue
cambi tu.
Non v’è terreno fermo intorno
nulla è al sicuro
cambiano le tende
cadono i quadri dalle pareti
per fare posto ai nuovi.
È meraviglioso accorgersi
come in questa evoluzione
progressista e retrò
l’unica figura
che non cambia intorno a te
“c’est moi”.
2002
La crociera
Crociera mia che ormai sei già finita
meravigliosa gita nell’Egeo
t’ho stravissuta tutta da mattina fino a sera
buffet, piscina, sauna e discoteca.
Domani arriveremo alla Laguna
compagna nostra musica di tristezza
saluti a Juan, a Franco, a Leonardo, Giangi e Gloria
Riccardo, Bingo, Guto e Carta Costa.
Ci sarà, ci sarà, ci sarà
ci sarà un’altra crociera ci sarà
dappertutto e tanta gente
ma domani ci sarà
ci sarà Costa Crociere ci sarà.
Abbiamo vinto premi in abbondanza
cadeau, geschenk, kiss kiss, kuss kuss, kass kass
ai brasiliani coppa a noi marsupi agende e borse
ma la crociera l’abbiam vinta già.
Katakolon, Olympia e Santorini
Mykonos, Rodi, Lindos e mare aperto
Dubrovnick, tante foto, tanto video da girar
con Carta Costa poi dovrò pagar.
Ci sarà, ci sarà, ci sarà
ci sarà un’altra crociera ci sarà
dappertutto e tanta gente
ma domani ci sarà
ci sarà Costa Crociere ci sarà.
Ci sarà Costa Crociere ci sarà.
2002
Attila
Avrei voluto correre a braccia aperte
con un sorriso colmo di gioia
a riempirmi il volto
illuminato dal sole.
Compiere quei frettolosi passi
guardando in faccia
la fonte della mia eterna gioia
la mia sorgente
io la sua foce.
Non ci sono campi di grano
a fare da sfondo ai miei sogni
che parlano di un altro che sono io.
Non c'è nessuno
che mi si getta al collo per stringermi
sentirmi e ridere felice insieme a me
per quello
inutile o essenziale
che mai avrei potuto compiere
nella mia sorprendente vita.
Non sarò un eroe per nessuno
perché l'impresa più gloriosa
non mi fu dato di compierla
né con l'emozione di volerla
né con l'amore di desiderarla.
Per me e per te
che vivi da dentro
questa mia assurda sconfitta.
2002
La roba
Vorrei non avere niente
niente da rimpiangermi
niente da portare con me
da desiderarlo almeno
niente amici
né casa, né ricordi
né il tuo dolce infinito amore
perché
quando me ne dovrò andare
non potrò farne a meno.
Sarà allora che avrò paura
infine.
Quella paura
che non ho avuto da bambino
per quel traguardo troppo lontano
da sembrarmi vero
che non ho avuto
nei sogni neri dell'adolescenza
perché lo desideravo
lo bramavo e anelavo
quel momento in cui il niente è oltre.
Quella paura non sentita
quando la mia vita non era niente
e niente aveva
quella paura che non sento adesso
perché ho tutto.
Ho te
ho la mia vita
ho il mondo e la felicità
Quella paura che sentirò domani
quando dovrò lasciare agli altri tutto questo.
E a me non rimarrà che sperare
pregando
di poterlo vedere da lassù.
2002
Fine
Ma te le ricordi tutte le cose che mi hai fatto
o ancora continui a far finta di averle dimenticate
o peggio ancora di non averle mai compiute.
Tutte le volte che hai alzato le mani su di me.
Ogni volta che mi urlavi in faccia.
Ti avrei ucciso
seppellendoti
sotto i miei pugni e le mie grida di ribellione
di rabbia, di rivolta.
E te non far finta di niente.
Te, che hai fatto di peggio
a te che non è bastato torturare il frutto del tuo seme
non hai saputo smettere
non hai saputo fermarti e lasciarti rapire dalla dolcezza
almeno lui è riuscito a fermarsi
anche se non ha mai chiesto perdono.
E non mi importa niente
di quanto possa mai essere accaduto a voi
dei vostri dolori, delle ansie e delle lame
che hanno trafitto i vostri cuori.
Né io né nessun altro meritavamo la vostra vendetta
la vostra stupida, inutile rivalsa.
A cosa è servita adesso che siete morti?
No, non vi perdono
perché non sono riuscito ad uccidervi.
Ve ne siete andati ispirando in me pietà e amore
e non è giusto
perché avete lasciato in me il vostro odio
e io non voglio darlo più a nessuno.
Lo lascio perdersi nel tempo
nel vento e nell'amore
di cui mi sono circondato.
Adesso basta
riposate in pace
se potete.
2002
Domani sempre
Ieri niente
adesso tanto
mai troppo
ancora
prima goffamente dentro
ora certamente fuori
dopo finalmente via.
2002
Halloween
È triste accorgersi
improvvisamente
che non ci sei mai stato
te n'eri scappato nel quarantatré
lasciandoci da soli
a crescere in un mondo senza amore.
2002
29 XI 2002
Sono precipitato
dentro gli abissi di un lago senza fondo,
mi sono innalzato
tra le vette infinite e silenziose,
ho toccato stelle
e visto il sole da vicino,
conosciuto lo spazio immenso
che ci culla nel suo ventre
e l’infinito che è rinchiuso dentro di noi,
poi ho visto te
e sono rimasto qui!
2002
Per Elisa
Odio nascondermi
non è questa la vita bugiarda
che ho scelto per me
vorrei difendermi
ma è difficile uscire nuotando
dal mare che c'è.
Sola
in un mondo che mi sfiora
senza lasciare mai
neanche un brivido sulla mia pelle
senza farmi vedere le stelle
senza mai perdermi
ne ritrovarmi e poi
lasciarmi o prendermi.
Canterò
un universo dentro me
un’anima libera
una canzone che
vola
gridando il nome mio
se
volerò prendimi
prima che arrivi su in alto
mi bruci
e non torni da te.
Guardo nel mare blu
dove onde giganti si abbattono
sopra di me
provo a conoscermi
ma è difficile farlo da sola
io senza di te.
Vieni
nei miei umidi pensieri
di sogni e favole
volto limpido illuso e ribelle
senza maschere sulla mia pelle
senza nascondersi
od ingannarsi mai
tradirsi o uccidersi.
Canterò
un universo dentro me
un’anima libera
una canzone che
vola
gridando il nome mio
se
volerò prendimi
prima che arrivi su in alto
mi bruci
e non torni da te.
Se
volerò prendimi
prima che arrivi su in alto
mi bruci
e non torni da te.